Seul Jésus pouvait être assez bon et miséricordieux pour guérir et guérir une belle-mère

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

SOLO GESÙ POTEVA ESSERE COSI BUONO E MISERICORDIOSO DA CURARE E GUARIRE UNA SUOCERA

«La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Il s'est approché et lui a fait se lever la main; la fièvre l'a quittée et elle les a servis. Le soir est venu, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta».

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La pericope del Vangelo di questa V Domenica del Tempo Ordinario ci racconta ancora della giornata-tipo di Gesù a Cafarnao.

« À ce moment-là, Jésus, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Il s'est approché et lui a fait se lever la main; la fièvre l'a quittée et elle les a servis. Le soir est venu, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni». (Mc 1,29-39)

Se l’utilizzo frequente in Marco dell’avverbio «subito» è servito ad accelerare il tempo narrativo, evidenziando la fretta di Gesù riguardo l’annuncio del regno; nel brano odierno, anche i luoghi qui sono presi in considerazione, come uno spazio che tende ad allargarsi sempre di più. Il movimento del racconto passa infatti dalla sinagoga della cittadina sul lago (Mc 1,29) alla casa di Pietro, poi ancora dalla casa alla strada aperta davanti alla porta del cortile della casa di Pietro (v. 33), da una città ai villaggi vicini (v. 38); enfin, dai villaggi fino a «tutta la Galilea» (v. 39). Come se tutto lo spazio, velocemente, debba essere occupato da Gesù, dal suo annuncio e dalle sue opere.

I personaggi del racconto sono i discepoli più vicini a Gesù, la suocera di Simone e soprattutto i malati. Sono questi ad impadronirsi della scena. Essi si possono trovare già dove arriva Gesù, come la suocera di Pietro, oppure vengono portati a lui; altri ancora lo cercano spontaneamente sin dall’alba, quando egli sta pregando. La malattia incornicia il nostro brano: che si tratti di una febbre o di una sofferenza più profonda, spirituale o fisica (come quella causata dagli spiriti impuri del v. 39), il vocabolario del campo semantico dell’infermità costella il racconto ed è presente in modo consistente, includendo tutta la narrazione.

«E subito gli parlarono di lei». La sollecitudine verso questa donna anziana colpisce, perché manifesta un’attenzione verso i fragili e la fede nella presenza di Gesù. La donna anziana e febbricitante non viene nascosta al Maestro come fosse un problema o qualcuno di cui vergognarsi, per cui non varrebbe la pena disturbare. Il fatto che i discepoli parlino subito della suocera di Pietro a Gesù mostra che quella donna era per loro una priorità. Non ne chiedono la guarigione, non sfruttano la presenza del Maestro ai loro fini, semplicemente indicano la donna malata: questa persona per loro è importante. Da questo si può capire il senso e il valore dell’intercessione come del parlare a favore di qualcuno. Gesù lo apprezza, tanto che fa subito qualcosa: le tende la mano, la solleva e poi la guarisce dalla sua malattia. Gesù vuol essere disturbato dai malati. Gesù apprezza e ammira l’intercessione a favore dei malati, come nel caso del centurione che intercede per il suo servo malato (Lc 7,1-10).

Il tema della malattia, dicevamo, percorre tutto il testo marciano. La sofferenza tocca ogni uomo, ma «sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino» (Catechismo degli Adulti, La vérité vous libèrera, 1021). È la «conversione» alla quale sono chiamati i malati sanati da Gesù, plutôt, alla quale siamo chiamati tutti noi.

Scopriamo così un altro senso delle prime parole di Gesù nel Vangelo di Marco: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15). Il tempo e lo spazio, ma anche gli uomini e le donne sono toccati dalla pienezza della presenza di Dio e il regno è quella realtà in cui è possibile l’incontro con Gesù. Gesù non compie solo attività terapeutiche, perché i suoi gesti sono accompagnati da parole, da insegnamenti. In effetti si tratta di segni per dire che il regno è vicino: i miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio e corrispondono alle attese di Israele, dove si credeva che il Messia sarebbe venuto con capacità taumaturgiche. Per questo motivo l’annuncio che «il regno è vicino» è complementare alla parola «convertitevi e credete al vangelo», perché le folle che accorrono da Gesù, davanti a questi gesti divini, sono chiamate a credere e a convertirsi. Se questo non accade, i miracoli non servono, come spiega Matteo in un altro passo: «Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, parce qu'ils ne se sont pas repentis: Malheur à vous, Chorazin! Malheur à vous, Bethsaïde. pouquoi, si Tyr et de Sidon, ils avaient été fait les miracles qui ont été faits parmi vous, ils se sont repentis depuis longtemps, ravvolte nel cilicio e nella cenere» (Mont 11,20-21). La guarigione più grande che Dio può operare è quella dalla nostra incredulità.

Pour terminer, forse collegato a ciò che abbiamo appena detto, notiamo la piccola discrepanza fra i «tutti» che accorrono a Gesù per essere sanati (vv. 32.33.37) e i «molti» che invece, effectivement, sono guariti: «Guarì molti che erano afflitti da varie malattie» (v. 34). Ce, Mais, viene superata dal vocabolario della risurrezione usato da Marco. Infatti il verbo che Marco adopera per narrare la guarigione della suocera di Pietro — «la sollevò» del v. 31) — è molto importante nel Nuovo Testamento, perché non ricorre soltanto nei contesti delle guarigioni (Mc 2,9.11; 5,41; 9,27), ma soprattutto nel racconto della risurrezione di Lazzaro (Gv 12,1.9) e di Cristo (ad es.: À 3,15; Rm 10,9). Come Gesù è stato capace di sollevare la suocera di Simone, così sarà capace di dare la vita ai morti, à tout le monde. Si chiarisce allora la strada che vuol farci percorrere Marco per arrivare a conoscere chi è Gesù. Colui che nell’apertura del Vangelo viene definito come «Figlio di Dio» (Mc 1,1), come il Battezzatore nello Spirito Santo (v. 8), come il «Figlio prediletto» (v. 11) è finalmente svelato nel suo essere nei confronti degli uomini: è colui che è «venuto» («uscito», au sens propre, dal verbo exérchomai; cf.. v. 38) agli uomini perché lo ascoltino e siano guariti dalle loro infermità.

Il racconto della giornata di Gesù prosegue col riposo, ma poi «al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!» (Mc 1,35-37). Non sappiamo a quale luogo deserto possa riferirsi l’evangelista, ma certo non doveva essere distante dal lago. Marco ha già accennato alla preghiera di Gesù, nella forma celebrata in sinagoga. Questa preghiera mattutina e personale, come apprendiamo anche da altre tradizioni evangeliche, sembra essere il modo in cui il Signore riconduce tutto al Padre: quello che ha vissuto dalla sera precedente, quello che lo aspetterà nel giorno che continua. Così Gesù insegna ai discepoli che la preghiera è indispensabile per fare unità nella propria vita.

De l'Ermitage, 4 février 2024

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Ce jour où un démoniaque reconnut immédiatement Jésus-Christ comme puissance divine

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

QUEL GIORNO IN CUI UN INDEMONIATO RICONOBBE IMMEDIATAMENTE GESU CRISTO COME POTENZA DIVINA

«Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, disant: “Que voulez-vous de nous, Jésus Nazaréen? Vous venez de détruire? je sais qui tu es: le saint de Dieu!”. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui».

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Le chant évangélique de ce dimanche forma parte di quella che viene comunemente definita la «giornata di Gesù a Cafarnao».

« À ce moment-là, Jésus, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao] il a enseigné. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Et ici, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, disant: “Que voulez-vous de nous, Jésus Nazaréen? Vous venez de détruire? je sais qui tu es: le saint de Dieu!”. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”. La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea». (Mc 1,21-28).

Si tratta di una raccolta di brevi episodi che vanno da Mc 1,21 fino a 1,34 che l’Evangelista racchiude nell’arco di ventiquattro ore. Si inizia con la preghiera del mattino in sinagoga, descritta dal v. 21― preghiera celebrata ancora oggi dagli Ebrei, che prevede la proclamazione della Torah, del Profeta e il successivo sermone tenuto dal rabbino ― per arrivare al tramonto del sole, quando ormai, finito lo Chabbat, è permesso portare i malati davanti a Gesù. L’attività di Gesù è frenetica: non ha tempo se non per insegnare e per guarire. C’è un avverbio, «subito» (εὐθύς, euthys), importantissimo per Marco, che si ripete nei vv. 21.23.28 ― purtroppo non colto dalla traduzione italiana, ma presente in greco ― e addirittura dodici volte solo nel primo capitolo, quarantacinque nell’intero vangelo di Marco; sta a indicare la fretta di Gesù per il quale «il tempo è compiuto» (Mc 1,15): se il tempo è compiuto, non c’è tempo da perdere per mostrare come il Regno è arrivato tra gli uomini.

La prima attività che ci riferisce Marco su Gesù è il fatto che insegnava con autorità. Il primo miracolo, appelons ça comme ça, che compie non è una guarigione o un esorcismo, ma l’insegnamento. E, in proporzione, Marco presenta Gesù come un maestro, più degli altri Vangeli: per cinque volte usa a suo riguardo la parola didachē ― «insegnamento» ― e per dieci volte lo chiama «maestro», riferendo questo titolo solo a lui. L’insegnamento è uno dei ministeri di cui parla Paolo nella Lettera ai Romani (12,7), ed è forse la carità di cui più abbiamo bisogno in tempi in cui è difficile trasmettere la fede.

Les autres, a cui viene paragonato Gesù, sono gli scribi. Ma non hanno la sua stessa «autorità». Anche se non vengono disprezzati o diminuiti dall’Evangelista, Marco sottolinea due volte (vv. 22 e 27) che egli insegna in modo molto diverso rispetto a loro. La differenza tra lui e gli altri «rabbini» potrebbe stare a due livelli. Il primo è quello dell’autorevolezza con cui Gesù dice le cose. Leggendo i testi della tradizione rabbinica, che sono stati raccolti a partire dalla caduta del secondo Tempio, nella seconda metà del I secolo d.C., si rimane colpiti dall’attaccamento alle «tradizioni degli antichi» ― di cui parla anche Marco in 7,1-13 ― tramandate con una lunga catena di detti e di sentenze, ma soprattutto dal modo in cui queste sono elencate una dopo l’altra, come una raccolta di opinioni diverse ma dello stesso valore. La parola di Gesù invece ha un carattere più creativo ed un peso più grande: si rifà direttamente alla Legge e a Dio e, acquisendone forza, la sua parola non è mai solo un parere. Ma c’è di più e qui siamo al secondo livello dell’autorità di Gesù. Le sue non sono semplicemente parole, ma compiono ciò che dicono. Egli è il «santo di Dio» (Mc 1,24) e perciò la sua autorità esprime il potere di Dio stesso: per questo insegna, esorcizza e guarisce, ma sempre attraverso una parola che libera e salva.

Il Regno di Dio è una nuova creazione dans lequel, come già nella prima, le parole proferite autorevolmente realizzano ciò che proferiscono. Questo diventa evidente nella seconda attività che contraddistingue l’avvento del Regno in Gesù: la guarigione dei malati e gli esorcismi. Dove c’è Dio con il suo regno, lì non c’è spazio per il male e le sue potenze: se ne devono andare.

Gesù infatti non lascia parlare lo spirito immondo: «Taci», gli ordina. Non vuole che Satana apra bocca e non solo perché il diavolo è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). Infatti già era accaduto una volta che il serpente avesse parlato, ed ebbe inizio la triste storia del peccato dell’uomo: il serpente antico per tentare al male Adamo aveva infatti inculcato il veleno del dubbio in Eva: « Il est vrai que?» (Gén 3,1). Se allora fosse stato fatto tacere, Adamo avrebbe vinto la tentazione.

In questa parte del Vangelo secondo Marco la cristologia è centrata sull’idea che Gesù sia capace di recuperare la sorte del primo uomo. Qui, quando fa tacere il demonio e anche nella scena del deserto, ovvero nel racconto della sua tentation. Gesù viene «cacciato» in quel luogo (Mc 1,12) così come Adamo era stato «cacciato» dal paradiso (Gén 3,24), condividendone così la sventura, ma uscendo vittorioso dalla prova. Al termine di essa, registra Marco, Gesù «stava con le fiere», cioè di nuovo in pace con la creazione, come Adamo, «e gli angeli lo servivano», cioè ricevendo lo stesso onore che, secondo una tradizione rabbinica, Dio aveva dato alla sua più bella creatura, l’onore di essere nutrito dagli spiriti buoni. Jésus, enfin, appare nel Vangelo di Marco non come un bambino, come invece nei vangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca, ma arriva sulla scena già adulto, uomo fatto, come anche Adamo era stato creato adulto.

La giornata di Cafarnao si svolge in un sabato, il giorno in cui Dio si è riposato dopo aver creato l’uomo. In questo giorno Gesù può riportare alla sua originale bellezza il mondo, per mezzo della stessa parola creatrice che ha fatto l’universo e che gli permette di esercitare la sua autorità forte; ma anche esercitando su quel giorno, il sabato, una speciale signoria. Il «Figlio dell’uomo», come ascolteremo in un’altra domenica, è «Signore anche del sabato» (Mc 2,28). Il tempo è di Dio e Gesù afferma questa sovranità sul tempo compiendo guarigioni di sabato. E sono guarigioni che toccano uomini e donne che a causa della loro malattia avevano perso la ragione stessa del tempo. Per una persona sana, lo svolgersi delle attività lungo l’arco della settimana mirava ad un compimento nel riposo sabbatico: l’incontro con Dio e con la sua parola permeava di significato e di speranza l’esistenza.

Per una persona invalida, che era esclusa dal riposo sabbatico e dallo spazio del tempio, ecco che ogni giorno della settimana si caricava del medesimo dolore e sofferenza. Le guarigioni di Gesù nel giorno di sabato interrompono questo fluire indistinto del tempo nel corpo dei malati e ridonano a uomini e donne che hanno perso il senso del tempo il suo pieno valore attraverso il sabato. La guarigione di quell’uomo «posseduto da uno spirito impuro», che quel giorno di sabato si trovava proprio lì dove era presente anche Gesù, è l’inizio di un nuovo sabato, ossia di una nuova creazione, in cui al centro c’è la vita di ogni persona da salvare. Come ha scritto il rabbino e filosofo Heshel:

«Dobbiamo sentirci sopraffatti dalla meraviglia del tempo se vogliamo essere pronti a ricevere la presenza dell’eternità in un singolo momento. Dobbiamo vivere ed agire come se il destino di tutto il tempo dipendesse da un singolo momento» (Heshel A. J, Le samedi, Garzanti, Milan 2015, p. 96).

 

De l'Ermitage, 27 janvier 2024

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"Viens derrière moi, Je vous ferai pêcheurs d'hommes ". Et aussitôt ils quittèrent leurs filets et le suivirent

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

« VENEZ DERRIÈRE MOI, JE VOUS FAIS DEVENIR PÊCHEURS D'HOMMES". E SUBITO LASCIARONO LE RETI E LO SEGUIRONO

Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? La principale difficulté est que Jésus n’a jamais utilisé de définition pour en parler.. Il a plutôt utilisé des paraboles et des images, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra o a un granello di senapa e così via.

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Lasciato alle spalle il passaggio nel Vangelo secondo Giovanni di domenica scorsa, il lezionario ci riporta a Marco, OMS, terminata l’esposizione della trilogia comune ai sinottici (Jean le Baptiste, Battesimo di Gesù e la prova nel deserto), riprende la narrazione dandoci un’indicazione temporale importante che apprendiamo dall’attacco del Vangelo di oggi.

«Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, il a vu Simone et Andrea, frère de Simone, comme ils jettent leurs filets dans la mer; c'étaient en fait des pêcheurs. Jésus leur a dit: «Venite dietro a me, Je vous ferai pêcheurs d'hommes ". Et aussitôt ils quittèrent leurs filets et le suivirent. Aller un peu plus loin, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui. (Mc 1,14-20).

Scrive Marco che Gesù inizia a proclamare il regno di Dio «dopo che Giovanni fu arrestato» (Mc 1,14 cf.. aussi Mont 4,12). Molti immaginano che la cronologia dell’inizio del ministero pubblico di Gesù si sia svolta così: de Galilée, regione da cui viene, Gesù scende al Giordano per essere battezzato. Subito dopo, tenté, rimane quaranta giorni nel deserto per poi ritornare in Galilea. Ma deve invece essere passato più tempo e il punto di svolta, ciò che fa tornare Gesù in Galilea è rappresentato dall’arresto del Battista. Forse è in quel preciso momento che per Gesù giunge la consapevolezza che è ora di assumersi le sue responsabilità.

La voce che gridava nel deserto, poiché è stata messa a tacere, passa ora alla Parola che annuncia il regno. Questa interpretazione aiuta noi credenti nei momenti di difficoltà e sofferenza, come deve essere stato per Gesù l’arresto di Giovanni e ci fa proferire: bisogna fare qualcosa. È in tali situazioni che, se non vai tu, nessuno può andare al posto tuo. La chiamata che ora Gesù farà dei discepoli, l’ha vissuta in prima persona lui; il regno che annuncia l’ha visto arrivare per primo lui, anche nella dolorosa notizia che Giovanni non può più parlare.

Ma eccoci a una questione teologica importante. Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? La principale difficulté est que Jésus n’a jamais utilisé de définition pour en parler.. Il a plutôt utilisé des paraboles et des images, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra (Mc 4,26) o a un granello di senapa (Mc 4,31) etc. Il regno, dit Jésus, non solo è vicino, ma bisogna accoglierlo come fanno i bambini (Mc 10,15) ed entrarci dentro, anche se non è così facile, soprattutto se si hanno molte ricchezze (Mc 10,23). È presente, cioè qui o vicino, ma è anche futuro, come quello in cui Gesù berrà, avec nous, il vino nuovo, altro vino rispetto a quello dell’ultima sua cena (Mc 14,25). La teologia cristiana ha elaborato a proposito una formula, quella del «già» ma «non ancora», quasi un ossimoro che dice però come il regno possiamo già ereditarlo e viverci, anche se non è ancora compiuto. Non è ancora esteso a tutti gli uomini, maman, come insegna il documento del Concilio Vaticano II La lumière «è già presente in mistero» con la Chiesa (cf.. n. 5).

En ce sens Gesù si distingue dalle due principali concezioni sul regno che circolavano nel giudaismo del suo tempo. Egli infatti non ha inventato questa idea, già nota all’Antico Testamento (cf. 1Cr 28,5) e non l’ha applicata né a quel modo di pensare che vedeva il regno come una realtà «nazionalistica», tutta presente, da attuare magari ad ogni costo, né tanto meno alla concezione opposta, di tipo apocalittico, che vedeva il regno possibile solo come una realizzazione futura che negava il presente. Se vogliamo rintracciare questi due estremi nella storia dell’umanità, potremmo dire che il materialismo si è spesso fondato sull’illusione che tutto potesse risolversi qui, à présent; ma dall’altra parte è facile riconoscere in certi movimenti spiritualistici la svalutano del presente, considerato in modo negativo.

Gesù ha invece usato l’idea di regno per dire anzitutto che è arrivato e quindi ci si può entrare. Ma per farlo bisogna cambiare mentalità, modo di ragionare e pensare; per dirlo con le parole di Gesù: «convertirsi» (Mc 1,15). « Que ton règne!», prega ancora la Chiesa, aujourd'hui, après deux mille ans. Il regno c’è già, ma deve ancora essere accolto come un dono e trovato lì anche dove si fatica a vederlo.

In conformità dunque con l’attesa escatologica giudaica, ma con la differenza decisiva però che non più di attesa si tratta, il Regno di Dio è l’effetto dell’evento messianico annunciato da Gesù e in lui presente. Il pieno dispiegamento della sua sovranità redentrice non si è ancora realizzato, ma il tempo della fine è giunto e dunque per parlare in modo appropriato non c’è più sviluppo storico, mais plutôt une récapitulation de toute l'histoire mise en jugement.

«È questo il contenuto dell’«evangelo di Dio» quale ci è sinteticamente riferito dalla tradizione più antica raccolta da Marco: «Il tempo è compiuto ed è vicino il Regno di Dio: convertir, e credete nell’evangelo» (1,14-15). Ce qui est annoncé ici, c'est l'heure (la Kairos) d'accomplissement définitif, la venue promise du Royaume, le grand tournant du monde inauguré par Jésus dont l'acte final est sur le point d'avoir lieu avec sa parousie. Evidentemente qui non può essere il Gesù storico a parlare, bensì il Risorto predicato dall’evangelista, che segna con precisione il tempo della fine tra resurrezione e parusia, come un evento unico in cui tutto il tempo, tutta la storia si condensa, ivi compresa la vita stessa di Gesù. Pour ça maintenant, contrairement à l'eschatologie juive, occorre «fede nell’evangelo», c'est-à-dire en Jésus-Christ, dans le Messie, qui est présent comme celui qui est venu et qui vient. Tutto dunque in forza di questa fede precipita e si concentra nel presente, non vi è più oscillazione tra passato e futuro, tradizione e attesa; ma solo l’ora attuale in cui il passato è redento e il futuro è solo desiderio del compimento: «Viens Seigneur Jésus» (App 22, 20).[1]

Il Vangelo prosegue descrivendo la fretta di Gesù di portare ad attuazione la sua parola sul regno, perché “il tempo è compiuto”. Il concetto emerge molto chiaramente nel Vangelo di Marco, dove abbonda l’avverbio euthus (εὐθὺς), «subito», ripetuto decine di volte. Tale sollecitudine trova una prima applicazione nella chiamata dei quattro discepoli (vv. 16-20) e nell’episodio dell’insegnamento nella sinagoga di Cafarnao, accompagnato dalla liberazione di un indemoniato (dimanche prochain). Jésus, con gesti e con parole, mostra davvero come il regno è arrivato, e lo dice: ai discepoli (appena chiamati a sé) e alla sua gente (nella sinagoga). Ecco che allora il regno può essere solo uno spazio in cui Dio è presente, Colombe, précisément, solo lui regna. Le altre potenze non possono fare altro che riconoscerne l’autorità («Io so chi tu sei: il santo di Dio» di Mc 1,24) e sottomettersi.

I padri della Chiesa erano colpiti dal modo in cui Gesù chiamò i primi a seguirlo: rilevano che erano persone semplici e illetterate (Origène), che probabilmente avranno obiettato con la loro inadeguatezza (Eusebio); noi ci stupiamo anche del fatto che questi «subito» lascino le reti lo seguano (cf.. Mc 1,18), ma soprattutto per il fatto che ancora oggi, après tant d'années, Gesù ancora «passi accanto» (Mc 1,16) alle nostre situazioni, al nostro quotidiano, alle nostre reti, e ci inviti a seguirlo per stare con lui.

Ciascuno di noi viene chiamato lì dove si trova e ogni inizio ha sempre un prima che lo ha preparato su cui poi si innesta una novità, un cambiamento: come il seme che è stato seminato ha una forma diversa dalla pianta che poi germoglierà, così anche noi siamo presi dal Signore a partire dalle nostre storie e dal nostro oggi per far sviluppare quelle potenzialità di bene e di vita che sono racchiuse nel «piccolo seme» della nostra vita e che solo il Signore può dischiudere e trasformare con la forza e la fantasia del suo Spirito. A noi è chiesta l’attenzione alla sua voce che chiama, l’abbandono filiale e fiducioso alle sue parole, e la prontezza nel rispondere senza dilazioni nel tempo o attaccamenti al «già», a quel noto e conosciuto che ci rassicura ma anche rischia di bloccarci: «E subito lasciarono le reti e lo seguirono».

 

De l'Ermitage, 21 janvier 2024

 

REMARQUE

[1] Gaète G., Le temps de la fin, N'importe quel, 2020

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Une maîtrise charitable: "Rabbin, où vous vivez? Viens et vois"

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

UNE MAÎTRISE CHARITABLE: "RABBIN, OÙ VOUS VIVEZ? VENITE E VEDETE»

Scriveva Isaac Newton «Più imparo, plus je réalise combien de choses je ne sais pas". Aujourd'hui, il semble que beaucoup ne veulent pas apprendre même s'ils sont certains et sûrs de savoir.

 

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Chers lecteurs de l'île de Patmos,

uno degli atteggiamenti più naturali che tutti abbiamo è quello della ricerca. Quando siamo bambini ci domandiamo spesso il perché delle cose. Crescendo troviamo poi delle risposte, e continuamente rinnoviamo questa nostra ricerca del senso della verità nelle cose. Scriveva Isaac Newton «Più imparo, plus je réalise combien de choses je ne sais pas".

Dans l'Évangile d'aujourd'hui Gesù ci mostra due uomini in ricerca e la via da seguire per trovare la risposta definitiva. La risposta è molto bella: andare con Lui e vedere dove dimora il Signore.

«Gesù allora si voltò e, osservando che [Giovanni e due discepoli] lo seguivano, il leur dit:: “Che cosa cercate?”. Ils lui ont répondu: “Rabbì — che, tradotto, significa maestro — , où vous vivez?”. Il leur a dit: “Venite e vedrete”».

Troviamo dunque una scena molto bella. Giovanni, Andrea e un altro discepolo di cui non sappiamo il nome si muovono seguendo Gesù. Lui se ne accorge e li interroga. Rispondono e così lo riconoscono come maestro e vogliono sapere dove abita. Ed è allora che Gesù li invita a venire e vedere.

È un dialogo vivido e forte fra i tre e Gesù. Il Signore con il suo sguardo umano divino coglie un cuore e una mente pronti a cercare la casa di Dio. Pronti a cercare quel luogo dove possono trovare la verità che schiude il loro mistero e quello di Dio.

Gesù è davvero maestro per loro perché in quanto figlio di Dio può condurre Andrea, Giovanni e l’altro discepolo ad una maestria, ad una conoscenza che diventa amore. Una conoscenza di Dio che gli permette di amare in modo concreto e pratico sé stessi e gli altri.

In questo incontro ci siamo anche noi. Potremmo dire che siamo simboleggiati da quel discepolo innominato. Quello senza nome è colui che ascolta e chiede a Gesù qual è la sua dimora oggi nel 2024.

Il Signore chiede a tutti noi di cercarlo innanzitutto nella Chiesa, jea sua dimora principale, perché in essa si vive e si celebra l’Eucarestia, cioè la presenza reale di Gesù in corpo, du sang, l'âme et la divinité. Se seguiamo e vediamo Gesù nella Chiesa che celebra l’Eucarestia, e dunque ci rende partecipi attivamente nell’Incontro con Lui, tutti possiamo crescere anche nell’imparare la comunione con il prossimo. pouquoi, en vigueur, la seconda dimora dove possiamo incontrare Gesù oggi, è proprio il nostro prossimo. Tutti noi infatti siamo tempio dello Spirito Santo e tempio dell’Eucarestia. Perciò impariamo a guardare nel prossimo sofferente e bisognoso, quello stesso Gesù che ci chiede aiuto.

Così dobbiamo innanzitutto imparare ad ascoltare la voce di Gesù che oggi domanda ai nostri cuori “Cosa cercate?”. Domandiamoci se i nostri desideri sono santi, giusti e buoni, e davvero sentiremo il Signore invitarci a camminare sui sentieri dell’Eternità.

Chiediamo al Signore il dono di una ricerca che ci porti alla vita autentica, la vita in Lui e nella sua Chiesa, per diventare ricercatori della Luce Eterna.

 

Santa Maria Novella à Florence, 14 janvier 2024

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Le divin provocateur Jésus aux Apôtres: "Qu'est-ce que tu cherches??»

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

LE DIVIN PROVOTEUR JÉSUS AUX APÔTRES: "QU'EST-CE QUE TU CHERCHES?»

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. Le profond mystère de sa personne commence à se révéler, ainsi que les noms des premiers followers. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima.

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.https://youtu.be/4fP7neCJapw.

 

Nel Vangelo di questa II domenica del tempo ordinario Lisons: «In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, il a dit: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, il leur dit:: "Qu'est-ce que tu cherches??». Ils lui ont répondu: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, où vous vivez?». Il leur a dit: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Jésus a dit: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro». (Gv 1,35-42).

La Chiesa ha compreso l’unità dei tre misteri che hanno attinenza con la rivelazione di Gesù, e li ha legati già nell’antica antifona dei Secondi Vespri del giorno dell’Epifania:

«Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia».

Quest’anno il terzo mistero che attiene alla manifestazione di Gesù è annunciato sempre tramite il Vangelo secondo San Giovanni, ma invece che l’episodio di Cana, la liturgia propone quello della prima manifestazione di Gesù ai discepoli, a seguito della indicazione di Giovanni Battista che lo definisce come «Agnello di Dio».

L'épisode évangélique si colloca al terzo giorno della settimana inaugurale del ministero di Gesù, settimana che culminerà nella manifestazione della sua gloria a Cana davanti ai suoi discepoli che «credettero in lui» (Gv 2,11). Il testo offre la versione giovannea della chiamata dei primi discepoli narrata dalla tradizione sinottica, ma con differenze rimarchevoli. Giovanni presenta uno schema in cui è fondamentale la mediazione di un testimone che confessa la fede in Gesù e conduce altri all’incontro con lui: è così per Giovanni Battista nei riguardi di due suoi discepoli (1,35-39), per Andrea nei confronti di Simon Pietro (1,40-41), per Filippo che si rivolge a Natanaele. In particolare Giovanni Battista che, dopo una testimonianza negativa su di sé («Io non sono il Cristo») e una positiva su Gesù («Ecco l’Agnello di Dio»), rivela davanti a due suoi discepoli l’identità di colui di cui egli è stato il precursore e li conduce a farsi discepoli di Gesù. Colui che era stato inviato da Dio come testimone del Verbo «perché tutti credessero per mezzo di lui» (1,7) adempie così il suo mandato lasciando che i suoi discepoli diventino di Gesù, chiedendo che aderiscano a lui.

Che siamo di fronte alla manifestazione di un mistero è segnalato anche dallo “schema di rivelazione”, spesso usato dall’evangelista nella sua opera e che si può riassumere nelle tre fasi del vedere, dire e proferire l’avverbio: «Ecco». Il brano evangelico si apre, comme ça, con Giovanni che «fissa lo sguardo» (1,36) su Gesù e dice: «Ecco l’Agnello di Dio» e si chiude con Gesù che «fissando lo sguardo» (1,42) su Simon Pietro gli dice: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni, sarai chiamato Cefa – che significa Pietro». Ça parle de, dans les deux cas, di uno sguardo intenso, un vedere in profondità, un discernere l’identità di una persona. La vocazione non è solo una chiamata come nei sinottici, ma anche uno sguardo come qui in Giovanni. Lo sguardo, come e forse più della voce è comunicazione e rivelazione. In Giovanni Il verbo più neutro è scorgere, βλέπειν (Blepein). Lo troviamo per la scena iniziale del battesimo al Giordano. Giovanni Battista scorge Gesù che viene a lui e dice: «Ecco l’agnello di Dio». Ma si nota già in questo episodio un passaggio dallo scorgere al contemplare (Gv 1,32) e poi all’«ho visto» di Gv 1,34, come in Gv 14,9.

Alla forma verbale più completa arriviamo in Gv 14,9, dove il verbo «vede­re» verrà usato al perfetto: έώρακα (Eoraka). Applicato a Gesù, descrive ciò che lo sguardo attento e stupito ha scoperto in lui e di cui si conserva nella memoria la scoperta. Possiamo osservare che ogni volta che Giovanni usa questo verbo «ho visto» (e ne conservo la memoria) Gesù viene riconosciuto come il luogo santo dove Dio si manifesta, il tempio della presenza divina, la maison, ovvero la dimora in cui Dio stesso abita. In un tale contesto diventa chiaro il senso del versetto di Gv14,9: « Celui qui m'a vu a vu le Père ». Aver visto Gesù e conservarne la visione interiore nella memoria vuol dire riconoscere Gesù come il luogo di inabitazione del Padre, presente nel suo Figlio come in una dimora. À cause de ce, ritornando al brano evangelico di questa domenica, bisogna dire che in modo adeguato la versione rinnovata della Bibbia CEI del 2008 ha tradotto il v.38 con: «Rabbì dove dimori?» e non «dove abiti?» come era nella precedente versione, data la presenza del verbo μένεις (Menein) che riveste nel quarto Vangelo una importanza particolare. Il tema del dimorare corre, en fait, come un filo rosso attraverso tutto il quarto Vangelo, arricchendosi progressivamente. Allargando lo sguardo all’insieme del Vangelo e provando a tirare le fila del nostro discorso possiamo affermare che lo stesso evan­gelista in 1,14 ci invita a comprendere che nell’uomo Gesù — il Verbo fatto carne «pieno della grazia della verità» in cui i testimoni hanno «contemplato la gloria dell’unigenito» — c’era un mistero, «insondabilmente nascosto» ma che ci viene manifestato «simbolicamente» (Saint Maxime le Confesseur). È il mistero dell’«unigenito venuto da presso il Padre», che «è venuto a mettere la sua tenda in mezzo a noi». Così egli diventa la dimora del Padre (Gv 14,10), il nuovo tempio della presenza di Dio (Gv 2,21; cf.. Gv 4,20-24). Un bellissimo brano di san Massimo il Confessore, sep­pur difficile, dice l’essenziale:

«Il Signore […] è diventato precursore di se stesso; è diventato tipo e simbolo di se stesso. Simbolicamente fa conoscere se stesso attraverso se stes­so. Cioè conduce tutta la creazione, partendo da se stesso in quanto si manifesta, ma per condurla a se stesso in quanto è insondabilmente nascosto».

Forse più intellegibile e nello stesso tempo mirabile è questa frase di Guglielmo di Saint-Thierry, l’amico di San Bernardo, che interpretò in senso spirituale e trinitario la domanda dei primi discepoli:

"Maestro, où vous vivez? Vieni e vedi, disse Egli. Non credi che io sono nel Padre, e che il Padre è in me? Grazie a te, seigneur! […] Noi abbiamo trovato il tuo luogo. Il tuo luogo è il Padre; c'est toujours, il luogo del Padre sei tu. Tu sei dunque localizzato a partire da questo luogo. Ma questa localizzazione, che è la tua, […] è l’unità del Padre e del Figlio»[1].

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. Le profond mystère de sa personne commence à se révéler, ainsi que les noms des premiers followers. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima. Così iniziamo a conoscere Andrea fratello di Simon Pietro, (1,42) che da Gesù riceve la vocazione a diventare «roccia» (questo significa «Cefa»), in mezzo ai suoi fratelli. Chi è l’altro discepolo che era insieme a Andrea? Possiamo ipotizzare che sia «il discepolo amato». Egli è colui che, presente alla croce di Gesù, vedendo Gesù morire come Agnello a cui non viene spezzato alcun osso (Gv 19,33.36) «testimonia perché voi crediate» (Gv 19,35), proprio come Giovanni Battista testimonia di Gesù, dopo averlo visto e indicato come Agnello di Dio perché tutti credano (Gv 1,34.36.37). Il parallelismo tra Gv 1,38 («Voltatosi Gesù e vedendo essi che lo seguivano dice loro») e Gv 21,20-21 («Voltatosi, Pietro vede il discepolo che Gesù amava che seguiva … e dice a Gesù») mostra che accanto a Pietro, agli inizi della sequela e dopo la Pasqua, c’è, con ogni probabilità, il discepolo amato che ha seguito l’Agnello con fedeltà fin dagli inizi. E Pietro, mentre viene costituito pastore delle pecore del Signore e invitato nuovamente a seguire Gesù come pecora egli stesso (cf.. Gv 10,4), riceve la rivelazione che la sequela dell’Agnello e il ministero pastorale trovano il loro esito nel dare la vita per le pecore, nel glorificare Dio con il martirio. Questa sarà la testimonianza di Pietro: nella morte di croce l’apostolo si troverà là dove è stato il suo Signore: «Se uno mi vuol servire mi segua e dove sono io, là sarà anche il mio servo» (Gv 12,26).

De l'Ermitage, 13 janvier 2024

 

REMARQUE

[1] GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, La contemplation de Dieu. L’oraison de Dom Guillaume, Paris, Éd. Du Cerf, 1959 (Col. Sources Chrétiennes, n.61), 124-125.

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Dans la seigneurie du Christ Roi de l'Univers, soyez de petits rois

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

DANS LA SEIGNEURIE DU CHRIST ROI DE L'UNIVERS POUR ÊTRE PETITS ROIS

Oscar Wilde a écrit: "L'égoïsme ne consiste pas à vivre comme on veut mais à exiger que les autres vivent comme bon nous semble"

 

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Chers lecteurs de l'île de Patmos,

L'année liturgique se termine, C'est notre dernier de l'année catholique. L'année liturgique se termine par une grande fête, celui de Jésus Christ qui est Roi de l'Univers.

Aujourd'hui, la monarchie ce n'est plus une forme de gouvernement généralement adoptée dans le monde entier, où la république est préférée. C'est pourquoi la figure du « roi » nous échappe, sinon peut-être pour le récent couronnement du roi Charles d'Angleterre. Jésus est le Roi de l'univers entier et de nos vies. Mais pas comme le roi d'Angleterre, de Suède ou de Belgique. Sa monarchie ne s'exerce pas dans un gouvernement politique. C'est une monarchie d'amour qui exprime son trône de gloire, son exposition de visibilité maximale dans la croix; aujourd'hui ce trône de gloire est réalisé pour nous, dans la compassion de Jésus. Nous l'avons lu au début de passage de l'Évangile d'aujourd'hui:

"Quand le Fils de l'homme viendra dans sa gloire [...] il s'assiéra sur le trône de sa gloire. Tous les peuples seront rassemblés devant lui. Il séparera les uns des autres, comment le berger sépare les brebis des chèvres, et il placera les brebis à sa droite et les chèvres à sa gauche. ».

Ici l'image du roi se conjugue avec celle du berger. En effet, le berger, il a également un rôle dirigeant dans le monde agricole. C'était un monde et une culture proches de l'imaginaire dans lequel Jésus parle. Voici donc ceux de droite qui sont bénis par le Père. Ceux de gauche ne le font pas. En effet, le bienheureux du Père, ce sont ceux qui ont accueilli les pauvres et les nécessiteux dans les différentes situations de besoin qu'exprime Jésus. Tandis que ceux qui seront dans le feu éternel, ils n'étaient pas attentifs et compatissants envers ces pauvretés matérielles et spirituelles. Ainsi Jésus nous montre et nous demande de l'imiter comme Roi dans l'Amour concret., en charité active, ce qu'il voulait faire envers toutes les personnes qu'il rencontrait: Nicodème, l'aveugle de Jéricho, le démoniaque de Gerasa et autres rencontres. Le Seigneur a toujours accompli toutes ces grandes œuvres avec un acte de compassion et de tendresse., avec un cœur vraiment humain et vraiment divin. Un petit cœur christologique pour un grand amour.

De là vient le fondement des œuvres de miséricorde pour nous matériel et corporel. Le monsieur, alors, Il nous demande de le suivre, notre roi, dans la vie catholique précisément parce que nous opérons avec un amour concret et attentif pour les autres, en essayant de les regarder avec tendresse. Essayer de regarder notre prochain comme si c'était Jésus lui-même qui, tout petit, nous demande ce service. Nous devenons des petits rois en Jésus petit roi de l'Univers.

Au contraire à la place, nous trouvons ceux qui iront dans le feu éternel. Parce qu'ils ont complètement échappé à la logique de l'amour et de la compassion. Alors, les chèvres à gauche sont les gens enfermés dans l'égoïsme, dans la dimension d'une attention unique à ses propres besoins et exigences. Le risque que nous courons lorsque nous oublions la pratique des œuvres de miséricorde est que nous ne reconnaissons plus seulement les autres., mais de ne pas reconnaître le besoin de Dieu dans la vie. Ainsi, les méchants dans le feu éternel sont ceux qui ne reconnaissent pas la centralité de la Seigneurie de Dieu dans la vie., du Roi des rois, sans que nous ne pouvons rien faire. La tension vers l'égoïsme est donc une substitution, un couronnement de soi comme roi, exigeant que l'Univers et Dieu s'inclinent devant nous.

Oscar Wilde a écrit: "L'égoïsme ne consiste pas à vivre comme on veut mais à exiger que les autres vivent comme bon nous semble".

Nous demandons au Seigneur d'être accueilli sur son trône et sa monarchie d'amour, et soyez désormais témoins que l'Amour authentique existe, et nous vivons en communion avec le Père, le Fils et l'Esprit Saint.

Ainsi soit-il!

Santa Maria Novella à Florence, 25 novembre 2023

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Notre Seigneur Jésus Christ Roi de l'Univers: une royauté bâtie sur la charité

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

NOTRE SEIGNEUR JÉSUS-CHRIST ROI DE L'UNIVERS: UNE ROYALITÉ CONSTRUITE SUR LA CHARITÉ

Cette page de l'Évangile proclamée aujourd'hui dans nos églises est si splendide, que chaque commentaire semble le gâcher un peu. Mieux vaut le laisser tel quel, simplement, indiquer aux gens que la vie humaine n'est jamais concevable sans l'autre. Tragédie alors le conflit ne sera pas, altérité, la différence mais plutôt les deux extrêmes qui nient cette relation: confusion et séparation

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Dans un apologue court mais célèbre par titre Le Noël de Martin l'écrivain russe Léon Tolstoï1 il a parlé de l'homme, un cordonnier nommé Martin, qui avait mystérieusement rencontré le Seigneur chez les nécessiteux qui passaient devant sa boutique pendant la journée et citait expressément la page de L'Évangile de ce dimanche.

Saint Martin donne une partie de son manteau aux pauvres (peinture, élément global) de Bartolomeo Vivarini (seconde. XV)

La littérature ce n'était pas le seul art que cette merveilleuse page de Matteo a inspiré, il suffit de penser aux fresques de Buonarroti dans la Chapelle Sixtine. Lisons-le:

« À ce moment-là, Jésus dit à ses disciples: «Quand le Fils de l'homme viendra dans sa gloire, et tous les anges avec lui, il s'assiéra sur le trône de sa gloire. Tous les peuples seront rassemblés devant lui. Il séparera les uns des autres, comment le berger sépare les brebis des chèvres, et il placera les brebis à sa droite et les chèvres à sa gauche. Alors le roi dira à ceux qui sont à sa droite: "Allez, bénis de mon Père, recevez en héritage le royaume préparé pour vous depuis la création du monde, parce que j'avais faim et tu m'as donné quelque chose à manger, J'avais soif, et vous me avez donné à boire;, J'étais un étranger et tu m'as accueilli, nu et tu m'as habillé, malade et vous me avez visité, J'étais en prison et tu es venu me rendre visite". Alors les justes lui répondront: "Monsieur, quand nous t'avons vu affamé et t'avons nourri, tu as soif et nous t'avons donné à boire? Quand t'avons-nous déjà vu un étranger et t'avons-nous accueilli, ou nu, et vous vêtira? Quand t'avons-nous déjà vu malade ou en prison et sommes-nous venus te rendre visite?”. Et le roi leur répondra: « En vérité, je vous le dis: tout ce que tu as fait à un de mes plus petits frères, tu me l'as fait". Alors il dira aussi à ceux de gauche: "Via, loin de moi, maudit, le feu éternel, préparé pour le diable et ses anges, parce que j'avais faim et tu ne m'as rien donné à manger, J'avais soif, et vous me donné à boire, J'étais un étranger et tu ne m'as pas accueilli, nu et tu ne m'as pas habillé, malade et en prison et vous me avez visité ". Ensuite, il sera: "Monsieur, quand nous t'avons vu affamé ou assoiffé ou un étranger ou nu ou malade ou en prison, et nous ne vous avons pas servi?”. Puis il leur répondra: « En vérité, je vous le dis: tout ce que tu n'as pas fait même à l'un d'entre eux, tu ne me l'as pas fait. Et ils vont: ceux-ci à la torture éternelle, mais les justes à la vie éternelle".

Avec la chanson d'aujourd'hui ça se termine non seulement, concernant la liturgie, l'année liturgique en cours, qui laisse place à l'Avent, mais aussi l'enseignement de Jésus dans l'Évangile selon Matthieu. En effet, immédiatement après notre péricope, l'évangéliste commence le récit de la passion, mort et résurrection de Jésus, avec ces mots: "Une fois toutes ces discussions terminées, Jésus dit à ses disciples " (Mont 26,1). Jésus enseignera désormais d’une autre manière, surtout avec les gestes et l'obéissance au Père dans l'épreuve suprême de la croix. C'est pour cette raison que le péricope d'aujourd'hui revêt une importance particulière, le dernier discours prononcé par Jésus dans Matthieu, sans compter, l'invitation du Ressuscité à faire des disciples et à baptiser en 28,18-19, et les quelques mots importants prononcés pendant la passion, à partir du dernier repas.

Solo en passant il faut le dire aussi que malgré une pratique interprétative consolidée qui commence avec les Pères de l'Église et qui conduit à définir la scène comme le jugement « universel », à partir du XVIIIe siècle, les nombreux bons indices du texte sont soulignés, pas seulement lexical, croire qu'au lieu d'un jugement pour l'ensemble humanité, le texte implique, au contraire, un jugement seulement pour les païens, mais il n'est pas possible dans ce contexte de rendre cette interprétation explicite car cela prendrait trop de place.

La scène du jugement est exclusivement matthéenne, et il est magistralement construit, avec l'utilisation de divers expédients tels que la répétition, utile pour la mémorisation. Il existe de nombreuses comparaisons que l'on peut faire avec le langage et le symbolisme apocalyptiques en vigueur à l'époque de Jésus qui apparaissent de temps en temps dans la littérature canonique - Daniel et l'Apocalypse - mais aussi dans la littérature apocryphe.. Les données originales, révolutionnaire, au lieu, la nouveauté qu'apporte le discours de Jésus est que le même juge, le roi, se considérer comme l'objet de telles actions: «J'avais faim et je tu as nourri", ou, "pas moi tu as nourri". Cela crée un effet de surprise aussi bien chez ceux qui lui ont fait preuve de miséricorde que chez ceux qui l'ont nié.. Alors que dans l'Ancien Testament le jour du Seigneur est décrété par Dieu lui-même et donc Il est le seul à juger, dans la logique du Nouveau Testament, c'est Jésus, le Messie, qui peut intervenir dans ce jugement. Par conséquent Dieu exécutera le jugement, mais ça en nuce cela se produit déjà dans la manière dont nous avons eu des relations avec son Fils dans ce monde, à Jésus présent dans les pauvres qui avaient faim et soif et qui étaient ou non secourus par nous. C'est pourquoi à la fin des temps, ce sera le Christ, l'agneau, prendre le livre de notre vie, ce que même nous ne sommes pas capables de lire et de comprendre pleinement, et d'ouvrir ses sceaux (cf.. App 5).

Ce qui frappe alors, c'est la vision grandiose qui embrasse l'humanité toute entière s'accompagne du regard posé sur chacun et, en particulier, sur ces gens qui sont normalement les plus invisibles: pauvre, les gens malades, les prisonniers, affamé, soif, étrangers, nu. Ce n'est pas un hasard si notre texte les qualifie de « minimes » (vv. 40.45). Charité envers les nécessiteux, le geste de partage si simple, Humain, du quotidien, pour tout le monde, croyants et non-croyants, il devient celui sur lequel s'exerce le jugement final. L'exemple de Martin de Tours, d'après la narration hagiographique de Sulpicius Sévère2, c'est emblématique. Après avoir divisé son manteau avec l'épée pour couvrir la nudité d'un pauvre mendiant aux portes d'Amiens, dans un hiver rigoureux, Martin a eu une vision dans un rêve du Christ lui disant: « Martin, tu m'as couvert de ton manteau". Le Christ s'identifie aux pauvres, comme dans notre page évangélique.

Cette page de l'Évangile est si splendide proclamé aujourd'hui dans nos églises, que chaque commentaire semble le gâcher un peu. Mieux vaut le laisser tel quel, simplement, indiquer aux gens que la vie humaine n'est jamais concevable sans l'autre. Tragédie alors le conflit ne sera pas, altérité, la différence mais plutôt les deux extrêmes qui nient cette relation: confusion et séparation3. Les autres, surtout si j'en ai besoin, ce ne seront pas un enfer pour moi mais une bénédiction: «Tu es béni parce que…». Deux célèbres pièces théâtral, un de Sartre4 avec la célèbre expression à l'intérieur: « L'enfer est d'autres personnes »; l'autre de Pirandello, Habiller le nu5, qui dans le titre fait directement référence à notre passage évangélique, ils nous disent de façon dramatique qu'en n'excluant pas l'Autre de notre monde, le problème serait facilement résolu et l'enfer cesserait d'exister.. Ces auteurs ont compris, au contraire, constater l’impossibilité d’une existence qui exclut l’Autre. Autrement dit, l’enfer, c’est les autres, parce qu'on ne peut pas échapper à l'altérité, on se rend compte que l'Autre détient le secret de son être et, tandis que, que sans l'Autre cet être ne serait pas possible.

Le Seigneur Jésus aussi, même dans son dernier discours, nous a encore une fois surpris en donnant un nouveau sens aux « œuvres de miséricorde », déjà connu dans le judaïsme contemporain, où ils étaient, Mais, compris comme une sorte de imitation de Dieu, dans le sens de faire pour les autres ce que Dieu lui-même a fait pour l'homme. Cependant, ils n’avaient pas prévu que le juge éternel se cachait derrière des existences très humbles., désavantagé et vaincu. Dans l'autre, chez son frère, il y a Jésus qui avait dit à ses disciples: «Celui qui vous accueille me souhaite la bienvenue, et celui qui m'accueille accueille celui qui m'a envoyé... Celui qui donne ne serait-ce qu'un seul verre d'eau froide à boire à l'un de ces petits parce qu'il est disciple, en vérité, je vous le dis: il ne perdra pas sa récompense ". Alors que désormais il étend cette vision à toute l'humanité – panta ta ethné, toutes les nations du v.22: "Tout ce que tu as fait à un seul de mes plus jeunes frères, tu me l'as fait". Parce que, comme le dit un ancien hymne utilisé dans la liturgie du Jeudi Saint: «Où la charité et l'amour, Dieu est là».

Joyeux dimanche tout le monde!

De l'Ermitage, 25 novembre 2023

 

REMARQUE

[1] La refonte de Tolstoï est apparue pour la première fois de manière anonyme dans le magazine “Russe rabocij” (L'ouvrier russe), Non.. 1 du 1884, avec le titre “Djadja Martyn” (Oncle Martyn). Dans 1886 l'histoire, avec le titre “Là où il y a l'amour, il y a Dieu”, il a été inclus dans un volume publié à Moscou par Posrednik avec huit autres, le tout avec la signature de Léon Tolstoï

[2] Sévère Sulpicius,La vie de Martin, informatique, 2003

[3] Michel de Certeaux, Jamais sans l'autre. Voyage dans la différence, 1983

[4] J.P.. Sartre, Porte fermée, Bompiani, Milan 2013

[5] Pirandello L., Masques nus. Volume. 5: Henri IV – Mme Morli, Un et deux – Habiller le nu, Mondadori, 2010

 

 

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Les Pères Patmos Island

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Nous devrions réfléchir davantage au péché de perdre du temps

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

NOUS DEVONS RÉFLÉCHIR PLUS SUR LE PÉCHÉ DE PERTE DE TEMPS

Quelle que soit la manière dont vous voulez les comprendre, puisque tout conte parabolique est ouvert à une pluralité d'interprétations, les talents resteront un don gratuit qui ne peut être gardé pour soi, ça ne cache pas non plus, mais il faut le multiplier. Ils révèlent que Dieu, plus qu'un maître, il se montre Père envers nous les enfants et offre au fil du temps beaucoup de ces grâces à chacun de nous et à nos communautés.

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Un cadeau peut être offert pour mille raisons, même les non nobles parfois. Mais il a une caractéristique indubitable de son côté: il révèle l'identité de celui qui offre et de celui qui le reçoit. L'Évangile de ce dimanche présente un donateur très spécial, qui n'accorde pas un seul cadeau, mais plutôt tout son bien. Lisons:

« À ce moment-là, Jésus a raconté cette parabole à ses disciples: «Il arrivera comme à un homme qui, partir en voyage, il appela ses serviteurs et leur donna ses biens. À l'un d'eux, il a donné cinq talents, à deux autres, à un autre, selon les capacités de chaque; puis il est parti. Aussitôt celui qui avait reçu cinq talents alla les utiliser, et j'en ai gagné cinq de plus. Celui qui avait reçu deux, il en a gagné deux de plus. Celui qui n'avait reçu qu'un seul talent, il est allé faire un trou dans le sol et y a caché l'argent de son maître. Après un long moment, le maître de ces serviteurs revint et voulut régler ses comptes avec eux.. Celui qui avait reçu cinq talents se présenta et en apporta cinq autres., disant: "Monsieur, tu m'as donné cinq talents; Voici, J’en ai gagné cinq de plus”. "Bien, bon et fidèle serviteur - lui dit son maître -, tu as été fidèle en peu, Je te donnerai le pouvoir sur beaucoup de choses; participe à la joie de ton maître". Alors celui qui avait reçu deux talents s'avança et dit: "Monsieur, tu m'as donné deux talents; Voici, J’en ai gagné deux de plus”. "Bien, bon et fidèle serviteur - lui dit son maître -, tu as été fidèle en peu, Je te donnerai le pouvoir sur beaucoup de choses; participe à la joie de ton maître". Finalement, celui qui n'avait reçu qu'un seul talent s'est également présenté et a dit: "Monsieur, Je sais que tu es un homme dur, qui moissonnez là où vous n'avez pas semé et rassemblez là où vous n'avez pas dispersé. J'ai eu peur et je suis allé cacher ton talent dans le sol: voici ce qui est à toi". Le maître lui répondit: « Serviteur méchant et paresseux, tu savais que je récolte là où je n'ai pas semé et que je rassemble là où je n'ai pas dispersé; tu aurais dû confier mon argent aux banquiers et ainsi, revenir, J'aurais retiré le mien avec intérêts. Alors enlève son talent, et donne-le à celui qui a les dix talents. Parce que n'importe qui a, il sera donné et sera en abondance; mais à ceux qui n'ont pas, même ce qu'il a lui sera enlevé. Et jette le serviteur inutile dehors dans l'obscurité; il y aura des pleurs et des grincements de dents". (Mont 25,14-30).

Le chant évangélique de ce dimanche ajoute une précision au sens de la vigilance qui avait déjà été présenté dans la parabole des dix vierges (Mont 25,1-13). Là-bas, être vigilant, c'était être prévoyant, être prêt, sois prêt, équipez-vous de ce dont vous avez besoin, en tenant compte d'une longue attente. Maintenant, dans la parabole des talents, la vigilance se définit comme attention et responsabilité dans la vie quotidienne et s'exprime comme fidélité dans les petites choses ("tu as été fidèle en un temps": Mont 25,21.23).

Tout d’abord, rappelons quelle est la fonction de la parabole. Cette forme de communication implique souvent l'utilisation d'un langage hyperbolique, un cadre paradoxal, avec des exagérations délibérées qui peuvent même scandaliser en raison de la violence impliquée. Cela nous affecte, qui, le châtiment du méchant serviteur. Mais la fin est aussi surprenante, comme cela arrive souvent dans les contes fictifs paraboliques, présente une vraie tournure: le talent est retiré à ceux qui n’en ont qu’un et donné à ceux qui en ont déjà plusieurs. La question se pose chez le lecteur: quel maître est celui qui se permet d'humilier ainsi son serviteur, qui a finalement agi avec prudence?

On a dit que la vigilance elle ne concerne pas seulement l'attente eschatologique mais affecte pleinement le rapport au quotidien, avec ses réalités quotidiennes. La parabole de Matthieu, qui a un parallèle quelque peu différent et plus complexe avec Lucas 19,11-27, il s'inscrit certainement dans un contexte eschatologique - le v.30 le place à l’horizon du jugement final: "Jetez le serviteur inutile dans les ténèbres, il y aura des pleurs et des grincements de dents" - mais cela ne fait que réitérer que ce jugement final se prépare ici et maintenant, à l'heure actuelle de l'histoire, quelque chose qui sera montré dans toutes ses preuves dans la parabole du Jugement dernier (Mont 25,31-46) dimanche prochain. Là apparaîtra clairement l'autorité eschatologique des petits et des pauvres.. Le jugement final sera fondé sur les actions de charité et de justice réalisées en leur faveur ou omises.. Le quotidien se révèle ainsi comme le lieu eschatologique par excellence, parce que c'est le temps qu'on nous donne. Ainsi la parabole après la répartition des talents[1] de manière personnalisée, proportionné aux capacités des destinataires, se déroule entre "l'immédiat" (v.15) de ceux qui les rentabilisent et le après « longtemps » (v.19) du retour du maître. En plus, ça ne semble pas important, au moins dans cette histoire, la quantité de cadeaux reçus, puisque les deux domestiques vaillants, bien qu'ils aient reçu des talents à des degrés divers, cependant, ils recevront la même récompense. Ce qui est important, c'est le temps dont la durée fait ressortir la vérité des gens., de leurs comportements, de leur succession et de leur responsabilité. Le passage du temps est révélateur; en effet, les deux premiers serviteurs ont immédiatement compris que c'était le premier grand cadeau dont ils pouvaient profiter et ne l'ont pas gaspillé en le jetant..

Nous devrions réfléchir davantage au péché de perdre du temps. Si le troisième serviteur y avait pensé, il en aurait profité, car au final la récompense serait la même que celle des deux premiers serviteurs qui avaient reçu plus. Mais comme nous l'avons dit plus haut, le don est, ainsi que le temps passé, révélant les personnages de cette parabole. Le donateur aussi, même si Jésus le cache dans un premier temps derrière un homme anonyme (v.14), c'est clairement Dieu qui sera en effet appelé plus tard « Seigneur » (Kyrie, Dieu Seigneur v.20.22.24). Lui seul est capable de donner toutes ses choses en cadeau [2], de manière préventive et inattendue, notamment envers les destinataires qui, aussi entreprenants soient-ils, restent des serviteurs. Certains pères de l'Église voulaient voir derrière le don des talents celui de la Parole de Dieu., en souvenir de la parabole de la bonne graine qui porte du fruit selon le sol qu'elle trouve. Irénée de Lyon, mort en 202 D.C., il y a vu le don de la vie, accordé par Dieu aux hommes. Quelle que soit la manière dont vous voulez les comprendre, puisque tout conte parabolique est ouvert à une pluralité d'interprétations, les talents resteront un don gratuit qui ne peut être gardé pour soi, ça ne cache pas non plus, mais il faut le multiplier. Ils révèlent que Dieu, plus qu'un maître, il se montre Père envers nous les enfants et offre au fil du temps beaucoup de ces grâces à chacun de nous et à nos communautés. La capacité de les reconnaître et de les faire fructifier est la qualité des serviteurs intrépides qui savent aussi prendre des risques..

Le point de la parabole mais ce n'est pas d'ordre économique, c'est-à-dire dans la capacité de tirer des bénéfices de l'investissement du capital, parce que la récompense, dans ce sens, il aurait dû être proportionné au mérite et à la taille des actifs accumulés. Au lieu de cela, il s’agit d’agir instantanément et de ne pas rester inerte dans le temps imparti.. En tenant compte du fait que le maître-Seigneur reviendra et demandera raison («il expose la raison» traduit la Vulgate) de la façon dont les domestiques auront agi. Ils découvriront qu'à ses yeux ce qui comptait c'était la bonté et la fidélité dans l'action et que ce qui semblait beaucoup n'était en réalité que très peu comparé à la récompense.: "Bien, bon et fidèle serviteur - lui dit son maître -, tu as été fidèle en peu, Je te donnerai le pouvoir sur beaucoup de choses; participe à la joie de ton maître".

La parabole devient ainsi une invitation aux disciples et pour que les communautés ne restent pas immobiles et enchantées face aux difficultés des temps actuels, prêt à agir à tout moment, conscient des dons reçus et que celui qui nous est offert est le moment propice. Les défis que cela pose et les conditions culturelles modifiées ne devraient pas nous effrayer ou nous inciter à nous contenter de ce qui est déjà fait ou à nous enivrer du militantisme comme une fin en soi.. La parabole demande aux chrétiens de prendre conscience, responsabilité, audace et surtout créativité, toutes les réalités condensées en mots: sois bon et fidèle.

Finalement, nous nous sommes demandé d'abord parce que le maître, protagoniste de la parabole, il a si mal traité le troisième serviteur. Ce qui frappe dans cette histoire, c'est justement l'idée que le domestique se faisait de lui.. Alors que les deux premiers serviteurs n'avaient pas besoin d'y penser, presque comme s'il était automatique pour eux que si le propriétaire vous fait un cadeau, il soit immédiatement rentabilisé, l'autre serviteur développe plutôt sa propre idée, on pourrait dire sa théologie, qui bloque son action, parce que l'idée de la peur le domine. Piégé dans cette image qu'il a de son maître, celui d'un homme dur et prétentieux, bien qu'il ait à sa disposition le grand don d'un talent, il est incapable de lui faire confiance. Et ce sera son vrai drame.

Son inaction il sera jugé de manière parallèle aux bons et fidèles, mais aussi méchant et paresseux. S'il avait au moins ouvert un compte d'épargne, il aurait reçu les revenus d'intérêts, mais il a préféré enterrer son cadeau et pour cette raison, quand il n'y a plus de temps pour agir, au moment du jugement, il sera livré aux pleurs et aux grincements de dents, une expression biblique qui indique l'échec de sa vie[3].

La foi qui fonctionne est importante dans le vocabulaire du premier Évangile. Jésus parle de la foi de ceux qui croient en lui pour être guéris, celui du centurion (8,10), du paralytique (9,2), de la femme hémorragique (9,22), des deux aveugles (9,29), la Cananea (15,28), et encourage son équipe, jamais critiqué pour avoir "peu de foi", avoir plus (cf.. 6,30).

Notre parabole cela pourrait donc vouloir dire quelque chose sur le fait de croire ou de ne pas croire en Dieu dans le temps intermédiaire qui sépare du jugement. Le troisième serviteur, mal, il n'a plus la foi, il l'a perdu avec le temps: il a oublié que ce qui lui avait été confié devait être investi pour qu'il porte du fruit pour le maître, mais aussi en sa faveur: c'est donc devenu inutile (v.30). Que la parabole traite du don de la foi, il peut aussi être indirectement déduit d'un autre texte du Nouveau Testament, où saint Paul dit que ce don est mystérieusement personnalisé, tout comme dans la parabole que raconte Jésus:

«Pour la grâce qui m'a été donnée, Je dis à chacun de vous: ne vous valorisez pas plus que ce qui est approprié, mais évaluez-vous avec sagesse et justice, chacun selon la mesure de foi que Dieu lui a donnée" (Rm 12,3).

Pour conclure on pourrait se demander: Quelle vision avons-nous de Dieu? Le vindicatif, exigeant et dur qui suscite la peur ou celui qui libère, positif qui nous fait agir avec confiance et sans crainte, comment Jésus l'a vécu et nous a enseigné?

De l'Ermitage, 19 novembre 2023

 

REMARQUE

1 Le talent, ce qui signifiait aussi « ce qui est pesé, c'était une unité de poids d'environ 30-40 kg. correspondant à six mille deniers. Parce qu'un denier, selon ce que Matthieu lui-même explique dans 20,2 (Matteo est très précis dans son utilisation des pièces, et dans son évangile plusieurs types sont répertoriés), c'est le montant du salaire pour une journée de travail, nous entendons ici une grosse somme donnée aux domestiques pour la gestion

2 Dans la parabole des vignerons meurtriers, il n'hésite pas à envoyer aussi son Fils (Mont 21,37)

3 "Encore, le royaume des cieux est comme un filet jeté dans la mer, qui ramasse toutes sortes de poissons. Quand c'est plein, les pêcheurs le ramènent à terre, ils s'assoient, ils ramassent les bons poissons dans les paniers et jettent les mauvais. Ce sera donc à la fin du monde. Les anges viendront séparer le mal du bien et les jetteront dans la fournaise ardente, Il y aura des pleurs et des grincements de dents " (Mont 13,47-50).

 

 

 

Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

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L'amour qui vient de la charité est le fondement du christianisme

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

L’AMORE CHE NASCE DALLA CARITÀ È IL FONDAMENTO DEL CRISTIANESIMO

Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, dévoué et authentique, et que cela ne devienne pas amour envers notre prochain. Un amour de la charité qui signifie donc agir selon des œuvres concrètes et réelles, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce.

 

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Chers lecteurs de L'île de Patmos,

«C'est évident: je’Amore cresce o diminuisce e mai rimane uguale”. Questa bellissima frase troviamo in un antico Codice D’Amore Provenzale. In questa massima è raccolta una delle leggi fondamentali dell’amore che è la crescita continua nella donazione di sé all’altro e a Dio. L’amore è esperienza comune che tutti nella nostra vita abbiamo provato almeno una volta. Il fondamento, donc, del nostro amore umano, quale amore di carità e di tenerezza è sempre l’amore di Dio che essendo eterno, chiede di amare di un amore eterno anche a noi.

Questo caposaldo è racchiuso Dans le Vangelo di questa XXX Domenica del Tempo Ordinario, dove viene enunciata la legge fondamentale del Cristianesimo. Una vera e propria rivoluzione copernicana all’interno dell’Ebraismo e del mondo greco- romain. Una novità assoluta dove il centro di tutto è il rapporto d’amore fra Dio e l’uomo.

Ancora una volta troviamo i farisei tutti uniti a tenere conciliabolo contro Gesù Cristo. La settimana scorsa gli è andata male, quando avevano mandato gli erodiani per provare a metterlo contro i romani. Questa volta inviano un dottore della Legge, un esperto che gli pone una domanda trappola. Lequel 613 precetti ebraici (halakà) ritieni più importante, secondo la gerarchia ebraica? Anche questa è una domanda a trabocchetto, secondo la fallacia della falsa dicotomia. Fra i 613 precetti esisteva infatti una gerarchia e importanza. Al di là di ricordare o meno questa scala gerarchica ― che per Gesù era semplice ― la trappola consisteva nell’ascoltare la risposta di Gesù, qualsiasi sarebbe stata la risposta, ribattere che il precetto citato era invece quello meno importante. De cette façon,, si voleva screditare e mostrare l’assenza di legame di Gesù con la tradizione ebraica e con Dio. Gesù ancora una volta si disimpegna da questa trappola argomentativa. E sfrutta la situazione per offrire il centro e il nucleo centrale dell’insegnamento del cristianesimo. Gesù risponde:

«”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, et de toute ton âme et de tout ton esprit”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Vous aimerez votre prochain comme vous-même”. Sur ces deux commandements dépendent toute la Loi et les Prophètes ".

La novità consiste innanzitutto nella formulazione di questi due precetti. Il primo è preso da Deuteronomio 6,5 ed è legato insieme alla legge di Santità che troviamo in Levitico 19,18. Ecco allora il legame inscindibile fra l’amore per Dio e per il prossimo già presente e prefigurato nell’Antico Testamento e viene poi così esplicitato e annunciato da Gesù. Questa risposta rompe qualsiasi contro-risposta. Ed è una risposta ancora valida per noi oggi.

Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, dévoué et authentique, et que cela ne devienne pas amour envers notre prochain. Un amour de la charité qui signifie donc agir selon des œuvres concrètes et réelles, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce. Si cresce nell’amore verso Dio perché le opere di misericordia alimentano continuamente la nostra scelta di fede che è una relazione con il Tu eterno di Dio, perennemente innamorato della sua creazione e dunque della umanità. En même temps, amare di carità è scegliere di impegnarsi responsabilmente nella Chiesa, perché tutti gli altri credenti possano incontrare Cristo tramite noi. Se si smette di amare, anche la nostra vita e la nostra gioia, a poco a poco si affievoliscono. Così anche la nostra persona diviene sempre più chiusa in sé stessa. Gesù ci chiede di mettere in circolo il nostro amore autentico e tenero.

Nous demandons au Seigneur la forza e il coraggio di aziono generose e misericordiose, per crescere tutti uniti nel sentiero di santità che porta alla vita eterna.

Ainsi soit-il.

Santa Maria Novella à Florence, 29 octobre 2023

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"Tu aimeras ton prochain comme toi-même". Sur ces deux commandements dépendent toute la Loi et les Prophètes "

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

«AMERAI IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO» DA QUESTI DUE COMANDAMENTI DIPENDONO TUTTA LA LEGGE E I PROFETI

Gesù andò subito oltre con la sorprendente novità che non ha riscontri nella letteratura giudaica antica: « Tu aimeras ton prochain comme toi-même ». Ils, revenir à la volonté du Législateur, discerne che amore di Dio e del prossimo stanno in una relazione inscindibile tra loro: l’uno non sussiste senza l’altro.

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Nel lezionario, tralasciata la discussione con i sadducei a proposito della risurrezione, si giunge, col vangelo di questa XXX Domenica del tempo ordinario, ad una nuova diatriba che si apre con Gesù interrogato dai suoi avversari, maman, Encore une fois, per metterlo alla prova.

« À ce moment-là, je farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, dans la loi, qual è il grande comandamento?». Elle lui a répondu: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: "Tu aimeras ton prochain comme toi-même". Sur ces deux commandements dépendent toute la Loi et les Prophètes ". (Mont 22,34-40)

Sono gli ultimi giorni di Gesù nella città santa di Gerusalemme, prima dell’arresto e della passione, ed egli sa che il cerchio intorno a sé si sta stringendo sempre più. Nella nostra pagina di Vangelo entrano di nuovo in scena i farisei, e tra loro un dottore della Legge, un teologo diremmo noi, un esperto delle sante Scritture, che nuovamente si rivolge a lui chiamandolo: Rabbi (Maestro, διδάσκαλε). Infatti non si era mai vista una cosa del genere, che un carpentiere si fosse messo in testa di insegnare e dare consigli sulla Torah, su come si onori Dio, su cosa sia lecito e cosa proibito. La cosa non era ben vista come attestò Ben Sira al principio del terzo secolo a.C: «Chi è libero dalla fatica diventerà saggio»1; e nei Vangeli non si parla mai di una scuola esegetica di Gesù. Le sorprendenti interpretazioni della Torah, che gli permettono di contrastare le insidie dialettiche degli avversari, non verranno replicate dai suoi discepoli. Se Gesù viene chiamato rabbi (maestro) è per la sua autorità e per la capacità di approfondire la Scrittura in modo creativo. Non è però il genere d’insegnante che formi allievi, per trasmettere loro i propri metodi esegetici. Mentre nel giudaismo rabbinico, che si affermerà dopo la distruzione del secondo Tempio nel 70, l’allievo è destinato a sostituire e, si possible, a superare in sapienza il maestro, i discepoli di Gesù rimarranno per sempre tali, senza la possibilità di emularlo in campo intellettuale.

Proprio i rabbini avevano individuato nella Legge, la Torah, oltre le dieci parole (Est 20,2-17), ben 613 precetti, per cui la domanda posta a Gesù sembra pertinente e verteva sulla semplificazione: "Maestro, dans la loi, qual è il grande comandamento?». Era un argomento dibattuto come testimonia questa risposta rabbinica: «Rabbi Simlaj disse:

«Sul monte Sinai a Mosè sono stati enunciati 613 comandamenti: 365 negativi, corrispondenti al numero dei giorni dell’anno solare, e 248 positif, corrispondenti al numero degli organi del corpo umano… Poi venne David, che ridusse questi comandamenti a 11, comme il est écrit [nel Sal 15]… Poi venne Isaia che li ridusse a 6, comme il est écrit [in Is 33,15-16]… Poi venne Michea che li ridusse a 3, comme il est écrit: «Che cosa ti chiede il Signore, se di non praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio? » (Moi 6,8) … Poi venne ancora Isaia e li ridusse a 2, comme il est écrit: «Così dice il Signore: Osservate il diritto e praticate la giustizia» (Est 56,1) … Infine venne Abacuc e ridusse i comandamenti a uno solo, comme il est écrit: «Il giusto vivrà per la sua fede» (Ab 2,4)» (Talmud babilonese, Makkot, 24une).

Jésus a répondu ponendo in evidenza, Encore une fois, la sua capacità di far riferimento a ciò che è fondamentale e proponendo a seguire una sorprendente novità, legando un secondo comandamento al principale, dichiarandoli simili e facendo di ambedue una corda sulla quale sta in equilibrio tutta la struttura dei rimanenti comandi, anzi l’intero complesso della Parola di Dio. Se da essa si distaccano cadono a terra. Questo è il senso del verbo kremamai ― κρέμαμαι ― del verso v.40, ovvero essere appeso, sospeso, penzolare; che è stato reso con dipendere: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Dove trovò Gesù il fondamento per giustificare la grandezza del primo comandamento? Nella preghiera, nella fattispecie quella dello Shemà (Ascolta) che apriva e chiudeva la giornata dell’ebreo religioso e in particolare quella di shabbat, il sabato:

« Écouter, Israël: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua vita e con tutta la tua mente» (Dt 6,4-5). E chiosò: «Questo è il grande e primo comandamento».

Poi Gesù andò subito oltre con la sorprendente novità che non ha riscontri nella letteratura giudaica antica: « Tu aimeras ton prochain comme toi-même » (lv 19,18). Ils, revenir à la volonté du Législateur, discerne che amore di Dio e del prossimo stanno in una relazione inscindibile tra loro: l’uno non sussiste senza l’altro. Il comando di amare il prossimo è, dans l'Évangile de Matthieu, il testo veterotestamentario più citato: si trova anche in Mont 5,43 e 19,19. Significa che Gesù aveva insistito su questo precetto, ma anche che per Matteo era particolarmente necessario ricordarlo ai credenti in Cristo, quando questi non verranno più capiti ed accolti dalla loro stessa gente; Malheureusement, anche dai loro stessi fratelli ebrei.

Non a caso nel nostro testo il secondo comandamento è definito pari ― ὁμοία ― al primo, con la stessa importanza e lo stesso peso, mentre l’evangelista Luca li unisce addirittura in un solo grande comandamento: «Amerai il Signore Dio tuo… e il prossimo tuo» (Lc 10,27). Gesù compie così un’audace e decisiva innovazione, e lo fa con l’autorità di chi sa che non si può amare Dio senza amare le persone.

L’amore essendo un sentimento umano non si può dire che rappresenti un proprium du chrétien, lo è invece la fede in Gesù, le Christ, Figlio del Padre che si è rivelato. E al cuore di questo processo c’è la manifestazione di Dio come amore. Come tutti sanno gli autori del Nuovo Testamento che hanno esplorato la profondità di questo mistero sono Paolo e Giovanni. Proprio quest’ultimo, in una sua lettera affermerà che «Dio è amore» (1Gv 4,8.16) e che «ci ha amati per primo» (1Gv 4,19). San Paolo ci farà dono dell’inno alla carità (1Cor 13). Tutte queste parole rivolte in prima istanza ai discepoli di Gesù di ogni tempo, sono ormai il segno distintivo di chi crede in lui, tanto da far affermare allo stesso Giovanni: «Se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv 4,20-21). E questo perché il riferimento sarà sempre a Gesù che pose se stesso come termine di paragone: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: si vous avez de l'amour l'un pour l'autre" (Gv 13,35); ovvero quell’amore che mette in pratica “il comandamento nuovo”, cioè ultimo e definitivo, da lui lasciatoci: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 13,34; 15,12).

Per tornare all’esempio della corda sospesa il cristiano si troverà sempre a camminare su questa via sottile evitando di non sporgersi troppo da un lato perdendo l’equilibrio dell’altro. L’amore verso Dio e verso il prossimo si mantiene in costante equilibrio e l’uno e l’altro non costituiscono l’emblema di una stagione. Anche se adesso, dans l'Eglise, si pone l’accento maggiormente sulla solidarietà e sull’accoglienza dei poveri e dei miseri, il cristiano sarà sempre un “uomo per tutte le stagioni”2. E secondo l’insegnamento di Gesù ci sarà sempre qualcuno che percorrendo la non sorvegliata scesa che da Gerusalemme porta a Gerico potrà correre il rischio di ritrovarsi mezzo morto: l’amore compassionevole sarà la risposta (Lc 10,25-37).

Anche Sant’Agostino sembra pensarla così:

«Enunciando i due precetti dell’amore, il Signore non ti raccomanda prima l’amore del prossimo e poi l’amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo. Ma siccome Dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il prossimo. Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l’amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Je donnai. Comincia dunque con l’amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, e porta in casa tua chi è senza tetto; se vedi un ignudo, vestilo, e non disprezzare chi è della tua carne. Facendo così, che cosa succederà? Allora sì che quale aurora eromperà la tua luce (Est 58,7-8). La tua luce è il tuo Dio. Egli è per te luce mattutina, perché viene a te dopo la notte di questo mondo. Egli non sorge né tramonta, risplende sempre… Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre»3.

de l'Ermitage, 29 octobre 2023

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REMARQUE

1 [Contadini, fabbri, vasai, e tutti i lavoratori manuali che si affaticano giorno e notte per un compenso] «Senza di loro non si costruisce una città, nessuno potrebbe soggiornarvi o circolarvi. Ma essi non sono ricercati per il consiglio del popolo nell’assemblea non hanno un posto speciale, non siedono sul seggio del giudice e non conoscono le disposizioni della legge. Non fanno brillare né l’istruzione né il diritto,
non compaiono tra gli autori di proverbi, ma essi consolidano la costruzione del mondo,e il mestiere che fanno è la loro preghiera» (Monsieur 38,24. 33-34)

2 Sylvester R. S., le “Man for All SeasonsAgain: Robert Whittington’s Verses to Sir Thomas More, Huntington Library Quarterly, Volume. 26, Non. 2,1963, pp. 147-154.

3 Agostino d’Ippona, Commento al Vangelo di san Giovanni, Homélie 17, 7-9 (voir QUI)

 

 

 

Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

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