La Iglesia como barca en la tempestad es una actualidad y una realidad ya representada por el mismo Cristo que nos dio la solución de la fe

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

LA CHIESA COME BARCA SULLA TEMPESTA È UNA ATTUALITÀ E REALTÀ GIÀ RAFFIGURATA DA CRISTO STESSO CHE CI FORNÌ LA SOLUZIONE DELLA FEDE

Gesù aveva già tentato di prendere una barca per andare in un posto e lì isolarsi, tras conocer el violento final del Bautista, ma il tentativo venne frustrato dall’accorrere della gente per la quale provò compassione

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Esistono fin dai tempi antichi molte rappresentazioni artistiche della barca come immagine della Chiesa, di cui si narra nella pagina evangelica di questa domenica. Ma non esistono, almeno a me non constano, raffigurazioni di Gesù che si ritira da solo a pregare. Salvo il caso del Getsemani, preludio della sua passione. Forse perché è più difficile rendere visibile artisticamente un’esperienza interiore, spirituale e privata. Eppure nel Vangelo i due momenti stanno insieme, chi ha composto questa pagina ha voluto che l’uno non si reggesse senza l’altro. Eccola:

«Dopo che la folla ebbe mangiato, subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, al margen, a pregare. Llegó la noche, egli se ne stava lassù, él solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, Los discípulos se sorprendieron y dijeron: “È un fantasma!” e gridarono dalla paura. Pero en seguida Jesús les habló, diciendo: “Coraggio, soy yo, No tengas miedo!". Pietro allora gli rispose: "Hombre, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!". Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Si embargo,, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, él gritó: "Hombre, salvami!". E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?"». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, diciendo: “Davvero tu sei Figlio di Dio!"» [Mt 14, 22-33].

Rembrandt Harmenszoon van Rijn, Cristo nella tempesta sul mare di Galilea

Gesù aveva già tentato di prendere una barca per andare in un posto e lì isolarsi, tras conocer el violento final del Bautista [Mt 14,12], ma il tentativo venne frustrato dall’accorrere della gente per la quale provò compassione. No solo, davanti alla fame delle persone e all’impotenza dei discepoli[1] compì il gesto della moltiplicazione dei pani. Un atto che fu frainteso, stante anche la tradizione giovannea che dice:

"Jesús, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo [...] “In verità, de verdad te digo: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”» [Juan 6, 15-26].

Questo preambolo probabilmente spiega il rigo iniziale: «E subito costrinse i discepoli a salire su una barca». Non conosciamo le intenzioni nascoste di Gesù e possiamo fare solo ipotesi. Forse l’azione frettolosa unita alla costrizione dei discepoli a salire sulla barca aveva lo scopo di sottrarre lui e il gruppo che lo seguiva dallo snaturamento del significato teologico del gesto che aveva compiuto sui pani e, come attesta Giovanni, al fraintendimento del tipo di messianismo che Gesù intendeva e nel quale i discepoli potevano crogiolarsi. O forse perché effettivamente sentì l’urgenza di stare solo, su un luogo elevato a pregare. Per l’evangelista Matteo il monte è un luogo significativo. Grazie a lui il discorso delle beatitudini prende il nome di Discorso della Montagna. Su un monte Gesù si trasfigurò e su un’altura ormai risorto consegnò ai discepoli il mandato missionario [cf.. Mt 28, 16-20]. In questo caso è il luogo della solitudine e della preghiera. Gesù, nel capitolo sei di Matteo, aveva messo in guardia dalla preghiera ipocrita di chi vuol farsi vedere, preferendo quella nascosta, nel segreto della stanza [cf.. Mt 6, 5-6] e che soprattutto fosse rivolta a Dio chiamandolo nella forma intima e personale di “Padre”. Poco più avanti insegnò la preghiera comunitaria del Nuestro Padre che tutti conosciamo. Ciò che possiamo dire è che Gesù cercava questo rapporto personale, da solo a solo, con Dios, non uno qualsiasi, ma con il Padre suo. Nella preghiera sappiamo che Gesù, anche grazie ad altre tradizioni evangeliche, percepisse vivissima la sua coscienza filiale.

Pero hay más. Matteo dice che Gesù rimase staccato dai discepoli, invisibile dai suoi mentre intanto scendeva la sera e il buio. La barca coi discepoli a bordo aveva già guadagnato miglia da terra e il vento contrario la sballottava, rendendo la situazione precaria e pericolosa. È evidentemente una descrizione della situazione della Chiesa nel periodo post pasquale. L’episodio che ora si svolge ― Il cammino di Gesù sulle acque [Mt 14,24-33] ― riveste infatti una dimensione simbolica: il testo è metafora del cammino della Chiesa nella storia, nel tempo tra la Pasqua e la parusia. Gesù è in alto, sul monte, a pregare [cf.. Mt 14,23]: es decir, è il Risorto che sta alla destra di Dio nei cieli e intercede per i suoi che sono nel mondo. Proprio questo importante rivestimento teologico e simbolico ha fatto dire anche a studiosi moderati[2] che l’episodio avesse poco o nullo valore storico. La qual cosa non toglie significato a un’esperienza che travalica il tempo e giunge fino a noi. Ovvero quella di una Chiesa che si muove su un elemento non stabile, con l’oscurità che impedisce di vedere i contorni, il vento che designa le contrarietà insite in ogni epoca, le onde che provocano turbamenti e nausea. Infine Pietro che se in altre circostanze ha espresso una fede forte e matura, qui manifesta una fiducia titubante e debole. E soprattutto in tutti l’incapacità di vedere il Signore che provoca sconvolgimento interiore e paura.

Matteo descrive la scena collocandola sul più ampio fondale del racconto dell’Esodo e della traversata del Mar Rosso, per significare che quello che i discepoli stanno facendo è un approdo verso la salvezza. Come già nell’esodo dall’Egitto, anche ora i protagonisti sono in grave difficoltà e preda della paura. La presenza di Gesù che cammina sulle acque è evidente richiamo al Dio che ha salvato il suo popolo e che ha dominato le acque del mare:

«Sul mare la tua via [odio], i tuoi sentieri sulle grandi acque, ma le tue orme non furono riconosciute» [Sal 77,20]; «Così dice il Signore che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti» [Es 43,16].

En particular, il nostro testo contiene rimandi al capitolo quattordicesimo dell’Esodo in cui si narra il passaggio del mare. Se Gesù avanza verso i discepoli alla «quarta veglia della notte» ― ετάρτῃ δὲ φυλακῇ τῆς νυκτὸς [Mt 14,25], il momento della salvezza per i figli d’Israele, quando Dio mette in rotta gli inseguitori egiziani, scocca «alla veglia del mattino» [Es 14,24]. Per i figli d’Israele, il passaggio non è solo geografico, ma è anche passaggio liberatorio dalla paura [Es 14,10-13] al timore del Signore [Es 14,31]; è passaggio dal «vedere» l’avvicinarsi degli inseguitori [Es 14,10] al vedere la mano potente con cui il Signore li aveva salvati [Es 14,31]. La presenza del vento forte accomuna ancora i due racconti [Es 14,21; Mt 14,24]. Gesù si presenta ai discepoli dicendo «Sono io» [Mt 14,27], con un’espressione che corrisponde al Nome di Dio rivelato nell’Esodo: «Io sono». En conclusión, siamo di fronte al cammino della Chiesa, cammino pasquale, cammino di salvezza, ma di una salvezza che non è così facilmente discernibile perché frammista a situazioni di contraddizione e sofferenza.

Por ello sarebbe forte la tentazione di applicare questa narrazione alle vicende attuali della Chiesa. Ma chi conosce un po’ la storia sa benissimo che non è mai esistito un periodo tranquillo e pacifico per essa e che oggi non è più difficile che in altri momenti. Né che Pietro è più o meno fedele oggi che in altre epoche storiche, de lo contrario. Il Concilio ha maturato una visione della Chiesa che la definisce così:

«(Que) es, en Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[3].

Quindi una realtà umana che conserva tutte le sue fragilità a cui è stata accordata la grazia della chiamata e della missione. Y entonces, se la Chiesa incontrerà sempre difficoltà, se onde e venti ne sballotteranno per tre veglie notturne la barca, qual è il dramma vero nel quale essa potrà incappare e dal quale sarà difficile uscirne se non attraverso una chiave particolare? È il dramma di ritenere Gesù, el señor, un fantasma! «E sconvolti dissero: “es un fantasma!” e gridarono dalla paura».

Per questo scrivevo all’inizio che le due scene che compongono l’odierna pagina evangelica vanno a designare un unico quadro e sono inscindibili. Come giustamente notò Origene[4] Gesù quasi obbliga i discepoli a traversare il mare della storia, con tutte le difficoltà e le vicissitudini che questo comporta, quasi separandosi da loro, ritornando al Padre. Possiamo immaginare le difficoltà che essi ebbero dopo la morte di Gesù, al sentire che era Risorto, nel riconoscerlo vivo e vincitore della morte. Matteo lo segnala nell’ultimo capitolo prima del congedo: «Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono» [Mt 28, 17]. Però è a questi discepoli di poca fede che assicurerà una presenza costante, di natura diversa che la precedente, ma ugualmente efficace: "Y he aquí, Yo estoy con vosotros todos los días, hasta el fin del mundo " [Mt 28, 20].

Él, así pues, non si è separato da noi, come temevano quei discepoli sulla barca tremolante e lo stesso Pietro che disse: «se sei tu»; ma il necessario ritorno al Padre, simboleggiato dal suo salire sul monte da solo a pregarlo, è avvenuto perché Dio potesse essere “tutto in tutti” e l’amore di Lui e la sua salvezza, potessero essere riconosciuti nella Chiesa che diventa da ora in poi sacramento di unione col Signore e di unità degli esseri umani come diceva il Concilio.

Così giungiamo all’ultimo atto, a quella chiave o, dado el contexto, quella vela che permette di percorrere la traghettata senza paura, cioè la fede. Ce lo insegna l’episodio di Pietro che voleva camminare sulle acque come Gesù, ma sprovvisto di fede piena. Una tentazione pericolosa che può cogliere ogni stagione della vita della Chiesa, forse anche l’attuale. Quella di svuotare Cristo, di renderlo un fantasma o un ectoplasma ― Phanstasma estin, Φάντασμά ἐστιν ― mentre la Chiesa è intenta in altre cose, affaccendata in chissà quale opera preziosa o in qualche sistemazione delle sue strutture. El Evangelio, come giustamente nota Origene, non dice che Pietro non avesse fede, ma che ne aveva poca[5]. Anche Elia, narra il primo libro dei Re nella prima lettura di questa domenica, condivide con Pietro una situazione di pericolo di vita. Dio gli passa accanto, ma non sarà presente nelle realtà rumorose ed eclatanti, come nel massacro dei profeti di Baal, bensì in una “sottile voce silenziosa” (Qol demamah daqqah דַקָּֽה דְּמָמָ֥ה ק֖וֹל)[6].

Il rimprovero di Gesù a Pietro, il suo stendere la mano e afferrarlo sono tutte azioni sacramentali che diverranno esemplari per la Chiesa. Gesù, de hecho, non rimprovera Pietro affinché resti semi affogato nell’inadeguatezza, pero ¿por qué, attraverso questo momento veritativo, divenga consapevole della situazione in cui si trova e la mano di Gesù che lo afferra è un gesto di salvezza, guarigione e cambiamento, parabola di ciò che la Chiesa fa coi sacramenti che moltiplicano nel tempo l’amore e la grazia del Signore.

La presenza di Gesù, colta attraverso la fede, sottile voce silenziosa, è fondamentale perché la barca che è la Chiesa ritrovi la sua tranquillità e i discepoli finalmente riconoscono la pienezza della forma divina del Signore, non più visto come un fantasma: «Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, diciendo: “Davvero tu sei Figlio di Dio!"».

Chiudo con una frase di un famoso libro di Dietrich Bonhoeffer:

«Il sì e l’amen sono il terreno sicuro sul quale poggiamo. Perdiamo continuamente di vista in questo tempo sconvolto la ragione per la quale merita vivere. Ci è consentito vivere continuamente vicino a Dio e in sua presenza e allora non c’è più niente di impossibile per noi non essendoci niente di impossibile per Dio. Nessuna potenza terrena può toccarci senza il volere di Dio e la miseria e il pericolo ci portano più vicino a Dio»[7].

Feliz Domingo a todos!

de la ermita, 13 Agosto 2023

 

NOTAS

[1] «Ma Gesù disse loro: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”. ellos le respondieron: “Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!”. Ed egli disse: “Portatemeli qui”» (Mt 14, 16-18).

[2] John Paul Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, Volume 2, Mentore, messaggio e miracoli, 2002

[3] Lumen Gentium 1.

[4] «Può dunque darsi, ritornando al testo, che i discepoli sentendosi a disagio lontani da Gesù, non possano separarsi da lui neppure per caso, perché vogliono rimanere con lui; a mi lado, giudicando che debbano avere la prova dei flutti e del vento contrario, che non ci sarebbe stato se fossero stati con Gesù, impone loro l’obbligo di staccarsi da lui e di salire sulla barca” (Orígenes, Eommento al Vangelo di Matteo, Citta Nuova, 1998, pág.. 215.

[5] en. CIT. Pg 218.

[6] 1Re 19, 12. La Bibbia Cei traduce: «il sussurro di una brezza leggera». Il testo masoretico ha: «Una voce sottile silenziosa».

[7] Dietrich Bonhoeffer, Resistencia y rendición, San Pablo, 2015.

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San Giovanni all'Orfento. Abruzos, Montaña Maiella, fue una ermita habitada por Pietro da Morrone, Llamada entrante 1294 a la Cátedra de Pedro a la que ascendió con el nombre de Celestino V (29 Agosto – 13 diciembre 1294).

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Gabriele Giordano M.. Scardocci
De la Orden de Predicadores
Presbítero y teólogo

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Padre Gabriele

Contra el viento del mundo, huyendo de la incredulidad que nos ahoga

Homilética de los Padres de La Isla de Patmos

CONTRA EL VIENTO DEL MUNDO, HUYENDO DE LA INCREDULIDAD QUE NOS AHOGA

De hecho, la fe «es un acto personal: es la respuesta libre del hombre a la iniciativa de Dios que se revela". Por lo tanto es una respuesta que le damos a Dios y que unos días pueden ser más ciertos y otros más inseguros..

 

Autor:
Gabriele Giordano M.. Scardocci, o.p.

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Estimados lectores de la Isla de Patmos,

Cada persona que se convierte en nuestro amigo siempre es conocida mirando su cara., viendo su mirada. Luego escuchando sus palabras, Surge en nosotros una simpatía inicial que se puede confirmar a través de los gestos que nos expresa., haciéndonos así amigos. Para bien o para mal, Quiénes somos y quién es nuestro prójimo siempre lo demuestran nuestros gestos y palabras.. Esto también sucede en el evangelio de hoy., en el que Jesús se hace reconocer en la filiación divina a partir de sus acciones.

En las ultimas semanas Hemos escuchado varios discursos en parábolas del Señor.. En este XIX Domingo del tiempo ordinario Nos encontramos con un episodio que sucedió en medio del mar.. Aquí está el pasaje: Del discurso a la acción de Jesús.. Porque Dios siempre acompaña cada Su Palabra hacia nosotros con un gesto y un signo concreto.

En este pasaje del Evangelio Jesús pide a los Apóstoles que se suban a su barca, quien poco después se encuentra en medio de una tormenta y obligada a navegar contra el viento. Podemos entender un poco esta situación vivida por los Apóstoles’ acércalo a nosotros hoy. Tradicionalmente, al barco, los Padres de la Iglesia siempre lo han interpretado como el símbolo de la Iglesia, el barco de Cristo que nos hace navegar las aguas del mundo. También hoy la Iglesia está en la tormenta y el viento sopla en contra., inmersos en una sociedad contemporánea contraria a cualquier invitación o a cualquier valor de nuestra fe. La Iglesia, compuesto por todos los que lo forman, clero, religiosos y laicos, se mueve en aguas tormentosas contra el viento de las modas materialistas.

Nosotros también como creyentes Nos encontramos en esta condición en las situaciones más concretas.: en familia, en el trabajo, con los amigos. Anclemonos en la fuerza y ​​la gracia de Jesús que realmente pueden ayudarnos a ser testigos creíbles y creyentes.. El mismo Señor da una señal a sus Apóstoles, para animarles a avanzar y perseverar incluso cuando navegan en tormentas y contra el viento. Quiere dar una señal para testificar que es el Hijo de Dios. Por eso empieza a caminar sobre el agua., mostrando que las aguas que se oponen al barco están subordinadas a él. Quiere mostrar a los Apóstoles que, encomendándose verdaderamente a Él con fe profunda, podrán calmar esa tormenta. Esta es la reacción de los apóstoles.:

«Verlo caminar sobre el mar, Los discípulos se sorprendieron y dijeron: “es un fantasma!” y gritaron de miedo. Pero en seguida Jesús les habló, diciendo: “alegrar, soy yo, No tengas miedo!”»[Mt 14,22-33].

Peter decide caminar sobre el agua., pero se hunde, corre el riesgo de ahogarse. Entonces Jesús, rápidamente, lo alcanza y le muestra su incredulidad que lo empujó a no confiar en Él. Ella lo toma de la mano y no deja que se ahogue.. Luego regresa al barco con Peter y, finalmente, la tormenta se detiene. Sólo en este momento los Apóstoles lo reconocen como Hijo de Dios.

Las de Jesús son palabras dirigidas a todos nosotros, a menudo incrédulo y árido, incapaz de confiar en él. Los creyentes también podemos vivir estos momentos de aridez, allí también vivieron muchos santos y místicos, basta pensar en la "noche oscura del espíritu" vivida durante cuarenta años por San Juan de la Cruz.

Muchas veces queremos hacerlo solos. independientemente de la gracia, o sin gracia, como dice el Santo Padre, arriesgándonos así a caer en el pelagianismo, Esa herejía del siglo V que afirmaba que el hombre podía salvarse a sí mismo y hacer cosas buenas sólo con sus propias fuerzas.. Al contrario, con palabras que siento dulces y comprensivas, Jesús nos dice, como pedro, tener una fe sencilla y confiarnos a Él. Empleamos nuestra responsabilidad, nuestra virtud, demos a Jesús la verdadera fe y Él podrá transformar cada momento de nuestra vida en una obra maestra., donde bloquearemos todas las tormentas espirituales y existenciales.

Hoy Jesús nos insta a tomar conciencia de nuestra incredulidad, dar el paso de salir de esto, para escapar de esta poca fe y nosotros también decimos "Verdaderamente eres el Hijo de Dios y eres Señor de mi vida".

Pidamos al Señor la gracia de la fe viva y activa en el amor., poder mirar el mundo entero con ojos contemplativos llenos de sabiduría, para que el mundo nos devuelva el proyecto y la mirada de amor que Dios tiene para todos nosotros.

Que así sea.

Santa María Novella en Florencia, 13 Agosto 2023

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Las parábolas nunca son suficientes, porque no pasan y hablan a la eternidad

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

LAS PARÁBOLAS NUNCA SON SUFICIENTES, PERCHÈ NON PASSANO E PARLANO ALL’ETERNO

«C’è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, sin embargo, hay un lugar donde puedes encontrarlo»

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Come un pittore che terminata l’opera appone la sua firma a lato del quadro, così Matteo, con una frase, sigla la pagina del Vangelo dove ha raffigurato, in forma narrativa, le parabole di Gesù, un intero discorso dedicato al Regno di Dio:

«Per questo ogni scriba, convertirse en un discípulo del reino de los cielos, es como un propietario que extrae cosas nuevas y viejas de su tesoro » [Mt 13, 52].

Matteo il pubblicano [Mt 9,9] è divenuto ormai lo scriba sapiente che ha veduto compiersi in Gesù l’opera di reinterpretazione dell’antico deposito della fede, portando alla luce realtà nuove e inaspettate. Perciò invita i suoi lettori e i discepoli a diventare quei proprietari che non tengono solo per sé la ricchezza della novità insospettata del Regno, ma sanno anche offrirla generosamente.

L’abbondanza sulla bocca di Gesù delle parabole che descrivono il Regno di Dio non deve sorprendere, come pure la moltiplicazione di metafore, simboli e immagini. Perché esse vanno a comporre una realtà che continuamente eccede e supera ogni umana misura, pur rispettandola. Il Regno essendo appunto di Dio non è possibile circoscriverlo o rinchiuderlo in un’unica formula. Le diverse parabole sulla bocca di Gesù esprimono la complessità e la polisemia di questa nuova realtà teologica e chi le ha raccolte, come sarà per i Vangeli che sono quattro e non uno solo[1], ha sentito che ponendole una accanto all’altra, todos juntos, avessero qualcosa di importante da dire riguardo al Regno di Dio che Gesù inaugura, spiega e rende presente.

Ma ecco finalmente la pagina evangelica di questa XVII domenica del tempo por un año:

«In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; encontró una perla de gran valor, voluntad, vende tutti i suoi averi e la compra. Aún, El reino de los cielos es como una red arrojada al mar., que recoge todo tipo de peces. cuando esté lleno, los pescadores lo arrastran a tierra, ellos se sientan, recogen los peces buenos en las cestas y tiran los malos. Así será en el fin del mundo.. Los ángeles vendrán y separarán los malos de los buenos y los arrojarán al horno de fuego., donde habrá llanto y rechinar de dientes. Avete compreso tutte queste cose?". ellos le respondieron: “Sì”. Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, convertirse en un discípulo del reino de los cielos, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”».

L’ultima parabola è di tenore escatologico e la sua collocazione alla fine diviene importante poiché apre una finestra su come Gesù si poneva rispetto al mondo. La rete da pesca altrove, per esempio nell’ultimo capitolo del quarto Vangelo[2], simboleggiava ormai la missione della Chiesa e la necessità che tradizioni diverse — in quel caso la sinottica e quella giovannea — rimanessero unite perché quella era l’intenzione del Signore che aveva invitato i discepoli a pescare[3]. In questa circostanza la rete che viene tirata in barca è metafora del giudizio finale poiché si parla esplicitamente di “fine del mondo” o della storia.

Permettetemi di fare a questo punto una piccola digressione che spero non ecceda i limiti di questo commento al Vangelo domenicale. E ormai assodato che la predicazione di Gesù fosse improntata a una visione escatologica. Almeno da quando Albert Schweitzer agli inizi del ‘900 in un celebre libro pose fine all’esegesi liberale e alla prima tappa della ricerca sul Gesù storico affermando che lo stesso non poteva che essere pensato se non escatologicamente[4].

Nella sua predicazione Gesù si spinse oltre il pensiero dell’apocalittica giudaica che prevedeva un immaginifico evento futuro. Per lui esso è una realtà che è già oggetto di esperienza, un evento attuale in cui è ricapitolata la totalità della storia. il Regno di Dio in quanto tale, cioè il pieno dispiegamento della sua sovranità redentrice, non si è ancora realizzato, ma il tempo della fine è giunto e dunque, propriamente parlando, non c’è più sviluppo storico, bensì ricapitolazione di tutta la storia chiamata a giudizio. In Gesù e nella sua predicazione avviene come un processo di condensazione per cui il tempo si fa brevissimo. “Il tempo è compiuto ed è vicino il Regno di Dio: convertitevi, e credete nell’evangelo” [MC 1, 14-15]. Ciò che qui viene annunciata è l’ora (el kairós) del compimento definitivo, l’avvento promesso del Regno, la grande svolta del mondo inaugurata da Gesù di cui sta per compiersi l’ultimo atto con la sua parusia. E il discepolo vive nel tempo condensato che va dalla risurrezione alla parusia. Per questo ora, a differenza dell’escatologia giudaica, occorre “fede nell’evangelo”, cioè in Gesù Cristo, nel Messia, che è presente come colui che è venuto e che viene[5].

Il giudizio su questo mondo certo avverrà alla fine, dice l’evangelo, ma il mondo stesso, nella predicazione di Gesù è entrato nella fase escatologica. Non si capirebbero altrimenti le esigenze radicali di Gesù rivolte ai discepoli e la sua lotta col maligno. Che non è lotta contro il mondo, ma contro colui che illude il mondo di poter essere autosufficiente, senza Dio e quindi di poter trovare senso solo in sé stesso e nelle sue realizzazioni. Contro questa potente illusione Gesù annuncia il Regno di Dio e contestualmente guarisce e risana e perfino fa risorgere dei morti.

Trovo illuminante questa affermazione sul cristiano che probabilmente uno come Frederick Nietzsche poteva controfirmare:

"Debido a esto, per questa sua coscienza nichilistica, la presenza del cristiano è insopportabile, e doppiamente insopportabile; perché nega significato alla radicale volontà di esserci e, así pues, nega la volontà di potenza, ma allo stesso tempo patisce in se stesso la passione del mondo. Egli non si sottrae all’aspirazione del mondo alla felicità, perché il Regno non è de otro da questo mondo; e perciò egli vuole e si adopera per la felicità nell’ordine profano che continuamente trapassa, ma sa che nella felicità non è possibile permanere, poiché essa stessa aspira a trapassare. È il punto in cui il cuore si spezza: nella felicità estrema come nell’estremo dolore. Di questo i Vangeli danno la rappresentazione sublime»[6].

Tutto questo preambolo che spero non sia stato prolisso mi serve per dire che le parabole di Gesù non sono affatto raccontini della buona notte, ma vanno prese tremendamente sul serio. Y, tornando sui nostri binari, ci permette di capire le prime due parabole del Vangelo odierno. In entrambe due uomini trovano qualcosa di nuovo — poiché nelle parole e nei fatti di Gesù il Regno è il “novedad” — e vendono tutto quello che hanno per farlo proprio[7]. Mentre il mercante è già uno scopritore di belle perle (καλοὺς μαργαρίταςkaloùs margarítas) e in questo senso è qualcuno che sta cercando qualcosa di straordinario e probabilmente di unico che manca alla sua collezione. El primero, un uomo non ben identificato, en cambio, trova fortuitamente un tesoro. Forse per questo di lui viene sottolineata anche la gioia, perché il ritrovamento non se lo aspettava. In tutti e due ciò che è centrale è il trovare ciò che finalmente basta alla loro vita e che preclude ad ogni ulteriore cercare. E’ a questo punto che mettono in vendita tutto quel che possiedono per acquistare ciò che hanno finalmente trovato. Essi devono aver compreso il valore unico e definitivo del Regno, ciò per cui val la pena rischiare tutto. Non c’è altro tempo da aspettare che questo o ulteriori tentennamenti, poiché questo è il tempo del compimento.

I due personaggi del Vangelo mettono così in atto un comportamento sapiente. Probabilmente è per questo che i curatori della Liturgia hanno accostato la pagina di Matteo alla vicenda del giovane Salomone che nella prima lettura di questa domenica cerca di ottenere da Dio «Un cuore docile» [1Re 3,9], ma riceve in contraccambio da Lui una perla ancor più preziosa, quella di «un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te» e anche molto di più in ricchezze e gloria [1Re 2, 12-13].

A proposito della perla, Agustín, acutamente nota che il mercante cercava più perle, el plural, e alla fine trova la singola perla per eccellenza che è Cristo, il Verbo in cui tutto si riassume:

«Quell’uomo, che cercava perle preziose, ne trova una veramente di gran pregio e, venduto tutto ciò che possedeva, la compra. Questo tale, así pues, nel ricercare uomini buoni con i quali vivere con profitto, ne incontra soprattutto uno che è senza alcun peccato: il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù. Forse anche egli era alla ricerca di precetti, osservando i quali potesse comportarsi bene con gli uomini, e incontrò l’amore del prossimo, nel quale da solo, al dire dell’Apostolo, sono contenuti tutti gli altri. Infatti non uccidere, No adulterarás, No robes, non dire falsa testimonianza e ogni altro comandamento sono le singole perle che si riassumono in questa massima: Amarás a tu prójimo como a ti mismo. O, Tal vez, si tratta di un uomo che è alla ricerca di concetti intellegibili e trova colui nel quale tutti sono contenuti, cioè il Verbo, che era in principio, era presso Dio ed era Dio: il Verbo luminoso per lo splendore della verità, stabile perché immutabile nella sua eternità e sotto ogni aspetto simile a se stesso per la bellezza della divinità: quel Verbo che quanti riescono a oltrepassare la copertura della carne identificano con Dio»[8].

Mi permetto di chiudere questo commento al Vangelo dell’odierna domenica riportando un apologo di M. Buber sul sognare di cercare e alla fine trovare. Poiché le parabole non bastano mai.

«Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia. Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l’ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripetè per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin li dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere: “Y tú, pobre compañero, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch’io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l’altra metà Jekel!”. E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolataScuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel”. “Ricordati bene di questa storia — aggiungeva allora Rabbi Bunam — e cogli il messaggio che ti rivolge: c’è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare”»[9].

Feliz Domingo a todos!

de la ermita, 30 De julio 2023

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NOTAS

[1] Il Vangelo quadriforme [cf.. "Dei Verbum" 18; Ireneo, Adv. Haer., III, 11, 8: PG 7, 885)

[2] Juan 21, 3.6.11

[3] «Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto… Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: “Señor, che cosa sarà di lui?”. Jesús le respondió: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi”» (Juan 21, 20.22)

[4] Albert Schweitzer Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia, Brescia 1986, pags.. 744 sgg.

[5] «Vieni Signore Gesù» (Ap 22, 20)

[6] Gaeta G., Il tempo della fine, Quodlibet, pag. 96

[7] "Ir, vendi quanto possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21)

[8] Sancti Aurelii Augustini, Quaestionum septendecim in Evangelium secundum Matthaeum liber unus, ES 35

[9] Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Einaudi, 2023

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San Giovanni all'Orfento. Abruzos, Montaña Maiella, fue una ermita habitada por Pietro da Morrone, Llamada entrante 1294 a la Cátedra de Pedro a la que ascendió con el nombre de Celestino V (29 Agosto – 13 diciembre 1294).

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Gabriele Giordano M.. Scardocci
De la Orden de Predicadores
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Padre Gabriele

El mercader en busca de la perla del Reino de Dios

Homilética de los Padres de La Isla de Patmos

EL COMERCIANTE EN BUSCA DE LA PERLA DEL REINO DE DIOS

«También el reino de los cielos es semejante a un mercader que va en busca de perlas preciosas; encontró una perla de gran valor, voluntad, vende todos sus bienes y la compra»

 

Autor:
Gabriele Giordano M.. Scardocci, o.p.

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Estimados lectores de La isla de Patmos,

el verano puede convertirse en un momento propicio para intentar profundizar en nuestra fe y sus contenidos. Es un período de libertad que es un tiempo sagrado en el que, como Dios, Descansemos. Por eso se convierte en un tiempo en el que ese descanso también se puede dedicar a la lectura y la oración.. Nuestra búsqueda de Dios, de nuestro estar con él nunca deja de tener lugar. El Padre Henri De Lubac escribió:

“La mente humana está hecha de tal manera que no puede tener una verdad y mantenerla, si no buscando y siempre buscando. El resto del pensamiento equivale a su muerte”..

En las parábolas de Jesús, que ya llevan algunos domingos hablando del Reino, en este XVII domingo del tiempo ordinario nos enfocamos en la búsqueda continua del Reino. Una investigación que continúa incesantemente para nosotros. De hecho, Jesús expresa tres parábolas. Lo que me parece central es precisamente el del mercader y la perla de gran valor en la que narra el Señor:

«También el reino de los cielos es semejante a un mercader que va en busca de perlas preciosas; encontró una perla de gran valor, voluntad, vende todos sus bienes y la compra»

Jesús usa la analogía del mercader. Una figura que debe haber sido bien conocida por los oyentes del Señor en ese momento.. Primero tenemos un comerciante que va en busca. Un comerciante buscador es una persona que está muy atenta al territorio en el que está buscando., a los movimientos de otros buscadores y comerciantes. Es una persona que se ha informado precisamente antes de emprender el camino., lugares investigados para buscar perlas antes de viajar.

El mercader es la metáfora del creyente que constantemente busca a Dios. Los católicos tenemos tres grandes "señales" en el camino de la fe: la tradición, Sagrada Escritura y Magisterio. Estas son nuestras fuentes anteriores, con la que luego construimos nuestro acto de fe. Cada uno tiene su sí personal al Señor, en el que construye su propia espiritualidad y su manera de creer y vivir la fe.

El mercader busca perlas. Hasta que encuentra la perla preciosa que luego decide comprar.. Una perla que para los oyentes de la época es una piedra de valor inestimable, porque importado de la India. Por lo tanto el mercader es aquel que va en busca de diferentes perlas preciosas y finalmente encuentra la perla, la invaluable por la que todo lo vende.

Porque Jesús usa la imagen de la perla (margaritas en greco)? La perla es una imagen bíblica que se encuentra en varios pasajes. Por ejemplo, en el Cantar de los Cantares (Connecticut 1,10) las perlas son las joyas que la Amada lleva en el cuello. Mientras en Apocalipsis, la perla es uno de los materiales con los que se construye la nueva Jerusalén (Ap 21,21).

La Perla que el creyente busca adquirir es el reino de Dios. Este reino de Dios se asimila a la perla del Cantar de los Cantares, podremos decir que es la Iglesia. De hecho, el Cántico se considera tradicionalmente un diálogo de amor entre el Amado que es Cristo y el Amado que es la Iglesia. Si en cambio la perla es el material con el que está construida la Jerusalén Celestial, diremos que el Reino de Dios para ser apropiado en todos los sentidos es el Cielo.

Aplicado todo a nosotros los creyentes buscamos a Dios, podríamos decir que la perla preciosa es alcanzar la vida Eterna en el Paraíso, caminar en la iglesia catolica, liberándonos de todo lo que obstaculiza nuestra fe. Así, también las otras perlas que son de segunda mano, son por tanto aquellos bienes tanto materiales como espirituales que lo parecen sólo en apariencia, pero que en realidad nos alejan de la comunión en la Iglesia Católica y con Dios, y eso no nos lleva al Reino de Dios en los Cielos.

La metáfora del mercader que vende todo y se va, finalmente muestra que el Señor nos pone en un camino de fe en el que nos pide darlo todo para llegar al reino, nos invita a esforzarnos al máximo para ser coherentes en la fe, involúcrate sabiendo que lo pierdes todo para ganarlo todo (Dentro 3, 8: R, Melenas 211). Es decir, caminando por el camino del reino de Dios todos los sacrificios que habríamos hecho para llegar al Cielo, incluso ahora serán ganancias espirituales, cien veces obtenido con la gracia de Dios.

Pidamos al Señor que seamos mercaderes cada vez más deseosos de obtener las perlas de Dios, aprender a amar al mundo entero con la alegría de quien ha recibido el tesoro del cielo.

Que así sea!

Santa María Novella en Florencia, 29 De julio 2023

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La patología defensiva del "solo somos nosotros" y la medicina curativa del Santo Evangelio

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

LA PATOLOGÍA DEFENSIVA DE «SOMOS SOLO NOSOTROS» Y LA MEDICINA CURATIVA DEL SANTO EVANGELIO

La patología de "solo somos nosotros" no ha aparecido ahora en nuestros días., porque ya jesus, narra el evangelio de Lucas, se vio obligado a reprender a dos apóstoles, Santiago y Juan, que, ya que el grupo no había sido recibido por los samaritanos, querían invocar fuego y llamas del cielo.

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La patología de "Solo somos nosotros" no ha aparecido ahora en nuestros días, porque ya jesus, narra el evangelio de Lucas, se vio obligado a reprender a dos apóstoles, Santiago y Juan, que, ya que el grupo no había sido recibido por los samaritanos, querían invocar fuego y llamas del cielo.

Vasco Rossi con motivo de la presentación de la película del concierto Todo en una noche, Kom en vivo 015′ en Milan, 14 marzo 2015. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO

"Somos nosotros", repetía Vasco Rossi. en su viejo golpear [cf.. AQUI] donde enumeró situaciones en las que los suyos podrían relacionarse fans que compartió los males de una generación de hace algún tiempo. Incluso en la Iglesia, sacudido por las vicisitudes del mundo moderno, se ha extendido cierto malestar que podríamos definir como "solo somos nosotros". Aparece cada vez que personas o grupos de opinión expresan descontento y quejas, con la consecuencia de sentirse atacado o asediado y por tanto atrincherado en una posición defensiva o en la de pertenecer únicamente a la élite capaz de perdurar y comprender lo que sucede convulsivamente.

La patología de "Solo somos nosotros" no ha aparecido ahora en nuestros días, porque ya jesus, narra el evangelio de Lucas, se vio obligado a reprender a dos apóstoles, Santiago y Juan, que, ya que el grupo no había sido recibido por los samaritanos, querían invocar fuego y llamas del cielo[1].

Para sanar de esta condición el evangelio de este domingo nos ofrece una droga que por el nombre parece una medicina: la macrotimia (tolerante), es decir, paciencia. Es un término que en verdad no existe en el pasaje evangélico proclamado hoy, pero expresa su significado. encontramos, en cambio, en la segunda carta de Pedro donde el apóstol afirma:

«El Señor no tarda en cumplir su promesa, aunque algunos hablan de lentitud. pero es paciente el es sufrido makrothimei - contigo, porque no quiere que nadie se pierda, pero que todos tengan la oportunidad de arrepentirse" [2punto 3, 9].

Esto es para indicar que ya en la primera generación cristiana había un deseo de forzar los tiempos y ponerse en el lugar de Aquel por quien «[...] un día es como mil años y mil años como un día" [2punto 3, 8]. Pero aquí está la página del Evangelio de este decimosexto domingo. por un año (Mt 13, 24-43):

durante ese tiempo, Jesús expuso otra parábola a la multitud, diciendo: “El reino de los cielos es semejante a un hombre que sembró buena semilla en su campo. Si embargo,, mientras todos dormían, vino su enemigo, sembró cizaña entre el trigo y se fue. Cuando entonces el tallo creció y dio fruto, la cizaña también brotó. Entonces los sirvientes fueron al dueño de la casa y le dijeron: "Hombre, no has sembrado buena semilla en tu campo? ¿De dónde viene la cizaña??". Y él les respondió: “Un enemigo hizo esto!". Y los siervos le dijeron:: Quieres que vayamos a recogerlo?". "No, Él respondió, porque cuando se, recogiendo la cizaña, con ella también arrancar de raíz el trigo. Dejarlos que crezcan juntos hasta la siega; y al tiempo de la siega yo diré a los segadores:: Primero recoge las malas hierbas y átalas en manojos para quemarlas.; pero vuelve a poner el grano en mi granero"». Les dio otra parábola, diciendo: “El reino de los cielos es como un grano de mostaza, que un hombre tomó y sembró en su campo. Es la más pequeña de todas las semillas, pero, una vez crecido, es más grande que las otras plantas del jardín y se convierte en un árbol, tanto que vienen las aves del cielo y hacen sus nidos en sus ramas». Les dijo otra parábola: "El reino de los cielos es como la levadura, que una mujer tomó y mezcló en tres medidas de harina, hasta que todo quedó leudado". Todas estas cosas Jesús habló a las multitudes en parábolas y no les habló sino en parábolas, para que se cumpliera lo dicho por medio del profeta: «Abriré mi boca con parábolas, proclamaré cosas escondidas desde la fundación del mundo". Luego despidió a la multitud y entró en la casa.; sus discípulos se le acercaron para decirle: «Explícanos la parábola de la mala hierba en el campo». y el respondio: “El que siembra la buena semilla es el Hijo del hombre. El campo es el mundo y la buena semilla son los hijos del Reino. La cizaña son los hijos del maligno y el enemigo que la sembró es el diablo. La cosecha es el fin del mundo y los segadores son los ángeles. Cómo, pues, se recoge la cizaña y se quema en el fuego, asi sera en el fin del mundo. El Hijo del hombre enviará a sus ángeles, el cual recogerá de su reino a todos los que hacen tropiezo y a todos los que hacen iniquidad, y los echará en el horno de fuego, donde habrá llanto y rechinar de dientes. Entonces los justos resplandecerán como el sol en el reino de su Padre. quien tiene oidos, tu escuchas!».

Como ya he tratado de explicar [cf.. mi homilía anterior]. A Jesús le encantaba hablar en parábolas que presentaban realidades inmediatamente comprensibles extraídas del mundo campesino o doméstico como en este domingo.. Contextualmente, usando metáforas, escenificó situaciones paradójicas para que la propia realidad se viera de forma distinta a como se suele percibir. Es remodelado por él no sólo para presentar una nueva ética, pero sobre todo decir lo que es el reino de Dios, realidad que escapa a toda apropiación o catalogación. Es el mundo de Dios que Jesús revela y vive y que continuamente desplaza.

La primera parábola del buen grano. y de la cizaña[2] se diferencia de la del sembrador escuchada el domingo pasado porque mientras allí se trataba de sembrar y recibir la tierra, aquí se describe junto con la siembra (v. 24), crecimiento de semillas también, esta fructificando (v. 26) y la cosecha (v. 30). Sin embargo, a diferencia de los sirvientes del amo, se advierte inmediatamente a los lectores que alguien, aprovechando la oscuridad de la noche, ha sembrado cizaña en el mismo campo. El descubrimiento de la cizaña, operado por sirvientes, lleva a estos últimos a expresar su asombro y desconcierto al sembrador (v. 27). En sus palabras quizás se perciba incluso un atisbo de sospecha o una duda acerca de sembrar, y por lo tanto en el maestro mismo. Pero la respuesta del sembrador muestra que la presencia de cizaña entre el trigo no es para nada sorprendente., no debe sorprender o causar un escándalo. Y así la reacción del lector también se orienta no tanto a cuestionar el origen de las malas hierbas, sino de cómo comportarse al notar su presencia. El desconcierto del lector, como sirvientes, sucede allí. No arranques la cizaña, que por cierto también es parecido al trigo, pero que las dos plantas crezcan juntas: de hecho, uno correría el riesgo de romper incluso los de trigo. Ciertamente la cizaña será separada del trigo, pero a su debido tiempo. Ahora no. Ahora es el momento de la paciencia.. La paciencia es fuerza hacia uno mismo., es la capacidad de abstenerse de intervenir dominando el instinto que llevaría inmediatamente a "limpiar". Pero esto no es la acción de Dios.. Dios es paciente y longánimo.

¿Cuántas veces los hombres se han cuestionado a sí mismos? sobre la presencia del mal en la historia humana o en la vida misma de cada uno de nosotros. Porque si sembramos bien a veces nos vuelven cosas malas? ¿Quién es este trabajador nocturno que, como celoso enemigo de los buenos frutos de la vida, hace surgir muchas situaciones en las que tropezamos como con malas hierbas??

Incluso en la comunidad cristiana puede haber esta mezcla de buenos y malos, entre los justos y los injustos como ya era en la pequeña comunidad de los que seguían a Jesús: alguien lo traicionó, otro lo negó y algunos temerosos se escaparon.

Pero el Hijo del Hombre, Gesù, enseñar a los suyos a ser pacientes comportarse como hijos del reino hasta que venga el juicio que licuará todo escándalo y fealdad. El humo de las obras del oponente reducido a nada ha desaparecido, finalmente solo brillará la luz del día sin la puesta del sol[3].

Pero hasta entonces estamos en el tiempo de crecimiento del Reino de Dios que puede encontrar mil obstáculos y dificultades. Por eso es importante aprender la paciencia de Dios bellamente representada por el libro de la Sabiduría en la primera lectura de esta Liturgia de la Palabra.:

«[...] El hecho de que seas el amo de todo, te hace indulgente con todos. Muestras tu fuerza cuando no se cree en la plenitud de tu poder, y rechazar la insolencia de quien la conoce. Maestro de la fuerza, juzgas con mansedumbre y nos gobiernas con mucha indulgencia, porqué, Cuando quieras, ejerces el poder. Con esta forma de actuar has enseñado a tu pueblo que los justos deben amar a los hombres, y diste a tus hijos la buena esperanza de que, después de los pecados, concedes el arrepentimiento" [Savia 12, 19-20].

La comunidad de creyentes, La Iglesia, es el lugar donde se experimenta esta indulgencia divina y, a tu alrededor, testimoniarlo al mundo. Como se expresa en estas hermosas palabras del Concilio:

«La Iglesia por tanto, provista de los dones de su fundador y observando fielmente sus preceptos de caridad, humildad y sacrificio, recibe la misión de anunciar y establecer el reino de Cristo y de Dios en todos los pueblos, y de este reino constituye la semilla y el principio en la tierra. mientras tanto, a medida que crece lentamente, anhela el reino perfecto y con todas sus fuerzas espera y anhela unirse con su rey en la gloria".[4]

En palabras del Consejo se afirma explícitamente que la Iglesia no es el Reino de Dios, pero te anhela mientras camina en el tiempo. Porque ella misma está formada por santos y pecadores necesitados de la paciencia y la misericordia divinas.. Mientras una planta emerge para permanecer ella misma, o buen grano o cizaña, la gente puede cambiar, regresar, caer y también arrepentirse. Una multitud de santos están allí para dar testimonio de esto y el mismo apóstol Pablo lo recuerda varias veces en sus cartas.. En la segunda lectura de esta liturgia llega a afirmar que ni siquiera "sabemos orar bien" si el Espíritu de Dios no interviene para interceder por los santos. Esto nos protege de sentir no solo que ya llegamos, pero también mejor que otros, los únicos puros y santos deseosos de erradicar aún ahora lo que creemos simbólicamente malas hierbas.

En las otras dos parábolas que siguen al del trigo y la cizaña Jesús habla del Reino como si fuera una semilla que desde muy pequeños y humildes orígenes se convierte inesperadamente en un árbol capaz de acoger nueva vida, simbolizado por los nidos que se construyen entre sus ramas. Una experiencia que ya vivió la Iglesia que se remitía a la tradición del Evangelio de Mateo, porque está compuesto por personas tanto del judaísmo como del paganismo. O habla de ella como la levadura que hace crecer mucha harina. Tres medidas son cuarenta kilogramos! La Iglesia se regocija al ver esta obra divina y se maravilla ante ella. De la misma manera que Sara a quien Abraham le pidió que amasara la misma cantidad de harina para recibir al Señor en la encina de Mamre[5]. Por esta razón la Iglesia, como en su tiempo Abraham y Sara, ella es llamada a la fe en las obras de Dios. Un poco mas lejos, de hecho, en el evangelio de Mateo Jesús dirá:

“Si tuviereis fe como un grano de mostaza, le dirás a esta montaña: “Muévete de aquí para allá” y se moverá, y nada te será imposible" [Mt 17, 20].

En este punto podemos entender que el Reino que Jesús amaba declinar en parábolas es una realidad divina que siempre nos trasciende. Una reserva de gracia, para usar las palabras de una teología más madura, que nos enseña a ser pacientes con los pecadores, misericordia y fe en Dios hasta el fin de los tiempos en que operará el juicio escatológico.

Los dos recogen oraciones también van en esta dirección. que se puede utilizar en esta liturgia. El primero más antiguo lee:

«Sé propicio a nosotros tus fieles, Oh Señor, y danos en abundancia los tesoros de tu gracia".

El segundo más nuevo nos hace orar así:

“Siempre nos apoyan, o Padre, la fuerza y ​​la paciencia de tu amor, porque tu palabra, semilla y levadura del reino, que fructifique en nosotros y reavive la esperanza de ver crecer a la nueva humanidad».

Feliz Domingo a todos.

de la ermita, 23 De julio 2023

 

NOTAS

[1] «…Entraron en una aldea de samaritanos para prepararle la entrada. Pero no quisieron recibirlo., porque claramente iba de camino a Jerusalén. Cuando vieron eso, los discípulos Santiago y Juan dijeron: “Señor, quieres que digamos que fuego desciende del cielo y los consume?”. Se dio la vuelta y los regañó". (Lc 9, 51-55)

[2] planta gramínea (Una piruleta borracha), que infesta los campos de cereales.

[3] "No habrá más noche, y ya no necesitarán luz de lámpara ni luz del sol, porque el Señor Dios los iluminará. Y reinarán por siempre y para siempre". (Ap 22, 5)

[4] Lumen Gentium, 5.

[5] “Entonces Abraham entró rápidamente en la tienda, de Sara, y dijo: “Presto, tres mares de harina fina, amasarlo y hacer bollos» (Gen 18,6).

 

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el cien, los sesenta, los treinta en la simiente de Dios

Homilética de los Padres de La Isla de Patmos

EL CIEN, LOS SESENTA, IL TRENTA NEL SEME SACRO DI DIO

De hecho, la fe «es un acto personal: es la respuesta libre del hombre a la iniciativa de Dios que se revela". Por lo tanto es una respuesta que le damos a Dios y que unos días pueden ser más ciertos y otros más inseguros..

 

Autor:
Gabriele Giordano M.. Scardocci, o.p.

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Queridos lectores de La Isla de Patmos,

il tempo estivo è tempo in cui spesso molti di noi vanno in vacanza, specialmente nelle mete di mare. Inconsapevolmente stiamo facendo una scelta evangelica. De hecho, il mare è descritto nel brano evangelico di questa XV Domenica del tempo ordinario quale luogo in cui Gesù espone e spiega la parabola del seminatore. Una parabola che è una piccola mappa per tutti noi: una piccola chiave di lettura della vita di fede. Il mare, así pues, è il luogo dove Gesù offre chiarezza per il nostro cammino di credenti. Potremmo dire con il poeta Rainer Maria Rilke:

«Quando i miei pensieri sono ansiosi, inquieti e cattivi, vado in riva al mare, e il mare li annega e li manda via con i suoi grandi suoni larghi, li purifica con il suo rumore, e impone un ritmo su tutto ciò che in me è disorientato e confuso».

Il brano del Vangelo di oggi è composto per lo più da una parabola, una delle poche che Gesù decide di spiegare direttamente ai discepoli mentre invece rimane in forma di narrazione per tutti gli altri che lo ascoltano in riva al mare. Gesù usa le parabole. I discepoli gli domandano perché, Lui risponde:

«Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. [...] Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono».

Sembra una risposta sibillina. Invece il Signore vuole far capire l’importanza della parabola.

Vorrei soffermarmi un momento sul perché. Y en efecto, la finalità delle parabole consiste nell’illuminare circa la natura del regno e di aprire alla comprensione di cose nuove, ad esempio su come agisce Dio. La parabola è un racconto basato sull’avvicinamento e la comparazione di due realtà, una reale e una fittizia che si richiamano ma non coincidono. Essa contiene metafore che fanno riferimento a una situazionediversa” rispetto a quella narrata. In tal modo le parabole spingono gli uditori a un esercizio che richiede intelligenza, fantasía, elasticità mentale e capacità riflessiva. En conclusión: richiede a tutti di trasferirsi idealmente nel racconto fittizio per tornare al reale con un’acquisizione nuova. Dunque le parabole selezionano realtà quotidiane come elemento di comparazione, e allo stesso tempo manifestando il loro limite per far emergere lasporgenza” o “eccedenzadella realtà a cui rimandano. In tal modo esse operano un passaggio verso ciò che supera la mente umana e permettono agli uditori di esporsi personalmente a ”l’inedito” e “all’inaudito” di Dio. Diventano così rivelazioni “dell’atmosfera” amorevole e tenera di Dio e lo rendono in qualche modo più accessibile, conoscibile e attraente per chiunque le ascolti[1]

Ecco perché nella parabola del seminatore troviamo in controluce tutta la nostra vita di fede. Gesù spiega bene nei dettagli e offre una fenomenologia dei diversi credenti. Il seme seminato lungo la strada, potremmo dire che è il credente non praticante. Il seme seminato sul terreno sassoso è il credente che facilmente è preda dei facili entusiasmi, incostante nel tempo che spesso va in crisi, senza una scelta definitiva nella fede. Il seme seminato tra i rovi è il credente distratto tra le mille voci del mondo e della cultura attuale, mosso da buoni sentimenti e da una buona pratica di fede, ma che non riconosce poi facilmente i peccati e i vizi del tempo e così li asseconda. Por fin, il seme seminato sul terreno buono che produce cento, sessanta e trenta è il credente che crede con convinzione forte e si sforza di essere coerente nella pratica della fede, ma date le sue fragilità non sempre riesce a dare il massimo. Gesù accetta però anche quei piccoli gesti di fede e carità attuati con tenerezza ed amore.

Tutti noi possiamo essere uno di questi credenti, dal meno fervoroso al più fervoroso. Direi anche che ciascuno di noi può avere delle fasi in cui passa dall’essere seme infecondo sulla strada a seme piantato sul terreno buono. Questi quattro semi descritti da Gesù possono rappresentare anche un momento della nostra vita di fede, in cui siamo più aridi o più convinti.

De hecho, la fe «es un acto personal: es la respuesta libre del hombre a la iniciativa de Dios que se revela" [cf.. CCC 166] Por lo tanto es una respuesta que le damos a Dios y que unos días pueden ser más ciertos y otros más inseguros.. A noi di essere sempre pronti a ricevere la grazia per un atto di fede sempre più fermo.

Chiediamo al Signore di crescere nella fede, per diventare un seme di vita eterna, un fermento sacro per tutto il mondo, affinché possiamo donare il nostro trenta, sessanta, cento al mondo sempre più orfano di Dio.

Que así sea!

Santa María Novella en Florencia, 16 De julio 2023

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NOTAS

[1] Cfr R. Melenas Vangelo secondo Matteo, Aún, 2019, 197 - 198.

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Los Padres de la Isla de Patmos

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El Evangelio narra que el sembrador salió a sembrar, sin embargo, no nos dice que volvió

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

EL EVANGELIO NARRA QUE EL SEMBRADOR SALIO A SEMBRAR, PERO NO NOS DICE QUE VOLVIÓ

Un misionero italiano asesinado en 1985 en brasil decia: «El sembrador salió a sembrar, pero no dice que luego volvió". Y siguió: "El destino de la semilla no será diferente del destino del sembrador".

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Un misionero italiano[1] asesinado en 1985 en brasil decia: «El sembrador salió a sembrar, pero no dice que luego volvió". Y siguió: "El destino de la semilla no será diferente del destino del sembrador".

Sembrador al atardecer, Vincent Willem van Gogh

Esta frase tan concisa condensa el corazón del mensaje evangélico de este XV Domingo del Tiempo Ordinario. El Evangelio (Mt 13, 1-23) que será proclamado en la Liturgia de la Palabra abre, de hecho, con uno de Incipit más conocido de todos los evangelios: "El sembrador salió a sembrar". En este enlace encontrarás el texto en la versión más larga[2].

El pasaje comienza el discurso en parábolas.[3] tercero de los cinco grandes discursos que Mateo pone en labios de Jesús y se estructura en cuatro partes. una breve introducción (v.v.. 1-3a), la parábola del sembrador (v.v.. 3b-9) y su explicacion (v.v.. 18-23). En el centro (v.v.. 10-17) hay una breve perícopa que aborda la cuestión metodológica: porque Jesús habla a la multitud en parábolas?

La parábola es el género que prefirió Jesús cuando quiso presentar, en forma de historia, una verdad escondida de las situaciones, ejemplos y realidades que sus oyentes pudieran comprender de inmediato. Se ha convertido así en un modelo pedagógico que trascender el tiempo conserva su valor aún hoy que vivimos en la era del desencanto. Un’epoca, nuestro, en el que lo simbólico tiene un fuerte impacto y es precisamente a esto a lo que tiende hablar de Jesús en parábolas: captar el significado nuevo e inesperado de la realidad, presentado simbólicamente. Poniendo en escena a campesinos y bodegueros, rey y sirvientes, pescadores o pastores, ama de casa o mujer que ha perdido una moneda, todas las realidades familiares para los oyentes, Jesús habló así del Reino de Dios, sin siquiera nombrar a dios.

Pero la inmediatez y la sencillez de la parábola no deben engañar, ya que también tiene un valor paradójico. Todo el mundo conoce las paradojas del filósofo griego Zenón de Elea[4] – célebre el de Aquiles y la tortuga – que pretendían refutar la multiplicidad y el movimiento. Jesús en cambio, con parábolas, trae realidades paradójicas para invitar a los oyentes y lectores a captar un significado más amplio, de otro, de lo que normalmente se ve, cree y vive. Lo inesperado con Jesús habita la vida cotidiana.

De hecho, nadie arroja semillas preciosas por todas partes. si no en los surcos preparados, nadie después de sembrar trigo ya no se preocupa por la tierra y solo espera la cosecha. ¿Quién dejaría todo un rebaño para ir a buscar una sola oveja perdida?? ¿Cómo un grano muy pequeño se vuelve muy grande?? Cualquiera que pague a todos lo mismo independientemente de las horas trabajadas por día? Sólo Dios y se puede ver en la acción de Jesús al anunciar su Reino. Después de todo, las parábolas tienen este propósito.: sorprender y desplazar para ayudar a remodelar la realidad, mirándolo de otra manera, según una nueva lógica, la paradójica del evangelio, que Jesús encarna. De hecho, él es la parábola viviente de Dios o, como dijo Máximo el Confesor: "Es un símbolo de sí mismo"[5].

En la parábola de este domingo la semilla es un símbolo, según la explicación dada por Jesús, de la Palabra de Dios, realidad teológica que debe ser escuchada y comprendida. Lo paradójico de la historia es que acaba en varios terrenos generando toda una serie de reacciones.. la palabra divina, de hecho, como dice el profeta Isaías en la primera lectura de hoy «no volverá a mí sin efecto» como la lluvia o la nieve que cae del cielo. Ahora Dios "hace salir su sol sobre malos y buenos, y hace llover sobre justos e injustos» había dicho Jesús en el Sermón de la Montaña (cf.. Mt 5, 45). La palabra de Dios, así pues, no es una realidad misteriosa dirigida a iniciados, pero se compromete con las situaciones humanas aceptando incluso el fracaso que, en la parábola, es grande, porque de cuatro terrenos, tres no darán fruto. En la explicación dada por Jesús, retomando las graves palabras del libro de Isaías[6], las personas que no escuchan la Palabra solo se pondrán rígidas en su situación, es decir, no podrán cambiar su realidad ni abrirse a la novedad del Reino. Ellos son los que tienen falta de interioridad., los superficiales que se dejan llevar la semilla de la Palabra por lo primero que llega, como un gorrión revoloteando. Son los que carecen de perseverancia porque para ellos la vida es como una piedra que tal vez defiende de las agresiones externas., pero tampoco hace que las cosas buenas y bellas arraiguen. Los hombres del momento les llama el Evangelio (temporario, proskairos v. 21) prendiendo fuego en este momento. Oyen la Palabra y cómo, pero si hay que durar todo se vuelve cansino. Al no tener raíces ante la primera dificultad abandonan. Luego están los que, a pesar de haber escuchado, prefieren las sirenas de la vida detrás de las riquezas y la mundanalidad y por eso las preocupaciones y las angustias los envuelven como zarzas y espinas que no dejan filtrar la luz que permitiría aflorar la Palabra y permitirles mirar y vivir la vida de manera diferente.

Finalmente están los que, usar la imagen del plato, son la minoría de la buena tierra que da fruto según las posibilidades. Son los que no solo saben escuchar, pero también saben entender la Palabra. O saben armar (compañeros, Sinieis v. 23) componiéndolas Palabra y vida constantemente. Tienen un conocimiento profundo de la Palabra., espiritual y vital. pero no es sencillo, porque el suelo podría volverse duro y refractario también para ellos, pedregoso o lleno de espinas y malas hierbas. De ahí la necesidad de una constante vigilancia y trabajo espiritual porque como simples "oidores de la Palabra"[7] se convierte en una realidad que crece con ellos. Como en la expresión encantada de Gregorio Magno: «El texto crece con el lector.»[8] (El texto crece con quien lo lee.).

Podemos hacernos dos preguntas en este punto, quien da la fuerza para que crezca la Palabra y donde encuentro esa fuerza? La primera pregunta puede responderse recordando otra parábola de la semilla que encontramos esta vez en el cuarto Evangelio: «Si el grano de trigo, Cayó al suelo, no muere, permanece solo; si muere en cambio, produce mucha fruta ". (Juan 12, 24). Jesús está hablando de su muerte en la cruz.. El editor del Evangelio, de hecho, reaccionando a la declaración de Jesús: “Y yo cuando sea levantado del suelo, Atraeré a todos hacia mí» comenta: "Dijo esto para indicar el tipo de muerte que iba a morir" (Juan 12, 32-33).

Jesús, por tanto, se compara a sí mismo con una semilla enviada por el Padre en el corazón de la tierra — "Porque de tal manera amó Dios al mundo que dio a su Hijo unigénito" (Juan 3, 16a) — y todo este amor que Jesús reveló a lo largo de su existencia se condensará y dará su máximo fruto en el mismo momento de su muerte, en la cruz. Según Juan, el primer fruto de la muerte de Jesús es el Espíritu[9] que como agua desciende de su cuerpo muerto hacia los creyentes: la madre y el discípulo amado.

Este Espíritu no sólo resucitó a Jesús de entre los muertos[10] pero es la hermenéutica quien revela el sentido de la Palabra de verdad que es Jesús. sus palabras, de hecho, soy espiritu y vida (Juan 6, 63). Es pues ahora el Espíritu de Cristo quien ayuda a los creyentes a ser ese terreno fértil que sabe acoger la Palabra y la hace comprender para que dé buenos frutos..

En este sentido, según las palabras del misionero enumerados al principio de este texto, Gesù, que se hizo semilla de amor hasta la cruz, por su Espíritu no deja de sembrar la Palabra y nunca volverá. Esta acción constante se expresa en las palabras del salmo responsorial de la liturgia que anuncia:

«Visitas la tierra y sacias su sed,
llenarlo de riquezas.
El río de Dios está lleno de aguas.;
preparas trigo para los hombres.
Así preparas la tierra:
riegas sus surcos, aplanar los terrones,
mojadlo con lluvias y bendecid sus retoños" (Sal 64).

En el momento de la gestación difícil que toda la obra creada sufre, como recuerda Pablo en la segunda lectura de hoy. Y, por fin, para responder a la segunda pregunta, es en la liturgia eucarística donde la Iglesia experimenta en toda su plenitud esta acción de Jesús y del Espíritu. Cuando Él en el Evangelio de este domingo dice: "Bienaventurados vuestros ojos porque ven y vuestros oídos porque oyen" (v. 16) no es favorecer a unos con exclusión de otros. Es verdad, la experiencia directa y concreta que tuvieron los discípulos del encuentro con la humanidad de Jesús fue lo suficientemente única e irrepetible como para que Juan afirmara en su primera carta: “Lo que hemos escuchado, lo que hemos visto con nuestros propios ojos, lo que contemplamos y nuestras manos tocaron de la Palabra de vida" (1Juan 1,1).

Pero esta humanidad, ahora glorificado de la Palabra todavía podemos "tocarla" hoy cuando durante la acción sacramental, gracias al mismo Espíritu[11] que actúa sobre la palabra y sobre las ofrendas eucarísticas, escuchamos esa Palabra de nuevo y nos alimentamos de Cristo. Esta gracia desciende abundantemente, hoy en día, aquí y ahora, sobre el terreno que es nuestra situación vital, en el estado que sea en este momento, con la esperanza de que todo este regalo, que es el amor del Padre en Jesús por el Espíritu no se pierde, pero dan fruto a su vez.

Feliz Domingo a todos!

de la ermita, 15 De julio 2023

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NOTAS

[1] Padre Ezequiel Ramin, Misionero comboniano en Brasil, fue asesinado en 24 Julio 1985 mientras defiende a los pequeños agricultores e indígenas en Mato Grosso. San Juan Pablo II lo llamó "testigo de la caridad de Cristo" durante un Ángelus.

[2] La liturgia también prevé una forma más breve.

[3] Mt 13, 1-52.

[4] Zenón de Elea (489 to.C. - 431 C.A.) fue un filósofo griego antiguo presocrático de Magna Graecia y miembro de la escuela eleática fundada por Parménides. Aristóteles lo llama el inventor de la dialéctica.

[5] "El señor […] se ha convertido en su propio precursor; se ha convertido en un tipo y símbolo de sí mismo. Simbólicamente se da a conocer a través de sí mismo.. Es decir, dirige toda la creación., a partir de sí mismo tal como se manifiesta, sino para llevarlo a sí mismo como está insondable oculto " (Cantarella R., Mistagogía y otros escritos, 1931).

[6] Es 6,9-10.

[7] Rahn K., Oidores de la Palabra, borla, 1967.

[8] bori p. C., La interpretación infinita, La hermenéutica cristiana antigua y sus transformaciones, 1988.

[9] "MI, inclinó la cabeza, entregó el espíritu (Juan 19, 30).

[10] "Y si el Espíritu de Dios, quien resucito a jesus de entre los muertos, habita en ti, El que levantó a Cristo de entre los muertos también dará vida a sus cuerpos mortales por su Espíritu que mora en vosotros " (ROM 8, 15).

[11] El obispo oriental Mons.. Neófito Edelby, el 5 de Octubre del 1964, durante los trabajos del Concilio Ecuménico Vaticano II dejó una huella importante al pronunciar estas palabras: «La Sagrada Escritura no es sólo una norma escrita, más bien casi consagración de la historia de la salvación bajo la especie de la palabra humana, sin embargo, es inseparable de la consagración eucarística en la que se recapitula todo el Cuerpo de Cristo [...] La misión del Espíritu Santo no puede separarse de la misión del Verbo Encarnado. Este es el primer principio teológico de cualquier interpretación de la Sagrada Escritura.. Y no puedes olvidar eso, además de ciencias auxiliares de todo tipo, el fin último de la exégesis cristiana es la comprensión espiritual de la Sagrada Escritura a la luz de Cristo resucitado".

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San Giovanni all'Orfento. Abruzos, Montaña Maiella, fue una ermita habitada por Pietro da Morrone, Llamada entrante 1294 a la Cátedra de Pedro a la que ascendió con el nombre de Celestino V (29 Agosto – 13 diciembre 1294).

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Los Padres de la Isla de Patmos

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De la polémica de las cruces en los montes a las cumbres y alturas de la Palabra de Dios

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

DALLE POLEMICHE SULLE CROCI IN MONTAGNA ALLE VETTE E ALTEZZE DELLA PAROLA DI DIO

«Venite a me, todos ustedes que están cansados ​​y cargados, y te daré descanso. Toma mi yugo sobre ti y aprende de mí, que soy manso y humilde de corazón, y encontraras descanso para tu vida. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Come una tempesta in un bicchier d’acqua la settimana scorsa è scoppiata la polemica sulle croci di vetta [ver, AQUI], fra l’altro scaturita da affermazioni mai pronunciate, che ha tenuto banco per qualche giorno sui quotidiani nazionali. Una vez más, alla fine dei discorsi, si è rischiato di banalizzare e far passare come un’imposizione quello che è il simbolo per eccellenza del Cristianesimo, la croce di Gesù rappresentazione visiva dell’amore fino alla fine [cf.. Juan 1, 3] offertoci dal Signore.

Croce di vetta di Piccola Legazuoi [immagine di Stefano Zardini cfr. AQUI]

Por esto, proprio come quell’acqua fresca che a volte trovi in montagna dopo un’erta salita, ben venga la sequenza di letture di questa XIV Domenica del tempo por un año. Non sempre accade di trovare in un’unica Liturgia della Parola una serie di scritti dove ogni singola frase è bella di per sé tanto che andrebbero conservate e rimeditate nel corso della settimana. Al culmine di essa leggiamo la pericope evangelica [Mt 11, 25-30] che è tanto preziosa, quanto rara, perché ci offre uno spaccato di quella che fu la coscienza profonda di Gesù, la sua coscienza filiale. Non a caso questo brano di Matteo è stato definito come il più giovanneo di tutti i Vangeli sinottici. Generalmente, de hecho, è nel quarto Vangelo che troviamo simili altezze e profondità, con frecuencia, come qui in Matteo, in un contesto di preghiera nel quale Gesù si rivolge al Padre, come nella nota pericope, quella cosiddetta della sua ora: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» [Juan 17, 1]. Ecco il brano del Vangelo della prossima domenica:

«In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Señor del cielo y de la tierra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sí, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, todos ustedes que están cansados ​​y cargados, y te daré descanso. Toma mi yugo sobre ti y aprende de mí, que soy manso y humilde de corazón, y encontraras descanso para tu vida. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”».

Il rigo iniziale del brano nel testo greco precisa: "En ese momento, respondiendo[1], Gesù disse». A cosa Gesù sta rispondendo e perché in questo momento cruciale [2]? Agli eventi precedenti che non sono stati felici. Dapprima la domanda di Giovanni Battista tramite i discepoli, poiché lui era imprigionato: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» [11,3] e poi la mancata risposta alla predicazione e all’azione di Gesù delle tre cittadine di Corazin, Betsaida e Cafarnao, dove egli ha sperimentato il fallimento o perlomeno uno scarso successo [11, 21-24].

Chi può dire di non aver provato scoramento a fronte di una situazione di empasse, di mancata riuscita o non comprensione da parte di altri di chi siamo veramente? Gesù integra queste situazioni spiacevoli nella preghiera. Mette tutto, anche l’insuccesso, davanti al Padre e rinnova il suo “Sì” [v. 26] poiché comprende che tutto è parte del suo progetto di benevolenza. Il “no” che ha ricevuto diviene un “Sì” svincolato dal successo in vista di una adesione più radicale.

Con la preghiera che si apre al ringraziamento ― «ti rendo lode» ― anche il fallimento, o ciò che noi giudichiamo tale, come il fallimento pastorale, l’assenza di frutti del ministero, la sterilità della predicazione, il rifiuto o il disinteresse degli altri, diviene non causa di scoraggiamento o di abbandono, ma momento di paradossale conferma della sequela del Signore.

È a questo punto che Gesù ci porta nella profondità del suo rapporto col Padre, in quanto Figlio suo. San Giovanni direbbe che è qui che si dovrebbe “rimanere” in quanto discepoli amati. Ma questo discorso, sin embargo, ci porterebbe troppo lontano. mateo, en cambio, da por suo[3] presenta Gesù come colui che rivela[4] l’intenzione profonda del Padre che solo lui conosce perché solo a lui tutto è stato consegnato.

«Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, y nadie conoce al Padre sino el Hijo y aquel a quien desea el Hijo se lo quiera revelar ".

A Gesù è stato dato tutto perché è il Figlio del Padre, colui che il Padre solo conosce, fino a poter dire di lui: «Tu sei il mio Figlio, l’amato» [Mt 3,17; 17,5]. Ma anche Gesù solo conosce pienamente il Padre, Dios, perché da lui è venuto nel mondo, e solo Gesù può far conoscere Dio al suo discepolo, perché nessuno va al Padre se non attraverso di lui [Juan 14,6]. Ecco la rivelazione dell’identità di Gesù, del suo rapporto con Dio e della conoscenza di Dio da parte del discepolo. Siamo al vertice della rivelazione divina di Gesù secondo il primo Vangelo. Questo mistero ora è consegnato al discepolo: mistero da adorare, da accogliere in silenzio, da viversi quotidianamente nella fedele sequela di Gesù che ci porta al Padre.

Il Vangelo ci dice anche a chi è rivolta questa rivelazione e chi può comprenderla. Sono i piccoli (νηπίοις), che in quanto tali sono senza voce. Sono coloro che testimoniano a Giovanni Battista che il regno è qui e non c’è bisogno d’aspettare altro: «i ciechi riacquistano la vista, los cojos andan, i lebbrosi sono purificati, los sordos oyen, los muertos resucitan, ai poveri è annunciato il Vangelo» [11, 5]. E il piccolo secondo Gesù è beato perché «non trova in me motivo di scandalo!» [11, 6].

Invece la rivelazione è chiusa per i sapienti ― «Perirà la sapienza dei sapienti e si eclisserà l’intelligenza degli intellettuali» [Es 29,14] ― perché, pur avendo visto e udito, non sono stati capaci di aprirsi alla buona notizia del Vangelo e di accoglierla.

Per tornare all’esempio iniziale, non so se avete fatto l’esperienza di salire in montagna. Quando si arriva sulla vetta, insieme alla soddisfazione di essere arrivati fin lì e godere la splendida visuale su ciò che circonda, la cosa più bella è potersi riposare, lasciare a terra lo zaino e i bastoncini, mangiare e bere, riprendere le forze.

Ugualmente Gesù dopo averci condotto sulla cima del suo intimo e profondo rapporto col Padre ora ci invita a riposare:

«Venite a me, todos ustedes que están cansados ​​y cargados, y te daré descanso. Toma mi yugo sobre ti y aprende de mí, que soy manso y humilde de corazón, y encontraras descanso para tu vida. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» [v.v. 28-30].

Solo lui conosceva il sentiero, anzi lui stesso si è fatto via [Juan 14, 6], che poteva portarci fin lassù. Ora qui riposiamo e ci ritempriamo, nell’intimità con lui che incarna la beatitudine di coloro ai quali è stata data la terra, che sono figli di Dio, figli nel Figlio[5]. Una terra presa non con la violenza e la guerra perché suo tratto distintivo è la pace, la giustizia e la misericordia[6].

Così Zaccaria prefigurava il Messia nella odierna prima lettura: «Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni” [Zac 9, 10]. E il salmo gli risponde: «Misericordioso e pietoso è il Signore, lento para a la ira y grande en amor. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» [Sal 144].

E per finire il giogo. Che cosa avrà voluto dire Gesù? Permettetemi ancora di far riferimento alla montagna. Se c’è una cosa fra le più sconsigliate da fare quando si percorre i sentieri è quella di uscirne fuori, di far di testa propria a sprezzo del pericolo e contro le indicazioni della guida. Soprattutto su certi terreni, non seguire la traccia, vuol dire mettere a rischio sé stessi e il gruppo. In positivo: è consigliabile rimanere in gruppo per non perdere nessuno, procedere sulla via segnata, ascoltare ciò che suggerisce la guida.

Ugualmente nella vita cristiana. Un giogo rimane tale e sembra un peso ed un’imposizione. Ma seguendo la linea che il Vangelo ha tracciato fin qui, nelle parole di Gesù esso appare più come un legame che ci tiene uniti senza assoggettarci. Non siamo per lui buoi muti. Egli la strada la fa con noi e se capita «sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto» (salmo di oggi).

Feliz Domingo a todos!

de la ermita, 9 De julio 2023

 

NOTAS

[1] ἀποκριθεὶς: respondiendo

[2] Ἐν ἐκείνῳ τῷ καιρῷ: in quel tempo

[3] Qualche commentatore ha colto nella struttura tripartita del brano matteano una somiglianza col testo sapienziale di Sir 51. Un inno di ringraziamento (v.v.. 25-26), un monologo sul rapporto tra Gesù e il Padre (v. 27) e l’invito a mettersi alla scuola di Gesù e ad assumere il suo giogo (v.v.. 28-30). in Sir 51 abbiamo un inno di ringraziamento (v.v.. 1-12), un monologo sulla ricerca della sapienza (v.v.. 13-22), un invito a mettersi alla scuola della sapienza e a prendere su di sé il suo giogo (v.v.. 23-30). Non è un caso che in Mt 11,19 si parli delle opere della Sapienza riferendosi alle opere del Messia (cf.. Mt 11,2-6): Cristo è la Sapienza di Dio.

[4] “nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto” (10, 26)

[5] “Beati i miti, perché avranno in eredità la terra… Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 5-9)

[6] “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia… Beati i misericordiosi… Beati gli operatori di pace” (Mt 5, 6-9)

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San Giovanni all'Orfento. Abruzos, Montaña Maiella, fue una ermita habitada por Pietro da Morrone, Llamada entrante 1294 a la Cátedra de Pedro a la que ascendió con el nombre de Celestino V (29 Agosto – 13 diciembre 1294).

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« Así que no tengas miedo: tu vales mucho mas que los gorriones"

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

"AQUÍ NO TENGAS MIEDO: TÚ VALES MÁS QUE MUCHOS GORRIONES»

 

… hay miedo que bloquea, que hace perder el valor de anunciar y dar testimonio, el miedo que sientes de perder la cara, un privilegio o di non essere en la página. E si diventa pigri e man mano si perde forza e si arriva a non riconoscere più Gesù, el maestro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ogni mattina, appena sveglio, provvedo a versare un bicchiere generoso di chicchi di riso soffiato in un contenitore poggiato su un albero del giardino. Appena rientrato in casa mi godo lo spettacolo. Decine e decine di passeri prima svolazzanti intorno, sugli alberi o nelle siepi, cominciano a planare, azzuffandosi o rincorrendosi, sulla ciotola di riso e un po’ lo mangiano, altro ne gettano intorno, oppure se lo portano via, probabilmente per sfamare i nuovi nati che in questo periodo dell’anno escono dalle uova.

Nel Vangelo di questa XII domenica del tempo ordinario, proprio al centro del breve discorso di Gesù si parla dei passeri. Egli rassicura i discepoli: “Voi valete più di molti passeri”. Ecco il brano del Vangelo:

"En ese momento, Gesù disse ai suoi apostoli: “Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, pero no tienen poder para matar el alma; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, Yo le confesaré delante de mi Padre que está en los cielos; ¿Quién me negará delante de los hombres?, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”» [Mt 10, 26-33].

Siamo all’interno del decimo capitolo del Vangelo di Matteo, dove si racconta dell’invio in missione dei dodici apostoli. Ma è anche un discorso che è rivolto ai discepoli di ogni tempo e luogo, quindi anche a noi che sentiamo proclamare oggi una pagina che ci giunge da lontano e che probabilmente già risentiva di quelle difficoltà che non solo incontrarono i primissimi discepoli del Signore inviati ai territori di Israele e solo a quelli, ma anche le asperità del cammino che trovarono le successive generazioni di discepoli che si ispirarono alla tradizione dello scritto matteano.

Gesù, proprio nel Vangelo di domenica scorsa, aveva avvisato i discepoli che sarebbe toccata loro la stessa sorte del maestro:

«Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebul il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!» (Mt 10,24-25).

O sea, ciò che Gesù ha vissuto, sarà vissuto anche dai suoi inviati, che verranno chiamati diavoli, al servizio del capo dei demoni, Beelzebul, e verranno perseguitati fino a essere uccisi da chi crede di dare in questo modo gloria a Dio (Juan 16,2). Per questo motivo nel Vangelo odierno Gesù sente il bisogno, non di indorare la pillola, ma di rincuorare i discepoli e per tre volte (v.v.. 26. 28.31) li invita a non temere: «No tengas miedo!».

Vorrei dire la stessa cosa ai miei passeri que, se faccio un movimento brusco o involontario, fuggono via spaventati. La paura è un precoce istinto che l’imprinting ha fissato nelle diverse specie, anche nella nostra. C’è una paura buona che ci consente di non cadere nei pericoli e di essere prudenti. Nello stesso discorso Gesù aveva infatti detto:

"Aquí: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; por lo prudentes como serpientes y sencillos como palomas ". (10, 16).

E poi c’è la paura che blocca, que hace perder el valor de anunciar y dar testimonio, el miedo que sientes de perder la cara, un privilegio o di non essere en la página. E si diventa pigri e man mano si perde forza e si arriva a non riconoscere più Gesù, el maestro.

Come Pietro nella notte della passione: «Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (v. 33). Ma «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il Padre vostro»¹.

Mi dispiace per i traduttori della Conferenza Episcopale Italiana, ma «volere» non c’è in greco. E invece occorre rendere, literalmente significa: «… senza il Padre vostro». O sea, neppure un passero, cadendo a terra, è abbandonato dal Padre! A maggior ragione i discepoli e pure Pietro che ne è a capo. igualmente, anche i capelli della nostra testa (v. 30), che perdiamo ogni giorno senza accorgercene: sono tutti contati, tutti sotto lo sguardo del Padre. Da una tale contemplazione nasce la fiducia che scaccia il timore: Dio vede come ci vede un padre, che ci guarda sempre con amore e non ci abbandona mai, neanche quando cadiamo.

Quando pensiamo di essere soli come discepoli, lasciati in balìa delle prove che la vita ci presenta o degli avversari che non danno tregua, ripensiamo al profeta Geremia della prima lettura di questa domenica: «Sentivo la calunnia di molti. Terrore all’intorno… Ci prenderemo la nostra vendetta» (ger 20,10). Geremia si lascia andare a un momento di rabbia per la situazione che si è creata: «possa io vedere la tua vendetta su di loro» (v. 12). Chi non lo capirebbe? Ma poi prevale l’uomo di fede chiamato dal seno della madre: «Cantate inni al Signore, lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero» (v. 13). Gli fa eco il salmista del responsorio odierno:

«Vedano i poveri e si rallegrino; voi che cercate Dio, fatevi coraggio, perché il Signore ascolta i miseri non disprezza i suoi che sono prigionieri. A lui cantino lode i cieli e la terra, i mari e quanto brùlica in essi» (Sal 68).

Ora ditemi se c’è un protagonista della Scrittura al quale il Signore Dio non abbia rivolto l’incoraggiamento che Gesù dice in forma triplice ai discepoli: non aver paura e non temere. Neanche uno, da Abramo a Giuseppe di Nazareth. Pensate che la Vergine Maria non se lo sia sentito dire? Anche lei: «Non temere, María, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30). Poi possiamo discutere fino a domattina sulla differenza fra il temere di Maria e quello del parente Zaccaria, fra quello di Geremia o di San Pietro mentre Gesù veniva interrogato nel Sinedrio. La cosa importante che il Vangelo di oggi ci rivela è questo invito a lasciar cadere la paura, a non permettere che questa emozione primaria prenda il sopravvento, a motivo della speciale protezione di Dio, il Padre che Gesù ci rivela, il quale non ci abbandona come spazzatura², la qual cosa fa invece l’avversario per eccellenza.

Perché Gesù dopo aver inviato i suoi, compresi noi oggi, invita a non aver paura davanti a niente e nessuno? Perché questo è il tempo della rivelazione (v. 26) o come qualcuno ha detto «il tempo della fine»³ inaugurato da Gesù. Il tempo della missione è un tempo di apocalisse, non nel senso catastrofico solitamente attribuito a questo termine, ma nel senso etimologico di ri-velazione, di alzata del velo. L’annuncio del Vangelo, de hecho, richiede che ciò che Gesù ha detto nell’intimità sia proclamato in pieno giorno, ciò che è stato detto nell’orecchio sia gridato sui tetti.

«Nulla vi è di nascosto (verbo καλύπτω, kalýpto) che non sarà ri-velato (verbo αποκαλύπτω, apokalýpto) né di segreto (κρυπτός, kryptós) che non sarà conosciuto (verbo γιγνώσκω, ghinósko)» (v. 26).

Le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo (Mt 13,35; Sal 78,2) sono rivelate da Gesù e poi dai discepoli nella storia. Y, nascosto nel cuore di questo messaggio inesauribile, sta l’annuncio di Dio come Padre, che è quel «molto di più» come lo chiama l’Apostolo Paolo nella seconda lettura di questa domenica (Rm 5, 12), ovvero l’abbondanza della sua grazia che salva, redime e ama.

Feliz Domingo a todos!

de la ermita, 25 Junio 2023

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NOTAS

1 Mt 10, 29b “καὶ ἓν ἐξ αὐτῶν οὐ πεσεῖται ἐπὶ τὴν γῆν ἄνευ τοῦ πατρὸς ὑμῶν". Traduzione CEI: «Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro».

2 La Gehenna (Mt 10,28) era la valle che raccoglieva la spazzatura di Gerusalemme

3 GRAMO. Gaeta, Il tempo della fine, prossimità e distanza della figura di Gesù, Quodlibet 2020

San Giovanni all'Orfento. Abruzos, Montaña Maiella, fue una ermita habitada por Pietro da Morrone, Llamada entrante 1294 a la Cátedra de Pedro a la que ascendió con el nombre de Celestino V (29 Agosto – 13 diciembre 1294)

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Gabriele Giordano M.. Scardocci
De la Orden de Predicadores
Presbítero y teólogo

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Padre Gabriele

apostolicidad, verdad y ternura por las ovejas sin pastor

Homilética de los Padres de La Isla de Patmos

APOSTOLICIDAD, VERITÀ E TENEREZZA PER LE PECORE SENZA PASTORE

Apostoli però sono, junto pero de una manera distinta en comparación con los sacerdotes, religiosos y laicos también. Ellos también en la vocación a la vida consagrada y en el matrimonio, se comprometen a llevar la caricia de Jesús al prójimo necesitado. Per questo che Gesù dice a tutti: "Usted ha recibido, libremente dar ".

 

Autor:
Gabriele Giordano M.. Scardocci, o.p.

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Estimados lectores de La isla de Patmos,

in questo tempo estivo proviamo a prendere sempre più in mano la Bibbia e leggerla; specialmente i Vangeli possono diventare un compagno di strada per le giornate calde ed afose. De hecho, en el evangelio, Gesù cammina con noi, ci porge tanta tenerezza ed affetto e chiede così di donare gratuitamente quanto abbiamo ricevuto da Lui. Gesù sceglie la tenerezza perché come diceva lo scrittore tedesco Rudolf Leonard «La tenerezza è il linguaggio segreto dell’anima».

Vemos. En el evangelio de hoy leamos:

"En ese momento, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore».

Gesù cammina con le folle e si accorge che si sentono sperdute e senza un punto di riferimento. Le difficoltà esistenziali e il dissidio politico fra ebrei e romani deve aver loro recato molte sofferenze anche da un punto di vista emotivo e morale. Gesù decide di trattarli con compassione, en greco splanchne, che indica la tenerezza della madre che accoglie i figli con amore viscerale. Immaginiamo quindi una mamma che accoglie i figli che piangono e che si sentono disperati.

La stessa cosa fa Gesù con noi oggi. Nelle nostre solitudini esistenziali ci dona la sua tenerezza e compassione, ci fa sentire che nonostante l’instabilità generale, le tante difficoltà spirituali, materiali ed economiche che possiamo trovare Lui è con noi. Ogni volta che ci comunichiamo ci offre una carezza ed un abbraccio intenso, insieme con il Padre e lo Spirito Santo.

Questa carezza ci è offerta in un modo concreto. In un certo senso è una carezza apostolica. De hecho, Gesù stesso ha chiamato per nome i dodici apostoli e li ha istituiti per continuare la sua missione nel corso dei secoli. I dodici apostoli poi hanno istituito i loro successori, e quindi i vescovi e con essi Gesù ha voluto i sacerdoti per una messe numerosa di persone bisognose di Dio. Per questo che il vescovo e il sacerdote, nonostante i loro limiti personali, tendono a donarci la carezza eucaristica del Signore. È importante la loro presenza e la risposta a questa vocazione sacerdotale.

Apostoli però sono, junto pero de una manera distinta en comparación con los sacerdotes, religiosos y laicos también. Ellos también en la vocación a la vida consagrada y en el matrimonio, se comprometen a llevar la caricia de Jesús al prójimo necesitado. Per questo che Gesù dice a tutti:

"Usted ha recibido, libremente dar ".

La modalità in cui tutti noi credenti clero, religiosi e laici siamo mandati dal Signore è la dimensione del dono di sé. Esattamente come senza nessun diritto, abbiamo ricevuto il dono dell’amore e della tenerezza del Signore, così possiamo portarlo a tutti gli altri. Così quando incontreremo il nostro prossimo che non si sente amato da nessuno, e anzi forse si sente abbandonato ed isolato da tutti, allora in quel momento potremo fargli il dono della tenerezza e carità del Signore. Cioè un amore che non è melenso e privo di valore, ma che appunto comunica a chi si sente disperato che Dio lo ama e fa qualcosa di concreto per lui.

Pedimos al Señor di entrare fortemente sempre più nel suo cuore trinitario per fare entrare tutto il mondo nell’abbraccio di Dio, e offrire senso e gioia anche agli abbandonati e agli isolati dalla cultura del mondo.

Santa María Novella en Florencia, 18 Junio 2023

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