UNA NOTA DI PADRE ARIEL SUL SITO SILERE NON POSSUM: «MOLESTO COME UN RICCIO DI MARE DENTRO LE MUTANDE»
Questo soggetto ha vergato pagine e pagine e distribuito decine di video sui social media nei quali cerca disperatamente di legittimare ciò che mai potrà essere legittimato nella Chiesa Cattolica: le tendenze omosessuali e la pratica dell’omosessualità all’interno del clero, sino ad affermare ripetutamente che le tendenze sessuali e la loro sottintesa pratica riguarderebbero solo la vita privata dei chierici (!?). Una affermazione del tutto illogica nonché aberrante sul piano jus-canonistico, se vogliamo parlare di quel Diritto Canonico a lui tanto caro.
Non è ironia, men che mai sfottò, ma comprensione autentica e vera carità cristiana. Anche se questo sito riesce a essere molesto quanto un riccio di mare dentro le mutande, noi Padri della rivista L’Isola di Patmos capiamo il suo capocomico ― o forse tragicomico ― provando cristiana tenerezza verso di lui, perché siamo pastori in cura d’anime e teologi che fanno teologia, storia della Chiesa, morale cattolica e diritto pregando.
Questo soggetto ha vergato pagine e pagine e distribuito decine di video sui social medianei quali cerca disperatamente di legittimare ciò che mai potrà essere legittimato nella Chiesa Cattolica: le tendenze omosessuali e la pratica dell’omosessualità all’interno del clero, sino ad affermare ripetutamente che le tendenze sessuali e la loro sottintesa pratica riguarderebbero solo la vita privata dei chierici (!?). Una affermazione del tutto illogica, nonché aberrante sul piano jus-canonistico, se vogliamo parlare di quel Diritto Canonico a lui tanto caro (vedere nostro articolo di ieri, QUI).
Capiamo quanto sia frustrante essere cacciati persino dall’ostello della Caritas e vedere al tempo stesso altri, che sono come te, diventare preti, fare carriera, infiocchettarsi e continuare a esercitare gusti e attività del tutto legittime nel mondo secolare, ma che non potranno mai essere legittime e compatibili col sacerdozio e l’esercizio del sacro ministero sacerdotale nel mondo ecclesiale.
Marco Felipe Perfetti è un cieco invidioso e crede che la sua invidia sia giustizia, mentre invece è uno tra i più gravi peccati capitali. Speriamo che un giorno se ne renda conto, possibilmente quando non sarà troppo tardi. Se poi vuole correggersi e intraprendere un serio cammino di crescita spirituale, i miei Confratelli e io siamo sin d’ora a sua completa disposizione.
Dall’Isola di Patmos, 31 maggio 2024
.
I nostri precedenti articoli:
– 21 marzo 2025 — SILERE NON POSSUM E LA STORIA DI QUELLA SARTINA CONVINTA DI POTER DARE LEZIONI DI ALTA MODA A GIORGIO ARMANI
– 12 febbraio 2025 — L’OPOSSUM STA ALLA CONOSCENZA DEL VATICANO COME ÉVA HENGER STA ALLA CASTITÀ E COME IL SUO DEFUNTO MARITO RICCARDO SCHICCHI STA ALL’OPERA CONFESSIONES DI SANT’AGOSTINO (per aprire l’articolo cliccare QUI)
– 15 gennaio 2025 — AI CONFINI CLERICALI CON LA REALTÀ: LA DONNA SOFFRE DELL’INVIDIA FREUDIANA DEL PENE, L’OPOSSUM DELL’INVIDIA DI MATTEO BRUNI DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE (per aprire l’articolo cliccare QUI)
– 20 gennaio 2025 — L’OPOSSUM IGNORA CHE UNA SUORA PUÒ DIVENTARE TRANQUILLAMENTE GOVERNATORE DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO, COME GIÀ LO FU GIULIO SACCHETTI(per aprire l’articolo cliccare QUI)
– 22 novembre 2024 — LA NOMINA EPISCOPALE DI RENATO TARANTELLI BACCARI. QUANDO GLI AFFETTI DA CARCINOMA AL FEGATO, CARICANO ALL’ATTACCO CHI TACER NON PUÒ (per aprire l’articolo cliccare QUI)
– 31 maggio 2024 — UNA NOTA DI PADRE ARIEL SUL SITO SILERE NON POSSUM: «MOLESTO COME UN RICCIO DI MARE DENTRO LE MUTANDE» (per aprire l’articolo cliccare QUI)
– 8 dicembre 2023 — A CHI SI RIFERISCE MARCO FELIPE PERFETTI AFFERMANDO DAL SITO SILERE NON POSSUM «QUA IN VATICANO … NOI IN VATICANO …», SE IN VATICANO NON CI PUÒ METTERE NEMMENO PIEDE?(per aprire l’articolo cliccare QUI)
– 14 ottobre 2023 — È MORTO L’ARCIABATE EMERITO DI MONTECASSINO PIETRO VITTORELLI: LA PIETÀ CRISTIANA PUÒ CANCELLARE LA TRISTE VERITÀ? (per aprire l’articolo cliccare QUI)
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2024-05-31 14:16:292025-03-28 10:33:19Una nota di Padre Ariel sul sito Silere non possum: «Molesto come un riccio di mare dentro le mutande»
LE «FINOCCHIE PERSE» DI PAOLO POLI, LA «FROCIAGGINE» DEL SANTO PADRE FRANCESCO E CERTI VESCOVI-FINOCCHI DI NUOVA GENERAZIONE
Il Santo Padre Francesco non ha sbagliato a dire che la frociaggine nei seminari non è accettabile, perché non lo è, né mai potrà esserlo. Ha però sbagliato a promuovere all’episcopato diversi gay friendly, se non peggio alcuni froci fatti e rifiniti che sotto il suo augusto pontificato sono finiti con una mitria in testa e un pastorale in mano. E oggi, uno o alcuni di questi lo hanno tradito, riportando all’esterno un discorso privato espresso liberamente come quando si parla in modo intimo e riservato tra fratelli.
Dopo l’espressione circa la «frociaggine», ha preso a circolare notizia sui social media che all’Assemblea plenaria della Conferenza Episcopale Italiana erano presenti dei giornalisti e che il Sommo Pontefice Francesco ha impedito egli stesso che fosse dato l’extra omnes. Dopodiché, alla loro presenza, avrebbe parlato a ruota libera, al premeditato scopo di creare un caso mediatico (!?).
La notizia è falsa: nessun giornalista, neppure quelli di Avveniree di Sat2000, neppure quelli dei media vaticani erano presenti.
A notizia diffusa alcuni Vescovi, tra gli oltre duecento presuli italiani presenti in assemblea, senza violare alcuna riservatezza ci hanno precisato che al termine di quel colloquio strettamente riservato tra il Vescovo di Roma e i Vescovi d’Italia, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, S.E. il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna, ha preso parola precisando che quanto era stato detto doveva rimanere strettamente riservato e non uscire da quell’aula, dove nessun estraneo era presente, meno che mai giornalisti.
Ma veniamo di nuovo alla «frociaggine», tema al quale abbiamo già dedicato due articoli: uno del Padre Ariel S. Levi di Gualdo e uno del Padre Ivano Liguori, prima di intervenire nuovamente con questo nostro redazionale dei Padri de L’Isola di Patmos.
Sui social media impazza di tutto, anche chi grida Tacer non posso! Frase ispirata a Sant’Agostino che spiega il passo dei due ciechi narrati nel Santo Vangelo (cfr. Mt 20, 30-34) che vedendo passare Gesù si misero a urlare:
«Timeo enim Iesum transeuntem et manentem et ideo silere non possum» (Sant’Agostino, Sermone n. 88).
Considerati certi promoter dell’omosessualismo all’interno della Chiesa, forse sarebbe meglio passare dall’agostiniano al dantesco, mettendosi a battere sul motto: «Un bel tacer non fu mai scritto». Noto proverbio italiano che significa in qual preziosa misura la bellezza del saper tacere al momento opportuno non è mai stata lodata a sufficienza. Espressione attribuita a Dante e rielaborata poi nel XVII secolo dal poeta veneziano Iacopo Badoer.
Quando si dibatteva sul Disegno di legge Zan, che dietro il pretesto della cosiddetta omotransfobia mirava di fatto a perseguire il reato di opinione, i nostri autori Ariel S. Levi di Gualdo e Ivano Liguori dettero alle stampe un libro intitolato Dal Prozan al Prozac, dedicato alla memoria del grande attore di teatro italiano Paolo Poli, che di Padre Ariel fu caro e affezionato amico. Nella copertina di quel libro campeggia una foto di scena di Paolo Poli e nella quarta (si chiama quarta il retro della copertina), è riportata questa sua frase all’apparenza scurrile, ma incisiva e veritiera:
«Vedo molta omologazione, un appiattimento della propria individualità, anche nell’apparire: tutti vestiti uguali in uno stereotipo pseudo-maschile, logicamente etero. I gay potrebbero avere la possibilità di esprimere una propria unicità e diversità nel senso più vero del termine. Invece no, vogliono giocare a marito e moglie e avere il permesso del Papa per potersi inculare! Ma dai! Lasciamo stare» (Paolo Poli, 17 dicembre 2003).
Il grande Paolo Poli che di se stesso diceva «sono omosessuale nel mio DNA», non usava il termine “gay” ma quello di finocchi, se non peggio di «finocchie sfrante» o di «languide checche perse», aveva individuato già vent’anni fa il problema di certi odierni cattolici sessualmente confusi che «Vogliono giocare a marito e moglie e avere il permesso del Papa per potersi inculare». Aggiungiamo noi tra queste nostre righe: non solo, rivendicano pure il diritto a diventare preti e a scatenare la frociaggine dentro i nostri seminari. Mentre, quanti tacer non possono, manco si rendono conto di sprofondare nel più grottesco ridicolo, quando celandosi dietro parole come «formazione» ed «educazione alla affettività», giungono ad affermare che le tendenze sessuali non possono influire sulla valutazione dei sacerdoti o dei candidati al sacerdozio, perché sono cose che riguardano le loro vite private (!?).
Ma proprio questo è il dilemma: un prete può forse rivendicare di avere una vita privata in cui manifesta nel privato l’esatto contrario di ciò che a un ministro in sacrisè richiesto? Anche i magistrati hanno una loro vita privata, ma non possono condannare al mattino un trafficante di droga per poi la sera, nella loro intimità, sniffare cocaina, giustificando il tutto col fatto che tirano coca in casa loro, non sullo scranno del tribunale penale tra una pubblica udienza e l’altra. Anche i militi della Guardia di Finanza hanno una loro vita privata, ma non possono multare i commercianti che omettono di fare gli scontrini fiscali per poi dedicarsi nella loro vita privata all’evasione fiscale. Indubbiamente anche i preti hanno una loro vita privata, ma non possono predicare le cristiane virtù in pubblico e prenderlo poi nel culo nella loro vita privata. Sono delle tali ovvietà, queste, dinanzi alle quali è proprio il caso di dire che … Tacer non possiamo.
Un prete non può essere affetto da frociaggine, perché di per sé è cosa peggiore, sul piano morale e spirituale, della pratica attiva dell’omosessualità. Infatti il Sommo Pontefice Francesco se l’è presa con quella frociaggine psicologica e comportamentale che rappresenta un atteggiamento e uno stile di vita incompatibile col sacerdozio, la vita religiosa e le stesse strutture ecclesiastiche. Non se l’è presa coi froci il Santo Padre, tanto meno coi singoli froci, verso i quali ha sempre mostrato ― come del resto tutti noi ― premura e accoglienza. Ce lo impone la dottrina cattolica (cfr. Catechismo nn. 2357-2359) che ci invita ad accogliere, non certo a discriminare in alcun modo gli omosessuali; dottrina che precede di oltre trent’anni il Disegno di Legge Zan, col quale non si mirava a far sì che i froci venissero rispettati, ma che i più politicizzati e ideologizzati potessero avere uno strumento legale per perseguire le opinioni libere e del tutto legittime di chiunque osa non pensarla come loro. Per seguire coi froci-cattolici-confusi che dietro pretesti di educazione all’affettività e alla tutela della vita privata, nei concreti fatti «vorrebbero avere il permesso del Papa per potersi inculare», sempre per parafrasare Paolo Poli che, fosse stato oggi in vita, avrebbe pubblicamente plaudito al Santo Padre Francesco. Proprio perché, omosessuale a tutto campo tal era, la frociaggine non l’ha mai sopportata.
Qualche Vescovo ha tradito il Santo Padre allo scopo di metterlo in imbarazzo, creando un caso mediatico ed esponendolo a dure critiche e attacchi. Il singolo Vescovo, o il clubbinodei Vescovi che hanno fatto questo, è costituito da quei puffetti androgini caricaturali che nelle loro diocesi fanno i piacioni con le associazioni LGBT. Sono quelli ― come scriveva a suo tempo Padre Ariel nel suo libro E Satana si fece trino pubblicato nel 2011 ―, che «ieri capeggiavano all’interno dei seminari la pia confraternita dei gay, oggi ce li ritroviamo Vescovi».
Il Santo Padre Francesco non ha sbagliato a dire che la frociaggine nei seminari non è accettabile, perché non lo è, né mai potrà esserlo. Ha però sbagliato a promuovere all’episcopato diversi gay friendly, se non peggio alcuni froci fatti e rifiniti che sotto il suo augusto pontificato sono finiti con una mitria in testa e un pastorale in mano. E oggi, uno o alcuni di questi lo hanno tradito, riportando all’esterno un discorso privato espresso liberamente come quando si parla in modo intimo e riservato tra fratelli. Ecco perché nei seminari non è bene ammettere i froci, perché poi diffondono il peggio della frociaggine all’interno della Chiesa e delle sue strutture ecclesiastiche e religiose. E oggi, non pochi froci che fomentano la frociaggine, ce li ritroviamo vescovi. Il Sommo Pontefice Francesco si ponga quindi, di fronte a questo grave problema, qualche seria domanda.
dall’Isola di Patmos, 30 maggio 2024
.
N.B.
In questo articolo abbiamo fatto uso, volutamente e scientemente, non solo dei termini usualmente usati da Paolo Poli, ma di tutti quei termini quali «froci», «froce», «finocchi», «finocchie» … ecc … che sono usati abitualmente negli ambienti e nei circoli gay, inclusi i circoli LGBT, compreso quel termine «frociaggine» che tanto ha scandalizzato certi attivisti, i quali ne fanno però da sempre uso in modo persino dispregiativo nei riguardi di altri gay o associazioni gay, cosa che non ha fatto invece il Sommo Pontefice Francesco, né in questa né in qualsiasi altra occasione nel corso dei suoi dieci anni di pontificato. Sia ben chiaro.
.
.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/faviconbianco150.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Redazionehttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngRedazione2024-05-30 21:27:152024-05-30 23:15:56Le «finocchie perse» di Paolo Poli, la «frociaggine» del Santo Padre Francesco e i vescovi-finocchi di nuova generazione
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/Padre-Ivano-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Ivanohttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ivano2024-05-29 17:20:042024-05-29 21:39:23La frase più manipolata di questo pontificato: «Chi sono io per giudicare un gay?»
SANTITÀ, È DAL 2011 CHE TESTIMONIO E LAMENTO CHE «NELLA CHIESA È SCOPPIATO UN NUBIFROCIO UNIVERSALE». SE OGGI AVETE DECISO DI USARE MIEI STILI E FRASARI, PERLOMENO PAGATEMI I DIRITTI D’AUTORE
A tutti gli episcopettiche ieri, non potendo negare l’evidente problema da me sollevato sulla venefica lobby gay all’interno della Chiesa, si attaccarono alla forma sino a darmi del blasfemo, oggi ho una domanda molto seria da rivolgere, questa: il Romano Pontefice che parla di «frociaggine» è un blasfemo oppure, molto più semplicemente, si è finalmente scoperto a distanza di un decennio che il suo ghost-writer sono io?
In un mio libro del 2011, intitolato E Satana si fece trino, tutt’oggi distribuito dalle nostre Edizioni L’Isola di Patmos, al paragrafo V del Capitolo Secondo tratto questo delicato tema:
«Preti gay e carrieristi puniti ed estromessi? macché: fanno lobby e sono scaldati come serpi in seno dando vita alla pornocrazia clericale».
Nella narrativa di questo capitolo feci uso di un’espressione per la quale alcuni vescovi con gli uteri particolarmente sensibili ― e per questo facili a essere assaliti da prurito ― lamentarono all’allora mio Vescovo, il defunto Luigi Negri di benedetta memoria, che andavo corretto e rimproverato per avere fatto ricorso alla blasfemia. Accadde infatti che questo mio buon Presule di allora, appena giunto alla plenaria della Conferenza Episcopale Italiana del 2012, durante la prima pausa disponibile fu assalito dalle geremiadi di diversi suoi fratelli Vescovi, quelli che per inciso, tanto per intendersi, del «nubifrocio» erano i diretti responsabili, nonché colpevoli dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. La frase giudicata blasfema era la seguente:
«In questa nuova dimensione ecclesiale altamente de-virilizzata, pare che nella Chiesa sia veramente scoppiato un nubifrocio universale»
A distanza di tredici anni il Sommo Pontefice Francesco, durante l’assemblea plenaria della Conferenza Episcopale Italiana di questo mese di maggio 2024, parlando a porte chiuse con i Vescovi, perfettamente consapevole che la cosa sarebbe stata riportata ai giornalisti nel giro di poche ore ― sicuramente da qualche presule che si era sentito punto nel vivo ― ha lamentato che «Nei seminari c’è troppa frociaggine». Invitando i Vescovi a non ammettere nei nostri disastrati seminari ― che da anni e anni io lamento essere delle vere e proprie succursali dei gay village ― persone con tendenze omosessuali. Facendo presente e precisando in un altro discorso a porte chiuse fatto agli stessi Vescovi nel maggio del 2018:
«Se c’è un dubbio di omosessualità meglio non far entrare in seminario» (cfr. QUI).
A tutti gli episcopetti che ieri, non potendo negare l’evidente problema da me sollevato sulla venefica lobby gayall’interno della Chiesa, si attaccarono alla forma sino a darmi del blasfemo, oggi ho una domanda molto seria da rivolgere, questa: il Romano Pontefice che parla di «frociaggine», è un blasfemo oppure, molto più semplicemente, si è finalmente scoperto a distanza di un decennio che il suo ghost-writer sono io?
Riporto di seguito lo stralcio di quel V paragrafo tratto dal Capitolo Secondo della mia opera E Satana si fece trino, un libro scritto tra il 2008 e il 2010, pubblicato su suggerimento dell’allora mio Vescovo solamente alla fine del 2011.
Dall’Isola di Patmos 29 maggio 2024
________________________
PRETI GAY E CARRIERISTI PUNITI ED ESTROMESSI? MACCHÉ: FANNO LOBBY E SONO SCALDATI COME SERPI IN SENO DANDO VITA ALLA PORNOCRAZIA CLERICALE
(E Satana si fece trino, Ariel S. Levi di Gualdo, Roma, 2011, Cap. II par. V)
Un corpo sporco che emana forte odore di sudore deve essere denudato e lavato accuratamente con acqua e sapone, al termine del lavaggio può essere cosparso di profumo; ma se sopra a un corpo sporco che emana forte odore di sudore si cosparge profumo, l’effetto sarà che il profumo frammisto al sudore finirà col farlo puzzare di più.
Coinvolto in argomenti legati a fatti dolorosi che affliggono e umiliano la Chiesa, sul finire il prelato mi ammonì:
«Il problema non è dire la verità ma come si dice».
Risposi:
«Gesù Cristo non morì per le verità che le autorità politiche e religiose volevano sentirsi dire, ma per quelle verità che non erano disposti a tollerare che fossero solo sospirate».
Quando non si può demolire la sostanza si tenta l’ultima disperata difesa cavillando sulla futile forma, per difendere al meglio il diritto alla cecità spirituale. Quando infatti non fu possibile rimproverare Gesù per avere guarito un cieco restituendo a lui la vista, si rimproverò con dure critiche per avere compiuto un miracolo di sabato, in un giorno nel quale non è consentito lavorare (cfr. Gv 5, 2-16).
O siamo forse, noi moderni cristiani, tanto diversi dai farisei dell’antica Giudea? Quando si parla di farisei tendiamo a farlo al passato, come se costoro fossero solo una delle molte sette ebraiche presenti nella Giudea dell’epoca; mentre invece il fariseo è un essere senza tempo e connotazione religiosa, è uno stile di vita che può radicarsi ovunque, in ogni tempo e cultura religiosa.
La brama di carriera, lungi dall’esser vezzo moderno, stando alle parole di San Paolo esisteva anche in epoca apostolica; già allora c’era chi aspirava all’episcopato, tanto che l’Apostolo esorta:
«È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all’episcopato, desidera un compito eccellente, ma bisogna che l’episcopo sia irreprensibile, marito di una sola moglie, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale e capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al danaro» (I Tm 3, 1-3).
Oggi la differenza sta nell’approccio di tipo erotico-psicologico. I carrieristi del passato erano virilmente mossi da motivazioni che nei concili dei primi secoli generavano accese battaglie dottrinali, nelle successive lotte politiche e religiose; degli animali sociali che credevano in qualche cosa che andava oltre loro stessi e la loro brama di carriera.
Per gli uomini del passato far carriera nel mondo ecclesiastico era un mezzo per vincere una battaglia, per imporre la loro dottrina, la loro politica sociale o economica.
Quello di oggi è un carrierismo che viene a galla in un mondo di ominicchi e quaquaraquà ripiegati sull’edonismo di una psicologia sociale giunta all’apice del narcisismo collettivo. Alla virilità dei maschi che ieri lottavano per le investiture e che erano disposti a giocarsi la vita e la salute dell’anima per riuscire a imporre ciò in cui credevano, si è andata sostituendo la mollezza androgina di una visione estetica dell’essere sociale e dell’apparire, anche attraverso un luogo privilegiato come la Chiesa, un setdi riprese internazionali che può portare vescovi e presbiteri alle luci della ribalta dei mezzi di comunicazione di massa, o a stretto contatto col mondo della politica, della cultura e della economia pubblica e privata.
In questa nuova dimensione ecclesiale altamente devirilizzata, pare che nella Chiesa sia veramente scoppiato un nubifrocio universale, capitanato da un agguerrito esercito di monsignorini in carriera, amici degli amici degli amici … che ancora non sono stati sbattuti fuori dalla curia romana e che al suo interno proliferano per i buoni uffici di amici degli amici degli amici, allontanando o tenendo spesso lontano tutto ciò che di puro potrebbe entrarvi. Ma dovendo compiacere e piacere per raggiungere il fine di compiacere e piacere a se stessi, per intrinseca natura i carrieristi estetici non sono inclini a prendere decisioni, ciò implicherebbe il possesso psico-fisico e l’uso di quegli attributi maschili necessari ad assumersi responsabilità, che in ogni società comportano l’alto rischio di piacere a due uomini e rimanere sgraditi a duemila, di quando in quando per essere celebrati vent’anni dopo la dipartita come spiriti lungimiranti da venti milioni di uomini contro il parere negativo di due soli sciocchi ostinati.
I media hanno finito per snaturare la figura episcopale e nell’immaginario collettivo il vescovo è stato mutato in una specie di Regina Elisabetta, icona rappresentativa per francobolli, sterline e parate di Buckingham Palace. Parlano del vescovo come di un soggetto religioso preposto a “rappresentare la sua Chiesa”, a partire dal primo dei vescovi, il Sommo Pontefice, che “rappresenta la Chiesa Cattolica”. Cosa vera ma anche ambigua, se la mano calca su quei concetti di “rappresentanza” che hanno cancellato dalla memoria collettiva che il fatto che il vescovo è chiamato a governare la sua Chiesa, prima che esserne “rappresentante” religioso mero amministratore delegato, o peggio curatore fallimentare [1].
Oggi si è smarrita la figura pastorale e spirituale del padre apostolico che regge la famiglia, garantendo la protezione e la educazione dei figli e facendo sentire all’occorrenza anche il morso dell’autorità e della disciplina.
I vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è il capo, come chi serve (cfr. Lc 22, 26-27).
Questa potestà, che personalmente esercitano in nome di Cristo, è propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in ultima istanza sottoposto alla suprema autorità della Chiesa e, entro certi limiti, in vista della utilità della Chiesa o dei fedeli, possa essere ristretto.
«In virtù di questa potestà i vescovi hanno il sacro diritto e davanti a Dio il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e regolare tutto quanto appartiene al culto e all’apostolato […][2]In forza di ciò, i Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità» […][3].
Perdere tutto questo, vuol dire smarrire il senso spirituale e pastorale dell’episcopato nella Chiesa.
Nelle sue più importanti azioni liturgiche il vescovo è chiamato a procedere con la verga, il bastone pastorale, che è segno del suo governo spirituale e della sua virilità cristiana e psicologica.
A maggior ragione oggi viene da arrossire d’imbarazzo, quando certi cerimonieri estetici ricoprono i poveri vescovi con cascate di trine e merletti, che rammentano più le ammalianti biancherie intime femminili anziché i paramenti dei maschi Padri della Chiesa.
Il moderno carrierismo estetico e mediatico si regge su un elemento singolare: non è virile ma efebico, femmineo; nella migliore delle ipotesi asessuato, nella peggiore sfocia nel vero e proprio disordine sessuale per ovvie conseguenze del carattere.
Nel rapporto privo di equilibrio con la carriera ecclesiastica, esistono soggetti in numero tremendamente alto influenzati dal tipico istinto del narcisista omosessuale. E per la macchina della Chiesa non c’è peggiore ingolfamento delle subdole personalità dei gay repressi, finiti in considerevole numero come volpi nel pollaio in ruoli delicati dove si finisce «non per servire ma per servirsi»[4], non per piacere a Dio, ma per piacere agli altri e compiacere se stessi, anziché esercitare il potere di decidere secondo carità e giustizia ciò che quella cattedra episcopale o quell’ufficio di curia richiedono per il bene della Chiesa e dei suoi fedeli.
Nascondere la verità non giova a nessuno, specie a chi deve annunciarla al mondo.
Se davvero vogliamo affrontare sul serio questo problema molto drammatico, dobbiamo partire da un triste dato di fatto: oggi, all’interno del clero secolare e religioso maschile, il numero degli omosessuali è spaventosamente alto e si divide tra gay praticanti e gay repressi; i secondi più attivi dei primi nell’esercizio della loro logorante omosessualità psicologica. Gli omosessuali per carattere psichico repressi nel corpo, sono di gran lunga peggiori di coloro che praticano l’omosessualità fisica, causando da sempre all’interno della Chiesa dei danni talora enormi talora irreparabili, puntando sempre a piazzarsi nei posti più alti e nei ruoli-chiave di governo, per meglio rafforzare una lobby molto potente e solidale al suo interno, retta su criteri pornocratici.
Quello della pornocrazia[5]è un dramma che ferisce la Chiesa colpendola con affondi mortali. Termine recente di origine francese, pornocrazia indica una forma di governo caratterizzata dal nefasto influsso di cicisbei e prostitute sugli uomini preposti all’esercizio del potere. Alla lettera significa “governo delle prostitute”, o governo fondato in buona parte sui meccanismi tipici della prostituzione.
A caratterizzare la pornocrazia, non è tanto il baratto di favori sessuali con posizioni di privilegio, come nelle consuete relazioni tra potente e prostituta, perché questi rapporti di potere non sempre hanno avuto connotazioni di tipo sessuale, specie all’interno di certe sacche decadenti, che hanno costituito nei tempi passati e presenti orribili zavorre per la Chiesa, dove spesso il meccanismo, lungi dall’essere quello del tutto naturale della sessualità eterosessuale, si fonda sulla asessualità, o su puri meccanismi omosessuali, spesso più psicologici che fisici.
Nella pornocraziaclericale, l’omosessualità praticata a livello fisico è solo la punta estrema di un’omosessualità mentale radicalizzata e andata non di rado al potere.
Con l’esercizio del proprio influsso sull’uomo di potere la prostituta, o il gay-prostituto, non tanto riescono a esercitare in modo indiretto il loro personale potere, perché simili meccanismi di ruolo sono stati più volte esercitati in modo quasi istituzionale dalle legittime consorti dei sovrani, o dai loro vari amichetti-gay.
Quel che risulta particolarmente logorante nella Chiesa, più che nel potere civile laicista, è la capacità del prostituto di creare un proprio potere personale a volte quasi assoluto, che si sostituisce spesso all’autorità del potente e che non di rado sopravvive al potente stesso.
Si pensi per esempio al giovane ed efebico segretario dalle cui labbra il potente pendeva e che dopo avere influito sull’esercizio del potere del prelato – che era preposto a servire, non a pilotare colpendolo con le frecce di Cupido –, quando questi sta per ritirarsi dalla carica per sopraggiunti limiti di età, viene promosso vescovo prendendo il posto – in rango e dignità sacramentale – del suo padrone platonicamente innamorato[6].
L’uso del termine prostituto anziché prostituta, in una società al maschile come quella ecclesiastica non è casuale, considerando che nella Chiesa la pornocraziatende ad avere come personaggi motore soggetti eminentemente maschili.
Quest’ultimo è il drammatico caso della potente lobby dei gay, che all’interno della Chiesa riesce da alcuni decenni a incidere e influire sull’apparato propulsore dell’intera Orbe cattolica: la promozione dei presbiteri all’episcopato.
Precedendo di molti secoli la classificazione degli uomini posta da Leonardo Sciascia sulla bocca al personaggio del suo romanzo, San Bernardo di Chiaravalle[7] che non è personaggio di fantasia ma uno straordinario santo e dottore della Chiesa, nel 1145 scrisse al suo discepolo Bernardo dei Paganelli, divenuto Sommo Pontefice col nome di Eugenio III, salutandone l’elezione al Soglio di Pietro con un Trattato buono per ogni Papa, attentamente adattato per lui. In questo scritto Bernardo non manca di far presente che attorno al Santo Padre non stanno affatto bene certi paggi melliflui e giovani zazzeruti a seguito di vescovi e cardinali.
Saggia esortazione rivolta a un neo eletto Pontefice nove secoli fa da un futuro santo e dottore della Chiesa.
Oggi qualcuno può dire che non eravamo stati avvisati con largo anticipo, riguardo ai danni che possono produrre certi paggi melliflui e giovani zazzeruti ai quali si riferisce San Bernardo di Chiaravalle?[8] O, se al linguaggio medioevale di questo Dottore della Chiesa, preferiamo quello letterario di Sciascia del XX secolo: «Piglianculo e quaquaraquà»?[9]
.
NOTE
[1] Sul potere di governo del vescovo e il suo ministero: Christus Dominus, n. 8 e n. 11, Esortazione Apostolica Pastores Gregis, n. 42, n. 54, n. 55 e seguenti.
[2] Costituzione Dogmatica Sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 27.
[3] Esortazione Apostolica Pastores Gregis, n. 43.
[4]Meditazione del Cardinale Joseph Ratzinger alla IX Stazione della Via Crucis, Colosseo di Roma, 25 marzo 2005. Benedetto XVI: Via Crucis 2005, Editrice Libreria Editrice Vaticana.
[5] Termine italiano coniato sul film di Catherine Breillat il cui titolo originale è Anatomie de l’enfer. Prod. Francia, 2004.
[6] N.d.A. all’edizione del 2019 — Fatto di cronaca così riportato dagli organi di stampa: «Nell’estate del 2017 la Gendarmeria Vaticana arresta Mons. Luigi Capozzi, di anni cinquanta, segretario del Cardinale Francesco Coccopalmerio e addetto di seconda classe presso il Pontificio consiglio per i testi legislativi, presieduto da questo porporato. Il fatto: nel suo appartamento collocato in Vaticano nel palazzo del Sant’Uffizio, Monsignore organizzava festini gay a base di droga, tanto da render poi necessario il suo ricovero nella clinica romana Pio XI per terapie di disintossicazione», cfr. Franca Giansoldati, Il Messaggero, 29 giugno 2017; Francesco Antonio Grana, Il Fatto Quotidiano, 5 luglio 2017; Redazionale, Libero, 7 luglio 2017; Domenico Gramazio, La Città di Salerno, 2 luglio 2017; Emanuele Barbieri, Corrispondenza Romana, 22 novembre 2017; Riccardo Cascioli, La Nuova Bussola Quotidiana, 4 dicembre 2017, etc..]. Rifacendosi a notizie a loro pervenute dall’interno della Santa Sede, i giornali precisano che Monsignore «era già stato proposto dal Cardinale per essere elevato alla dignità episcopale», Francesco Antonio Grana, Il fatto Quotidiano, 28 Giugno 2017. A oltre un anno dal fatto, i giornalisti Maike Hickson e John Henry Westen di LifeSiteNews lanciano una notizia poi riportata dal vaticanista Marco Tosatti, Stylum Curiae 11 ottobre 2018 e da Giuseppe Aloisi, Il Giornale, 11 ottobre 2018 e da vari organi di Stampa: «Il Cardinale Francesco Coccopalmerio […] era presente al partyomosessuale a base di droga in cui ha fatto irruzione la polizia vaticana nell’estate del 2017 e in cui fu arrestato il suo segretario, Mons. Luigi Capozzi». A questa notizia risponde la sera stessa con un tweet il Cardinale Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, all’epoca dell’accaduto Sostituto della Segreteria di Stato: «La notizia è priva di fondamento. Fui io ad informare dell’arresto del sacerdote il Card. Coccopalmerio a fine giornata, non avendolo trovato, per un disguido, il mattino. Il prete non fu arrestato durante un fantomatico party, ma nel cortile della casa». Chiariamo il tutto: per oltre un anno il Cardinale Angelo Becciu ha permesso ai giornali di infangare un prete scrivendo senza mai essere smentiti che «l’arresto è avvenuto all’interno dell’appartamento durante un party gay a base droga», poi, trascorsi sedici mesi – quando in ballo è stato tirato un cardinale – l’ex sostituto alla Segreteria di Stato, con solerte tempismo e improvviso amore per la verità, informa con un tweet che l’arresto non avvenne «durante un fantomatico party» ma «nel cortile di casa» (!?) … «Il 29 agosto 2018 crolla il tetto della chiesa romana di San Giuseppe ai Falegnami», La Repubblica, 30 agosto 2018, il cui titolo è detenuto dal Cardinale Francesco Coccopalmerio. Dopo avere illustrata questa fedele cronologia non passibile di smentita, forse sarebbe bene tenere sotto stretto controllo, al fine di evitare altri crolli improvvisi, la necropoli etrusca maremmana di Roselle, di cui il Cardinale Angelo Becciu è Arcivescovo titolare, quindi il tetto della chiesa romana di San Lino, di cui egli detiene il titolo cardinalizio.
[7] Monaco e poi Abate dell’Ordine Cistercense (Fontaine les Dijon 1090 – Ville sous la Ferté 1153). Fondò l’Abbazia di Clairvaux e altri monasteri, tra cui l’Abbazia di Chiaravalle in Italia. Canonizzato nel 1174, fu dichiarato Dottore della Chiesa nel 1830. Nel 1953 il Sommo Pontefice Pio XII volle dedicargli l’Enciclica: Doctor Mellifluus.
[8]N.d.A. all’edizione del 2019 – Quando nel 2009 scrivevo queste righe mi era sfuggita la seguente riflessione: forse, San Bernardo di Chiaravalle, indicando «paggi melliflui e giovani zazzeruti», vale a dire i gay presenti in certe corti ecclesiastiche dell’epoca, potrebbe essersi rifatto al Liber Gomorrhianus scritto alcuni decenni prima da San Pier Damiani (Ravenna 1007 – Faenza 1072), opera in cui supplica il Romano Pontefice di dimettere dal ministero sacerdotale ed episcopale i rei dei turpi peccati di omosessualità, efebofilia e pedofilia. Già all’epoca esisteva però una potente lobby gay, ed il Sommo Pontefice rispose che questi auspicati provvedimenti severi sarebbero stati presi solo in caso di recidiva.
[9]Leonardo Sciascia: Il Giorno della Civetta. Torino, 1960, Editrice Einaudi.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2024-05-28 23:25:492024-05-29 00:16:52Santità, è dal 2011 che testimonio e lamento che «Nella Chiesa è scoppiato un nubifrocio universale». Se oggi avete deciso di usare miei stili e frasari, perlomeno pagatemi i diritti d’autore
LA PENTECOSTE DEL «CHIAMATO ACCANTO» COME DIFENSORE, SOCCORRITORE, CONSOLATORE
I Vangeli sinottici dicono che Gesù aveva parlato dello Spirito Santo, disceso su di lui nel battesimo, lo aveva poi promesso come dono ai discepoli, in particolare per l’ora della persecuzione, quando lo Spirito sarà la loro vera difesa: parlando in loro e insegnando loro ciò che occorre dire.
Il lezionario della Chiesa italiana presenta per questa Domenica di Pentecoste due brani tratti dal Quarto Vangelo che in verità sono costruzioni un po’ artificiali, in quanto costituiti da versetti appartenenti a contesti diversi. In questo anno B il testo è composto da due versetti dove Gesù promette ai discepoli lo Spirito Santo (Gv 15,26-27) e da altri quattro nei quali egli specifica l’azione dello stesso Spirito nei giorni della Chiesa (Gv 16,12-15). Gesù pronuncia queste parole mentre è ancora a tavola con i suoi discepoli dopo la lavanda dei piedi (cfr. Gv 13,1-20) e comunica parole di addio, perché è «venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre» (Gv 13,1). Ecco il brano evangelico della Solennità:
Pentecoste, affresco di Quirino De Ieso (1999)
«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 15,26-27; 16,12-15).
I Vangeli sinottici dicono che Gesù aveva parlato dello Spirito Santo, disceso su di lui nel battesimo (cfr. Mc 1,10), lo aveva poi promesso come dono ai discepoli, in particolare per l’ora della persecuzione (cfr. Mc 13,11 e par.), quando lo Spirito sarà la loro vera difesa: parlando in loro e insegnando loro ciò che occorre dire. La medesima promessa troviamo nel Vangelo secondo Giovanni (cfr. Gv 14,26-27). Verrà il Parákletos(παράκλητος) un termine non di immediata comprensione, il cui significato è: «il chiamato accanto» come difensore, soccorritore e consolatore. Lo Spirito santificatore che Gesù, salito al Padre, invierà. Allora lo Spirito darà testimonianza a Gesù, così come faranno i discepoli stessi, che sono stati con lui fin dall’inizio della sua missione. Questa è la funzione decisiva dello Spirito Santo che, come fu «compagno inseparabile di Gesù» (Basilio di Cesarea), dopo che Gesù lo ha inviato dalla sua gloria presso il Padre, diventa il compagno inseparabile di ogni cristiano.
Egli è quell’alito di Dio che Gesù soffia sui discepoli dopo la risurrezione e la vita stessa di Dio che è anche di Gesù diventa vita nei discepoli e li abilita ad essere testimoni suoi. Si produrrà una sinergia fra la testimonianza dello Spirito e quella dei discepoli. E questo riguardo al Cristo. Anche quando gli uomini sentiranno estranei i cristiani, nelle persecuzioni o nelle ostilità subite da parte del mondo, nella potenza dello Spirito i cristiani continueranno a rendere testimonianza a Gesù.
La Pentecoste allora è la pienezza della Pasqua. Con essa la Chiesa celebrando il dono dello Spirito, per un verso ricorda ciò che Dio ha già operato in Gesù di Nazaret e dall’altro invoca ciò che non ancora è, ovvero l’estensione universale e cosmica delle energie di vita e salvezza dispiegate da Dio stesso nella resurrezione di Gesù. La Pentecoste è simultaneamente celebrazione e invocazione. La prima lettura dell’odierna Solennità (At 2,1-11) mostra lo Spirito nel suo aspetto di dono dall’alto che rende i discepoli capaci di comunicare le grandi azioni di Dio nelle lingue degli uomini. È un’apertura ai linguaggi e alle capacità comunicative dell’altro. Lo Spirito è così all’origine di una missione che sia al contempo di inculturazione, per raggiungere l’altro là dove egli è; e di corrispettiva deculturazione, per non annunciare come Vangelo ciò che è semplicemente cultura. Così come dice la Scrittura:
«Lo spirito del Signore riempie l’universo e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce» (cfr. Sap, 1,7).
La seconda lettura presenta i frutti dello Spirito. Egli che è invisibile si rende riconoscibile dai frutti che produce nell’uomo se accoglie la sua presenza. Lo Spirito con la sua «inabitazione» fa passare l’uomo dall’essere una individualità chiusa e autoreferenziale, a questo allude Paolo parlando di «soddisfare i desideri della carne» (Gal 5, 16-21); ad essere aperto alla relazione con gli altri e con Dio. Paolo afferma: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé… Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5, 22.25). Così lo Spirito plasma il volto del credente a immagine del volto di Cristo guidandolo sulla strada della santità: frutto dello Spirito è l’uomo santo.
Nella seconda parte dell’odierno brano evangelico Gesù dice ancora alcune parole su questo soffio divino che è lo Spirito. Egli è consapevole di essere il rivelatore del Padre secondo quanto affermato dal prologo giovanneo: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (cfr. exeghésatodi Gv 1,18, dal greco ἐξηγητής). Lo ha fatto con eventi e parole e soprattutto amando i suoi fino alla fine (cfr. Gv 13,1), ma sa anche che avrebbe potuto dire molte cose in più. Gesù ci avvisa che esiste una progressiva iniziazione alla conoscenza di Dio, una crescita in questa stessa conoscenza, che non può essere data una volta per tutte. In questo modo il discepolo impara a conoscere il Signore ogni giorno della sua vita, «di inizio in inizio, per inizi che non hanno mai fine» (cfr. Gregorio di Nissa). La vita del discepolo si apre ad una comprensione sempre più grande e tutto ciò che una persona vive, grazie all’azione dello Spirito Santo, acquista un senso nuovo in Dio. Ognuno di noi lo sperimenta; più andiamo avanti nella vita personale e nella risposta alla chiamata del Signore nella storia, più lo conosciamo: «Nell’illuminazione dello Spirito, noi vedremo la vera luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo» (cfr. San Basilio).
«Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8), non cambia, ma lo Spirito ci guiderà alla verità tutta intera. Questi, inviato ai discepoli, ricorda loro le sue parole (cfr. Gv 14,26), le approfondisce e nuovi eventi e realtà sono illuminati e compresi proprio grazie alla presenza dello Spirito Santo. A Cristo non succede lo Spirito Santo, all’età del Figlio non segue quella dello Spirito, perché lo Spirito che procede dal Padre è anche lo Spirito del Figlio: «Tutto quello che il Padre possiede è mio». Dove c’è Cristo c’è lo Spirito e dove c’è lo Spirito c’è Cristo. Egli è la fonte perenne dello Spirito che mai si esaurisce e sempre rinnova la Chiesa, come lo stesso Giovanni ci ricorda: «Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (Gv 7, 37-39).
Per questo la Chiesa continuamente invoca quest’acqua, lo Spirito del Padre e del Figlio, che è anche alito di vita sempre creante, secondo le parole del Salmo: «Manda il tuo Spirito, tutto sarà creato e rinnoverai la faccia della terra» (Sal 104, 30).
Dall’Eremo, 19 maggio 2024
.
Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)
.
Visitate la pagina del nostro negozio librario QUI e sostenete le nostre edizioni acquistando e diffondendo i nostri libri.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/06/monaco-eremita-piccolo-.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150monaco eremitahttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngmonaco eremita2024-05-19 12:24:552024-05-19 18:06:34La Pentecoste del «chiamato accanto» come difensore, soccorritore e consolatore
LE DISASTROSE NOMINE EPISCOPALI DI UNA CHIESA CHE SPREZZA E DISTRUGGE IL TALENTO PER FAR PREVALERE L’IDEOLOGIA
Nel 1960, mentre negli Stati Uniti d’America c’era la segregazione razziale tra bianchi e neri, abolita solo 4 anni dopo dal Civil Rights Act, a Roma, il tanzaniano Laurean Rugambwa, neoeletto cardinale, vestito di rosso porpora con ermellino e cappa magna riceveva il baciamano a ginocchio flesso da parte dei membri della più antica nobiltà pontificia. Conosce il Santo Padre Francesco queste edificanti perle di storia legate a una curia romana che bacia la mano a un cardinale negro mentre negli Stati Uniti i negri non potevano neppure salire sui mezzi pubblici?
Prendere parroci di consolidata esperienza e promuoverli all’episcopato non sarebbe di per sé cosa sbagliata, perché ciò di cui hanno vitale bisogno le numerose piccole, ma anche medie diocesi italiane è la figura di un vescovo con esperienza pastorale, che sappia trattare coi suoi presbiteri e accogliere e guidare la porzione di gregge del Popolo di Dio a lui affidato. Essere però parroco, o esserlo stato, non è affatto una garanzia, perché al vescovo è richiesta una particolare completezza che pochi parroci hanno, specie quelli che per giungere all’episcopato sono riuscito a cucirsi addosso il “fortunato” curriculum di «prete di frontiera» o «di periferia», imprescindibile e determinante sotto questo pontificato. Il Vescovo deve anzitutto saper governare i propri presbiteri con autorità e autorevolezza, confermandoli giorno dietro giorno nella fede (cfr. Lc 22, 31-34) quindi guidare in modo deciso e credibile il Popolo di Dio.
il Cardinale Laurean Rugambwa, foto d’archivio, Città del Vaticano,1960
I vescovi devono rifuggire dagli atteggiamenti degli smidollati che per accontentare tutti e non scontentare nessuno creano situazioni di paralisi auto-distruttiva, perché di fatto non governano la loro Chiesa particolare e lasciano che a governarla siano le prepotenze, i litigi e gli arbitrî dei preti divisi tra loro, dove a prevalere è solo l’arroganza dei più forti che nel tempo si sono piazzati nei posti giusti dopo aver collezionato le peggiori armi di ricatto. Preti che in certe diocesi, pur rappresentando un esiguo numero di tre o quattro elementi, hanno messo sotto scacco e ridotto al silenzio tre o quattro vescovi uno appresso all’altro, dopo aver fatto loro capire che avevano in mano strumenti di ricatto sia sul versante morale sia sul versante economico per far saltare in aria una diocesi intera, con tutte le implicazioni di carattere penale nel caso in cui certe notizie fossero giunte alle competenti autorità giudiziarie civili e penali. E non pochi vescovi italiani, in situazioni di questo tipo, sono rimasti col loro bel pastorale in mano usato unicamente come gingillo liturgico a fare di fatto niente, o meglio sì, a fare solo le comparse sulla scena del teatrino.
Il vescovo deve essere un maestro di dottrina. E qui si noti che non ho detto un teologo sopraffino, ma un maestro di dottrina, capace d’insegnare e imporre all’occorrenza il rispetto del Magistero della Chiesa qual supremo custode nella sua Chiesa particolare del depositum fidei. Considerate però le omelie registrate che sono state pronunciate sia per il loro insediamento in cattedra sia durante i primi atti di ministero episcopale da parte di diversi di questi vescovi provenienti da parrocchie-esistenziali-periferiche, la dottrina di diversi di loro non è poi così entusiasmante; e quando non si conosce bene e a fondo il depositum fidei, tutelarlo non è facile, anche se naturalmente nessuno pone limiti alla grazia dello Spirito Santo, che però è bene non sfidare sino ai livelli di certe infelici nomine.
Il vescovo deve essere anche un conoscitore di diritto e avere un naturale senso spiccato della giustizia. E qui si noti: non ho detto che debba essere un sopraffino dottore in diritto canonico ma una persona dotata del senso del diritto, perché se non lo è, scivolerà facilmente nel libero arbitrio, fabbrica di tutte le peggiori ingiustizie. Anche in questo caso, molte delle nuove leve, lasciano parecchio a desiderare pure in tal senso, pur essendo stati parroci periferico-esistenziali per tanti anni ed essersi presentati come paladini della Chiesa povera per i poveri che guarda ai profughi e ai Rom.
Il vescovo è sommo liturgo e dall’Eucaristia che celebra dipende la validità di tutte le Eucaristie celebrate nella sua Chiesa particolare. E anche in questo caso è bene sorvolare sul modo sciatto e approssimativo col quale taluni vescovi provenienti daparrocchie-esistenziali-periferiche, vere o presunte, sono stati ripresi per anni e anni da numerosi cineoperatori mentre celebravano liturgie sulle quali è bene stendere un velo pietoso.
Sia le mode, sia il conformismo, portano per vie diverse ma parallele tutte e due allo stesso disastro. Infatti, prima della moda conformista dei vescovi-parroci-periferico-esistenziali, abbiamo vissuto sia la moda dei vescovi-curiali con Giovanni Paolo II sia la moda dei vescovi-professori con Benedetto XVI. Questi secondi, perlopiù legati all’ultimo scorcio di pontificato di Giovanni Paolo II e al successivo pontificato di Benedetto XVI, che rendendosi conto di quanto all’interno della Chiesa il fermento degli errori dottrinari o delle eresie avesse fatto lievitare giganteschi panettoni, per porvi rimedio, anziché chiudere le fabbriche di panettoni, invece di togliere a certe pontificie università e pontifici atenei il titolo “pontificio”, si comincia a far nominare vescovi dei professori di teologia più o meno illustri, spesso proprio provenienti da queste stesse fabbriche di eresie, all’interno delle quali erano loro stessi i primi e più perniciosi diffusori. Purtroppo questi professori, alcuni dei quali teologi veri altri dei puri palloni gonfiati, nel corso del tempo hanno seminato in giro per le diocesi tanti e tali danni che in molti casi occorreranno decenni prima che vi si possa porre rimedio, specie quando questi gravi danni sono correlati alle ordinazioni sacerdotali di non pochi soggetti sbagliati che come tali non avrebbero mai dovuto diventare preti.
I problemi non si risolvono passando da una moda all’altra, lo ha già fatto la politica. O forse la Chiesa vuol ripetere gli errori dei politici? Qualcuno ricorda i tempi in cui dinanzi alla politica caduta ai minimi storici di credibilità, i partiti politici italiani tentarono di allettare gli elettori candidando attori, cantanti e calciatori nelle liste elettorali? A dire il vero fu candidata ed eletta anche una celebre pornostar. Vogliamo ripetere questi stessi errori nella Chiesa, pornostar incluse?
Il problema non è che per divenire vescovi sia necessario essere stati parroci, o professori di teologia, o addetti a mansioni di curia. Non è infatti il ruolo che rende santo l’uomo, ma l’uomo che santifica il ruolo che è stato chiamato a ricoprire. Un buon vescovo può uscir fuori da un parroco di periferia come da un luminare della teologia, da un addetto al servizio diplomatico come da un presbitero che ha servito la Chiesa in un ospedale specializzato nella cura di malati terminali, da un missionario che ha trascorso molti anni della sua vita nei villaggi più poveri del Congo come da un ricercatore che gran parte della sua vita l’ha trascorsa dentro gli archivi e le biblioteche storiche, perché è l’uomo che fa il buon vescovo, non lo specifico incarico ch’egli ha ricoperto. Contrariamente si rischia di ragionare e di assegnare episcopati sulla base di stereotipi ideologici, con i risultati desolanti che finiscono poi per brillare alla luce del sole oggi.
Parlando del dramma degli auto-candidati e della mafia clericale che li promuove, in un mio libro pubblicato agli inizi del 2011[1], parlando dell’episcopato e della nostra naturale vocazione alla santità, scritta nell’acqua del nostro battesimo, affermai che spetta alla Chiesa stabilire in che modo i consacrati nei tre gradi del Sacramento dell’Ordine debbano svolgere e prestare i propri grati e preziosi servizi; presupposto questo che sta a fondamento della natura del Sacramento dell’Ordine. È inammissibile che dei sacerdoti si propongano come candidati all’episcopato o che dei vescovi si propongano per delle grandi sedi metropolitane, per uffici della curia romana o per il titolo onorifico cardinalizio. Chiunque, in modo diretto o indiretto lo facesse, dovrebbe essere di rigore escluso da ogni possibilità di promozione. Nessuno è infatti promosso e consacrato vescovo per proprio prestigio personale ma per essere un servo fedele e devoto a servizio della Chiesa particolare a lui affidata, sempre tenendo a mente che Dio si è incarnato in Gesù non per essere servito ma per servire (cfr. Mt 20,28). Dovremmo pertanto lavorare per giungere un giorno a un importante risultato: un clero cattolico formato da sacerdoti secolari e regolari perfettamente consapevoli che essere vescovo di una grande e importante diocesi o essere parroco di una piccola parrocchia di campagna è ugualmente dignitoso e importante per la Chiesa, in seno alla quale il vescovo della grande diocesi e il parroco della piccola chiesa di campagna offrono ambedue un servizio indispensabile, accomunati dalla loro medesima natura di servi.
Nella Chiesa esiste la preziosa figura ispiratrice e l’alto esempio del Santo Vescovo Carlo Borromeo, ma esiste altrettanta preziosa figura ispiratrice di non minore e alto esempio: Giovanni Maria Vianney, eletto non a caso patrono dei sacerdoti. Nessuna mente savia avrebbe mai inviato Carlo Borromeo come parroco ad Ars e Giovanni Maria Vianneycome vescovo a Milano; ma è appunto la Chiesa la unica, la sola a stabilire chi deve diventare vescovo di Milano e chi curato di Ars, per sviluppare al meglio la sua naturale vocazione alla santità e per preservare e salvare la fede nel Popolo di Dio.
Quando al buon senso subentrano però le mode o le strategie di mercato giocate su veri e propri slogan pubblicitari, il rischio che si corre è di mettere Giovanni Maria Vianney a fare il Vescovo di Milano e Carlo Borromeo a fare il curato ad Ars, con un triste risultato conseguente: né l’uno né l’altro diverranno santi. Il primo, non diventerà santo perché risulterà un soggetto inadeguato poiché non all’altezza di fare il Vescovo di Milano; il secondo, non diventerà santo perché risulterà un soggetto inadeguato poiché non all’altezza di fare il curato ad Ars, ed entrambi semineranno danni a non finire.
Nello stato in cui ci troviamo, è inutile cercare piccole, futili e clericali strategie, oggi mirate alla sfornata dei professori e dei curiali, domani a quella dei parroci che hanno preso in qualche modo su di sé – realmente o per abile burla – l’odore dei poveri e di quelle periferie esistenziali che sembrano andare oggi di moda. Ciascuna di queste scelte sono solo palliativi che portano al totale fallimento. Ciò che infatti pare non entrare dentro le teste sempre più piccole di certi ecclesiastici, è che per giungere a essere veramente perfetti nell’unità (cfr. Gv 17, 23) bisogna procedere all’occorrenza anche con divisioni drammatiche, memori che Cristo Signore è venuto anche per portare la spada e la guerra, non solo la pace intesa alla maniera degli onirici pacifisti ideologici (cfr. Mt 10,34), memori che prima o poi, al momento opportuno, il grano dovrà essere separato dalla gramigna, quando si avrà la certezza che per strappare la gramigna non sia sacrificata neppure una spiga di grano. Ciò non vuol dire: aumentiamo la gramigna affinché soffochi definitivamente il buon grano, come di questi tempi stiamo invece facendo (cfr. Mt 13, 24-30).
Le odierne mode impediscono a delle aquile reali di accedere a uffici ecclesiastici dove potrebbero rendere ottimi servizi alla Chiesa. Perché le mode sono sempre nocive, di qualunque genere esse siano, inclusa la ricerca odierna di parroci con trascorsi veri o presunti tra le Caritas, le baraccopoli e i campi Rom, perché ciò vuol dire che al presente, un uomo di Dio della straordinaria completezza umana, morale, teologica, giuridica e pastorale come Rafael Merry del Val, non solo non sarebbe mai divenuto cardinale, ma neppure vescovo e forse neppure prete, perché solo il suono del suo cognome farebbe storcere molti nasi che fingono di voler sentire unicamente l’odore delle pecore da prendere su se stessi, senza aver affatto capito quello che il Santo Padre Francesco voleva dire e trasmettere ai pastori in cura d’anime affermando di essere pastori con addosso l’odore delle pecore (cfr. QUI). Né mai avrebbe fatta alcuna strada un uomo come Giovanni Battista Montini, reo di provenire da una famiglia della vecchia e ricca borghesia lombarda[2]. Non indugiamo poi sulle infelici sorti che nella Chiesa modaioladi oggi sarebbero toccate a un soggetto come Eugenio Pacelli, sul quale meglio soprassedere per passare direttamente ad Angelo Giuseppe Roncalli, ma a quello vero, non al santino da iconografia popolare. Oggi come oggi, il futuro San Giovanni XXIII, giunto all’apice della carriera diplomatica come nunzio apostolico a Parigi, sarebbe mai diventato Patriarca di Venezia ― per di più ultra settantenne ―, dopo avere trascorso tutta la sua vita nel servizio diplomatico della Santa Sede? Certo che no, perché se fossero state applicate le logiche modaioleodierne sarebbe stato cercato sicuramente un parroco di qualche provincia veneta che tra il 1945 e il 1950 aveva arricchito il proprio curriculum dopo essersi dedicato ai profughi e agli orfani di guerra o per avere servito pasti ai senzatetto rimasti privi di casa dopo i bombardamenti degli Alleati sull’Italia.
Se presso certe sedi vescovili sono inviati di prassi vescovi che hanno già maturato esperienze pastorali in altre diocesi dove hanno data buona prova di governo, ci sarà un motivo, o no? Se alcune sedi arcivescovili italiane sono da secoli anche sedi cardinalizie, è perché vi sono antiche tradizioni legate alla storia e ai passati regni e principati della penisola italica; da questo si è consolidata una consuetudine che non è detto debba essere mantenuta. Regole e consuetudini possono essere infatti cambiate e, per farlo, Pietro non deve chiedere il permesso a nessuno. Al limite, se vuole, o se è dotato della necessaria umiltà per farlo, può chiedere consiglio a chi certi meccanismi storici ed ecclesiali può conoscerli anche meglio di lui; ma lui solo, rimane munito della piena potestasper agire come reputa più opportuno. Che quindi l’attuale Patriarca di Venezia non sia stato creato cardinale, forse al diretto interessato non interessa nulla, ma ai veneziani abituati ad avere da secoli un patriarca insignito anche del titolo onorifico cardinalizio interessa molto, tanto che questa mancata berretta rossa l’hanno vissuta come una umiliazione, alcuni persino come un affronto personale.
Capisco che il Santo Padre s’è dichiarato proveniente «dall’altra parte del mondo», ciò non vuol dire però cimentarsi nel fare stravaganze dell’altro mondo, perché è pacifico che alla Chiesa italiana, ai suoi vescovi e al suo clero, ma soprattutto alla sua storia bimillenaria, è dovuto perlomeno lo stesso rispetto che il Santo Padre mostra di avere per i profughi veri o presunti che sbarcano per una media talvolta di 700/800 al giorno in un Paese — il nostro — non in grado di contenere e assistere una tale fiumana di gente, perché stiamo parlando di circa 400.000/ 500.000 persone all’anno che giungono su un territorio ― quello italiano ― che non è certo esteso come l’Argentina.
Alla Chiesa italiana e alla sua storia è dovuto perlomeno lo stesso rispetto che il Santo Padre ha per gli abitanti dei campi Rom, i cui addetti all’industria dell’accattonaggio bestemmiano Cristo e tutti i santi lungo Via della Conciliazione, davanti alla Papale arcibasilica di San Pietro, dietro a chi osa non dargli soldi. Non è bello né buono, neppure per un Romano Pontefice, seppure avvolto da un’aura “liberista” alla quale credono solo coloro che dentro le chiese non ci entrano neppure per Natale e per Pasqua, lasciare intendere: “Io sono io e faccio quello che voglio”. Per noi è indubbio che tu sei Pietro, per i tuoi amici luterani o pentecostali non so’, ma per noi sì, tu sei Pietro. Pertanto, prima stabilisci regole precise, hai piena potestà per farlo. Prima abolisci usi e consuetudini, poi ti nomini cardinale chi vuoi e quando vuoi, evitando che una fetta di tuoi fedeli, che per secoli hanno avuto a capo della loro diocesi un vescovo sempre creato di prassi cardinale, debbano chiedersi che cosa hanno fatto di male alla Chiesa e al Santo Padre per ricevere da lui un simile schiaffo.
La Chiesa ha bisogno della propria saldezza e della propria stabilità, alla quale concorrono in parte anche tradizioni e consuetudini del tutto accidentali e contingenti che come tali sono mutevoli e possono essere abolite in qualsiasi momento dal Supremo Pastore. Credo però che la persona meno indicata per fare il pericoloso gioco alla destabilizzazione senza prima avere stabilito regole, sia il Successore del Principe degli Apostoli, anche perché prima o poi, il Popolo di Dio, che mai è stato scemo nell’intero corso della storia della salvezza, potrebbe cominciare a chiedersi: a qual pro’ tutto questo, ma soprattutto, a qual prezzo dobbiamo pagare le eccentriche gesta di questo soggetto che pare affetto da gran sete di originalità? E stando almeno alle nostre chiese sempre più vuote, più che dinanzi a fedeli che si pongono certe domande, siamo dinanzi a un esercito sempre più numeroso di fedeli a tal punto disamorati da non ritenere utile porsi neppure domande preferiscono disertare o abbandonare direttamente le chiese.
La Chiesa non può rinunciare a essere madre e maestra al di là del tempo, delle mode e delle ideologie, perché la grandezza della Chiesa è sempre stata quella di essere proprio madre e maestra. E una buona maestra, che è pure madre, anzitutto educa. Questo il motivo per il quale questa straordinaria madre che costituisce un corpo di cui capo è Cristo (cfr. Col 1, 18) non ha mai fatto distinzione di ceto, razza e nazione. Conosciamo tutti i difetti della nostra Chiesa, santa e peccatrice secondo l’antica definizione ambrosiana. Difetti storici che il sottoscritto conosce quanto basta per averli più volte stimmatizzati in ossequio al saggio monito del Sommo Pontefice Leone XIII che affermò:
«Lo storico della Chiesa metterà con maggior vigore in risalto la sua origine divina quanto più sarà stato leale nel non dissimulare minimamente le prove che le colpe dei suoi figli e qualche volta dei suoi stessi ministri hanno fatto subire a questa sposa di Cristo» (Discorso agli accademici di Francia, 8 settembre 1899).
Questa madre e maestra, al tempo stesso santa e peccatrice, persino nelle sue epoche più controverse e contrastate ha visto salire ai propri cosiddetti vertici numerosi uomini provenienti da famiglie molto semplici e modeste. Persino nelle sue epoche più controverse e contrastate riusciva a individuare il talento, anzi: lo ricercava proprio. Chi oggi afferma, con spirito tanto romanofobico quanto anti-storico, che sino a non molto tempo fa, per divenire vescovi e cardinali bisognava chiamarsi Borghese, Orsini, Colonna, Odescalchi, Chigi, Medici, Sforza … sbaglia e mente, o meglio non conosce proprio la storia della Chiesa. Le cronologie dei vescovi che si sono succeduti nelle nostre numerose diocesi italiane, annoverano molti nomi di uomini provenienti da famiglie poverissime, entrati nei seminari con i corredi donati loro da un povero parroco di campagna che aveva raccolto offerte tra fedeli altrettanto poveri.
Non si dimentichi che a succedere al Cardinale Rafael Merry del Val, che era un concentrato di sangue delle più antiche famiglie nobili d’Europa, fu il Cardinale Pietro Gasparri, che fu segretario di Stato sotto Benedetto XV e Pio XI, nonché firmatario dei Patti Lateranensi che posero fine alla lunga Questione Romana cominciata con la presa di Roma il 20 settembre 1870 e durata 59 lunghi anni sino al 1929. Pietro Gasparri, nato nelle Marche in un paesino di provincia, proveniva da una famiglia di contadini dediti alla pastorizia. Nella curia romana, dove neppure i Sommi Pontefici sono mai stati esenti dall’attribuzione di un soprannome, era soprannominato, non a caso, er pecoraro. Pietro Gasparri fu un canonista di rara raffinatezza e determinante il suo contributo per la stesura del Codice di Diritto Canonico del 1917. Da modesta famiglia proveniva il Santo Pontefice Pio X, che pure volle accanto a sé nel ruolo di Segretario di Stato il Cardinale Rafael Merry del Val. Da famiglia povera nacque il Cardinale Alfredo Ottaviani, in quel di Trastevere, dove suo padre lavorava come operaio presso un fornaio. Il Cardinale Giuseppe Siriera figlio di un bidello e di una portinaia. Ci fermiamo a questi pochi esempi perché lunga sarebbe la lista di uomini i cui nomi sono oggi inseriti nella storia della Chiesa, affatto segnati dai cognomi delle più potenti famiglie principesche europee.
Cosa dire poi che nel 1960, mentre negli Stati Uniti d’America c’era la segregazione razziale tra bianchi e negri, abolita solo 4 anni dopo dal Civil Rights Act, a Roma, il tanzaniano Laurean Rugambwa, neoeletto cardinale, vestito di rosso porpora con ermellino e cappa magna riceveva il baciamano a ginocchio flesso da parte dei membri della più antica nobiltà pontificia. Conosce il Santo Padre Francesco queste edificanti perle di storia legate a una curia romana che bacia la mano a un cardinale negro mentre negli Stati Uniti i negri non potevano neppure salire sui mezzi pubblici? È informato, il Santo Padre Francesco, che il suo Sommo Predecessore Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini, nel 1741 non esitò a sfidare ― pur con tutti i rischi del caso ― le maggiori potenze europee, condannando senza appello la schiavitù e dichiarando illecita, pena l’immediata scomunica, la vendita e la riduzione degli indios in schiavitù? Condanna peraltro già erogata in precedenza dai suoi Sommi Predecessori Eugenio IV (1435), Paolo III (1537), Urbano VIII (1639), nessuno dei quali proveniva dalle «periferie esistenziali» né mai avevano svolto alcun apostolato nelle villas de las miserias.
Temo che da alcuni decenni si siano frantumati equilibri delicati e antichi e che oggi si sia giunti all’apoteosi. Mai infatti, nel passato, un Rafael Merry del Val ha impedito a un sacerdote di riconosciuto talento di sedere con lui negli scranni del Collegio Cardinalizio, poiché reo di provenire da modeste origini. Quel che però si dovrebbe temere oggi è che numerosi Pietro Gasparri e Alfredo Ottaviani totalmente privi del grande talento e della grande pietà che caratterizzò questi uomini di Dio, ma ricolmi in compenso di ambizioni alle quali mai potrebbero aspirare nel mondo civile, possano impedire a un Merry del Val di diventare vescovo e cardinale, perché «non corrispondente a quelli che oggi sono i criteri e gli stili pastorali» — da villas de las miserias — «del Santo Padre Francesco», con tutto l’immane danno che ne deriverebbe e che ne è già derivato alla Chiesa privata ormai da anni di tale fede, talento e rara intelligenza.
Oggi La Chiesa non è più capace a educare e valorizzare i preziosi talenti donati da Dio a certi suoi figli. Non so se qualcuno rifletterà su tutto questo, in una Chiesa non più capace a cogliere il talento, a educare e per logica conseguenza a cogliere il talento e a mutare in autentici principi i Gasparri e gli Ottaviani, facendo di loro dei principi per nulla meno principi di un principe di nascita come Merry del Val. Temo che in questi tristi tempi, dove tanti uomini di Chiesa paiono drogati dall’immediato e dal vivere giorno dietro giorno senza pensare al futuro e a costruire per il futuro, in pochi faranno di simili riflessioni. Quando infatti da una parte si fanno i golpe e dall’altra si cede alle mode, per prima cosa si perde la libertà dei figli di Dio e si cerca con le peggiori coercizioni e i peggiori arbitrî di obbligare anche gli altri alla perdita di questo prezioso dono di grazia. E una Chiesa non più libera che barcolla tra esperimenti fallimentari e mode altrettanto fallimentari è destinata al collasso, a partire dal suo cuore: il Collegio degli Apostoli, nel quale reclutare un mediocre dietro l’altro affinché trionfi il golpe della mediocrità al potere. Mai come oggi è infatti risuonato il falso e fuorviante monito rivolto da Giuda:
«[…] Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”» (Gv 12, 3-8).
Assieme al pretesto dei poveri rischiamo di avere anche un esercito di Giuda, ladri e traditori, nonché ruffiani, pronti a usare i poveri come falso metro di misura e come nuovo pretesto di promozione per il loro tornaconto personale, mossi sempre da quelle insopprimibili ambizioni originate dalla regina madre di tutti peccati capitali: la superbia, che da sempre acceca, impedendo di percepire correttamente il presente e di costruire santamente il futuro a lode e gloria di Dio.
dall’Isola di Patmos, 5 maggio 2024
.
NOTE
[1] Cfr. Ariel S. Levi di Gualdo, E Satana si fece trino, Iª ed. Roma 2011, ristampa, Roma 2019, Edizioni L’Isola di Patmos.
[2]Cfr. Ariel S. Levi di Gualdo, Digressioni di un prete liberale, circa il vero curicculum di Giovanni Battista Montini, pag 61 e ss.. Roma 2023, Edizioni L’Isola di Patmos.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2024-05-05 15:13:282024-05-05 18:03:15Le disastrose nomine episcopali di una Chiesa che sprezza e distrugge il talento per far prevalere l’ideologia
BIBBIA, OMOSESSUALI E TEOLOGIA. LA SOSTANZIALE DIFFERENZA TRA CHI SPECULA E DISCUTE E CHI VUOLE INTRODURRE UN PERICOLOSO CAVALLO DI TROIA DENTRO LA CHIESA
«Oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all’interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali» (Joseph Ratzinger, 1986)
L’omosessualità costituisce da sempre un argomento spinoso, genera discussioni e polarizzazioni destinate, come le famose rette parallele, a non incontrarsi mai. Per portare un esempio potrei citare il polverone sollevato l’anno scorso dalla pubblicazione di un libro scritto da un Generale dell’Esercito Italiano contenente posizioni sue decisamente nette su questo aspetto. Naturalmente l’omosessualità, nel corso degli anni, è stata un capitolo dibattuto anche nella Chiesa Cattolica, sempre di più; fuoriuscito dalla fugace menzione nei vecchi manuali di teologia morale è diventato argomento di pronunciamenti magisteriali, con documenti specifici dedicati, che denotano quanto il tema sia sentito nella società e nelle comunità cristiane che su questo si interrogano. Negli stessi documenti si colgono varie accezioni, aperture decise o timide e chiusure che possono anche essere ascritte alla sensibilità o posizione di quel rappresentante ecclesiastico o pontefice in carica in un particolare momento storico.
Il Concilio Vaticano II ha inoltre chiesto che alla Sacra Scrittura fosse ridata la venerazione che le spetta in quanto fonte della Rivelazione divina e a essa e alla Sacra Tradizione ha dedicato una delle quattro costituzioni dogmatiche uscite da quella assise, col nome di Dei Verbum. Da allora ogni pronunciamento magisteriale, ma si potrebbe dire ogni riflessione teologica o pastorale, ogni singolo atto della Chiesa non può prescindere dal riferimento alla Bibbia. Anche un argomento che parrebbe delicato come quello dell’omosessualità. Ora, ciò che a volte emerge in molti che vogliono riferirsi alla Bibbia parlando o scrivendo di questo argomento, è che difficilmente riescono ad accantonare la voglia di polarizzare o di uscire per forza vincitori dalle controversie, come già notavamo all’inizio di questo discorso. Così, la Sacra Scrittura, nei dibattiti o sugli scritti, cessa di essere quella fonte che alimenta per diventare un’arma brandita sia da chi condanna tout court l’omosessualità, sia da chi invece vorrebbe che la Chiesa chiedesse scusa agli omosessuali per le sue chiusure e per le sofferenze che a essi ha provocato. Come si può uscire da questo empasse? Penso, innanzitutto, riconoscendo il giusto valore della Sacra Scrittura che evidentemente non è un’arma da usare a proprio piacimento o prontuario e bugiardino da aprire a conforto delle proprie idee e posizioni nel mondo. Ho letto alcuni passaggi del voluminoso commentario uscito l’anno scorso col nome di Bibbia queer per i tipi delle edizioni Dehoniane (QUI), dove fra le altre cose, si paventa nei Vangeli una relazione omosessuale fra il centurione romano e il suo servo malato per il quale il primo chiede a Gesù la guarigione, solo perché l’Evangelista Luca dice che «gli era molto caro» (Lc 7, 1-10). La stessa interpretazione è stata rilanciata recentemente da un blog solitamente molto polemico verso l’attuale Pontefice e vertici della Chiesa, ma decisamente indulgente in tema di omosessualità, tanto da affermare in un articolo dedicato al rapporto fra questo argomento e la Sacra Scrittura che:
«Leggendo con attenzione questi testi, quindi, non c’è nulla contro l’omosessualità».
Davvero? Perché sfogliando i documenti del Magistero ecclesiastico, il Catechismo della Chiesa Cattolica per citare un esempio, e naturalmente quei siti o blog di orientamento per così dire più conservatore, sembra invece che per questi la Bibbia sia decisamente posizionata su un atteggiamento a sfavore dell’omosessualità.
Ciò che mi preme qui ricordare è come il Concilio ha voluto che la Bibbia fosse interpretata e di questo ne parla al nr. 12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum:
«Poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della Sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l’altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani. Dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede. È compito degli esegeti contribuire, seguendo queste norme, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, affinché mediante i loro studi, in qualche modo preparatori, maturi il giudizio della Chiesa».
Questo importante e per certi versi ancora non del tutto recepito passaggio della Dei Verbumci ricorda, nella sua prima parte, la qualità sacramentale, per così dire, della Sacra Scrittura. Poiché la Parola di Dio si presenta nella forma di scrittura umana che soggiace alle condizioni di tempo e di cultura degli scrittori e alla maniera originale di organizzare quel genio letterario che ogni autore biblico possiede. Come pure sottostà ai loro «modi di sentire, di esprimersi e di raccontare… che erano in uso nei rapporti umani». Nella seconda parte, invece, c’è un invito a uno scavo ulteriore che va nella direzione della ricerca del senso o significato più profondo della medesima Scrittura. Un senso spirituale, non a caso si menziona lo Spirito con la maiuscola, e teologico, in accordo con tutto il deposito della fede, per una intelligenza sempre più piena del testo e perché la Chiesa, in particolare quella parte di essa predisposta alla guida, possa proferire un giudizio sulle cose che interessano l’esperienza cristiana in accordo con la Parola di Dio e la sua tradizione. Alla luce di ciò si capisce che siamo davanti a un lavoro lungo e paziente, tutt’altra cosa che sfoderare la spada della Bibbia e brandirla per far valere, o peggio per imporre le proprie idee.
Tornando al nostro tema, è chiaro che il giudizio della Chiesa sull’omosessualità ha subito un progresso, come pure ha mantenuto ferme alcune considerazioni. Questo si può notare nei documenti, da Persona Humana del 1975 al recente Fiducia Supplicans del 2023, passando dalla Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali del 1986, emanati dalla Congregazione, ora Dicastero, per la dottrina della fede. Quest’ultimo documento è quello che più degli altri fa esplicito riferimento ai passi biblici che condannano l’omosessualità, li elenca tutti e su questa base e su quella della Tradizione e del Magistero, afferma quel documento che la Chiesa:
«Mantiene ferma la sua chiara posizione al riguardo, che non può essere modificata sotto la pressione della legislazione civile o della moda del momento» (nr. 9).
Poco prima il medesimo testo menzionava che:
«Oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all’interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali» (nr. 8).
Anche il più recente documento Fiducia supplicans si appoggia sulla Scrittura, la Tradizione e il Magistero, in particolare dell’ultimo Pontefice. Questi concede la possibilità di dare la benedizione sotto certe condizioni alle coppie irregolari e a quelle dello stesso sesso perché in questo modo:
«La Chiesa è così il sacramento dell’amore infinito di Dio. Perciò, anche quando il rapporto con Dio è offuscato dal peccato, si può sempre chiedere una benedizione, tendendo la mano a lui, come fece Pietro nella tempesta quando gridò a Gesù: “Signore, salvami!” (Mt 14, 30). Desiderare e ricevere una benedizione può essere il bene possibile in alcune situazioni» (nr. 43).
Senza dimenticare il Catechismo della Chiesa Cattolica, edito nel 1992, che riguardo le persone omosessuali afferma:
«L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati» (cfr. 2357). «Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione» (cfr. 2358). «Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana» (cfr.2359).
Che dire di tutto questo? Evidentemente non si tratta di visioni schizofreniche della medesima realtà. Piuttosto nei documenti suddetti c’è il desiderio di mantenere l’ancoramento alla Parola di Dio, vista proprio come fonte. È chiaro che i diversi estensori hanno voluto premere un certo tipo di registro invece che un altro. Così il documento più recente si è appoggiato sul magistero della misericordia, così caro a Papa Francesco e preferire brani biblici che sottolineano l’accoglienza di Dio invece che la condanna. È probabile che i testi più decisi nel condannare l’omosessualità siano stati interpretati alla luce di quel «senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso», di cui parlava il Concilio. Così alcune espressioni di San Paolo e già del Libro del Levitico che condannano i rapporti omosessuali per alcuni esegeti sono tali in quanto non esisteva «la nozione di omosessualità, ovvero la normale attrazione che può avere una persona verso un’altra dello stesso sesso, Paolo vedeva questo comportamento come una deviazione, basandosi su quello che riteneva fosse il «rapporto naturale». Le sue opinioni in materia hanno lo stesso valore di quando afferma che è «la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli» (1 Cor 11,14) (QUI). Così pure le prescrizioni antico testamentarie del Levitico, non sono in relazione alla sessualità, bensì alla procreazione, in quanto si contravveniva al comandamento divino «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,28) (QUI). Il testo biblico per eccellenza, poi, sul quale si basa ogni apertura verso la condizione omosessuale e, di recente, viene anche utilizzato per la richiesta dell’ordinazione femminile è il passo paolino della Lettera ai Galati:
«Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Testo variamente interpretato e qualche volta forzato a dire ciò che non vorrebbe proprio dire. Eppure tutti i documenti, sia quelli più chiusi, sia l’ultimo che presenta qualche apertura in merito alla benedizione delle coppie omosessuali, bisogna dirlo e accettarlo, non si dichiarano apertamente Gay-friendly, come si suol dire oggi; tutt’altro. Anche Fiducia supplicans, che parla di misericordia, non recede dalla dottrina tradizionale né desidera creare confusione fra l’unione matrimoniale e altri tipi di unione:
«Questa convinzione è fondata sulla perenne dottrina cattolica del matrimonio. Soltanto in questo contesto i rapporti sessuali trovano il loro senso naturale, adeguato e pienamente umano. La dottrina della Chiesa su questo punto resta ferma» (nr. 4).
C’è ancora un altro aspetto a cui bisogna accennare. Joseph Ratzinger che stese la succitata Lettera del 1986 parlava di fortissime pressioni, addirittura di manipolazione, per far sì che la Chiesa accettasse la condizione omosessuale. Il documento chiariva la posizione della Chiesa a riguardo. Eppure bisogna ammettere che in quel documento e negli altri l’atteggiamento della Chiesa verso gli omosessuali era già cambiato parecchio e questo, non si può negare, perché la sensibilità e l’opinione dei contemporanei a riguardo è profondamente mutata, a tutti i livelli. Così anche la Chiesa oggi deplora l’oppressione delle persone omosessuali, come espresso dal Catechismo della Chiesa Cattolica poc’anzi citato, quindi l’utilizzo di linguaggi e di azioni violente. Ci si appella alla «dignità propria di ogni persona». È sparito il termine sodomia e anziché di «contro natura» si parla piuttosto di tendenza, anche se non viene adottato quello di «orientamento» usato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le persone omosessuali sono cristiane come tutti gli altri e invitate a vivere la castità. Ecco, gli atti omosessuali non sono accettati, ma quel documento, nella parte finale, è tutto una promozione dell’accoglienza e della cura pastorale degli omosessuali a cui non sono negati i Sacramenti, alle debite condizioni.
Ma come sempre accade per i temi che interessano la vita cristiana i discorsi non sono mai chiusi, la riflessione continua. La stessa Letteradi Joseph Ratzinger invita i vescovi affinché sollecitino «la collaborazione di tutti i teologi cattolici» (nr. 17). Questo aspetto è probabilmente il più difficile, il più faticoso, quello che più ci manca e anche il più delicato come accennerò fra poco con un esempio. Ma anche quello di cui abbiamo più bisogno, proprio perché la Bibbia, per tornare al cuore del nostro discorso, non venga usata come prontuario. C’è un passaggio ulteriore e decisivo. Affinché le persone, immerse nella cultura contemporanea, possano apprezzare l’intelligenza della fede, occorre la continua fatica del ricomprendere ermeneuticamente il dato di fede e tradurlo in organizzazioni coerenti di pensiero. La Bibbia deve conservare la sua caratteristica di fonte, ma abbiamo bisogno della riflessione teologica per la quale la Sacra Scrittura, secondo una bellissima espressione della Dei Verbum, è come l’anima che la mantiene sempre giovane:
«La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla Parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le Sacre Scritture contengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente Parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l’anima della sacra teologia» (nr. 24).
Vengo all’esempio a cui volevo fare riferimento: i teologi e le teologhe conosciuti che hanno riflettuto sul tema dell’omosessualità appartengono quasi tutti all’area anglosassone, spesso con posizioni decisamente aperturiste in questo ambito. Eppure in Italia abbiamo avuto un teologo, un sacerdote, che ha molto riflettuto su questo argomento, ma pochi lo sanno. Mi riferisco al presbitero Gianni Baget Bozzo che tanti conoscono per la sua vocazione orbitante, ovvero capace di fare scelte e manifestare opinioni prima in un verso e poi al contrario. Incarnando in vita un personaggio controverso ora è quasi dimenticato, purtroppo. Ma secondo lui «in Dio i contrari non sono contraddittori» e «nulla vi è di più fascinoso per la fantasia umana che vedere contemporaneamente i due lati di una contraddizione»[1]. Ebbe come professore di religione a Genova Giuseppe Siri, futuro arcivescovo e cardinale della stessa città che l’ordinerà prete, lo vorrà professore di teologia in seminario, gli affiderà la rivista Renovatio, gli toglierà questi due incarichi e lo sospenderà a divinis. Ha cambiato idea su tutto, ma su un argomento egli non ha mai cambiato opinione: sugli omosessuali. I suoi interventi in merito, che datano dal 1976 fino al 2008, perché non cadessero nel dimenticatoio, sono stati raccolti dal vaticanista Luigi Accattoli in un libro intitolato: Per una teologia dell’omosessualità[2].
Si tratta di testi comparsi su giornali, riviste o interventi presso convegni nei quali rivendicò con tenacia, per oltre un trentennio, i diritti di chi vive nella condizione omosessuale. E da teologo incoraggiò i cristiani a ripensare la teologia della sessualità e a svolgere in essa il capitolo inedito dell’omosessualità. Con la sua straordinaria attitudine a parlare di Dio nella lingua della sua epoca si domandava e chiedeva quale sia l’intenzione divina riguardo all’esistenza degli omosessuali. Lo fece con argomenti acuti e citazioni dotte, a tal punto che alla fine dovette anche ripetere in più di una intervista che lui omosessuale non era. Difese gli omosessuali, ma anche la verginità e il celibato e non lesinò critiche al movimento gay, all’organizzazione dei Pride, in particolare quello dell’anno santo del 2000, anno del giubileo, che tanto fece scalpore nella città di Roma. Consigliò agli omosessuali di avere partner stabili, invece che variabili e accusò anche l’unione europea di usare i gaycome arma contro la Chiesa Cattolica. Considerò l’omoerotismo casto non incompatibile con la santità e scrisse cose come questa:
«L’omosessualità, in ogni caso, non potrà mai essere considerata dalla società come un modello. Non può esserlo innanzitutto per motivi biologici. Una società che sia biologicamente asettica è incompatibile con l’insegnamento di Cristo. Questo non va dimenticato. La Chiesa non può accettare la parificazione fra la condizione eterosessuale e quella omosessuale. Questo vale sul piano della morale sociale. Per intenderci, sul piano politico. Ma sul piano della morale individuale, il discorso è ancora aperto e sarà necessario affrontarlo» (Il Foglio, Giugno 2020).
Quel che voglio sottolineare qui non è tanto difendere le opinioni di Baget Bozzo, anche se fa piacere che non vengano dimenticate e che ci sia stato un intellettuale italiano che non ha avuto paura di esporsi in questo dibattito, ma che abbiamo bisogno di un tale sforzo culturale e teologico, di menti acute che ci aiutino a pensare sui temi difficili e quindi confrontarci anche con chi non la pensa come noi, ma con la stessa acribia. Le scorciatoie di chi prende la Bibbia e la legge come un prontuario medico lasciamole ai cari fondamentalisti di oltreoceano o a qualche blog di poca fortuna. La tradizione cattolica che non si è mai avvalsa di scorciatoie, men che meno le intellettuali, da sempre invita a pensare, dopo aver meditato sulla Sacra pagina, per dirla con Tommaso d’Aquino, che di essa era magister.
[1]Baget Bozzo G., Vocazione, Rizzoli, 1982, pg 68 e 142).
[2] Baget Bozzo G., Per una teologia dell’omosessualità, a cura di Luigi Accattoli, Ed. Luni, 2020.
.
Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)
.
Visitate la pagina del nostro negozio librario QUI e sostenete le nostre edizioni acquistando e diffondendo i nostri libri.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/06/monaco-eremita-piccolo-.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150monaco eremitahttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngmonaco eremita2024-05-03 21:11:322024-05-03 21:11:32Bibbia, omosessuali e teologia. La sostanziale differenza tra chi specula e discute e chi vuole introdurre un pericoloso cavallo di Troia dentro la Chiesa
Babamın ikinci evliliğini yapmasıyla birlikte üvey kız kardeşe sahip oldum porno indir Yeni kız kardeşim tembelin teki porno izle ne okula gidiyor ne ders çalışıyor seks hikaye Bulduğu her fırsatta okulu ekiyor bedava porno aile bireyleri bu yüzden ona çok kızıyor brazzers porno Bugün evde kimsecikler yokken bahçede biraz spor yapayım dedim sex hikayeleri Şans eseri kız kardeşimi gördüm okula gitmemiş odasında saklanıyor rokettube Ona bağırdım ve zorla okula gitmesini sağladım türk porno Evden çıktığı vakit bahçede sporuma başladım porno Kısa bir süre sonra telefonuma evdeki alarmın devre dışı kaldığına dair bildirim geldi ensest hikayeler Karşımda çıplak durması ve tahrik edici konuşmalarıyla beni sekse ikna etti.
Manage consent
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. These cookies ensure basic functionalities and security features of the website, anonymously.
Cookie
Durata
Descrizione
cookielawinfo-checkbox-analytics
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics".
cookielawinfo-checkbox-functional
11 months
The cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional".
cookielawinfo-checkbox-necessary
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary".
cookielawinfo-checkbox-others
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other.
cookielawinfo-checkbox-performance
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance".
viewed_cookie_policy
11 months
The cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data.
Functional cookies help to perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collect feedbacks, and other third-party features.
Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.
Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.
Advertisement cookies are used to provide visitors with relevant ads and marketing campaigns. These cookies track visitors across websites and collect information to provide customized ads.