Il Disegno di Legge Zan e l’importanza della presenza sui mezzi di comunicazione di sacerdoti e religiose competenti in grado di dare voce anche alla Chiesa e ai cattolici in un Paese che voglia essere veramente laico e pronto al dialogo

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Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

Non occorrerebbero presentazioni, che facciamo solo per dovere di cronacaSuor Anna Monia Alfieri, religiosa della Congregazione delle Suore Marcelline, giurista ed economista, è un volto noto al grande pubblico per la sua partecipazione come opinionista ed esperta dei problemi della scuola e della formazione al programma Mediaset Quarta Repubblica, condotto da Nicola Porro. Con il nostro Padre Ariel S. Levi di Gualdo, opinionista dalla fine del 2019 al programma Dritto e Rovescio e successivamente a Zona Bianca, entrambi hanno affrontato più volte, nei vari programmi televisivi, il problema del Disegno di Legge Zan, che se varato com’è stato redatto potrebbe ledere la libertà di opinione garantita dalla Carta Costituzionale e mettere un bavaglio all’insegnamento nelle scuole cattoliche. Suor Monia è intervenuta il 3 giugno 2021 presso la IIª Commissione del Senato della Repubblica per conto della USMI (Conferenze delle Superiore Maggiori Italiane degli Ordini e Congregazioni Religiose) e della CISM (Conferenza Italiana Superiori Maggiori degli Ordini e Congregazioni Religiose). Il 24 giugno, Suor Monia e Padre Ariel hanno anche risposto al rapper Fedez che per difendere questo Disegno di Legge ha rivolto un attacco falso e fuori luogo al Vaticano per mancato pagamento di tasse sugli immobili posseduti sul territorio italiano (!?). Successivamente è intervenuto anche il Presidente dell’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) S.E. Mons. Nunzio Galantino, che ha smentito ulteriormente notizie infondate fatte giungere da questo “noto intellettuale” a milioni di suoi followers. Già questo dovrebbe bastare per far comprendere ad alcuni dubbiosi la delicatezza di certi temi e la vitale importanza della presenza di sacerdoti e religiose preparati sul piano dottrinale e giuridico, in grado di comunicare attraverso i mezzi televisivi. In caso contrario si rischia di rimanere chiusi nel ghetto delle nostre sacrestie e delle nostre scuole paritarie cattoliche, fingendo di non vedere — semmai persino con pericoloso spirito di incurante superiorità — che una gran fetta di mondo ostile attorno a noi mal tollera la nostra stessa esistenza. Suor Monia e Padre Ariel non hanno mai mostrata contrarietà a questo Disegno di Legge, come mai è stata mostrata dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalla Santa Sede, di cui si sono fatti portavoce sui mezzi di comunicazione, chiarendo che è necessario rivedere questo testo affinché non si finisca col perseguire il reato di opinione [vedere ultimo intervento del 24 giugno, dal minuto 01.38]. Riportiamo di seguito il testo delle audizioni in videoconferenza con l’intervento di Suor Monia nell’ambito dell’esame dei disegni di legge n. 2005 e 2205 sul contrasto della discriminazione o violenza per sesso, genere o disabilità.

 

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— Attualità ecclesiale  —

IL DISEGNO DI LEGGE ZAN E L’IMPORTANZA DELLA PRESENZA SUI MEZZI DI COMUNICAZIONE DI SACERDOTI E RELIGIOSE COMPETENTI IN GRADO DI DARE VOCE ANCHE ALLA CHIESA E AI CATTOLICI IN UN PAESE CHE VOGLIA ESSERE VERAMENTE LAICO E PRONTO AL DIALOGO

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I rischi di ricorrere alla “cultura di massa” e alla “punizione” per creare un pensiero unico sono i due principali limiti che ci impongono almeno una rivisitazione del Disegno di Legge Zan, affinché sia per davvero indirizzato a contrastare la discriminazione e non ad acuirla con nuove figure. Se però il Disegno di Legge recupera uno sviluppo armonico, allora potrà, forse, essere una legge positiva, indirizzata a lanciare ponti di integrazione; altrimenti resta il ragionevole dubbio che altri siano gli interessi che muovono il legislatore

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Anna Monia Alfieri, I.M.

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Anna Monia Alfieri negli studi Mediaset al programma Quarta Repubblica condotto da Nicola Porro

Oggetto di grandi discussioni e dibattiti in questi giorni è il Disegno di Legge Zan, il cui contenuto, in tutta onestà, andando a fondo, non mi pare convincente. Certamente è doveroso contrastare qualsiasi forma di discriminazione, nel rispetto della dignità umana e del principio di uguaglianza, a presidio del quale non mancano certo adeguate protezioni giuridiche nel nostro ordinamento, anche penale. Credo, tuttavia, che questo Disegno vada nella direzione opposta. Se, nell’intendimento del legislatore, ci fosse solo la tutela della persona, sarebbe sufficiente (aggiungo doveroso) applicare la normativa esistente fissata dalla Costituzione della Repubblica Italiana all’art. 3, quindi all’art. 604 bis e 61 del Codice penale.

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Non esiste, pertanto, una lacuna normativa da colmare, in quanto il nostro ordinamento tutela già la vita, l’onore, l’incolumità delle persone, senza distinzione di sesso, religione, lingua, razza e via a seguire. Non ultimo, è prevista l’aggravante per aver agito per motivi abietti e futili. Si ha per ciò la sensazione che, siccome è complicato intervenire con la certezza della pena e sull’impunità, come sulla formazione dei giovani alla non discriminazione, si tenda a moltiplicare la normativa e la conseguente confusione. La normativa, non dovendo colmare alcun vuoto, crea necessariamente confusione, data da un inutile proliferare delle tipologie di reato da perseguire, che andrà chiarita dalla magistratura. Tale situazione accresce in modo abnorme il raggio di azione del potere giudiziario e inquirente. Siamo tutti consapevoli della necessità di rivedere la riforma della giustizia proprio alla luce degli ultimi eventi di cronaca.

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Anna Monia Alfieri negli studi Mediaset al programma Quarta Repubblica condotto da Nicola Porro

Evidentemente è nelle pieghe del dettaglio che si insinua la discriminazione. Infatti, quando la legge precisa con eccesso di tutela, in realtà discrimina, introducendo categorie. Io stessa avverto un certo disagio di fronte a una legge che mi tutela per via dell’abito che indosso: chiunque discrimina una religiosa, in quanto tale, viene punito con un’aggravante. Mi chiedo: a motivo della mia scelta di vita, debbo essere inserita in una sorta di “categoria protetta”? Chi è fiero della propria diversità la vive nell’ordinarietà, nella normalità. Nessuna legge potrà mai sostituirsi al rispetto, all’integrazione, alla capacità di prossimità. Imporre il rispetto significa il fallimento della civiltà. Ecco in sintesi descritte le prime due ragioni che mi vedono contraria.

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Vengo alla terza motivazione che svela il vero intendimento della legge. La proposta di legge, creando una “categoria protetta”, apre la strada ad una nuova visione antropologica di persona issata ad anonimo sistema. La confusione viene coperta con la legge e il pensiero dominante viene diffuso a tappeto dalle scuole: qualsiasi rigurgito di buon senso viene trasformato in reato.

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Anna Monia Alfieri negli studi Mediaset al programma Quarta Repubblica condotto da Nicola Porro

L’identità di genere ― chiariamolo ― è ben lungi dall’essere connessa con la condivisibile condanna della omofobia, è tutt’altro capitolo che non fa rima con garanzia, tutela, bensì con indottrinamento, pensiero unico, probabilmente per assicurare guadagni certi e diffusi a qualche circuito. Ed è qui che si inseriscono i tre grossi diritti contrastati e mortificati dal Disegno di Legge Zan, che così come è scritto limita di fatto la libertà di pensiero e di espressione. Perché tutelare una libertà (cfr. art. 4 Disegno di Legge Zan) mettendola allo scontro con la “libertà di pensiero” riconosciuta all’art 21 della Costituzione, evidentemente non è solo un errore legislativo, ma un passo assai pericoloso per l’ordine costituzionale dello Stato laico e di diritto. Recita infatti l’Art. 4 di questo Disegno a riguardo del “Pluralismo delle idee e libertà delle scelte”:

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«Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime ri­conducibili al pluralismo delle idee o alla li­bertà delle scelte, purché non idonee a de­terminare il concreto pericolo del compi­mento di atti discriminatori o violenti».

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E qui non si capisce come «le condotte legittime» possano condurre agli «atti discriminatori». Delle due l’una: o le condotte non sono legittime, o gli atti non sono discriminatori. È evidente come l’art 4 vada nella direzione opposta alla libertà di espressione e svuoti cosi l’art. 21 della Costituzione che recita:

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«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

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Anna Monia Alfieri negli studi Mediaset al programma Quarta Repubblica condotto da Nicola Porro

Un secondo ordine di problemi sempre su questo passaggio è: cosa e chi definisce il concreto pericolo? Una modalità di espressione cosi vaga e contraddittoria che evidentemente crea non solo un vuoto ma apre una voragine legislativa e quindi di orientamento per il singolo. Nei reati di pericolo concreto il pericolo è elemento costitutivo della norma e spetta al magistrato inquirente, alle Procure accertare in concreto se il bene giuridico protetto sia stato messo in pericolo. Quindi si allarga in modo pericoloso la discrezionalità del giudice e si spalanca la inquietante stagione della delazione come facile strumento per opporsi a un diverso pensiero sull’uomo.

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Non basta una legge per non discriminare, perché non ci sarà mai una legge che potrà colmare non il vuoto normativo – che peraltro non c’è – ma quello di pensiero che a volte si rivela una voragine. La parità di genere domanda l’utilizzo del diritto che c’è, della magistratura che deve funzionare e soprattutto di una cultura che è ben altro rispetto all’indottrinamento e alla formazione di massa.

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All’art 7 il Disegno di Legge Zan limita la libertà di scelta educativa dei genitori prevista all’art. 30 della Costituzione. E qui ricordiamo che l’educazione dei figli è responsabilità primaria dei genitori e che nessuno, la scuola, la Chiesa, lo Stato possono sostituirsi a loro. Introdurre nella scuola temi fortemente divisivi, ideologici e per di più attinenti alla sfera dell’identità sessuale e dell’educazione all’affettività ha certamente effetti negativi. Primo fra tutti quello di dividere. Poi, se a questo si aggiunge la considerazione che il Disegno di Legge Zan prevede condotte non chiaramente definite (cfr. anche uso di termini non chiari che possono essere sanzionati penalmente), il timore aumenta.

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Anna Monia Alfieri durante il ritiro del premio dell’Ambrogino d’Oro, Medaglia di Benemerenza Civica, per il suo impegno civile a favore della libertà di scelta educativa e del pluralismo scolastico a lei conferito il 7 dicembre 2020

Questo art. 7 limita la libertà di insegnamento dei docenti riconosciuta all’art. 33 della Costituzione. La libertà di insegnamento verrebbe svuotata dei suoi contenuti essenziali, ossia della autonomia didattica e della libera espressione culturale del docente. Una libertà garantita proprio dall’art 33 della Costituzione: «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». Ratio: la libertà di insegnamento è funzionale allo sviluppo del senso critico necessario per il raggiungimento degli obiettivi di formazione integrale dei minori.

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La libertà educativa dei genitori e di insegnamento dei docenti, così come la libertà di espressione, sono fortemente messe in discussione, ancor più con un art. 2 (istigazione alla discriminazione) e un art. 4 talmente vago che apre al reato di opinione senza alcun orientamento. È presto detto: cosa si potrà dire e non dire? Non si sa, allora sarà meglio tacere. Il passaggio al pensiero unico, al monopolio, diventerebbe così una direzione obbligata per il Paese.

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È evidente che nel combinato disposto fra l’art. 2, l’art. 4, cosi vago, e l’art 7 è da ritrovarsi il limite del testo del Disegno di Legge Zan che, così come è scritto, aumenta la forbice della discriminazione, la alimenta, crea nuove figure giuridiche di reato, mortifica la libertà di espressione, di educazione dei genitori e di insegnamento, indirizza la società verso un vero e proprio indottrinamento ideologico.

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Il testo va rivisto proprio in questi aspetti che tendono a creare un pensiero unico attraverso la formazione a tappeto che non è più informazione, non fornisce gli strumenti per i ragazzi perché imparino a orientarsi … ma li indottrina. Praticamente la discriminazione e la violenza al contrario.

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il sorriso di una donna che rassicura e che onora il mondo religioso cattolico femminile

I rischi di ricorrere alla “cultura di massa” e alla “punizione” per creare un pensiero unico sono i due principali limiti che ci impongono almeno una rivisitazione del Disegno di Legge Zan, affinché sia per davvero indirizzato a contrastare la discriminazione e non ad acuirla con nuove figure. Se però il Disegno di Legge recupera uno sviluppo armonico, allora potrà, forse, essere una legge positiva, indirizzata a lanciare ponti di integrazione; altrimenti resta il ragionevole dubbio che altri siano gli interessi che muovono il legislatore e che sono:

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1. Divide et impera per diffondere un pensiero unico. Il monopolio è sempre pericoloso ed è propedeutico al regime;

2. di natura commerciale e marketing.

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Allora mi rivolgo ai ragazzi: abbiate il coraggio di conoscere, di approfondire, per non essere influenzabili né da me, né da nessun burattinaio. Sappiate orientarvi. Quindi, se davvero al legislatore, come a tutti coloro che si sono riscoperti paladini dell’Art. 3 della Costituzione, interessa realmente la difesa di un diritto, lo facciano fugando il campo da ogni ragionevole dubbio di interesse terzo.

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Dal Senato della Repubblica, 3 giugno 2021

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27 GIUGNO 2021 FESTA DEGLI “OTTANTA MILIONI”

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A proposito della nota della Santa Sede sul disegno di legge Zan-Scalfarotto: domani sera Padre Ariel S. Levi di Gualdo sarà ospite al programma Dritto e Rovescio su Rete4 per dibattere sul tema

A PROPROSITO DELLA NOTA DELLA SANTA SEDE SUL DISEGNO DI LEGGE ZAN-SCALFAROTTO: DOMANI SERA PADRE ARIEL S. LEVI di GUALDO SARÀ OSPITE AL PROGRAMMA DRITTO E ROVESCIO SU RETE4 PER DIBATTERE SUL TEMA

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Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

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Il 17 giugno è stata consegnata all’Ambasciatore italiano accreditato alla Santa Sede una “nota verbale” nella quale si esprime in modo molto pacato la preoccupazione che il disegno di legge Zan-Scalfarotto possa ledere la libertà di opinione garantita dal Concordato stipulato nel 1929 e poi revisionato nel 1984.

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Giovedì 24 giugno Padre Ariel tornerà ospite negli studi di Mediaset al programma Dritto e Rovescio condotto da Paolo Del Debbio per prendere parte al dibattito su questo tema. Il blocco al quale parteciperà andrà in onda in seconda serata alle  23.30 circa.

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Il Romano Pontefice è contro la Chiesa e i suoi Santi Predecessori che secondo il mantra dei Neocatecumenali «ci hanno approvati … ci hanno approvati!»

—  Attualità ecclesiale —

IL ROMANO PONTEFICE È CONTRO LA CHIESA E I SUOI SANTI PREDECESSORI CHE SECONDO IL MANTRA DEI NEOCATECUMENALI «CI HANNO APPROVATI … CI HANNO APPROVATI!».

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Per comprendere la pericolosità di questa setta bisogna conoscere un pennuto e il suo modo di agire, il cuculo, appartenente a dei pennuti indicati come “parassiti”. Questa specie di uccelli non provvede a nutrire i propri piccoli, che non costruiscono il loro nido e che preferiscono deporre le uova di nascosto dentro i nidi di altri volatili. Se gli altri volatili riconoscono l’uovo estraneo deposto nel loro nido e lo eliminano, possono andare incontro a quelle che tra gli umani sono note come “gravi ritorsioni”.

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Sul Cammino Neocatecumenale, fondato dal bohemien Kiko Argüello supportato da quel concentrato di arroganza e crassa ignoranza della defunta Carmen Hernandez, coadiuvati da Padre Mario Pezzi che con rara impudicizia ha umiliato la sacralità del sacerdozio riducendosi a fare da valletto servente a due laici praticoni della dottrina fai-da-te e con comprovate lacune sul Catechismo della Chiesa Cattolica, mi sono formato da tempo un giudizio critico basato su fatti e atti, ma soprattutto sulle pericolose omissioni dei Sommi Pontefici e delle Autorità Ecclesiastiche, che agendo nel corso degli anni con accondiscendenza e debolezza hanno permesso lo sviluppo delle metastasi di questo cancro all’interno della Chiesa di Cristo.

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Dopo accurate ricerche ho dato alle stampe nel 2019 un saggio critico su questo movimento para-cattolico: La setta neocatecumenale. Prima di me, critiche severe sul piano dottrinale ed ecclesiologico furono mosse da due presbiteri romani: nel 1983 dal Venerabile Servo di Dio Pier Carlo Landucci e nel 1991 dal teologo passionista Enrico Zoffoli. Questo secondo fu vittima della stizza di quell’osso secco rivestito di velluto del Cardinale Camillo Ruini, perché grazie a lui, poi al suo successore Agostino Vallini, i neocatecumenali hanno riempito di loro adepti laici e sacerdoti il palazzo del Vicariato di Roma. Questi i risultati: oggi, delle 332 parrocchie della Diocesi di Roma, i neocatecumenali ne hanno in mano 91. I pochi parroci veramente romani che sopravvivono tra quello che viene chiamato clero romano — composto per la maggioranza da transfughi polacchi, africani, indiani, latinoamericani e via dicendo — subisce in silenzio e spirito omissivo le prepotenze dei neocatecumenali, salvo ritrovarsi in caso contrario col monsignorotto di turno piazzato nella cancelleria, o altri affini piazzati nei vari uffici diocesani, che con la voce mielosa e l’occhio velenoso, da dietro la loro barba in perfetto taglio Kiko Arguello rivolgono un predicozzo a doppio senso sull’umiltà. Ovviamente nessuno di questi preti kiki ha mai invitato all’umiltà quel concentrato di sfacciataggine di Carmen Hernandez, che durante un incontro ufficiale nel cortile di San Damaso in Vaticano interruppe e corresse il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II mentre parlava. I prelati presenti commentarono che neppure Napoleone Bonaparte, che pure fece catturare e tradurre prigioniero il Sommo Pontefice Pio VII, osò mai nulla del genere. E questo valga per i vari monsignorotti del Vicariato che sorridenti dietro la loro barbetta kika, a chiunque risulti ostile alla setta neocatecumenale fanno il predicozzo su … l’umiltà (!?). Il tutto equivale però a un killer della Camorra che invita a non uccidere o a un militante della lobby LGBT che invita alla castità. Dopodiché segue tutto il resto in atti d’imperio e ingiustizie arbitrarie verso chiunque abbia osato dissentire. Per questo a Roma nessuno osa fiatare contro la setta neocatecumenale, specie in questo momento storico di eroici preti difensori della fede e della sana dottrina cattolica.

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Per comprendere la pericolosità di questa setta bisogna conoscere un pennuto e il suo modo di agire, il cuculo, appartenente a degli uccelli indicati come “parassiti” [cfr. alla mia citata opera pag. 135 e seguenti]. Questa specie di uccelli non provvede a nutrire i propri piccoli né costruiscono il loro nido, preferiscono deporre le uova di nascosto dentro i nidi di altri volatili. Se gli altri volatili riconoscono l’uovo estraneo deposto nel loro nido e lo eliminano, possono andare incontro a quelle che tra gli umani sono note come “gravi ritorsioni”. Spiegano infatti i ricercatori: il cuculo, oltre a essere un parassita è pure quello che nella specie umana è indicato come “mafioso”, un vero e proprio camorrista. Se torna dove ha lasciato le uova e non le ritrova si vendica devastando il nido altrui in cui le aveva deposte, distruggendo la sua intera covata. A quel punto l’altro uccello, comprendendo che se tocca all’interno del proprio nido le uova deposte dal cuculo subirà la devastazione della sua intera covata, comincerà ad accettare le sue uova. Situazione che darà col tempo vita a un nuovo genere di equilibrio: da una parte aumenteranno i parassiti e dall’altra gli uccelli che accettano in modo incondizionato le uova estranee, sapendo che in caso contrario andrebbero incontro a gravi punizioni. È così che gli uccelli parassiti distruggono l’habitat naturale degli altri uccelli, deponendo i maggiori numeri di uova possibile nei loro nidi. I neocatecumenali adottano la tecnica del cuculo, riuscendo quasi sempre nell’impresa che si prefiggono, dall’invasione delle parrocchie di Roma al piazzamento di loro laici e fedeli monsignorotti serventi nel Vicariato.

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La mia lunga disamina si conclude con queste parole: «Vorrei essere chiamato domani stesso presso la Congregazione per la dottrina della fede e sentirmi spiegare che sono in errore sul piano teologico ed ecclesiologico. Sarei l’uomo e il prete più felice di questo mondo. Dio solo sa, in certe analisi e nei giudizi che ne derivano, quanto vorrei essere in errore. L’apice estremo della mia gioia non sarebbe costituito dal sentirmi dire che ho ragione, ma che ho sbagliato e che sono in torto».

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Nessuno mi ha convocato per chiedermi conto d’alcunché, né per le mie severe critiche rivolte a Giovanni Paolo II, al quale è imputabile storicamente la responsabilità di avere permesso ai movimenti laicali di spadroneggiare dentro la Chiesa, o peggio di crearsi delle vere e proprie chiese dentro la Chiesa, il tutto è avvenuto dopo che il terreno fu preparato e predisposto in tal senso da Paolo VI.

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Dalla sua pubblicazione, il mio libro La setta neocatecumenale ha avuto buoni riscontri e diffusione in Italia e nei Paesi di lingua spagnola. Per adesso ho ricevuto in risposta solo valanghe d’insulti dai pretoriani della setta, mentre diverse figure deformate e deformanti del sacerdozio cattolico fabbricate nei Seminari Redemptoris Mater seguitano tutt’oggi a rispondere ai settaristi che domandano lumi su questo mio lavoro costruito con rigore scientifico su prove e documenti: «Non prestate ascolto a quel prete, è un odiatore, bisogna pregare per la sua conversione! Noi abbiamo le carte. Sì, abbiamo le carte e siamo approvati … approvati! Chi è contro di noi e i nostri Iniziatori è contro la Chiesa e i Sommi Pontefici che ci hanno approvato … approvato!».

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In una nota introduttiva aggiunta nella seconda ristampa uscita nel febbraio 2021, lanciai un altro quesito, forse destinato a rimanere anch’esso senza risposta: quali generosi compensi sono stati profusi al Cardinale Stanisław Dziwisz, all’epoca segretario particolare del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, per avere introdotto Kiko Argüello e Carmen Hernández in Vaticano con una frequenza e una familiarità mai concessa in ventisei anni di pontificato a tutti gli altri fondatori e fondatrici dei vari movimenti laicali? O forse a qualcuno risulta che Chiara Lubich o Luigi Giussani avessero libero accesso a Giovanni Paolo II ogni volta che lo desideravano, o che cenassero di frequente con lui, con Carmen che poi si vantava in tutti i circoli neocatecumenali di essere l’unica donna alla quale era concesso fumare sigarette davanti al Sommo Pontefice?

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Quando dinanzi ai Neocatecumenali e a tutto il loro stato maggiore il Pontefice regnante Francesco I esordì affermando:

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«[…] confermo la vostra chiamata, sostengo la vostra missione e benedico il vostro carisma. Lo faccio non perché lui (Ndr. Indica con la mano Kiko Argüello) mi ha pagato, no! Lo faccio perché voglio farlo» [6 marzo 2015, testo del discorso ufficiale frammento video].

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Era forse in vena di scherzi, o piuttosto ha lanciato un messaggio preciso e severo, sapendo di che cosa sono capaci i Neocatecumenali e in che modo si sono comprati sacerdoti, vescovi, cardinali e intere diocesi finite poi totalmente devastate nel corso dei loro cinque decenni di pirateria selvaggia? Resto in attesa di risposta. In assenza della quale mi sentirò legittimato ad applicare il principio giuridico del silenzio assenso, tipico di chi non ha niente da ribattere dinanzi alla verità e alla palese evidenza dei fatti.

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Trattando con decisa severità il Cammino Neocatecumenale e a seguire altri Movimenti laicali, ho difettato nell’analisi? A quanto pare no, perché l’11 giugno 2021, il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita Le associazioni di fedeli che disciplina l’esercizio del governo nelle associazioni internazionali di fedeli, private e pubbliche e negli altri enti con personalità giuridica soggetti alla vigilanza diretta del medesimo Dicastero, pare proprio avere tenuto conto, dalla prima all’ultima, di tutte le problematicità da me espresse e racchiuse in questo libro. Con un apposito Decreto che invito a leggere, il competente dicastero cerca di chiudere le stalle ― temo inutilmente ― dopo che i buoi sono fuggici e corrono oggi allo stato brado producendo i danni del cinghiale del bosco che devasta la vigna del Signore. Il tutto grazie ai Santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, la indubbia santità dei quali non li ha però esentati dal commettere errori di valutazione ed errori pastorali, a volte anche gravi. Con buona pace dei settaristi neocatecumenali, convinti che, con le canonizzazioni di Paolo VI e Giovanni Paolo II che «ci hanno approvati … ci hanno approvati!», non è stato semplicemente canonizzato il loro confuso Cammino, perché a loro assurdo pensare il loro confuso Cammino sarebbe stato infatti davvero dogmatizzato.

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Il Sommo Pontefice Francesco I, attraverso questo Decreto, dice però il contrario, o meglio: alla prova dei fatti dice esattamente quello che due anni fa ho scritto io. Adesso, i neocatecumenali, intendono urlare a lui il loro penoso mantra: «Chi è contro di noi è contro la Chiesa che ci ha approvati attraverso due Sommi Pontefici che oggi sono Santi»?

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Prego, lo urlino, il loro mantra, all’uomo Jorge Mario Bergoglio, noto per sorridere dinanzi alle telecamere e sulla pubblica piazza, ma al tempo stesso capace a spezzare la schiena degli avversari ribelli a suon di bastonate dentro le chiuse stanze. Si accomodino, si accomodino …

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dall’Isola di Patmos, 15 giugno 2021

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Il Neocatecumenale modello è un manipolatore talmente privo di senso critico e spirito recettivo che da un discorso come questo pronunciato del Sommo Pontefice Francesco, che è tutta quanta una rampogna dall’inizio alla fine, isola e coglie solo sei parole: «[…] riconoscente per i vostri buoni frutti», tutte le strigliate contenute in questo discorso non esistono, non sono in alcun modo percepite e recepite, da gente che, come diceva Giovannino Guareschi: «Hanno gettato il cervello all’ammasso».

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Il granello di senape: «Il grano ammucchiato marcisce, se invece viene sparso fruttifica»

—  omiletica —

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

IL GRANELLO DI SENAPE: «IL GRANO AMMUCCHIATO MARCISCE, SE INVECE VIENE SPARSO FRUTTIFICA»

 

Il Vangelo è dunque quel granello che va seminato il più possibile: in questi tempi incerti e di poca solidità, proprio questo seme di eternità e di certezza va donato al mondo per una pandemia che è innanzitutto isolamento e distanziamento dall’ amore per Dio e per il prossimo.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

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il Signore oggi racconta due parabole alla folla per far comprendere il regno di Dio. Quella folla siamo anche noi, oggi che in questa domenica ascoltiamo la Sua Parola. Anche quando eravamo bambini, facilmente per farci comprendere qualche concetto più complicato, i nostri genitori, parenti e anche le maestre usavano delle favole, o delle narrazioni più semplici. In tal modo ci ritrovavamo immersi in un esempio, in una storiella o anche in un racconto ed eravamo così più vicini, più familiari a quello che dovevamo imparare. Così Gesù racconta le parabole del seminatore e del granello di senape per rendere più vicino e familiare il grande mistero del regno di Dio. Questo ciò che oggi ci offre la Liturgia della Parola in questa XI Domenica del Tempo Ordinario.

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Nella prima parabola troviamo il Seminatore che getta il seme. Questo seme al di là dell’azione del seminatore germoglia e cresce. Successivamente c’è l’azione del terreno:

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«Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura»

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Il regno di Dio allora è simile a questo seme che fermenta. Con un grande fermento sacro, arriva ad una maturazione e finalmente poi viene dato in frutto per chi ne ha bisogno.

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Dunque il regno di Dio è quel luogo in cui si è preparati, curati, lasciati fermentare per divenire doni fruttificanti per il mondo. Il regno di Dio, diremo, è la Chiesa, il Nuovo Popolo di Dio che, nell’unione di tutti i credenti che nel vivere la loro vocazione si fanno semi del Seminatore, cioè Gesù Cristo. Questo regno cresce, si espande nell’amore e nella carità di Dio: accoglie dentro di sé tanti altri uomini e donne desiderose di amore e carità.

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Questa prima parabola allora è un richiamo a tutti noi e alla nostra vita di fede e vocazione: è una similitudine in cui possiamo domandarci se stiamo crescendo e fermentando, se stiamo dando il massimo nello stato di vita in cui siamo chiamati, e se i frutti che offriamo al mondo sono davvero fecondi perché nati dal seme trinitario del Seminatore.

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La seconda parabola o similitudine che descrive il regno di Dio è costruita sul granello di senape:

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«È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

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L’immagine del granello di senape era familiare per i pastori dell’antica Giudea, e per tutti coloro che abitavano quelle terre. Ancora una volta, c’è l’idea di questo granello che si accresce, in un fermento che poi lo fa diventare talmente grande che gli uccelli vi possono nidificare. Qui Gesù inserisce quasi un contrasto visivo: la piccolezza del seme all’inizio, e alla fine della crescita, la sua grandezza. Questa immagine mostra una delle qualità del regno di Dio: il suo accrescersi nel corso del tempo e della storia, in attesa di un compimento finale.

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Per questo che in questa seconda similitudine, il regno di Dio in senso stretto è il Vangelo che rende santi chiunque lo ascolta. Un Vangelo che se decidiamo di farlo nostro, di viverlo coerentemente e autenticamente, ci permette di accogliere una grandissima santità e dunque di essere creature a immagine e somiglianza di Dio. Davvero il Vangelo è un fermento sacro che ci dona soddisfazione, completezza e tanta gioia sin da adesso e poi definitivamente in Paradiso. Il Vangelo è dunque quel granello che va seminato il più possibile: in questi tempi incerti e di poca solidità, proprio questo seme di eternità e di certezza va donato al mondo per una pandemia che è innanzitutto isolamento e distanziamento dall’amore per Dio e per il prossimo. Questa, è infatti quella pandemia spirituale sotto certi aspetti molto peggiore del coronavirus. Il virus della pandemia da coronavirus danneggia infatti in corpo, mentre la pandemia del virus spirituale che ci ha colpiti, danneggia profondamente e gravemente l’anima.

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Scriveva San Domenico di Guzmàn: «Il grano ammucchiato marcisce, se invece viene sparso fruttifica». Per questo chiediamo al Signore la forza e la grazia di accogliere il regno di Dio in noi: di essere semi di carità vivi nella Chiesa, per effondere su tutto il mondo sofferente fiumi e parole di vita eterna, perché il vangelo della vita divenga l’alba della civiltà dell’amore.

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Roma, 13 giugno 2021

 

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Roma, 6 giugno 2021

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Il blog personale di

Padre Gabriele

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Sei tu Signore il pane, tu cibo sei per noi, risorto a vita nuova sei vivo in mezzo a noi

—  omiletica —

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

SEI TU SIGNORE IL PANE, TU CIBO SEI PER NOI, RISORTO A VITA NUOVA SEI VIVO IN MEZZO A NOI

 

Adóro Te devóte, látens Déitas, Quæ sub his figúris, vere látitas: Tibi se cor meum totum súbjicit, Quia, te contémplans, totum déficit.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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PDF  articolo formato stampa

 

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Cari Lettori de L’Isola di Patmos,

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in questi tempi di contagio globale, i decreti hanno chiesto ai ristoranti di rimanere chiusi o di aprire solo in determinati orari. Forse ci è mancato di vivere quel momento di serenità, di pausa e anche di allegria che si è soliti trascorrere con i propri amici e parenti. Sono momenti in cui il distanziamento fisico e interpersonale ci ha anche tolto la gioia della comunione e della presenza reale di chi amiamo.

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Oggi però noi siamo qui per festeggiare il banchetto di Gesù Cristo. Il banchetto dell’Eucarestia che noi riceviamo sotto le specie del pane e del vino, in cui Gesù è sostanzialmente, realmente e veramente presente. È un mistero davvero tanto grande, perché è il mistero del Dio veramente e autenticamente presente e vivente accanto a noi nella nostra vita, da Lui redenta per sempre nella Passione.

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La lettera agli Ebrei ci spiega in un passaggio proprio questa speciale salvezza:

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«Egli [Gesù] entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» [cfr. Eb 9,11-15].

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Riguardo la passione e morte che abbiamo celebrato nel Triduo Pasquale, la lettera agli Ebrei narra che Gesù ha donato il suo Sangue per noi e ci ha ottenuto una redenzione eterna. Qui il testo non dice esplicitamente anche il corpo, ma è implicito che si stia parlando anche di questo. Il sacrificio di Gesù, cruento nella Passione, ci ha liberato dal peso della schiavitù col peccato contratta da dopo il peccato di Adamo ed Eva. Dunque, a differenza del rituale di sacrificio ebraico che purificava dai peccati che si ripeteva ogni anno, il sacrificio cruento del sangue di Gesù è avvenuto una volta sola.

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Queste considerazioni servono a noi per provare a rileggere gli eventi trascorsi durante il Triduo culminato nel giorno di Pasqua. Magari in quei giorni ci abbiamo riflettuto poco, presi da mille cose da organizzare per esempio il lavoro, la famiglia, la Santa Messa, il pranzo di Pasqua … Eppure, in quei giorni così frenetici, il Signore ci ha liberato dal peso grandissimo del peccato. Offrendosi innocente per tutti i colpevoli. È vero siamo in estate, ma non per questo dobbiamo dimenticare i primi giorni di aprile di questa primavera. Proviamo a ripensare a quel grande sacrificio pasquale d’amore di Gesù per noi.

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Il fatto che ci sia stato un unico storico sacrificio cruento non lascia fuori da questo atto d’amore, tutti noi che siamo nati secoli dopo i giorni della Passione. Questo è possibile perché Gesù, per perpetuare il suo sacrificio nel corso dei secoli e coinvolgerci nel suo grande Amore, ha istituito l’Eucarestia, il Sacrificio Incruento. Ce ne parla il vangelo:

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«Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”» [cfr. Mc 14,12-16.22-26]

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Qui si vede che Gesù offre il pane e il vino, che ha “trasformato” nel Suo Santissimo Corpo e Sangue, agli apostoli. Successivamente, gli apostoli e i loro successori ripeteranno le parole di Gesù proferendole sul pane e sul vino, che per transustanziazione di nuovo presenteranno a chi partecipa il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Questo è ciò che la Chiesa intera fa oggi, quando celebra l’Eucarestia.

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Questo grande mistero è un sacrificio d’amore che per noi ancora oggi vuol dire essere in comunione con la presenza reale di Gesù nelle specie eucaristiche. Quando infatti fra poco riceveremo l’ostia consacrata, Gesù prenderà dimora in noi, unirà il suo Cuore al nostro cuore, il nostro corpo diverrà Tempio del Suo Corpo e del Suo Sangue, e anche dello Spirito Santo. Secondo alcuni calcoli, la specie eucaristica e dunque Gesù dopo che è stato assunto rimane unito a noi per quindici minuti. Nel tempo del distanziamento e dell’isolamento, il Signore si fa pane per esserci intimità. E la sua intimità con Lui, chiama ciascuno di noi ad amare ancora di più Dio e il prossimo. L’Eucarestia è il sacramento dell’amicizia e intimità con Dio.

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Scriveva lo storico romano Sallustio: «Volere e non volere le stesse cose, questa è la vera amicizia». Chiediamo quindi al Signore, specialmente oggi, di aprire la nostra anima e il nostro spirito a Lui e al suo grande amore eucaristico, per unire la nostra volontà a Lui adesso, per prepararci all’incontro definitivo nella beatitudine eterna.

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Roma, 6 giugno 2021

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Inno latino del 1264
Autore
San Tommaso d’Aquino

Adóro Te devóte, látens Déitas,
Quæ sub his figúris, vere látitas:
Tibi se cor meum totum súbjicit,
Quia, te contémplans, totum déficit.

Visus, tactus, gustus, in te fállitur,
Sed audítu solo tuto créditur:
Credo quidquid díxit Dei Fílius;
Nil hoc verbo veritátis vérius.[2]

In cruce latébat sola Déitas,
At hic látet simul et humánitas:
Ambo támen crédens átque cónfitens,
Peto quod petívit latro pœnitens.

Plagas, sicut Thomas, non intúeor,
Deum támen meum te confíteor.
Fac me tibi sémper mágis crédere,
In te spem habére, te dilígere.

O memoriále mortis Dómini,
Panis vivus, vitam præstans hómini,
Præsta meæ menti de te vívere,
Et te illi semper dulce sápere.

Pie pellicáne, Jesu Dómine,
Me immúndum munda tuo sánguine,
Cujus una stilla salvum fácere,
Totum mundum quit ab ómni scélere.

Jesu, quem velátum nunc aspício,
Oro fíat illud, quod tam sítio:
Ut, te reveláta cernens fácie,
Visu sim beátus tuæ glóriæ. Amen.

Traduzione del Missale Romanum
Autore
San Tommaso d’Aquino

O Gesù ti adoro nell’ostia nascosto,
che, sotto queste specie, stai celato:
Solo in Te il mio cuore si abbandona
Perché contemplando Te, tutto è vano.

La vista, il tatto, il gusto non arriva a Te,
ma la tua parola resta salda in me:
credo a tutto ciò / che il Figlio di Dio ha detto:
nulla è più vero della tua parola di verità.

Hai nascosto in croce la Divinità,
ma sull’altare si cela anche la tua umanità:
uomo-Dio la fede ti rivela a me,
Cerco ciò che desiderò il ladro pentito.

Non vedo le piaghe come Tommaso,
tuttavia confesso che tu sei il mio Dio.
Fà che io possa credere sempre più a Te,
che abbia speranza in Te e che ti ami.

O memoriale della morte del Signore,
pane vivo che offri la vita all’uomo,
fa che la mia mente viva di Te,
e che ti gusti sempre dolcemente.

O pio pellicano Signore Gesù,
purifica me, peccatore, col tuo sangue,
che, con una sola goccia, può rendere salvo
tutto il mondo da ogni peccato.

O Gesù, che ora vedo,
prego che avvenga ciò che tanto desidero:
che, vedendoti col volto svelato,
sia beato della visione della tua gloria. Amen.

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Cari Lettori,

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Padre Gabriele

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Due settimane di silenzio e un occhio salvato da Grazia Pertile al Sacro Cuore di Negrar, mentre come teologo meditavo: cosa può causare la mancanza di umiltà negli uomini di scienza?

—  pastorale sanitaria —

DUE SETTIMANE DI SILENZIO E UN OCCHIO SALVATO DA GRAZIA PERTILE AL SACRO CUORE DI NEGRAR, MENTRE COME TEOLOGO MEDITAVO: COSA PUÒ CAUSARE LA MANCANZA DI UMILTÀ NEGLI UOMINI DI SCIENZA?

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Di questo rendo grazie a Dio come uomo di fede, sacerdote e teologo: avermi fatto sperimentare direttamente sulla mia pelle quanto sia veramente alta la virtù dell’umiltà cristiana. L’ho capito mentre imparavo a memoria il Messale Romano in italiano e in latino, spaventato dal fatto che, se anche nell’occhio sano fosse sopraggiunta analoga patologia, i due amatissimi gatti di Jorge Facio Lince e miei, Ipazia e Bruno, che vivono in casa con noi, avrebbero dovuto imparare a convivere con un pastore tedesco, che avrebbe indossato una fascia con la croce rossa, portandomi in giro per la strada con un bastone bianco.

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Padre Ariel S. Levi di Gualdo all’ingresso dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar dinanzi al mosaico raffigurante San Giovanni Calabria, fondatore dell’opera

Questo articolo avrei potuto titolarlo: Riflessioni sulla mia pelle. In fondo le migliori, perché un conto è contemplare con surreale fideismo un bel crocifisso d’avorio che fa così arte e inutile tenerezza emotiva, un conto finire partecipi, anche in piccola parte, alla crocifissione del Cristo, unica via per vivere la vera fede, che non è sentimentalismo emotivo, basterebbe intendere le parole del Divino Maestro che insegna: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23).

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Negli ultimi due anni sono stato attivo su tutti i fronti: ho scritto molti articoli su L’Isola di Patmos, pubblicato dei nuovi libri (cfr. QUI), prodotto video-conferenze, lectiones magistrales (cfr. QUI), partecipato a programmi televisivi sulle Reti Mediaset. Ultimo in ordine di serie Zona Bianca del 19 maggio condotto da Giuseppe Brindisi (vedere QUI dal minuto 01:35 a seguire), dove sarò di nuovo ospite il 9 giugno. Eppure, dietro a tutta questa iper attività, c’era qualche cosa di grave, al punto da indurmi a pensare che dovevo produrre più possibile, perché forse un giorno non avrei potuto più fare certi lavori. Ho persino memorizzato l’intero Messale Romano in duplice lingua, italiana e latina, casomai un giorno non fossi stato più in grado di leggere …

Cosa è accaduto? Questo: nel mese di luglio del 2019 appare una lesione alla retina del mio occhio destro. Si sarebbe dovuti intervenire con un immediato “cerchiaggio”, ma credendo di farmi del bene mi praticarono una ricucitura col laser. Trascorso un mese si verifica un distacco totale della retina e l’occhio rimane completamente cieco. Si procede così chirurgicamente d’urgenza a riattaccare la retina, dopo che il chirurgo consigliato e scelto m’informò: «In una scala di rischio da zero a dieci, lei è a rischio undici»..

la chirurgo e ricercatrice sulla retina Grazia Pertile, direttore del reparto di oculistica dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar, Fondazione San Giovanni Calabria

L’intervento riesce bene, pure se eseguito ― cosa che scoprirò un anno dopo ― con una tecnica ormai superata, ma non per questo inefficace. Tutt’oggi sono grato al chirurgo che mi rincollò la retina. Certo, pur avendolo effettuato in regime privato avvalendomi della mia polizza assicurativa sulla salute, fui operato su una specie di “poltrona” con anestesia locale praticata attraverso una puntura nell’occhio che non auguro neppure a uno scafista che trasporta esseri umani dall’Africa alle coste italiane con grave rischio per la vita di donne e bambini. Così credevo però funzionasse, al punto che non mi curai di domandare: … ma in questa splendida clinica privata stile hotel a cinque stelle, non avete neppure uno straccio di anestesista? I soldi, li spendete tutti negli arredi interni per gettare fumo negli occhi alle Signore e ai Signori della bella società che vengono a farsi i ritocchi di chirurgia estetica?

Illustrato a grosse linee il fatto, a nulla serve dettagliare l’iter clinico, perché di ben altro intendo parlare. Preciso soltanto che il tutto fu aggravato da una emorragia nell’occhio sopraggiunta per cause naturali durante la seduta operatoria, che causò il danno dei fotorecettori, ossia le cellule della retina che permettono la messa a fuoco. Con l’occhio destro, col quale vedevo solo ombre storte, non potevo leggere e scrivere. Il tutto peggiorato ulteriormente da una «estesa membrana» che si formò pochi mesi dopo sulla retina.

Il chirurgo che mi aveva operato e riattaccata la retina, salvandomi indubbiamente l’occhio dalla totale cecità, si guardò dall’espormi il mio stato, che per quasi due anni ignorai, dopo essere stato liquidato con un verdetto sul quale mi ero fatto una serena ragione: «Più di così l’occhio non potrà recuperare».

la chirurgo e ricercatrice sulla retina Grazia Pertile, direttore del reparto di oculistica dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar, Fondazione San Giovanni Calabria

Un amico carissimo, uno tra i diversi clinici romani con i quali sono in stretti rapporti di amicizia, uomo di grande scienza ed esperienza, mi accompagnò egli stesso da una autentica autorità internazionale nel campo della chirurgia della retina. Dopo una serie di esami approfonditi l’eminente clinico esaminò il mio occhio con la lente manuale per circa mezz’ora e in modo pacato e impietoso mi fece tutta la cronistoria: dalla ricucitura laser da evitare sino all’intervento effettuato bene, la sopraggiunta emorragia che mi era stata taciuta e via dicendo. Concluse il grande esperto in chirurgia della retina: «Personalmente in quest’occhio già molto trattato non ci metterei mano, perché meno si tocca e meglio è, però …».

Inutile a dirsi: un eminente studioso della retina e grande caposcuola, poteva dirmi davanti a un paio di chirurghi suoi allievi che qualche altro poteva essere in grado di fare ciò che per comprensibile prudenza loro non avrebbero osato fare? Quel semplice «però …» fu sufficiente a lasciarmi capire indirettamente quel che non sempre si può dire direttamente. D’altronde, sono pur sempre allievo anche di un diplomatico di lungo corso nel servizio alla Santa Sede, che nel campo della diplomazia mi ha istruito a dovere in lunghi anni di filiale rapporto.

Da tempo il marito della mia odontoiatra mi aveva parlato in toni di meraviglia del Dottore Grazia Pertile, direttore del reparto di oculistica dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar, Fondazione San Giovanni Calabria, in provincia di Verona (cfr. QUI). Questa insigne specialista e nota ricercatrice di fama europea, gli aveva salvato l’occhio dopo 7 interventi chirurgici effettuati in modo disastroso da chirurghi di fama, o perlomeno di fama sulle carte … politiche. E i danni che gli furono recati risultarono tali che dalla sera alla mattina lo operò d’urgenza, mentre l’occhio stava ormai per andare in necrosi. Mi decido, salto in macchina e nel mese di giugno del 2020 mi reco a Negrar dove effettuo una visita col Dottore Mauro Sartore, che mi si palesa dinanzi come un angelo di Dio e che dopo tutti gli esami necessari mi dice che il danno ai fotorecettori è al momento irreversibile, ma rimuovendo la estesa membrana retinica e correggendo l’intervento precedente la vista può notevolmente migliorare. Nel mese di ottobre vengo visitato dal Dottore Grazia Pertile che ribadisce la diagnosi del suo collaboratore e mi prospetta l’intervento, anche perché in caso contrario, l’occhio, sarebbe stato destinato alla totale cecità in un lasso di tempo di pochi o più anni..

Mauro Sartore, chirurgo retinico dello staff di Grazia Pertile, reparto di oculistica dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar, Fondazione San Giovanni Calabria

Il 24 maggio ho effettuato il pre-ricovero, il 25 sono stato operato e il 26 dimesso. Mi sono poi recato sul Lago Maggiore dagli amici de L’Isola di Patmos Enrico e Liliana, che mi hanno regalato dei giorni di splendida convalescenza nella loro villa. Scrivo questo articolo oggi, nella mia camera d’albergo nella Valpolicella, dopo avere effettuato il controllo post-operatorio questa mattina col Dottore Mauro Sartore..

Quando sono entrato in sala operatoria a Negrar, dinanzi ai miei occhi si è presentata una equipe al completo composta da svariate persone, con buona pace del fumo senza arrosto di una clinica privata che nella cornice esteriore pareva un hotel a cinque stelle, dove però mi spararono una puntura in un occhio per farmi una anestesia locale. Tutt’altra storia al Sacro Cuore di Negrar, dove sdraiato sul lettino, non su una specie di poltrona, non mi si è avvicinato un punturatore selvaggio, ma l’anestesista che mi ha fatta l’anestesia totale, durante la quale sono stato anche intubato. Ricordo di essermi addormentato recitando: Confiteor Deo omnipotenti et vobis, fratres, quia peccavi nimis cogitatione, verbo, opere, et omissione  (Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni …) e di essermi risvegliato dicendo «Laudetur Jesus Christus» (Sia lodato Gesù Cristo). E pochi giorni dopo ho compreso fino in fondo quanto dovevo lodare Gesù Cristo..

A pochi giorni dall’intervento, con l’occhio ancora appannato, già vedo tutte le linee e i contorni perfettamente diritti. Distinguo e leggo i caratteri delle lettere grandi, quelle dei cartelloni, delle insegne e delle copertine dei libri, che prima non vedevo né leggevo..

Il Dottore Grazia Pertile è una donna molto riservata, pronuncia poche parole. Il suo è un lavoro che non si fa con le parole, utili e indispensabili per altri generi di pratiche scientifiche. È un lavoro, il suo, di pura azione, un autentico mostro da sala operatoria con una manualità più unica che rara. E proprio io che da sempre sono a stretto contatto con le sfere più delicate dell’essere umano, ho subito compreso il genere di angelo dagli occhi azzurri che avevo davanti. Così mi sono limitato a giocare sul suo nome, tirando fuori dall’Ave Maria due sole ma incisive parole: «Gratia Plena» (piena di grazia). Sì, ti saluto Donna piena di grazia, capace a mettere veramente a frutto la grazia straordinaria che Dio ha posto nelle tue mani..

Ingresso dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar con la statua di San Giovanni Calabria

La nostra Isola di Patmos non ha pubblicato articoli nelle ultime settimane perché in concomitanza con me, anche il nostro redattore cappuccino Padre Ivano Liguori ha avuto problemi di salute che hanno comportato quindici giorni di ricovero. Un mese e mezzo fa fu colpito da una algia emicraniale destra con parestesie formicolari omolaterali e ptosi all’occhio destro, che ha richiesto ricovero in neurologia per accurati accertamenti, essendo paziente affetto da due malattie autoimmuni da circa quattro anni, una ai reni (una nefrite interstiziale) e una al fegato (una colangite biliare primitiva). Così, Padre Ivano e io, da un capo all’altro d’Italia siamo stati assorbiti da vicende sanitarie. Intanto che Padre Ivano continuava per giorni gli accertamenti neurologici per tenere sotto controllo la ptosi all’occhio destro, migliorata ma non ancora risolta del tutto, io mi accingevo a effettuare l’intervento alla retina dell’occhio destro, avvenuto attraverso un ricovero di soli due giorni e mezzo, che hanno però comportato una preparazione e una convalescenza. Questa è stata la nostra situazione nelle ultime settimane, ve la rendiamo pubblica oggi per chiarire il nostro silenzio, aggiungendo al tutto un dato molto positivo: nel mese di maggio dedicato alla Beata Vergine Maria sono stati superati gli ottanta milioni di visite alla nostra rivista nel corso degli ultimi quattro anni di attività pubblicistica ed editoriale. A maggior ragione, non pensate che il Diavolo ci doveva mettere in qualche modo lo zampino?.

Raccontare questa mia vicenda ha comportato quasi una violenza esercitata su me stesso. Ognuno di noi ha diritto alla propria riservatezza. Questa mia storia è però paradigma di un dramma umano molto antico col quale tutti dobbiamo fare i conti sin da quando Adamo ed Eva commisero il peccato originale, che ricordo fu un peccato di superbia, a tal punto grave da alterare l’equilibrio perfetto del mondo creato da Dio, ma soprattutto dell’uomo stesso, fatto a immagine e somiglianza del Divino Creatore, che in precedenza non conosceva il decadimento fisico, la malattia, il dolore, la vecchiaia e la morte, tutte conseguenze di quel grande peccato di ribellione, di quella superbia di cui la mancanza di umiltà è da sempre la figlia prediletta..

le ricerche sulla retina artificiale condotte da Grazia Pertile

Dal muratore al progettista, dall’idraulico al falegname, dal manager allo chef e suvvia a seguire, quando l’uomo si trova dinanzi a qualche cosa che non è in grado di fare, spesso esordisce dicendo: «Non è possibile, non si può fare». Non dico quasi sempre o di prassi, ma spesso chi risponde a questo modo sa benissimo che certe cose sono possibili da farsi. Ma per nessuna ragione ammetterebbe che altri sono capaci a fare ciò che lui non è in grado di fare. Certo, per quanto gravi possano essere, i danni o le incapacità di certi artigiani e tecnici sono quasi sempre circoscritti. Quando però atteggiamenti di simile superbia generanti cieca mancanza di umiltà sono posti in essere da un oncologo o da un chirurgo, che cosa può accadere? Il nostro redattore cappuccino Padre Ivano Liguori, specialista in pastorale sanitaria, che per anni ha svolto il ministero di cappellano in un grande ospedale, il nostro giovane redattore domenicano Padre Gabriele Giordano M. Scardocci, grande studioso sul piano teologico ed ecclesiologico del problema delle disabilità, quanti casi sfociati nel disastro hanno conosciuto? Mi ci metto anch’io, che come sacerdote sono da sempre vicino e dedito all’assistenza di malati terminali e disabili, ribadendo a ogni piè sospinto che proprio noi presbiteri cimentati negli studi di ricerca e nelle alte speculazioni teologiche dobbiamo avere a che fare più che mai col materiale umano, salvo generare in caso contrario mostri di disumanità che vivono nell’iperuranio delle università ecclesiastiche, annegati nel mondo dell’irreale e nella spasmodica ricerca dei successi di carriera e di auto-affermazione..

Quando parliamo della virtù dell’umiltà cristiana, noi presbiteri e teologi non intendiamo certo la beghina o il cattolico onirico a collo torto che finge di non sentirsi degno o all’altezza. Ben altra è l’umiltà: è la virtù dei grandi. Solo i grandi possono confrontarsi ogni giorno con i propri limiti umani, fuggendo in tal modo le forme più nocive di disumanità, quelle che portano il proprio egocentrismo o il proprio narcisismo ipertrofico al di sopra del valore stesso della vita umana. Ecco allora il cardiochirurgo che pur conoscendo perfettamente l’esistenza di un collega particolarmente bravo e da anni specializzato in quella specifica malformazione al cuore, preferisce dire «non si può fare altro … non si può fare più di questo … fatevene una ragione …», pur di non dire che da altre mani il paziente potrebbe essere salvato. Altrettanto vale per certi oncologi, o per certi specialisti nella chirurgia della retina e via dicendo a seguire..

lo staff di oculistica di Grazia Pertile, Ospedale Sacro Cuore di Negrar

E vogliamo parlare dei baroni clinici che di prassi si circondano di mezze tacche, dovendo brillare di luce propria? O dimenticare altrettante mezze tacche piazzate come assistenti di insigni clinici su suggerimento di aziende e banche che finanziano fondazioni e istituti di ricerca? Cosa accade poi, ai malati attratti dal miraggio del gran luminare, quando si recano nel suo reparto dove finiscono operati da qualcuno dei suoi mediocri assistenti? Tutt’altro il mondo della clinica, della chirurgia e della ricerca del Dottore Grazia Pertile, che non teme ombre sulla stella che lei è ma che ha formato uno staff di chirurghi che sono tutti quanti molto bravi. Altro mondo, in mezzo a tante cose cliniche dell’altro mondo che spesso ti tolgono con decenni di anticipo alla vita di questo mondo terreno..

Di questo rendo grazie a Dio come uomo di fede, sacerdote e teologo: avermi fatto sperimentare direttamente sulla mia pelle quanto sia veramente alta la virtù dell’umiltà cristiana. L’ho capito mentre imparavo a memoria il Messale Romano in italiano e in latino, spaventato dal fatto che, se anche nell’occhio sano fosse sopraggiunta analoga patologia, i due amatissimi gatti di Jorge Facio Lince e miei, Ipazia e Bruno, che vivono in casa con noi, avrebbero dovuto imparare a convivere con un pastore tedesco, che avrebbe indossato una fascia con la croce rossa, portandomi in giro per la strada con un bastone bianco..

Sul mio cammino, tra tanta scientifica e omissiva arroganza e superbia, ho però conosciuto la mia Ave Maria, la Donna piena di grazia, il Dottore e ricercatore sulla chirurgia della retina Grazia Pertile. E ho capito fino in fondo il valore teologico e salvifico dell’umiltà cristiana, quella che ti rende grande e che ti salva l’anima dalla dannazione eterna.

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da Negrar in Valpolicella, 3 giugno 2021

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GRAZIA PERTILE SPIEGA I TRATTAMENTI DI AVANGUARDIA PER LE PATOLOGIE DELLA RETINA

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