Il Cardinale Kasper e il paradigma dell’utile idiota

IL CARDINALE KASPER E IL PARADIGMA DELL’UTILE IDIOTA

 

Porgo la mia più sincera stima al Cardinale Kasper di cui non condivido affatto teologia ed ecumenismo, ma di cui apprezzo la fedeltà verso quella sua idea di Pietro spinta sino al punto di offrirsi alla pubblica mattanza come tiro al bersaglio, in questa nostra povera Chiesa che somiglia sempre di più ad un luna park dove nessuno controlla chi entra e chi esce e nella quale le montagne russe sono ormai prive di manutenzione tecnica, senza che tutto questo scalfisca però la nostra certezza di fede: le porte degli inferi non prevarranno mai sulla Chiesa fondata sopra la roccia di Pietro al quale Cristo ha consegnato le chiavi del regno [Cf. Mt  16, 18].

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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come volevasi dimostrare …

Dopo l’uscita del libretto del Cardinale Walter Kasper, nel quale il porporato celebra le lodi dell’eresiarca Lutero e del Protestantesimo, ripropongo sulle colonne dell’Isola di Patmos uno dei primi articoli scritti poco dopo l’apertura di questa nostra rivista telematica. Merita forse ricordare che quando due anni fa pubblicavo e scrivevo su certe utili idiozie, correva il 19 ottobre 2014, come chiunque può verificare dal nostro archivio, dove si trovano raccolti per ordine di data tutti i nostri scritti. Mi ero proprio sbagliato? [ 7 giugno 2016 ]

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uno, nessuno o centomila?

Quello di «utile idiota» non è un termine ingiurioso perché se lo fosse non oserei farne uso, tanto più verso un vescovo come il Cardinale Walter Kasper, celebre teologo sulla cui cristologia ed ecclesiologia possiamo discutere, specie in questa Chiesa così libera, collegiale e democratica nella quale solo agli Alberto Melloni pare sia concesso il diritto di pensiero, di parola e di espressione, sino ad andare a darsi delle arie senza cattolico ritegno direttamente presso le Logge Massoniche [cf. mio precedente articolo, qui, qui, qui], liete di ospitare non tanto i «costruttori di pace» [Cf. Mt 1, 5-10] che per questa opera cristologica saranno beati, ma i de-costruttori della Chiesa, molto graditi per questo ai massoni che oggi non ci attaccano più da fuori ma direttamente da dentro.

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Col termine squisitamente politico di «utile idiota» che nulla, ripeto, ha da spartire col concetto di umana idiozia, venivano indicati quei fedelissimi che nei Paesi dell’Occidente difendevano in tutti i modi ed a tutti i costi il regime sovietico, anche contro l’evidenza dei fatti. E di questo, i veri campioni, non erano i placidi comunisti italiani da sacrestia, ma gli agguerriti comunisti francesi e spagnoli.

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extraterrestri e Michelangelo

ET, Michelangelo, il Giudizio Universale e … i vaticanisti

Nei giorni precedenti l’apertura del Sinodo sulla Famiglia ho letto molti resoconti di vaticanologi veri o presunti, ho isolato le loro parole da certi drammi ecclesiali in corso e mi sono concesso un sorriso, perché questi personaggi paralizzati nel presente immediato ed incapaci di capire quali pesanti ed ironici giudizi darà su di loro domani la storia, sono sempre più simili agli ufologi che parlano di extraterrestri e di visite di alieni al nostro pianeta, esercitando il loro sacrosanto diritto ad alienare la tragica realtà ecclesiale in corso. Per il momento gli unici ad uscire da questo coro di adulatori da kominform [vedere qui] sembrano essere Marco Tosatti [vedere qui] e Sandro Magister [vedere qui].

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In certe vicende ciò che sfugge è di prassi l’ovvio: il Cardinale Kasper merita a pieno titolo il premio fedeltà, perché prestandosi come utile idiota — e di nuovo ribadisco: sempre secondo il significato politico del termine usato in accezione totalmente lusinghiera — sta rendendo un grande servizio, offrendosi agli attacchi di varie frange del mondo cattolico, di vari teologi e non ultimo anche alle contestazioni espresse con garbo tutto quanto teologico da un gruppo di cardinali e di studiosi che hanno appena dato alle stampe un libro che analizza certe scottanti questioni che hanno costituito materia di discussione al Sinodo sulla famiglia [qui].

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Il Cardinale Walter Kasper

Dalla vicenda in corso, che ne sta ricavando il Cardinale Kasper? È un vescovo della Chiesa Cattolica, è un cardinale ottantenne non più elettore, presidente emerito di un pontificio segretariato, teologo apprezzato e rigorosamente imposto come unico verbo in certi studi teologici infarciti di tutte le peggiori eresie moderniste e filo-protestanti, ovvero la quasi totalità di quelli esistenti …  ben poco ha quindi da perdere, poco o nulla da guadagnare, al contrario di altri vescovi sempre in pista che invece non sanno più come tentare di compiacere il Sommo Pontefice nel disperato tentativo di ottenere da lui benefici e promozioni …

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una manifestazione di fede popolare in Perù

Cerchiamo di essere chiari: i latinoamericani rispettano l’autorità a condizione che sia unita e mossa da profonda autorevolezza. Se uno si pone di fronte al latinoamericano-tipo in modo deciso e determinato, volendo anche con un rispettoso ma chiaro tocco di autorità, le soluzioni sono due: o quello reagisce ammazzandoti, oppure reagisce amandoti. Se però sceglierà di amarti, a quel punto sarà lui ad essere pronto a farsi ammazzare se qualcuno dovesse osare di toccare colui nel quale egli ha riconosciuto tutti i crismi della virilità e della potenza dell’uomo che merita come tale tutto il più indefesso rispetto. E come ben sappiamo, oggi, una di queste tipiche psicologie siede sulla Cattedra di Pietro.

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Chi con il Cardinale Kasper è d’accordo, tende a tacere, in quanto d’accordo e basta; chi invece non lo è, lo attacca. E fin quando si tratta dei garbati attacchi prelatizi, che per consolidata prassi di certi membri del collegio cardinalizio prima di addentarti col morso del cobra ti cospargono di anestetico la parte da mordere, tutto va bene; quando però si tratta di certi cattolici duri e puri o di certi blog e siti di area cosiddetta ultra tradizionalista che manco sanno più dove abiti quel rispetto sempre dovuto a un vescovo e ad un collaboratore del Romano Pontefice, le cose cambiano alquanto, perché in questo caso il porporato tedesco è stato sommerso da insulti nei quali l’offesa più lieve è stata quella di  “apostasia dalla fede”.

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Ho una certa esperienza di vita vissuta in mezzo ai latinoamericani, a partire dal mio più stretto e prezioso collaboratore, ed una cosa con la quale ho imparato a familiarizzare è questa: per un discorso di cultura e di costume tendono a non agire in modo diretto ma in modo indiretto. Altre volte accade che le cose che vorrebbero dire le fanno dire ad altri. Il tutto per tutelare la propria figura di autorità, la persona o le persone oggetto di certi pensieri ed espressioni, quindi per preservare la serenità del rapporto tra di loro, la persona o le persone.

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Barbara Eleonora Ciccone, in arte Madonna, interpreta Evita Peron

Non di rado certi caudillos hanno prima seminato attriti e creato tutte le premesse per litigi furenti, poi sono infine intervenuti per sedarli con bontà paternale, mentre Barbara Eleonora Ciccone, in arte Madonna, interpretava Evita Peron cantando dal balcone del palazzo della presidenza: Don’t cry for me Argentina [qui].

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Il pifferaio magico

Proviamo ad analizzare l’ovvio: può essere che il Santo Padre abbia favorito per interposta persona un vero e proprio vespaio allo scopo astuto di far uscire i topi allo scoperto come il pifferaio magico, per vedere chi era a favore e chi contro l’ipotesi di certe discussioni su delicate tematiche dibattute in questi giorni al sinodo sulla famiglia? Si tratta di una mia ipotesi, forse peregrina, ma sulla quale merita riflettere, non altro per darmi torto. Nel caso però fosse così, apparirà ovvio in che misura il Santo Padre non avrebbe potuto porre avanti se stesso in prima persona, perché in tal caso nessuno, in questo clima di clericale codardia, sarebbe mai venuto allo scoperto [cf. mio precedente articolo, qui], a partire dai grandi difensori storici dei “valori non negoziabili”, che quando però hanno dovuto scegliere tra certe non negoziabilità e la possibilità di riuscire a giungere finalmente ad una prestigiosa sede vescovile, hanno prontamente mitigato sia il linguaggio sia lo spirito battagliero, nascondendosi dietro al dito della pretestuosa prudenza; e dinanzi al proprio interesse o alla possibilità che gli faceva vedere o sperare color rosso porpora, all’occorrenza sono diventati maestri della negoziazione persino sui “valori non negoziabili”, anzi: soprattutto, sui “valori non negoziabili”.

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Il Cardinale Walter Kasper durante una preghiera interreligiosa

Ho molto da dissentire sulla teologia del Cardinale Kasper e sul suo ecumenismo dal quale ritengo possa nascere nel tempo solo del deleterio catto-protestantismo, posto che sotto le righe i suoi punti di riferimento tendono ad essere Kant ed Hegel, oltre all’onnipotente Rahner, con un occhio di simpatia per l’eretico Küng. Mi sento però di affermare che apprezzo molto di più lui di certe frange che rappresentano ormai solo la presunta traditio catholica di se stessi e che dai propri amati e intoccabili ghetti hanno preso a ringhiare contro il cane, mentre altri fingono invece di non sapere chi è il padrone che al cane ha tolto la museruola dicendogli: «Dai Fido, abbaia! Voglio vedere chi risponderà, ma soprattutto come. Poi, a tempo e luogo, ci penserò io, forse nel modo in cui nessuno manco s’immagina …».

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Pietro e Paolo ad Antiochia, mosaico bizantino

A quanti vescovi e cardinali, a partire dai difensori indefessi della sana dottrina e dei valori non negoziabili, nella propria veste di membri del Collegio Apostolico, è passato per la mente di fare quell’ovvio che si trova peraltro indicato con estrema chiarezza nel Vangelo? E l’ovvio cristiano ed apostolico da farsi sarebbe stato questo: andare ad Antiochia, ossia in Vaticano, alla Casa di Santa Marta, rivestirsi di virilità paolina, prendere il Principe degli Apostoli e domandargli: «Senti un po’ Pietro, vuoi spiegare ai tuoi devoti e obbedienti fratelli apostoli che con te condividono l’onore e l’onere dell’episcopato, a quali giochi certe frange sempre più irrequiete stanno tentando di giocare sotto ai tuoi occhi? Ammesso giochino sotto gli occhi tuoi e che non sia proprio tu a farli muovere come delle pedine?» [Cf. Gal 1-2,7.14].

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… qua la mano!

Porgo la mia più sincera stima al Cardinale Kasper di cui non condivido affatto teologia ed ecumenismo, ma di cui apprezzo la fedeltà verso quella sua idea di Pietro spinta sino al punto di offrirsi alla pubblica mattanza come bersaglio di tiro, in questa nostra povera Chiesa che somiglia sempre di più ad un luna park dove nessuno controlla chi entra e chi esce e nella quale le montagne russe sono ormai prive di manutenzione tecnica, senza che tutto questo scalfisca però la nostra certezza di fede: le porte degli inferi non prevarranno mai sulla Chiesa fondata sopra la roccia di Pietro al quale Cristo ha consegnato le chiavi del regno [Cf. Mt  16, 18].

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… a te darò le chiavi del regno

Piaccia o non piaccia a certuni oggi Pietro si chiama Francesco, ed a lui dobbiamo devota e filiale obbedienza. Se invece si vuole usare ed abusare della Chiesa Cattolica per essere altro, il discorso cambia, trattandosi appunto di altro rispetto alla Chiesa fondata da Cristo sopra una precisa pietra, che è quella di Pietro. E oggi la pietra è Francesco, Vescovo di Roma e Pontefice Massimo, senza possibilità di cattolica discussione alcuna, se fedeli alla traditio catholica vogliamo essere, a prescindere dal fatto che il Santo Padre possa o meno circondarsi di cattive compagnie, di pessimi consiglieri e persino di “utili idioti”.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

L’apostolo Giovanni a Patmos

L’APOSTOLO GIOVANNI A PÀTMOS

Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza di Cristo, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della Parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù  [Ap 1, 9]

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

Com’è noto l’isola di Patmos, dell’arcipelago della Grecia, è legata all’esilio di Giovanni Evangelista, l’Autore dell’Apoca127143422lisse, il quale esordisce appunto nel suo scritto con le seguenti parole: «Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza di Cristo, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della Parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù» [Ap 1,9].

L’Apostolo Giovanni ha sperimentato quelle sofferenze che Cristo prevede per coloro che lo seguiranno e che Egli stesso ha subìto dandoci l’esempio ed al contempo fornendoci coraggio, pazienza, consolazione e conforto, quando Gesù ci avverte che i discepoli saranno riprovati e subiranno ingiustizie e soprusi da parte delle autorità civili e religiose, saranno calunniati, emarginati, traditi ed abbandonati da parenti ed amici a causa del Vangelo. Ma essi devono ritenersi beati, perché patiscono quello stesso che hanno patito i profeti e lo stesso Figlio dell’uomo [Cf. Mt 5, 10-12].

La figura dell’ “esilio” in opposizione alla “patria” è tradizionale nella simbologia cristiana: l’uomo, cacciato dal paradiso terrestre, vive per ora in una terra di esilio, certo creata da Dio e non priva di bellezza, ma anche afflitta da molti mali e da molte miserie.

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raffigurazione della cacciata dal Paradiso

La vita cristiana comporta dunque la prospettiva di raggiungere la vera patria in cielo accettando serenamente l’esilio e preparandosi in esso all’ingresso nella vera patria della vita eterna. Come sappiamo, questo tema per il quale viviamo adesso in un basso mondo, nel quale siamo caduti dopo una prevaricazione originaria, staccandoci dalla divinità, non è assente neppure in certe antiche saggezze pagane, come per esempio in Platone, in Plotino, nello stesso gnosticismo e nella filosofia indiana.

La differenza col cristianesimo è data dal fatto che mentre queste visioni pagane sono dualistiche, per cui la disgrazia dello spirito umano è quella di essere caduto nella materia — che pertanto occorre abbandonare per raggiungere la pura spiritualità — nella concezione cristiana, che comunque accoglie un primato dello spirito sul corpo, anche il mondo materiale presente è sostanzialmente buono e creato da Dio, per cui non deve tanto essere abbandonato, quasi sia cattivo in se stesso, quanto piuttosto dev’essere liberato dal male. È ciò che è insegnato dal dogma della resurrezione della carne.

686865_John-w-arkCom’è noto Giovanni scrive a Patmos l’Apocalisse per confortare i cristiani e la Chiesa stessa nelle loro prove e sofferenze per la Parola di Dio. Che senso ha dunque intitolare questo sito al luogo nel quale l’Apostolo ed Evangelista ci ha dato l’esempio di tale sua eroica fedeltà al Signore?

I fondatori del sito: Monsignor Antonio Livi, il Padre Ariel S. Levi di Gualdo ed io, intendiamo riprendere ed applicare all’oggi il messaggio di Giovanni e mettere sotto il suo patronato e la sua intercessione la nostra iniziativa, nella comprovata certezza che anche nella Chiesa di oggi — e forse oggi più che mai — quei cattolici che vogliono vivere in pienezza la loro fede e la loro comunione ecclesiale con la Chiesa e col Successore di Pietro trovino nel messaggio apocalittico della Parola di Dio la luce per capire la situazione che la Chiesa sta vivendo e la saggezza e la forza per vivere oggi da fedeli figli della Chiesa.

fine del mondo

esplosione nucleare

Il termine apocalittico nel linguaggio volgare richiama l’idea di immani sconvolgimenti, sciagure e disastri; ma i biblisti sanno bene che apocalittico significa semplicemente riferimento al libro scritturistico dell’Apocalisse, la quale profetizza certamente quegli spaventosi eventi, ma in una ben precisa chiave teologica, che nulla ha a che vedere col morboso gusto disfattista per l’orrido ed il cataclisma fini a se stessi; e neppure per un catastrofismo pessimista, che non sa cogliere i valori e i lati buoni della Chiesa di oggi e gli elementi di speranza che le sono forniti dalla Provvidenza.

lo iettatore napoletanoNulla quindi abbiamo a che vedere con quei “profeti di sventura, amari e amareggianti, terrorizzati e terrorizzanti, disperati e disperanti, verso i quali San Giovanni XXIII mise in guardia la Chiesa nel suo famoso discorso programmatico Gaudet Mater Ecclesia di apertura del Concilio Vaticano II dell’11 ottobre 1962 [qui, qui].

È vero che il profeta biblico e in generale la profezia nella storia della Chiesa spesso denunciano peccati ed ingiustizie, alle quali faranno seguito i castighi divini; è vero che i mali e le sventure che essi individuano e evidenziano sono da loro presentati come effetti dell’infedeltà all’Alleanza, senza temere con ciò di disgustare e mettersi contro i potenti, i prevaricatori, i responsabili del governo civile e sacerdotale, sino a pagare a volte con la vita tale loro coraggiosa denuncia. Ma è altrettanto vero che i falsi profeti sono quelli che dicono, per puro interesse o per paura, che tutto va bene per non irritare i potenti, ed i delitti restino così impuniti.

Il bisogno più urgente della Chiesa di oggi, a nostro avviso è quello della concordia e della collaborazione reciproca fra i cattolici sulla base dell’unica fede custodita dal Successore di Pietro. Il Concilio Vaticano II, lo dice la parola stessa, è venuto per conciliare le opposte fazioni. Esso pertanto indica la via dell’unione e della pace, nella giustizia e nella verità. Disgraziatamente è Invece accaduto che a partire dall’immediato postconcilio i cattolici si sono divisi in due partiti, lefebvriani e modernisti, in lotta tra di loro ed entrambi rivendicanti l’autenticità dell’essere cattolico.

Indubbiamente la Chiesa in se stessa resta una, in quanto ciò è un fattore necessario della sua essenza. Tale unità si realizza nella comunione dei santi, ossia di coloro che sono in comunione visibile o invisibile di grazia tra di loro, nella partecipazione esplicita o implicita ai medesunità della Chiesaimi sacramenti e nell’obbedienza esplicita o implicita al Sommo Pontefice. Costoro rifiutano gli opposti estremismi, benchè in ciascuno di questi esistano valori ed una comunione parziale con la Chiesa. Ma il problema oggi è quello di congiungere di fatto valori parziali che son fatti di per sé per creare un’unica sintesi ed un unico organismo che è appunto la Chiesa nella pienezza dei suoi elementi, dei suoi carismi e dei suoi fattori. Invece gli opposti partiti, impossessatisi di una parte dei valori della Chiesa, oppongono una parta all’altra, anziché unirle assieme in quel tutto armonioso che è appunto la Chiesa. Così per esempio la conservazione dev’essere congiunta col progresso ed il perenne col mutamento, la Tradizione con la Scrittura, distinguendo la conoscenza di fede, che continuamente progredisce, dall’oggetto della fede che, come verità divina, è fissa ed immutabile. In tal modo si evita sia un rigido fissismo che un relativistico evoluzionismo.

Il punto della discordia tra le due parti è l’interpretazione del Concilio, per la quale entrambe ritengono di trovarvi una discontinuità col Magistero precedente, per il fatto che il Concilio avrebbe assunto in toto quella modernità che fino ad allora la Chiesa aveva combattuto: dunque un mutamento dottrinale, tale da assumere ciò che prima era rifiutato e condannato.

 Nei lefebvriani e nei modernisti questa interpretazione causa due effetti opposti o si inserisce in due opposti quadri di riferimento: per i lefebvriani il Concilio avrebbe tradito la Tradizione, mutato l’essenza della Chiesa, ed assunto gli errori del modernismo già condannati da San Pio X [vedere qui]. Da qui il rifiuto da parte dei lefebvriani della dottrine images.php-001nuove del Concilio giudicate false per non dire eretiche. Essi ritengono pertanto di doverle rifiutare appellandosi direttamente alla Tradizione, che il Papato postconciliare avrebbe abbandonato per lasciarsi influenzare dagli errori del mondo moderno [tra i numerosi esempi vedere qui]. Dal canto loro i modernisti hanno recepito l’intento del Concilio di proporre un cattolicesimo aggiornato e moderno, ma si sono fatti la convinzione che la Chiesa col Concilio abbia finalmente assunto, dopo secoli di chiusura, insensate condanne e sterile polemica, i valori della modernità,  per i quali si devono smentire o mutare o abbandonare i dogmi definiti nel passato. Ma ciò per i modernisti non fa alcun problema, perché secondo loro il Magistero della Chiesa non è infallibile, non esiste una verità immutabile, ma essa è sempre relativa all’evoluzione storica e alla diversità delle culture. Non esiste nulla di fisso e di stabile, ma tutto muta, tutto è in divenire, tutto è relativo. Dio stesso diviene. Credere che vi sia qualcosa che non muta, vuol dire aggrapparsi invano e stoltamente a ciò che inesorabilmente muta e scompare, a ciò che non è più attuale, vuol dire conservare ciò che non serve più, che non dice più nulla ed è superato dalla storia.

Ciò che era falso ieri per i modernisti è vero oggi e per non restare indietro nel cammino della storia, si deve stare all’oggi, non tpascendi_dominici-001ornare allo ieri. La verità è ciò che il mondo pensa oggi, non importa se in contrasto con quanto si pensava ieri, perchè oggi si è più avanzati di ieri. Non esistono valori perduti da recuperare, ma sempre occorre avanzare verso nuove conquiste. Non occorre verificare se il nuovo rispecchia il vero; il vero è semplicemente il nuovo un quanto nuovo. Dunque, per i modernisti il progresso dottrinale comporta del tutto normalmente contraddizioni con i precedenti insegnamenti della Chiesa. Si tratta in fondo della schema hegeliano del divenire. Così per costoro in passato la Chiesa si è sbagliata e finalmente col Concilio ha corretto i suoi errori, da tempo denunciati da riformatori del passato, come per esempio Lutero. Per questo l’ecumenismo viene inteso dai modernisti non in armonia con la conservazione integrale dei dogmi cattolici, ma come accoglienza di dottrine dei fratelli separati che in passato, soprattutto al Concilio di Trento, erano state condannate dalla Chiesa. Per cui non occorre aver nessuno scrupolo ad abbandonarle o quanto meno a relativizzare quei dogmi cattolici che non sono riconosciuti dai protestanti.

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il monaco agostiniano Martin Luther affigge le sue tesi sul portale della cattedrale

Questa affinità che i modernisti hanno con i protestanti li porta, ad imitazione di Lutero, a promuovere la conoscenza della Scrittura e del messaggio cristiano, nonchè  il progresso teologico senza tener conto del Magistero, ma appellandosi direttamente alla Bibbia o agli esegeti moderni, anche protestanti, così come i lefebvriani criticano il Magistero conciliare appellandosi direttamente alla Tradizione. Dunque sia gli uni che gli altri scavalcano il Magistero e si pongono al di sopra di esso e lo giudicano, anziché — come invece dovrebbero se fossero veri cattolici — accogliere docilmente e fiduciosamente dalla mediazione del Magistero l’interpretazione della Scrittura e della Tradizione.

C’è però questa differenza tra lefebvriani e modernisti, che mentre questi non hanno scrupoli a contestare certe dottrine del Concilio da loro giudicate superate o arretrate, come pure qualunque altro insegnamento della Chiesa in base al loro evoluzionismo dogmatico, i lefebvriani almeno sanno conservare con diligenza i dogmi del passato, tuttavia solo fino al Concilio, dopo il quale, secondo loro, il Magistero avrebbe tralignato, sicchè essi si sentono in dovere di custodire la “Tradizione” contro lo stesso Magistero.

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Isola delle Correnti nella punta estrema della Sicilia sud orientale, dove si incontrano le correnti dei tre mari della penisola italiana

Che nella Chiesa possano esistere due correnti, una sanamente tradizionalista, più sensibile alla conservazione dei valori più sacri e perenni, come per esempio quelli della liturgia, ed un’altra, più attenta all’elemento storico, allo sviluppo del dogma e al progresso della vita cristiana, corrente che potremmo denominare “progressista”, è cosa del tutto normale, utile ed anzi necessaria all’integrità e al buon andamento e funzionamento della Chiesa nel suo aspetto umano e sociale. Queste due correnti infatti, se restano nell’ambito dell’ortodossia e della disciplina ecclesiastica, sono fatte apposta per completarsi a vicenda e per collaborare tra di loro nella promozione dell’unica fede e dell’unica carità. Diventano invece nemiche tra di loro dividono la Chiesa quando, per ambizione, presunzione o bisogno di protagonismo, fuoriescono dalla retta fede, dalla comune obbedienza al Papa e dall’osservanza della medesima disciplina e carità ecclesiali. Occorre dunque adoperarsi affinché lefebvriani e modernisti, da buoni fratelli nella fede, giungano ad un accordo sulla base comune di quel cattolicesimo che pur tutti intendono professare. E’ dunque urgente, attuando veramente il Concilio, mettere in luce ciò che può favorire il dialogo e l’accordo, fattore che in ultima analisi si riassume, per dirla in breve, in una sincera integrale accettazione del Magistero della Chiesa, prendendo atto in particolare del fatto che le dottrine del Concilio attuano un progresso nella continuità.

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… besame mucho

I modernisti devono pertanto amare una sana modernità rinunciando al modernismo, mentre ai lefebvriani non è affatto proibito, anzi è grandemente lodevole, mantenere una speciale stima per la Tradizione, a condizione però di capire che il Concilio non la tradisce affatto, ma la conferma, la interpreta e la sviluppa. Occorre altresì che ognuna delle due parti riconosca i valori presenti nell’altra e rinunci a considerarsi come l’uni comodo di essere Chiesa escludendo o disprezzando l’altra.

Questa nostra rivista telematica intende modestamente ma sinceramente contribuire a questa preziosa opera di avvicinamento reciproco e di pacificazione, al fine di rendere la Chiesa di oggi una testimone più credibile al mondo della salvezza che Cristo ci ha donato.

Fontanellato, 1° ottobre 2014

 Cliccare qui sotto per ascoltare un canto mariano della tradizione popolare

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

L’ecclesiologia storicista di Hans Küng

L’ECCLESIOLOGIA STORICISTA DI HANS KÜNG

  

[…] Küng rappresenta l’inventore degli schemi concettuali che reggono le tante proposte rivoluzionarie avanzate in questi mesi da teologi ed esponenti dell’episcopato mondiale in occasione del Sinodo straordinario sulla famiglia indetto da Papa Francesco.

 

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Autore
Antonio Livi

Il teologo svizzero Hans Küng, nella sua lunga vicenda umana e intellettuale, non ha mai dismesso il suo “abito di scena”, che è quello del “cattivo maestro” in polemica con il magistero autentico della Chiesa cattolica. I suoi temi prediletti sono quelli che ieri venivano riproposti dall’arcivescovo di Milano, cardinale Carlo Maria Martini, e oggi vengono volgarizzati dalla letteratura pseudo-profetica di Enzo Bianchi. Sono la riforma della Chiesa, l’abolizione del primato pontificio, una “nuova” morale indirizzata ad attuare la “rivoluzione sessuale” sessantottina — di stampo freudiano-marxista —, la concessione del sacerdozio alle donne, l’eutanasia. Ultimamente Küng, ammalato di Parkinson, è giunto ad annunciare l’intenzione di ricorrere egli stesso al suicidio assistito, a imitazione del cardinal Martini.

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Il Reverendo Hans Küng in una foto giovanile

La carriera di Küng inizia negli anni Sessanta con interventi significativi nella fase preparatoria del Concilio. Con l’andar del tempo, le sue posizioni di aperta contestazione hanno trovato sempre più spazio sui giornali, con articoli o con interviste mirate su questo o su quel tema, conquistando cosi una significativa notorietà non solo dentro i circoli teologici, ma anche presso il grande pubblico. Uno degli snodi della sua battaglia polemica e stata ed è la virulenta contestazione dell’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI: l’ideale sacramentale — e perciò certamente divino, ma proprio per questo misterioso — della famiglia e della procreazione cristiane viene ridotto da Küng a restaurazione medievale, fino ad accusare il documento paolino e le successive affermazioni dei pontefici sul tema, «la causa principale della diffusione dell’Aids nel mondo».

La polemica di Küng, negli anni, ha investito innanzitutto il pontificato di san Giovanni Paolo II [vedere qui, qui, qui] e poi di Benedetto XVI [vedere qui, qui] il primo considerato reazionario, il secondo addirittura scismatico. Ma è sul beato Paolo VI, il papa che portò a compimento il Vaticano II, che infierì la polemica del teologo svizzero, che non poteva tollerare la sua genuina intuizione riformatrice del Concilio, alla quale opponeva una chiave di lettura fuorviante — perché storicistica e umanistica — che faceva leva sul «concilio dei mass media», come acutamente ebbe poi a dire Benedetto XVI.

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Il Rev. Prof. Hans Küng in una foto della maturità

Küng rappresenta l’inventore degli schemi concettuali che reggono le tante proposte rivoluzionarie avanzate in questi mesi da teologi ed esponenti dell’episcopato mondiale in occasione del Sinodo straordinario sulla famiglia indetto da Papa Francesco. Sarà dunque istruttivo tracciare un profilo dottrinale dell’ecclesiologia del teologo svizzero. L’ecclesiologia di Hans Küng merita infatti di essere ben conosciuta perché oggi essa non ha un peso teologico marginale, anzi costituisce proprio l’ideologia filosofico-religiosa dominante in ambito cattolico. Le categorie concettuali e le fonti letterarie principali sono quelle della Riforma luterana e della filosofia religiosa di matrice luterana, rappresentata nell’Ottocento dal sistema idealistico di Georg Friedrich Hegel e nel Novecento dalla «dogmatica ecclesiale» — die Kirchliche Dogmatik — di Karl Barth. I capisaldi di questa ideologia filosofico-religiosa sono rappresentati dallo storicismo e dalla dialettica immanentistica. La Chiesa cattolica viene così interpretata come un momento storico della dialettica dello Spirito — inteso, questo, non tanto come lo Agion Pneuma del dogma cattolico quanto piuttosto come «der Geist» di Hegel —, la quale mira a uno svolgimento nel prossimo futuro che vedrà, come prima tappa, l’abbattimento delle barriere dottrinali tra cattolici e protestanti — con la piena accettazione della concezione luterana della «giustificazione per sola grazia» — e la costituzione di una sola “Chiesa di Cristo” (ecumenismo). Infine, come seconda e definitiva tappa, la costituzione di una “Chiesa universale” su base esclusivamente etico-politica (la «Weltethik»). Tale ideologia pervade oggi, come sottofondo ben identificabile a un’attenta analisi concettuale, la maggior parte delle proposte, dottrinali o pastorali, dei teologi cattolici più in vista, a cominciare da Karl Rahner, che lo stesso Hans Küng considera un maestro e un modello nell’adottare in teologia la dialettica di Hegel (1).

Questi teoil_falso_profeta (1)logi cattolici, molti dei quali divennero vescovi, esercitarono una ben documentata influenza sui lavori del Vaticano II, per poi assumere il ruolo (arbitrario) degli unici interpreti autorevoli del Concilio nel successivo cinquantennio, fino ad arrivare, oggi, alla preparazione e allo svolgimento dei lavori del duplice Sinodo sulle possibili modifiche della prassi pastorale in relazione ai problemi delle famiglie.

Figura di spicco di questa corrente teologica è il cardinale Walter Kasper, sostenuto da gran parte dell’episcopato tedesco e in Italia da altri teologi divenuti cardinali come Dionigi Tettamanzi e Gianfranco Ravasi. La sua tesi più caratteristica, in linea con le proposte teologico-morali di Hans Küng, è la necessità di accelerare il processo di riforma della Chiesa con un più deciso adattamento alla coscienza morale degli «uomini del nostro tempo» e l’allineamento con la prassi delle comunità ecclesiali protestanti e ortodosse. Nel suoi discorsi il Leitmotiv è la necessità di de-dogmatizzare la Chiesa cattolica, cominciando da una nuova pastorale della famiglia separata e indipendente dalla dottrina sui sacramenti, provvisoriamente non abolita ma tenuta in disparte (2). In Italia, l’ideologia ecclesiologica di Hans Küng, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto “ecumenico”, è divulgata e incessantemente riproposta da Enzo Bianchi, “priore” della comunità di Bose, molto ascoltato dalla maggioranza dei vescovi e anche presso la Santa Sede (3).

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Foto del Dott. Enzo Bianchi vestito da monaco (immagine pubblica reperibile su qualsiasi motore di ricerca internet)

 

I PRESUPPOSTI DOTTRINALI DEL PROGETTO

KUNGHIANO DI RIFORMA DELLA

CHIESA CATTOLICA

 

Per comprendere bene, nei suoi contenuti teorici e nella sua portata pratica, l’ecclesiologia di Hans Küng, è indispensabile accennare ad alcuni dati biografici, sulla scorta delle opere nelle quali il teologo svizzero ha narrato il processo della sua formazione intellettuale (4). Da questi dati risulterà assai chiaramente l’indole luterano-idealistica delle sue intenzioni riformatrici e del suo ideale di vita ecclesiale cattolica, sulla base della sua particolare concezione del sacerdozio e della pastorale, presenti in ogni sua opera, dalla giovanile  Rechtfertigung alle opere della maturità come Existiert Gott? e al “manifesto” conclusivo della “Chiesa futura”, ossia il Projekt Weltethos.

 

4

Reinhard Marx, Arcivescovo Metropolita di München, durante un incontro interreligioso di preghiera

Hans Küng, nato nel 1928, si forma in un ambiente dove si pratica di fatto un certo “dialogo inter-religioso”, per via del contatto quotidiano, nella stessa classe, con cattolici, protestanti ed ebrei (5). Anche se aveva pensato di diventare medicoo architetto, «tendeva a qualcosa che fosse insieme più spirituale e più concreto, più utile ai giovani, perciò decise di diventare sacerdote e teologo cattolico» (6). In seguito, tali tendenze diverranno molto più accentuate, avranno cioè più evidenza e risonanza nella sua produzione. Lo dimostrano opere come Wahrhaftigkeit e Christ sein, e poi la sua attività romana come assistente spirituale di impiegati e a Sursee come predicatore in ospedale (7).

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Roma, lo storico ingresso del Pontificio Collegio Germanico-Ungarico

Giunto a Roma, nel 1948, Küng entra come seminarista al Pontificio Collegio Germanico e studia filosofia e teologia all’Università Gregoriana. Al Germanico, in quegli anni, vi si trovavano studiosi quali Emerich Coreth, Wilhelm Klein, W. Kern, tutti impegnati nello studio della filosofia hegeliana. Proprio in quel periodo, nel 1952, Coreth aveva dato alle stampe un suo saggio, intitolato Das dialektische Sein in Hegels Logik. Come afferma lo stesso Küng, da lui egli imparò a interpretare la spiritualità sacerdotale e lo zelo pastorale  in termini storicistici e dialettici, in opposizione frontale con le direttive dottrinali del Magistero di Pio XII, che includevano anche la raccomandazione di non abbandonare la metafisica e la logica insite nella tradizione teologica cattolica:

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Padre Wilhelm Klein

«Probabilmente non avrei resistito in quei sette anni senza il mio padre spirituale al Collegio Germanico, Padre Wilhelm Klein, il quale – preparato da una molteplice attività come professore di filosofia, come provinciale della provincia gesuita della Germania del Nord e come visitatore per la Compagnia di Gesù dalla Scandinavia fino al Giappone – portava con sé un orizzonte di vedute raro e molto ampio […]. Egli era anche l’uomo che per primo mi rese attento riguardo a molti problemi filosofici e teologici scottanti. Con lui parlavo soprattutto di Hegel e poi di Karl Barth. E a lui per primo mostravo i miei brevi manoscritti teologici, che redigevo da solo e che egli per lo più prima stroncava nel modo più tagliente per poi costringermi ad un pensare veramente dialettico, che includesse già nella sintesi anche il contrario» (8).

E fu proprio Klein che indusse «in maniera decisiva» il giovane Küng a scegliere come argomento di tesi dottorale la teologia barthiana. In un altro suo libro, Küng, nel ringraziare per l’aiuto ricevuto nella stesura del testo, ricorda con gratitudine Coreth, Klein, Kern come suoi «venerabili maestri al Collegio Germanico-Ungarico in Roma», che, insieme ad altri, «mi hanno dato suggerimenti decisivi per la mia teologia in generale e per la comprensione di Hegel in particolare» (9).

 

Negli anni che vanno dal 1951 in poi Küng si dedica principalmente allo studio della teologia dialettica di Barth, e sul teologo di Basilea redige nel 1955 la tesi di Licenza sotto la guida di uno dei suoi professori160_160Karl_Barth di dogmatica alla Gregoriana, cioè Maurizio Flick, che poi sarebbe divenuto famoso per la sua teoria sulla riduzione del dogma del peccato originale a mero mito delle origini. E a Barth Küng riconosce poi di essere riconoscente per avergli consentito di comprendere la valenza propriamente teologica della filosofia di Hegel, cancellando quindi non solo la distinzione tra teologia cattolica e teologia luterana ma anche tra teologia e filosofia. Rechtfertigung. Die Lehre Karl Barths und eine katholische Besinnung è la prima opera di Küng e  dimostra la passione con cui il teologo di Tübingen si dedicò ad assimilare il pensiero barthiano nei sette anni di permanenza al Collegio Germanico; lo stesso Karl Barth volle poi sottolinearlo pubblicamente:

«La mia gioia proviene anzitutto dall’apertura e dalla fermezza con la quale lei, al Collegio Germanico di Roma […] quale coraggioso compatriota ha studiato pure i miei libri ed ha chiarito dialetticamente a se stesso il fenomeno teologico che vi riscontrava» (10).

Altro autore studiato con passione era de Lubac, allora al centro di inevitabili polemiche per il suo libro Surnaturel. Études historiques (Paris 1946) che metteva in discussione la dottrina tradizionale circa la gratuità dell’ordine soprannaturale. Tali dispute, insieme a quelle su altri problemi relativi al poligenismo, all’evoluzionismo, al comunismo, condussero alla decisa presa di posizione di Pio XII con l’enciclica Humani generis (1950). Lo studioso cattolico Antonio Russo, dell’Università di Trieste, ammiratore di Henri de Lubac e di conseguenza molto comprensivo nei riguardi di Küng, dipinge a tinte fosche la situazione dottrinale, pastorale e disciplinare della Chiesa pre-conciliare, immedesimandosi nella visione della Chiesa che era tipica dei progressisti, e con loro del giovane seminarista svizzero Hans Küng:

«In quegli stessi anni, poi, il clima spirituale dominante a Roma è tutt’altro che aperto alle novità. Riviste come La Civiltà Cattolica ospitano non di rado articoli come Perenne vitalità del Papato; Azione pacificatri519yx8Tqv1Lce del Papato nelle età antiche; Azione pacificatrice e caritatevole del Papato nell’età contemporanea; Il Vaticano faro di progresso culturale. Si scomunicano i comunisti e chi offre loro appoggio; si indicono solenni pellegrinaggi, atti di devozione mariana e di “entusiasmi addirittura plebiscitari”; si proclama il dogma dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, l’Anno Santo del 1950, l’Anno Mariano del 1954. Il giovane teologo, comunque, vive continuamente a contatto sia con la “teologia romana” sia con l’ambiente spirituale e culturale del Germanico, trovandosi a disagio e in pericolo di far naufragare la sua conversio romana. Tanto che le sue letture si orientano verso l’approfondimento di posizioni e autori come Hegel, de Lubac, ma soprattutto di Karl Barth, il cui studio lo plasmerà in maniera duratura, perché gli aprirà “den Zugang zur evangelischen Theologie”, spingendolo ad appassionarsi per la teologia» (11).

 

Come sKung_Hans_01i vede, l’influsso ricevuto da Küng nei primi anni della sua formazione è di stampo decisamente luterano, e luterana è la concezione di Chiesa e di teologia ecclesiale che fin dagli inizi orienta i suoi studi. Il risultato è un metodo teologico che procede a partire dalla  sostanziale eliminazione del magistero ecclesiastico – soprattutto quello pontificio – come criterio di base per l’interpretazione scientifica della fede. Anche la vita concreta della Chiesa – la liturgia, la pietà popolare – è vista come “da fuori”, come qualcosa da superare o eliminare del tutto perché appartenente alla “Chiesa del passato”, che deve lasciare spazio alla “Chiesa del futuro”.

Küng avverte un aspro fastidio verso il culto mariano che la Chiesa professa  e pratica, e conseguentmariatempioemente è portato a svalutare, non solo della devozione popolare ma anche un solenne pronunciamento dogmatico come quello del 1954 relativo all’Assunzione in Cielo, in corpo e anima, della Beata Vergine Maria. Avendo disconosciuto la potestas docendi della Chiesa gerarchica, Küng al posto del Magistero adotta come criterio-guida per la teologia, ossia per l’interpretazione di quella che Küng chiama sempre «der christlischer Glaube» (mai «der katholischer Glaube»), il pensiero del luterano Karl Barth, il quale a sua volta introduce Küng a una pratica della teologia ispirata esclusivamente alla dialettica hegeliana.

 

LE CONSEGUENZE TEOLOGICHE

DELL’ADOZIONE DELLA DIALETTICA

HEGELIANA
 

Occorre rilevare a questo punto che queste premesse metodologiche fanno sì che il discorso  sulla Chiesa svolto da Küng non sia propriamente teologico: nessuna delle sue tesi può essere considerata – da un punto di vista rigorosamente critico-epistemologico – come ipotesi scientificamente ammissibili, come una quaestio teologica disputata, perché il metodo da lui seguito non è affatto quello proprio della teologia ecclesiale ma è piuttosto quello di una “filocopj170.aspsofia religiosa”, nel senso preciso che io do a questo termine nel mio trattato su Vera e falsa teologia (12). e che il pensiero di Küng sia da considerare mera “filosofia religiosa” dipende non solo dal fatto che si ispira alla dialettica di Hegel – il quale esplicitamente riduce la teologia cristiana alla filosofia, e questa a una «Phanomenologie des Geistes» (13) – , ma anche dal fatto che nemmeno il pensiero di Barth trascende gli angusti limiti metodologici della “filosofia religiosa”; infatti, come ebbi a ribadire anche in un dialogo epistemologico con Brunero Gherardini (14), il presupposto luterano della «sola Scriptura», con l’esclusione a priori del magistero ecclesiastico dalla determinazione scientifica dell’oggetto della teologia (che altro non può essere se non la fede della Chiesa), fa sì che ciò che lo studioso denomina «der christlischer Glaube» o «das Wort Gottes» resti indeterminato, o comunque determinato soltanto da scelte soggettive, e quindi ridotto a dati ricavabili solo dall’incerta fenomenologia della coscienza individuale o storico-comunitaria, quella che è deputata a interpretare la Scrittura senza bisogno di un magistero ecclesiastico. Ora, non si può elaborare una scienza senza la chiara determinazione del suo specifico oggetto, al quale dipende poi l’adozione del metodo più adeguato a interpretarlo. Una teologia che non abbia per oggetto la fede della Chiesa (e non il «sentimento di fede» soggettivo di qualcuno, all’interno o al di fuori della Chiesa) non può essere considerata “teologia” nel senso cattolico del termine, ossia come teologia ecclesiale. E, all’interno di tale teologia, l’ecclesiologia di chi non collega direttamente ed essenzialmente la fede della Chiesa al magistero della Chiesa si riduce a un ambiguo discorso religioso che poi finisce per adottare i temi e i modi retorici di una a ideologia socio-politica, come è avvenuto con le ultime opere di Hans Küng, come Projeckt Weltethos, che ben poco si differenziano, nella sostanza, da analoghe opere di propaganda dell’ideologia universalistica di ispirazione teosofica o massonica. Infatti, per esplicita ammissione di Küng, solo a seguito dell’incontro con le opere di Barth:

«wurde mir klar, was Theologie als Wissenschaft sein kann. Barths kritischkonstruktive Auseinandersetzung mit der gesamten christlichen Tradition […] setzte für mich bleibende Masstäbe theologischen Denkens und Handelns» (15).

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Dall’opera Ballo in maschera: donna arcivescovo. Segue sotto a destra una foto tratta dall’opera Mistero buffo: donne-prete

Per dirla in termini ancora più espliciti, e anche più rigorosi dal punto di vista epistemologico, l’ecclesiologia di Hans Küng non va considerata come “una teologia con qualche errore”: essa è piuttosto la negazione stessa della “teologia come scienza” (die Theologie als Wissenschaft), in quanto il modo di riferirsi alla Chiesa di Cristo – quel mistero della fede cristiana che la scienza teologica dovrebbe assumere come proprio oggetto specifico e prendere in esame – mostra chiaramente che Küng si riferisce ad altro. Quando parla di “ecumenismo”, sembra che si riferisca semplicemente a qualcosa di  sociologicamente rilevabile – che egli individua nel “minimo comun denominatore” delle varie “confessioni di fede” elaborate dalle comunità cristiane. Questo  qualcosa di  sociologicamente rilevabile gli serve poi –  proprio come fa Hegel nel disegnare le sue sintesi storiche della coscienza religiosa –  per elaborare il progetto della “religione universale”, che segnerebbe il superamento della Chiesa cattolica e di tutte le altre confessioni cristiane, nell’unità dialettica con l’Islam, con il buddismo, con l’induismo e anche con l’ateismo. Le richieste che oggi Küng avanza per accelerare la “riforma della Chiesa” (l’annullamento di fatto del magistero ecclesiastico e soprattutto del primato del Papa, la sinodalità nel governo della Chiesa, abolizione del celibato ecclesiastico, l’ammissione delle donne al sacerdozio ordinato, il riconoscimento del matrimonio omosessuale, l’accettazione dell’eutanasia eccetera) non sono altro che la preparazione di  ciò che ineluttabilmente avverrà domani, quando si realizzerà pienamente il destino insito nell’essenza stessa della Chiesa come fenomeno (= mani20110604-302festazione momentanea) dello Spirito. Nulla di diverso, sia nei termini che nei concetti, da quello che Hegel diceva  nell’opera giovanile Lo spirito del cristianesimo e il suo destino; ma nulla di simile a quello che è un discorso propriamente teologico, che inizia con l’accettazione senza riserve della verità rivelata (il dogma) e continua con l’elaborazione di ipotesi di interpretazione razionale  che hanno come strumento privilegiato la metafisica. Come giustamente aveva osservato all’inizio del Novecento Réginald Garrigou-Lagrange, in polemica con i modernisti e con i teologi cattolici convinti di  poter conciliare il dogma con l’evoluzionismo di Bergson, la verità della fede, contenuta nelle “formule dogmatiche”, non può essere compresa dai credenti se non sulla base delle evidenze del “senso comune”, che sono sostanzialmente di natura metafisica e che a loro volta costituiscono la premessa razionale per l’interpretazione scientifica del dogma, ossia per la teologia (16). In effetti, senza la metafisica e senza la logica che ad essa è intrinsecamente collegata, soprattutto senza il principio di non-contraddizione, il dogma non è più la verità divina custodita dalla Chiesa ma può e deve essere contraddetto dialetticamente, in conformità con i mutamenti culturali e sociali (17). Questo è quanto arriva a sostenere Küng in die Kirche (1967) e in Unfehlbar? Eine Anfrage (1970):

«Ogni formula di fede, non solo nell’individuo ma anche nella chiesa intera, resta imperfetta, incompleta, enigmatica […] questa frammentarietà non si fonda soltanto sul carattere spesso polemico e angusto delle formule dottrinali della chiesa, ma sul carattere necessariamente dialettico di ogni umana affermazione della verità […]. Ogni proposizione può essere vera e falsa» (18).

 Sicché non sorprende che la Congregazione per la dottrina della fede emanasse il seguente monitum:

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Il Cardinale Franjo Šeper (Osijek, 2 ottobre 1905 – Roma, 30 dicembre 1981) all’epoca prefetto della Congregazione per la dottrina della fede

«La Congregazione per la dottrina della fede adempiendo il proprio compito di promuovere e tutelare la dottrina della fede e dei costumi in tutta la chiesa ha sottoposto all’esame le due opere del professore Hans Küng, La chiesa e Infallibile? Una domanda, che sono state pubblicate in diverse lingue. Con due diverse lettere, datate rispettivamente 16 maggio 1971 e 12 luglio 1971, la congregazione notificò all’autore le difficoltà che trovò nelle sue opinioni e lo pregò che spiegasse per iscritto come tali opinioni non contraddicano la dottrina cattolica. Con una lettera del 4 luglio 1973 la congregazione offerse al professore Küng una ulteriore possibilità di spiegare le proprie idee mediante un colloquio. Con una sua lettera del 4 settembre 1974 il prof. Küng tralasciò anche questa possibilità. D’altra parte con le sue risposte non provò che alcune opinioni circa la chiesa non contraddicano la dottrina cattolica ma continuò a sostenerle anche dopo la pubblicazione della dichiarazione Mysterium ecclesiae. Perciò affinché non rimangano dubbi circa la dottrina che la Chiesa Cattolica professa e perché la fede dei cristiani non sia in alcun modo offuscata, questa sacra congregazione, richiamando la dottrina del magistero esposta nella dichiarazione Mysterium ecclesiae dichiara: Nelle opere sopradette del prof. Hans Küng sono contenute alcune opinioni che, in diverso grado, si oppongono alla dottrina della Chiesa Cattolica che deve essere professata da tutti i fedeli. Notiamo soltanto le seguenti di maggior rilievo prescindendo ora da un giudizio circa alcune altre che il prof Küng difende. L’opinione che pone almeno in dubbio lo stesso dogma di fede della infallibilità della Chiesa e lo riduce ad una certa fondamentale indefettibilità della Chiesa nella verità, con la possibilità di errare nelle sentenze che il magistero della Chiesa in modo definitivo insegna di credere, contraddice la dottrina definita dal concilio vaticano I e confermata dal concilio vaticano II. Un altro errore che pregiudica gravemente la dottrina del prof. Küng riguarda la sua opinione sul magistero della Chiesa. In realtà egli non si attiene al genuino concetto del magistero autentico secondo il quale i vescovi sono nella chiesa “dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo e che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella vita pratica”; infatti “l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo magistero vivo della Chiesa”. Anche l’opinione già insinuata dal prof. Küng nel libro La Chiesa e secondo la quale l’eucarestia, almeno in casi di necessità, può essere consacrata validamente da battezzati privi dell’ordine sacerdotale, non può accordarsi con la dottrina dei concili Lateranense IV e Vaticano II» (19).

 

Nel 1979 a Hans Küng venne revocata la missio canonica relativa l’insegnamento della teologia cattolica.

 

UN GIUDIZIO DEL MAGISTERO SULL’ECCLESIOLOGIA

STORICISTICA

 

brevetto di volo

Padre Anthony De Mello S.J. ed il suo libro: Brevetto di volo per aquile e polli.

L’ecclesiologia storicistica di Hans Küng, divulgata da tanti autori di saggistica teologica, ha trovato una puntuale condanna in una nota della Congregazione per la dottrina della fede. Essa riguarda direttamente non il teologo svizzero ma un suo epigono indiano, il gesuita Anthony De Mello. Nel documento della Congregazione, reso noto nel 1998 — lo stesso anno in cui Papa Giovanni Paolo II pubblicava l’enciclica Fides et ratio — si legge che nelle opere di De Mello si osserva:

«un progressivo allontanamento dai contenuti essenziali della fede cristiana. Alla rivelazione avvenuta in Cristo egli sostituisce una intuizione di Dio senza forma né immagini, fino a parlare di Dio come di un puro vuoto. […] Le religioni, inclusa quella cristiana, sono uno dei principali ostacoli alla scoperta della verità. Questa verità, d’altronde, non viene mai definita nei suoi contenuti precisi. Pensare che il Dio della propria religione sia l’unico è, semplicemente, fanatismo. “Dio” viene considerato come una realtà cosmica, vaga e onnipresente. Il suo carattere personale viene ignorato e in pratica negato».

Bianchi, molte fedi

Enzo Bianchi, teatro Donizetti di Bergamo, 20 settembre 2012 (immagine pubblica reperibile su tutti i motori di ricerca internet)

Si tratta della concezione hegeliana dell’Assoluto che non è trascendente, non è personale, ma si identifica con il divenire dialettico dello Spirito e quindi con la Storia. La Chiesa cattolica, una volta negato il valore assoluto della verità rivelata, è relativizzata e ridotta a momento transitorio dello sviluppo della coscienza di un’umanità destinata all’unità globalizzata su base etica. Cristo – dice ancora il documento firmato da Josef Ratzinger – viene a essere considerato «come un maestro accanto ad altri. […] Non viene riconosciuto come il Figlio di Dio ma semplicemente come colui che ci insegna che tutti gli uomini sono figli di Dio».

In questa denuncia del Magistero ritrovo la condanna a priori di quell’ umanesimo ateo che ho rilevato tante volte negli scritti di un altro epigono del teologo svizzero, ossia Enzo Bianchi, che arriva a qualificare Cristo come semplice “creatura” [Ndr. Vedere precedente articolo di Antonio Livi, qui].

NOTE

 

  • Cfr Hans Küng, Menschwerdung Gottes. Eine Einfürung in Hegels theologisches Denken als Prolegomena zu einer künftigen Christologie, Verlag Herder, Freiburg – Basel – Wien 1970, p. 643: «Nella teologia cattolica più recente è stato Karl Rahner ad aprire nuovi orizzoni […]. Lo spirito insigne che aleggia sullo sfondo di questo approfondimento […] altri non è se non Hegel, anche se non mancano nemmeno influssi heideggeriani. I suoi sporadici tentativi di distanziarsi da Hegel in argomenti secondari non fanno che confermare questo fatto» (traduzione mia).
  • Vedi Antonio Livi, in La Nuova Bussola Quotidiana, 10 ottobre 2014.
  • Vedi Antonio Livi, in La Nuova Bussola Quotidiana, 10 febbraio 2012.
  • Cfr Hans Küng, Erkämpfte Freiheit. Erinnerungen, München 2002; Idem, Umstrittene Wahrheit. Erinnerungen, München 2007.
  • Cfr Hans Küng, La giustificazione, trad. it. di T. Federici, Editrice Queriniana, Brescia 1969, p. 21.
  • Hans Küng. Weg und Werk, a cura di Häring und K. J. Kuschel, Piper Verlag, München 1978, p. 123.
  • Cfr Hans Küng, intervista ad A. W. Scheiwiller, “Unbequeme Eidgenossen: Hans Küng der kirchentreue Reformator”, in Woche, 14 giugno 1972, p. 23.
  • Hans Küng. Weg und Werk, cit., p. 128.
  • Hans Küng, Incarnazione di Dio in Hegel. Prolegomeni per una futura cristologia, trad. it., Queriniana, Brescia 1970, p. 10.
  • Karl Barth, Geleitbrief, in Hans Küng, Rechtfertigung. Die Lehre Karl Barths und eine katholische Besinnung, Johannes Verlag, Einsiedeln 1957 cit.; trad. it: Lettera all’autore, in Hans Küng, La giustificazione, cit., p. 8.
  • Antonio Russo, «Hans Kung e la teologia come scienza», in Studium, 106 (2010), pp.185-206, qui p. 188.
  • Cfr Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.
  • Vedi Antonio Livi, Vera e falsa teologia, cit., pp. 141-148.

(14) Cfr Antonio Livi, Qualche chiarimento, in dialogo con estimatori e critici, in Verità della teologia. Discussioni di logica aletica a partire da “Vera e falsa teologia”, di Antonio Livi, a cura di Marco Bracchi e di Giovanni Covino, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014, pp. 167-185.

(15) Hans Küng. Weg und Werk, cit., p. 137.

(16) Cfr Réginald Garrigou-Lagrange, Le Sens commun, la philosophie de l’être et les formules dogmatiques, Beauchesne, Parigi 1912; trad. it.: Il senso commune, la filosofia dell’essere e le formule dogmatiche, a cura di Antonio Livi e di Mario Padovano, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013.

(17) Vedi in proposito Antonio Livi, Razionalità della fede nella Rivelazione. Un’analisi filosofica alla luce della logica aletica, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2005.

(18) Hans Küng, Die Kirche, Herder, Freiburg im Breisgau 1967, p. 397.

(19) Congregazione per la dottrina della fede, Monitum, 15 febbraio 1975.

 

BIBLIOGRAFIA

 Louis Bouyer, «Ecumenismo senza scavalcamenti», in Studi cattolici, 13 (1969), pp. 30-35.

Pier Carlo Landucci, «Ecco Hans Küng», in Studi cattolici, 22 (1979), pp. 549-54.

Luigi Iammarrone, Hans Küng eretico. Eresie cristologiche nell’opera “Christ sein”, Edizioni Civiltà, Brescia 1977.

Luigi Iammarrone, Teologia e cristologia. “Dio esiste”, di Hans Küng, Edizioni Quadrivium Genova 1982.

Antonio Livi, «Dogma e Magistero dopo il “caso Küng”», in Studi cattolici, 24 (1980), pp. 171-177.

Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, seconda edizione aumentata, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012, pp. 241-246.

Emanuele Samek Lodovici, «Il dogma infallibile di Han Küng», in Studi cattolici, 16 (1971), pp. 171-177.

Emanuele Samek Lodovici, «La via a Hegel di Hans Küng», in Studi cattolici, 16 (1971), pp. 243-251.

 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

La questione delle “Dottrine diaboliche”

LA QUESTIONE DELLE “DOTTRINE DIABOLICHE”

 

L’uomo diabolico può essere moderato, casto, temperante, misurato, controllato, gentile, dalle buone maniere, cortese, affabile, beneducato, simpatico, allegro, psichicamente normale, colto, dal tratto raffinato, apparentemente pio e sereno; anzi il demonio di preferenza sceglie queste persone aliene dagli eccessi emotivi, dagli scoppi di ira, dagli impulsi incontrollati, persone che non destano sospetti, magari altolocate, prelati,  teologi o religiosi, e che quindi sono oggetto di stima e di rispetto, per renderli strumenti della sua azione quando vuol compiere danni veramente gravi alle anime e di lunga durata …

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

In questi ultimi anni, sia grazie ad interventi della Chiesa o dei Pastori, sia grazie alla pubblicazione di valide opere sull’argomento od alla fama acquistata da valenti esorcisti, come il Padre Gabriele Amorth ed altri, in molti ambienti cattolici è stata recuperata la 067de-spraguealtar1consapevolezza dell’azione di Satana in questo mondo [Cf. Pietro Cantoni, L’oscuro Signore, qui], anche se molto resta da fare per eliminare due persistenti errori opposti fra loro, il primo, più diffuso negli ambienti colti, consistente nella negazione tout court dell’esistenza deldiavolo; il secondo, presente invece negli ambienti popolari, che consiste nella spettacolarizzazione dell’azione satanica e nella troppa facilità con la quale si vorrebbero spiegare certi fenomeni odiosi o certe sventure a ripetizione. Capita poi di incontrare idee sbagliate sul demonio sia nel primo che nel secondo caso.

Riguardo all’azione di Satana generalmente si dà spazio e pubblicità, a volte per una certa inutile curiosità o ricerca di successo da parte della pubblicazioni sull’argomento, ai fenomeni più eclatanti, sconcertanti ed impressionanti, come le possessioni, le apparizioni e il satanismo. Questa fenomenologia, però, grazie a Dio, è piuttosto rara.

Viceversa, esiste un altro aspetto dell’azione di Satana, più frequente e più importante, ma meno appariscente e più trascurato, ed è quello che ci tocca tutti da vicino, per cui è d’interesse primario per il nostro cammino di salvezza, anche se non ha la spettacolarità propria del primo, ma al contrario, ponendosi schiettamente sul piano dello spirito – del resto, Satana non è uno spirito? – colpisce meno i sensi, le emozioni e la fantasia ed interpella maggiormente il delicato lavoro dell’intelligenza, della coscienza e della volontà, soprattutto in relazione all’esercizio delle virtù teologali della fede, della speranza e della carità, nonchè all’esercizio dei doni dello Spirito Santo.

Il fenomeno delle possessioni o della vessazioni tutto sommato costituisce una dura prova per l’ossesso ed impegna certamente l’abile esorcista, ma in fin dei conti non compromette o non mette in pericolo la condotta morale del paziente, dato che, come è noto, durante la presenza del demonio, il paziente si trova in uno stato inconscio, per cui non può esercitare la volontà.

Invece l’ingresso di Satana nella coscienza del soggetto lucido e cosciente è il vero problema circa l’azione di Satana, in quanto egli, con le sue suggestioni, seduzioni e tentazioni, mette in serio pericolo la salute spirituale del soggetto, spingendolo al peccato. Infatti tutta l’azione di Satana in questo mondo si può riassumere in quest’unico fine: ingannare l’uomo appunto con “dottrine diaboliche” per persuaderlo a peccare sapendo di peccare, facendogli apparire bene il male o male il bene.

L’immaginarsi Satana come un essere spaventoso o repellente vuol dire fermarsi sul piano della metafora e dell’immaginazione, senza cogliere il significato vero dell’azione satanica, ossia senza vedere in Satana la sua vera pericolosità che, ripeto, sta nella sua arte raffinata di condurci a peccare, di mostraci il peccato come attraente.

 

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era il Principe della Luce, il più bello fra gli Angeli

In questo senso Satana non appare ripugnante ma al contrario appare affascinate, seducente ed ammaliatore. Satana cerca di ottundere la nostra coscienza, sì da non pentirci del peccato commesso. Qui sta la vera caratteristica, del resto quotidiana per chi sa avvertirla, dell’azione satanica. Oppure istilla dei falsi sensi di colpa per bloccarci nel compimento del bene e per indurci alla disperazione.

Sotto questo profilo che è quello che deve starci più a cuore se ci teniamo alla nostra salvezza, l’azione di Satana non ha un carattere esterno e materiale, attinente ai sensi, alle emozioni o agli stati del nostro fisico, come nel primo caso, ma un aspetto sottile, interiore, insinuante, potremmo dire “serpentino”, che tocca appunto la vita del nostro spirito, il nostro intimo, le nostre idee, le nostre convinzioni, sentimenti, tendenze o aspirazioni spirituali, i nostri atti morali, il nostro rapporto interpersonale con gli altri, il nostro rapporto con Dio. Si pone sul piano delle idee, della comunicazione del pensiero, dei messaggi verbali, degli impulsi o degli stimoli dati alla volontà.

La mira principale di Satana non è neppure tanto la corruzione delle passioni ma la corruzione dello spirito. Non spinge tanto ai peccati carnali, ma a quelli spirituali: la superbia, l’empietà, la presunzione, l’invidia, l’odio, l’ipocrisia, la menzogna, la doppiezza. Egli pone l’ostacolo più grave al conseguimento del bene, della virtù, di Dio, ostacolo che non viene dalla carne ma dallo spirito o, come dice Cristo, non viene dall’esterno, ma dall’interno, dal cuore, dalla volontà.

Egli mira rendere torbida e falsa l’intelligenza, sleale, doppia e cattiva la volontà. Il peccato di Satana è stato ovviamente un peccato spirituale, essendo egli puro spirito, e per questo i peccati spirituali possono essere detti “diabolici”. Questi peccati contaminano innanzitutto l’intelletto e la volontà, il pensiero e l’azione, che sono le potenze proprie dello spirito.

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una locandina pubblicitaria sul “pensiero creativo”

Il primo peccato spirituale, il punto di partenza della perdizione concerne quindi il pensiero: quella che San Paolo chiama “dottrina diabolica”. Essa consiste nell’istigazione alla menzogna e nell’apologia della menzogna circa i valori più importanti, che sono quelli che riguardano la salvezza, quindi la falsificazione della Parola di Dio, della verità di fede, della dottrina della Chiesa.

Nel peccato di pensiero gioca ovviamente la volontà, giacchè ogni peccato comporta la cattiva volontà. Ma poi il peccato diabolico concerne anche quegli atti che riguardano l’impegno specifico della volontà, ossia i peccati  propriamente attinenti all’azione o all’operazione, l’esecuzione pratica del pensiero diabolico, e qui abbiamo tutti i più gravi gesti della violenza, della crudeltà, del sacrilegio, dell’incredulità, della disperazione, dell’ingiustizia, del furto, dell’assassinio, dell’aborto, del sadomasochismo, della contesa, della diffamazione, della denigrazione, della disobbedienza, della sedizione, della strage, del terrorismo.

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lupus et agnus …

L’uomo diabolico può essere moderato, casto, temperante, misurato, controllato, gentile, dalle buone maniere, cortese, affabile, beneducato, simpatico, allegro, psichicamente normale, colto, dal tratto raffinato, apparentemente pio e sereno; anzi il demonio di preferenza sceglie queste persone aliene dagli eccessi emotivi, dagli scoppi di ira, dagli impulsi incontrollati, persone che non destano sospetti, magari altolocate, prelati,  teologi o religiosi, e che quindi sono oggetto di stima e di rispetto, per renderli strumenti della sua azione quando vuol compiere danni veramente gravi alle anime e di lunga durata: si tratta soprattutto degli eresiarchi, il cui influsso maligno è capace di durare secoli.

 Sono questi gli autori di quelle che San Paolo chiama “dottrine diaboliche” [Cf. I Tm 4,2]. La persona diabolica può rivestirsi di un’apparenza nobile, può sembrare una persona molto spirituale, un profondo teoreta, un profeta ispirato, un veggente, un mistico, giacchè, come dice S.Paolo, “Satana si maschera da angelo di luce” [Cf. II Cor 11,14].

Satana sa in qualche misura simulare persino la santità, anche se l’occhio esperto riconosce facilmente le contraffazioni e le imposture, giacchè è per Satana un’impresa tutto sommato troppo difficile. Da qui il proverbio popolare: “il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”. La finzione diabolica non può durare a lungo.

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Raffigurazione artistica dello Spirito Santo

Ci casca solo chi ci vuol cascare. Ordinariamente il demonio non mira così in alto, anche perché pochi amano la santità ed egli vuol conquistare il numero più alto possibile di allocchi e di citrulli. Per questo ordinariamente si nasconde sotto i lineamenti e lo stile di personaggi di successo che attirano le folle, falsi filosofi, teologastri, abili sofisti ed impostori, riformatori della Chiesa e della società, geni del pensiero e della scienza, seduttori, leaders politici, spiritisti, ipnotizzatori, attori, artisti, poeti e maghi.

Ma citiamo l’espressione paolina nel suo contesto, che è molto interessante: “Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza”.

Innanzitutto il riferimento allo Spirito Santo, che è lo Spirito della verità, serve a dar certezza di questa dichiarazione. Gli “ultimi tempi” o “pienezza dei tempi” nel linguaggio biblico rappresentano i tempi apocalittici, ossia quelli conclusivi e decisivi, i più altamente drammatici, della storia della salvezza, i tempi dello scontro finale. Ricordiamo l’apostasia della quale parla l’Apostolo [II Ts 2,3]. Riguardano innanzitutto il futuro, ma possono interessare anche il presente, in quanto già nel presente si decide della nostra salvezza, si edifica la nostra salvezza.

La stessa venuta di Cristo, secondo il Vangelo, inaugura gli “ultimi tempi” preannunciati dai profeti, ultimi sì in senso cronologico, ma soprattutto intensivo: i tempi più carichi di significato, i tempi risolutivi, detti anche “tempi della fine”, fine di questo mondo di peccato ed inizio del nuovo mondo della giustizia, tempi dello scontro finale delle forze del bene contro quelle del male.

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il Dott. Enzo Bianchi ed il Prof. Alberto Melloni (foto pubbliche reperibili su qualsiasi motore di ricerca in internet)

In questa lotta finale emergono le dottrine più pericolose, che sono appunto le “dottrine diaboliche”. Esse vanno smascherate e confutate con la stessa potenza di quello Spirito, che ne rivela la comparsa e la pericolosità. È lo Spirito Santo, Spirito della verità, accompagnato dalla preghiera, che scopre e scaccia lo spirito impuro, lo spirito della menzogna.

Queste dottrine si prefiggono soprattutto la distruzione o la falsificazione della fede – l’eresia –,  di quella fede che è l’inizio della salvezza. Il demonio tenta di sopprimere la vita cristiana alla radice, spegnendo la luce della fede con dottrine che ce la fanno apparire falsa, odiosa, irrazionale, degradante, disumana, intollerante, illiberale, superata, schiavizzante e molti altri inganni del genere.

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Iconografia dell’Apostolo Paolo con libro e spada

San Paolo è molto severo nel giudicare questi “spiriti menzogneri” che diffondono l’eresia. Dichiara infatti che sono “bollati a fuoco nella loro coscienza”; dunque non sono in buona fede, cosa che invece può capitare quando uno difende un’eresia senza sapere che è un’eresia. In tal caso già dai tempi di S.Agostino la Chiesa parla di eresia “materiale”, che non è colpevole, in quanto il soggetto scambia involontariamente l’errore per la verità e la verità per l’errore.

Invece nell’eresia vera e propria, detta “formale”, vi è vera colpevolezza, data dal fatto che l’eretico sa che la sua idea è eretica e con tutto ciò la difende presentandola come verità cattolica oppure semplicemente escludendola come fosse contraria alla verità cattolica. Si tratta di una colpa gravissima, ben descritta dall’Apostolo con l’espressione “bollati a fuoco nella loro coscienza”, quasi a significare il fuoco dell’inferno che già in questa vita comincia a tormentare gli eretici.

Certo non è sempre facile all’atto pratico distinguere l’eretico formale da quello materiale, ma è molto importante, benchè ben diverso è il comportamento che occorre tenere nei due casi. Tuttavia ci sono dei segni che indirettamente ma con certezza ci permettono di distinguere e quindi di adottare l’opportuno comportamento che occorre nei due casi.

La differenza essenziale tra i due tipi di eretico è data dalla presenza di alcune caratteristiche morali: l’eretico formale è superbo, presuntuoso, sleale, arrogante, ostinato, ambizioso, vendicativo, crudele, sprezzante e beffardo verso gli avversari, un implacabile odiatore di coloro che osano criticarlo o rimproverarlo, astuto custode della sua immagine o del suo look, sì da procurarsi la maggior fama possibile nel mondo, impegnato a cercare mezzi e a formare discepoli e collaboratori che lo sostengano nella sua empia attività.

L’eretico è oggetto di fanatica ammirazione da parte dei seguaci, che lo pongono al di sopra di qualunque altra autorità, quasi sia un dio. Esempio classico è Lutero, benchè ovviamente si debbano riconoscere in lui alcune qualità, come la sua “profonda religiosità”, come ebbe a dire il Beato Giovanni Paolo II.

Viceversa l’eretico semplicemente materiale è in realtà ortodosso e può essere anche un santo. Non si può neppur dire propriamente eretico, ma è solo una persona che sbaglia. Semplicemente non si rende conto del suo errore e se ne prendesse coscienza, lo respingerebbe decisamente, ma Dio può permettere che per lungo tempo e forse anche per tutta la vita non se ne accorga. Si tratta quindi di ignoranza non colpevole, cosiddetta “invincibile”, causata o da una insufficiente formazione ricevuta o a limiti intrinseci della sua intelligenza o da fraintendimenti o equivoci insormontabili magari legati all’ambiente, al linguaggio o a difetti del carattere o della sua psiche.

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il Beato Antonio Rosmini, una vita di santità. Essere caduto nell’errore dottrinario involontario, non gli precluse affatto il riconoscimento della eroicità delle virtù.

L’eretico materiale, che potremmo anche dire pseudo-eretico, erra solo in alcuni punti nell’ambito di un sistema di pensiero sostanzialmente ortodosso e che anzi sotto questo punto di vista può essere di grande valore e fare molto bene alla cultura e alla Chiesa. Può essere addirittura un mistico e una maestro di santità. È fedele alla Chiesa, coscienzioso, preoccupato dell’ortodossia, nemico degli eretici, umile, pio, prudente, modesto, disinteressato, magnanimo, caritatevole, generoso, pronto a correggersi ove si rende conto dell’errore, mite e paziente con gli avversari, che magari lo maltrattano, non attaccato alle sue idee, non preoccupato di una fama mondana ma solodi piacere a Dio, non chiuso nelle sue idee, ma sempre pronto ad imparare. Esempio famoso è il Beato Antonio Rosmini.

Come risulta dal passo di San Paolo, la importante collaboratrice di Satana è l’Ipocrisia. Quanto spesso Gesù lancia accuse di ipocrisia! E contro chi? Contro i pubblicani, le prostitute e i peccatori? No; contro sacerdoti, scribi e farisei! Quale lezione per noi preti, per noi religiosi, votati alla perfezione ed alla guida delle anime! E dunque tra di noi che il demonio trova il terreno più adatto per seminare le sue dottrine!

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ruota del pavone, emblema della vanità

La prima cosa da fare nella vita – e ciò vale anche e soprattutto per chi è chiamato ad insegnare la teologia o le verità di fede, ed a guidare le anime alla salvezza – è agire in buona coscienza davanti a Dio, distaccati dalla gloria umana, cercare Dio innanzitutto e ad ogni costo: se gli uomini approvano, bene, e se non approvano, pazienza. Occorre quindi evitare la gloria umana e non essere schiavi del parere altrui. Invece l’eretico cerca innanzitutto se stesso e il favore degli uomini; Dio e la religione per lui sono solo un mezzo per affermarsi nel mondo e per ottenere una gloria effimera che apre a lui ed ai suoi discepoli la via della perdizione.

Bologna, 16 maggio 2013

 

Cliccare qui sotto per ascoltare un canto mariano della tradizione popolare

Per conoscere la verità che vi farà liberi : “Siate perfetti nell’unità”

PER CONOSCERE LA VERITÀ CHE VI FARÀ LIBERI:  «SIATE PERFETTI NELL’UNITÀ» 

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Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è il messaggero del Signore degli eserciti [Malachia 2,7]

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Questa rivista telematica nasce sotto gli auspici dell’Apostolo Giovanni e prende nome dall’Isola di Patmos che si trova nell’arcipelago delle Sporadi, a poche decine di chilometri dalla Città di Efeso, dove l’Apostolo fu esiliato per la sua predicazione e per la zelante testimonianza resa al Verbo di Dio fatto Uomo. Dopo la morte di Domiziano nel 96-98 divenne imperatore Nerva, ben più tollerante del suo predecessore verso i cristiani, l’Apostolo poté così tornare nella Città di Efeso e riprendere la sua predicazione. Giovanni morì ultra centenario attorno all’anno 104, consegnando le verità del Vangelo del Signore Gesù Cristo alle comunità cristiane del II secolo. Per quanto all’epoca fosse molto giovane, San Giovanni è da considerare come il primo apostolo conosciuto da Gesù e come l’ultimo degli apostoli viventi col quale si concluderà la missione apostolica dei Dodici scelti da Cristo.

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Scena dell’Ultima Cena: il giovane Giovanni reclinato sul Signore Gesù

L’Isola di Patmos nasce dal senso stesso della vocazione di tre sacerdoti, quando infatti il vescovo ci consacrò nel sacro ordine, ricevendo i doni di grazia dello Spirito Santo risuonò nelle nostre coscienze un invito che al suo interno racchiude anche un gravoso monito: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8, 32]. Il sacerdote di Cristo è quindi chiamato per vocazione e per sacro ministero ad essere libero ed a guidare i figli del Popolo di Dio verso la libertà; che non può essere mai una libertà soggettiva ma oggettiva, strutturata sul mistero originario stesso della Verità: la creazione [Cf. Gn 1, 1-5] al cui interno è contenuta la grande prova della libertà attraverso la creazione dell’uomo [Cf. Gn 2, 18-25].

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Il momento culminante della sacra ordinazione: la imposizione delle mani del Vescovo

Con i miei confratelli Antonio Livi e Giovanni Cavalcoli, abbiamo avuto modo di scambiarci più volte vicendevoli perplessità di cui desidero rendervi partecipi agli esordi di questa nostra rivista telematica. Con aria disincantata ci dicemmo un giorno l’un l’altro: in questo clima di caos intra ed extra ecclesiale noi abbiamo il privilegio di essere bastonati da destra e da sinistra, dai modernisti e dai “tradizionalisti”. E qui il virgolettato è di rigore, perché mai come negli ultimi decenni è stato fatto un uso distorto del termine: “tradizione”. Ogni cattolico è infatti un fedele tradizionalista chiamato come tale a difendere ed a diffondere quella traditio catholica che prende vita sin dalla prima epoca apostolica e che si sviluppa attraverso l’esperienza dei Santi Padri della Chiesa e dei grandi concili, che sono tutti validi e fonte di verità, dal Concilio di Nicea sino a quel Vaticano II che certi cattolici tentano da anni di sminuire attraverso disputationes costruite su tesi errate presentate in modo sibillino: « … in fondo, il Vaticano II, è stato solo un concilio pastorale».

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Tema questo molto articolato più volte trattato nei nostri scritti e sul quale non indugio oltre, perché tutti e tre avremo modo di ritornarvi sopra dalle colonne dell’Isola di Patmos, chiarendo in verità e nel più aderente ossequio alla dottrina della Chiesa che il termine “pastorale”, tanto più applicato ad un concilio ecumenico, non può divenire sinonimo di … “Quindi non conta niente”, in quanto “solo pastorale”, vale a dire: “Concilio di terza classe”.

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È vero che il Vaticano II non decreta nuovi dogmi e che si “limita” a ribadire tutte le verità dogmatiche della fede cattolica, ma attraverso i suoi documenti sancisce delle dottrine vincolanti per l’intera orbe catholica, alla quale chiunque lo voglia può anche ribellarsi, ma uscendo in tal modo dalla comunione ecclesiale. Già i nostri progenitori scelsero di ribellarsi a Dio all’alba dei tempi con deciso e libero arbitrio [Gen 3, 1-13]. E Dio, più che cacciarli dall’Eden, prese atto che avevano fatto la loro libera scelta cacciandosi da se stessi dalla sua grazia e dalla sua gloria [3, 22-24].

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La Chiesa, che in duemila anni di storia ha percorso traversie dinanzi alle quali si rafforza la nostra fede — perché se essa non fosse il Corpo Mistico di Cristo assistita dallo Spirito Santo già da secoli di sarebbe estinta — sta vivendo un momento di grande crisi che più volte ho definito «senza precedenti storici», usando più volte a tal proposito una frase che sovente ripeto come una filastrocca: «Il bene diventa male ed il male bene, il vizio virtù e la virtù vizio, la sana dottrina eterodossia e l’eterodossia sana dottrina, i buoni elementi fedeli al deposito della fede ed al magistero della Chiesa sono spesso perseguitati da persone disordinate nel corpo e nello spirito che prima hanno gettato i semi e che oggi innaffiano l’edera rampicante dell’apostasia interna» [Cf. mia opera E Satana si fece Trino].

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cviinota-002Di tutto questo, noi tre navigatori, siamo consapevoli al punto da esserci imbarcati per l’Isola di Patmos, dove l’Apostolo Giovanni scrisse il Libro dell’Apocalisse che contiene al proprio interno quel messaggio di speranza che per noi è certezza di fede, il trionfo di Cristo e la sconfitta inesorabile dell’Anticristo che conferma la promessa fatta dal Signore Gesù a Pietro:  «… e le porte degli inferi non prevarranno su di essa» [Cf. Mt 16,18].

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La realtà è che a danneggiare gravemente il Corpo della Chiesa concorrono spesso proprio coloro che si dichiarano difensori duri e puri della sacra tradizione e che negli anni Ottanta erano genuflessi ad Ecône presso il vescovo scismatico e scomunicato Marcel Lefebvre. Ma appena in quell’ambiente hanno osato alzare la testa e proferire favella, si sono sentiti rispondere: «A parlare, ed in specie per quanto riguarda dottrina, ecclesiologia e liturgia ci pensano i nostri preti. Vostro compito di laici è quello di rispondere “Amen!” quando noi diciamo “Per Christum Dominum nostrum” e di tirare fuori i soldi per finanziare le nostre attività pastorali ed i nostri seminari, punto e basta!». A quel punto, questo esercito di appassionati, s’è affrettato a tornare nelle fila della “eretica” ed “apostatica” Chiesa post-conciliare, giocando ai lefebvriani ed affini all’interno di questo povero corpo ecclesiale sempre più martoriato e confuso.

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L’Arcivescovo Marcel Lefebvre  

A questo và aggiunto che quando certi personaggi caratterizzati da siffatta irrequietezza si sono insinuati in riviste telematiche che sino a poco prima avevano mostrato un certo equilibrio, per prima cosa hanno provveduto a censurare sacerdoti e teologi impegnati nell’arduo tentativo di offrire al Popolo di Dio sempre più smarrito una speranza e un punto di cattolico equilibrio. Motivo questo per il quale ci siamo ritrovati più volte con vari nostri articoli respinti perché giudicati politicamente non opportuni, con l’aggravante che il tutto è sempre avvenuto senza che mai ci fosse fornita spiegazione in un merito — il nostro — sempre e di rigore tutto teologico e pastorale.

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Anche per questo nasce l’Isola di Patmos: per tutelare quella nostra libertà sacerdotale e teologica che non mira affatto a proteggere le nostre singole persone, ma a tutelare quella dottrina e quel magistero della Chiesa che noi siamo chiamati a servire ed a diffondere come la Chiesa ci comanda di servire e di diffondere.

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censuraGli scritti che più volte ci sono stati “opportunamente” censurati erano quindi articoli teologici di dottrina e di storia della Chiesa costruiti con quei criteri pastorali che fanno parte del nostro sacro ministero nel quale siamo stati istituiti sacerdoti, quindi guide e maestri; e come tali possiamo essere sottoposti solo alle censure dei nostri vescovi esercitate secondo il diritto canonico, non certo a quelle arbitrarie di laici ideologici che su di noi non possono esercitare alcuna autorità. Siamo infatti noi che per sacro ministero possiamo — e talvolta per imperativo di coscienza dobbiamo — esercitare autorità su quei laici che siamo chiamati a guidare e correggere come pastori in cura d’anime che esercitano il ministero sacerdotale in comunione con la pienezza del sacerdozio del vescovo in piena comunione col primato apostolico del Vescovo di Roma e successore del Principe degli Apostoli.

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Chi volesse poi ravvisare in queste righe una pepata rivalsa dettata da “orgoglio ferito” si dia cura di cercare argomentazioni più plausibili. È infatti cosa grave che dei laici usino la dottrina e la teologia – spesso anche male – mossi da motivazioni puramente politico-ideologiche, sino a censurare in nome di brandelli di verità stiracchiate dei sacerdoti abituati a fare teologia senza curarsi di quanto sia o meno politicamente opportuno dire ciò che il Vangelo ci impone di dire, anche a chi rivendica il diritto di non ascoltare. Se poi ad agire in questo modo sono dei cattolici che si beano tra la traditio ed i solenni pontificali celebrati col vetus ordo missae, presentandosi come i più puri difensori della vera fede, il tutto risulterà ulteriormente aggravato, specie se certi censori risultano soggetti che da una parte amoreggiano coi lefebvriani e affini e dall’altra stanno con un piede piazzato dentro la “eretica” ed “apostatica” Chiesa post-conciliare che a loro dire avrebbe distrutto fede, teologia, liturgia e via dicendo.

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I cavillosi clericali, laici ed ecclesiastici: ieri, oggi e domani …

Più che stanchi siamo rammaricati e preoccupati che certe riviste telematiche cattoliche affidino rubriche fisse a scribi, farisei e falsi dottori della legge il cui scopo pare essere quello di attaccare a raffica l’ultimo concilio della Chiesa, o l’attuale pontificato riguardo il quale pure noi abbiamo sollevato pacate perplessità per certe prassi o per pronunciamenti fatti dal Santo Padre come dottore privato [qui, qui, ecc..], ma sempre ribadendo ad ogni piè sospinto, spesso attaccati pure in malo modo da certi “rubricisti” che brandiscono brandelli di verità confuse e mal comprese, che se dalla legittima critica al dottore privato si passa invece a scalfire il Romano Pontefice legittimo detentore del ministero petrino, in quel caso si va a scuotere in modo pericoloso quella pietra —  che costituisce dogma di fede — sulla quale Cristo ha edificato la sua Chiesa [Cf. Mt 16, 18].

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Salomé riceve la testa di Giovanni Battista, opera pittorica di Andrea Solari

La risposta a certi nostri pertinenti richiami, sempre e di rigore  tutti dottrinari e mai umorali, mai ideologici, sono state infine le censure operate su dei sacerdoti teologi da dei laici e da delle laiche accecati da confusa dottrina e da settarismo spacciato per “vera fede” e  “vera traditio”.

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Come mio stile cercherò di essere realista con lo spirito ruvido di San Giovanni Battista che fece non a caso la fine che fece: vi immaginate quale indicibile baraonda accadrebbe all’interno della Fraternità Sacerdotale di San Pio X se taluni mettessero il responsabile di una rivista telematica in condizione di censurare un loro prete studioso di scienze teologiche? Fare una cosa simile a lefebvriani ed affini — e qui sia ben chiaro il τόπος, la pura battuta — potrebbe comportare il serio rischio di vedersi togliere persino il Sacramento del Battesimo.

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Le opere di Cristina Siccardi su Marcel Lefebvre

A questo si aggiunga poi che diversi di questi personaggi sono avvezzi tramite i propri articoli e libri a strumentalizzare in modo surreale alcune figure storiche elette a loro vessilli: per esempio il Santo Pontefice Pio X, o figure di vescovi e di cardinali come Alfredo Ottaviani e Giuseppe Siri. Operazione nella quale da anni si distingue tra i vari pubblicisti e scrittori Cristina Siccardi, che ovunque s’insedia fa terra bruciata attorno dopo avere lefebvrianizzato tutto. Sia però chiaro senza pena di malinteso: ciò non avviene perché questa amabile persona impone l’estromissione degli altri, cosa che invero non fa, ma perché la semplice presenza dei suoi articoli o delle sue rubriche sbilanciate verso il mondo ultra tradizionalista, nonchémaestroinsacerdozio infarcite di precaria teologia e di senso storico obnubilato dalla ideologia, impone ai direttori responsabili la scelta di mettere a tacere altre voci, perché se si pubblicano gli scritti suoi non si possono pubblicare sulle stesse colonne quelli dei filosofi metafisici e teologi Giovanni Cavalcoli e Antonio Livi, per seguire con i miei, poiché tutti e tre rei di essere fedeli e devoti diffusori del magistero della Chiesa e delle dottrine del Concilio Vaticano II, non certo di una confusa idea romantica di Chiesa che di fondo finisce con l’essere tutta quanta settarista ed egocentrista.

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Il doloroso caso dei Frati francescani dell’Immacolata mutato in bandiera ideologica dalle frange ultra tradizionaliste che hanno “giocato” tutto sul Vetus ordo missae recando a questi religiosi solo del danno ulteriore

Richiamare i ciechi ad un sano bagno di realismo attraverso la contemplazione della solare verità non è facile, provino dunque a rispondere loro alle proprie coscienze spesso più politico-ideologiche che cattoliche, tramite questo quesito che con sincera paternità pastorale pongo a tutti loro: come pensate che avrebbe reagito quell’uomo di straordinaria tempra e di grande santità, tale fu San Pio X, da voi glorificato a ogni sospiro — sebbene non sempre correttamente conosciuto per ciò che realmente fu — se sotto il suo pontificato un gruppo di agguerriti e rumorosi laici cattolici avesse fatto una pubblica campagna di raccolta firme, per esempio in opposizione ai provvedimenti disciplinari e canonici che fecero seguito alla sua enciclica Pascendi dominici gregis? Insomma: da una parte c’è uno straccio di vesti in atto basato su una non compresa “libertà religiosa” di cui il “terrificante” e “diabolico” Vaticano II sarebbe responsabile, dall’altra gli stessi fautori di siffatti lamenti mostrano però nei concreti fatti che vorrebbero trasformare la Chiesa in una democrazia parlamentare con tanto di raccolte firme e di referendum popolari.

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Affermare in risposta che «il Santo Padre Francesco non è San Pio X» è sbagliato dogmaticamente e pastoralmente. Francesco è Pietro, come lo è stato San Pio X, come lo sono stati sia Alessandro VI sia San Pio V. Strumentalizzare pertanto certe figure per fini politici e ideologici è ciò che in linguaggio filosofico e teologico si chiama disonestà intellettuale prodotta da una ragione e da una logica viziata da mancanza di libertà e mossa dal rifiuto di accettare le dottrine e le discipline della Chiesa, sostituite con i propri arbitrî in nome di una non meglio precisata “purezza cattolica”, che detta in altri termini si chiama “superbia”, vale a dire la temibile regine di tutti i peccati capitali, dalla quale ci si purifica solo con la conversione del cuore.

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Il San Pio X di Cristina Siccardi non è  quello  della storia della Chiesa è solo un santino fabbricato a uso e consumo del mondo ultra tradizionalista

È da questa esigenza che nasce quella falsificazione che induce certi autori ad inventarsi un San Pio X mai esistito, allo stesso modo in cui sono stati creati un Cardinale Ottaviani ed un Cardinale Siri non corrispondenti alla realtà storica ed ecclesiale, posto che l’uno e l’altro hanno discusso quando c’era da discutere, ma al termine delle legittime discussioni, non solo hanno applicato con grande scrupolo le dottrine del Vaticano II; il Cardinale Siri in particolare, nella sua diocesi, ne è stato maestro presso il suo clero ed i suoi fedeli e diffusore solerte [Cf. opera di Antonio Livi, qui]. Il Cardinale Ottaviani, nel periodo più turbolento del post-concilio, ha servito il Sommo Pontefice Paolo VI con una fedeltà che dovrebbe essere di stimolo e di insegnamento a certi cattolici che abusano della parola “tradizione” o che parlano e scrivono di San Pio X in modo spesso sibillino e falsante per meglio sentirsi legittimati a sprezzare il magistero della Chiesa dell’ultimo mezzo secolo.

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Caduta del treno sul ponte di Cassandra Crossing

Il mondo dei modernisti e quello dei lefebvriani ed affini sono due rette parallele che non s’incontrano, ma che assieme costituiscono i due binari che trasportano il treno con tutti gli ignari passeggeri che vi sono saliti a bordo verso il ponte pericolante di Cassandra Crossing [qui, qui].

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Non a caso l’Apostolo Paolo raffigura la Chiesa come Corpo Mistico del quale Cristo è capo e noi membra vive; e nel corpo ogni arto ha una propria funzione, necessaria ed indispensabile. Ovviamente una gamba non può svolgere le funzioni di un braccio e viceversa un braccio quelle di una gamba. All’interno di questo corpo che a volte sembra quasi formato da membra impazzite che si muovono in modo disarticolato e sconnesso, da alcuni decenni permane una grande e pericolosa confusione di ruoli: spesso ci ritroviamo dinanzi a chierici laicizzati ed a laici clericalizzati.

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Dialogare è doveroso, come lo è il cercare accordi, lo stesso litigare può essere cosa benefica e persino fonte di grazia. Anche gli apostoli discutevano animatamente tra di loro, ma sempre in un chiaro e rispettoso esercizio dei loro ruoli, come ci dimostra San Paolo che in toni duri rimprovera il Principe degli Apostoli ad Antiochia [Gal 2, 11-14], ma senza porre in minima discussione l’autorità di Pietro che aveva ricevuto il proprio mandato da Cristo in persona.

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corpo misticoI sacerdoti hanno dei compiti precisi all’interno del Corpo di Cristo che è la Chiesa, hanno una loro funzione specifica all’interno dell’economia della salvezza; un ruolo legittimo derivante dal carattere indelebile ed eterno ricevuto che li ha resi per sacramento di grazia partecipi al sacerdozio ministeriale di Cristo, al quale non partecipano invece i laici. Motivo questo per il quale un fedele sacerdote, chiamato egli stesso per primo a rispettare la sacralità dell’ordine sacerdotale che l’ha segnato, non deve accettare censure su certe materie e tematiche di dottrina e di fede perché coloro che giocano ai lefebvriani ed affini dentro la Santa Chiesa di Cristo non le reputano politicamente opportune. Per divino sacramento noi siamo stati istituiti come guide del Popolo di Dio e quando il caso lo richiede siamo tenuti a prendere certi laici per il verso giusto e rimetterli al proprio posto, inclusi quei direttori di blog e di riviste telematiche che non possono pensare di usarci all’occorrenza, o per essere più chiari: “Se ci scrivete un articolo critico sul falso profeta e sul cattivo maestro Enzo Bianchi, che abbiamo dichiarato nostro “nemico” in quanto progressista iper-conciliarista infarcito di eresie moderniste, vi pubblichiamo a tamburo battente anche dieci cartelle, se però sollevate una critica — e sia chiaro: strettamente teologica — su lefebvriani ed affini, allora vi censuriamo, perché altrimenti possiamo correre il rischio che si irritino alcuni nostri collaboratori e soprattutto certi nostri danarosi sostenitori”…

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Pecunia non olet …

… in fondo, noi addetti ai lavori lo sappiamo da tempo: essere ultra tradizionalisti è un capriccio molto costoso che richiede tanti compromessi con le destre mondiali più oltranziste. Beninteso: in nome della fede più pura e della più autentica e ortodossa traditio catholica, s’intende!

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E il Verbo si è fatto carne … gratuitamente, senza essere finanziato né dalle Destre americane né dalle Sinistre europee.

Quella Verità del Verbo Incarnato che noi dobbiamo conoscere perché ci farà liberi quindi diffusori di libertà, non funziona a intermittenza politica ed ideologica come le luci del Luna Park. Il tutto per dire che tra queste persone e certe frange di neocatecumenali che trasformano il sacerdote in ostaggio dei loro capricci e dei loro arbitri liturgici e che in grave errore dottrinale dichiarano che “tutti” siamo sacerdoti, alla prova dei fatti non v’è di fondo alcuna differenza. Nulla conta che da una parte vi sia un Preconio Pasquale schitarrato e battuto sui tamburi dal bohemienne Kiko Arguello e dall’altra un Preconio Pasquale cantato secondo la migliore tradizione gregoriana della Chiesa con tutti i cantori compunti a mani giunte della Fraternità Sacerdotale di San Pio X. Nulla cambia nella triste e pericolosa sostanza di fondo, perché identici sono i farisei ed i sadducei, gli scribi ed i dottori della legge, i falsi profeti ed i cattivi maestri, ma soprattutto il mancato rispetto dovuta al sacerdozio ministeriale di Cristo che vive attraverso i suoi sacerdoti e che non è vincolato ai capricci dei laici.

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Due facce della stessa moneta:

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Kiko Arguello, fondatore del Cammino Neocatecumenale

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Liturgia pontificale della Fraternità Sacerdotale di San Pio X

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San Pio da Pietrelcina durante una delle sue ultime celebrazioni eucaristiche

Il sacerdote non è solo un alter Christus quando celebra il Sacrificio Eucaristico secondo i capricci estetici, ideologici e politici di certi laici, siano essi modernisti o lefebvriani ed affini; il sacerdote è anche alter Christus quando con la dottrina, il magistero ed i documenti dei santi concili della Chiesa, a partire dal primo sino all’ultimo che si è celebrato mezzo secolo fa, ammaestra e guida le membra vive dei fedeli che formano quel Corpo vivo di cui Cristo e capo e di cui i suoi presbiteri, per quanto indegni e inadeguati, non sono certo i due diti mignoli dei piedi, posto che dinanzi ad un sacerdote gli stessi Angeli di Dio si fanno da parte, perché a loro, per quanto creature più perfette, non è stata conferita dall’Onnipotente la dignità conferita invece ai suoi sacerdoti [Cf. Marcello Stanzione, qui]. Sono gli Angeli che durante il Sacrificio Eucaristico cantano «Santo … il Signore Dio dell’universo» attorno al sacerdote alter Christus, non è il sacerdote alter Christus che canta «Santo» per gli Angeli, i quali non svolgono il servizio di partecipazione al sacerdozio ministeriale di Cristo, al quale partecipano invece per mistero di grazia solo i sacerdoti, inclusi sacerdoti indegni e peccatori.

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Locandina del film: Dorian Gray, 2009. Tratto dalla novella di Oscar Wilde (Director: Oliver Parker – Writers: Toby Finlay)

Il problema è che in questo mondo dove l’apparire ha ormai da tempo sostituito quell’essere inteso come essenza metafisica del cristologico divenire, nella povera Chiesa santa e peccatrice pullulano eserciti di primedonne e di primi attori che reclamano ciascuno l’occhio di bue puntato nell’orticello del loro teatrino; il tutto con immane gioia del Demonio che ambisce dalla notte dei tempi seminare discordie e divisioni per frammentare e disperdere in ogni modo l’unità del Corpo Mistico di Cristo. E Dio solo sa quale fatica facciamo noi pastori in cura d’anime, giorno dietro giorno, nel tentare di spiegare a molte di queste persone spesso chiuse ermeticamente alla grazia, che la via della salvezza comporta la sostituzione del cristocentrismo al nostro umano, limitato e limitante egocentrismo. Punto centrale del nostro essere uomini e donne di fede non è infatti il quesito: «Cosa voglio io», ma «cosa vuole Dio da me», quindi agire di conseguenza.

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La risposta a certi quesiti e la soluzione a certi gravosi problemi è tutta racchiusa in uno struggente frammento giovanneo: «E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» [Gv 17, 22-23].

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Icona bizantina: abbraccio tra gli apostoli Pietro e Paolo

Come si può essere perfetti in quella unità che rende una cosa sola il Padre con il Figlio, che chiama noi a essere uniti come Dio Padre è unito in Dio Figlio? Si può esserlo attraverso quello svuotamento che è riempimento: svuotarci liberamente di noi stessi per ricongiungerci a quel senso di libertà perfetta che Dio ci donò sin dall’origine del mondo; perché se conosceremo la Verità, accogliendola dal giardino di Eden sino alla pietra rovesciata del sepolcro del Cristo Risorto fattosi nuovo Adamo, entreremo in quella comunione e unione che lega Padre e Figlio. E allora la verità ci farà liberi, oggi, in eterno e per sempre. Basta solo rifuggire all’inviolabile teatrino del nostro ideologico “io” per andare incontro alla Verità di Dio e divenendo così «perfetti nell’unità».

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Cliccare qui sotto per ascoltare l’inno mariano Mira il tuo Popolo

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