L’apostolo Giovanni a Patmos

L’APOSTOLO GIOVANNI A PÀTMOS

Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza di Cristo, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della Parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù  [Ap 1, 9]

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

Com’è noto l’isola di Patmos, dell’arcipelago della Grecia, è legata all’esilio di Giovanni Evangelista, l’Autore dell’Apoca127143422lisse, il quale esordisce appunto nel suo scritto con le seguenti parole: «Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza di Cristo, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della Parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù» [Ap 1,9].

L’Apostolo Giovanni ha sperimentato quelle sofferenze che Cristo prevede per coloro che lo seguiranno e che Egli stesso ha subìto dandoci l’esempio ed al contempo fornendoci coraggio, pazienza, consolazione e conforto, quando Gesù ci avverte che i discepoli saranno riprovati e subiranno ingiustizie e soprusi da parte delle autorità civili e religiose, saranno calunniati, emarginati, traditi ed abbandonati da parenti ed amici a causa del Vangelo. Ma essi devono ritenersi beati, perché patiscono quello stesso che hanno patito i profeti e lo stesso Figlio dell’uomo [Cf. Mt 5, 10-12].

La figura dell’ “esilio” in opposizione alla “patria” è tradizionale nella simbologia cristiana: l’uomo, cacciato dal paradiso terrestre, vive per ora in una terra di esilio, certo creata da Dio e non priva di bellezza, ma anche afflitta da molti mali e da molte miserie.

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raffigurazione della cacciata dal Paradiso

La vita cristiana comporta dunque la prospettiva di raggiungere la vera patria in cielo accettando serenamente l’esilio e preparandosi in esso all’ingresso nella vera patria della vita eterna. Come sappiamo, questo tema per il quale viviamo adesso in un basso mondo, nel quale siamo caduti dopo una prevaricazione originaria, staccandoci dalla divinità, non è assente neppure in certe antiche saggezze pagane, come per esempio in Platone, in Plotino, nello stesso gnosticismo e nella filosofia indiana.

La differenza col cristianesimo è data dal fatto che mentre queste visioni pagane sono dualistiche, per cui la disgrazia dello spirito umano è quella di essere caduto nella materia — che pertanto occorre abbandonare per raggiungere la pura spiritualità — nella concezione cristiana, che comunque accoglie un primato dello spirito sul corpo, anche il mondo materiale presente è sostanzialmente buono e creato da Dio, per cui non deve tanto essere abbandonato, quasi sia cattivo in se stesso, quanto piuttosto dev’essere liberato dal male. È ciò che è insegnato dal dogma della resurrezione della carne.

686865_John-w-arkCom’è noto Giovanni scrive a Patmos l’Apocalisse per confortare i cristiani e la Chiesa stessa nelle loro prove e sofferenze per la Parola di Dio. Che senso ha dunque intitolare questo sito al luogo nel quale l’Apostolo ed Evangelista ci ha dato l’esempio di tale sua eroica fedeltà al Signore?

I fondatori del sito: Monsignor Antonio Livi, il Padre Ariel S. Levi di Gualdo ed io, intendiamo riprendere ed applicare all’oggi il messaggio di Giovanni e mettere sotto il suo patronato e la sua intercessione la nostra iniziativa, nella comprovata certezza che anche nella Chiesa di oggi — e forse oggi più che mai — quei cattolici che vogliono vivere in pienezza la loro fede e la loro comunione ecclesiale con la Chiesa e col Successore di Pietro trovino nel messaggio apocalittico della Parola di Dio la luce per capire la situazione che la Chiesa sta vivendo e la saggezza e la forza per vivere oggi da fedeli figli della Chiesa.

fine del mondo

esplosione nucleare

Il termine apocalittico nel linguaggio volgare richiama l’idea di immani sconvolgimenti, sciagure e disastri; ma i biblisti sanno bene che apocalittico significa semplicemente riferimento al libro scritturistico dell’Apocalisse, la quale profetizza certamente quegli spaventosi eventi, ma in una ben precisa chiave teologica, che nulla ha a che vedere col morboso gusto disfattista per l’orrido ed il cataclisma fini a se stessi; e neppure per un catastrofismo pessimista, che non sa cogliere i valori e i lati buoni della Chiesa di oggi e gli elementi di speranza che le sono forniti dalla Provvidenza.

lo iettatore napoletanoNulla quindi abbiamo a che vedere con quei “profeti di sventura, amari e amareggianti, terrorizzati e terrorizzanti, disperati e disperanti, verso i quali San Giovanni XXIII mise in guardia la Chiesa nel suo famoso discorso programmatico Gaudet Mater Ecclesia di apertura del Concilio Vaticano II dell’11 ottobre 1962 [qui, qui].

È vero che il profeta biblico e in generale la profezia nella storia della Chiesa spesso denunciano peccati ed ingiustizie, alle quali faranno seguito i castighi divini; è vero che i mali e le sventure che essi individuano e evidenziano sono da loro presentati come effetti dell’infedeltà all’Alleanza, senza temere con ciò di disgustare e mettersi contro i potenti, i prevaricatori, i responsabili del governo civile e sacerdotale, sino a pagare a volte con la vita tale loro coraggiosa denuncia. Ma è altrettanto vero che i falsi profeti sono quelli che dicono, per puro interesse o per paura, che tutto va bene per non irritare i potenti, ed i delitti restino così impuniti.

Il bisogno più urgente della Chiesa di oggi, a nostro avviso è quello della concordia e della collaborazione reciproca fra i cattolici sulla base dell’unica fede custodita dal Successore di Pietro. Il Concilio Vaticano II, lo dice la parola stessa, è venuto per conciliare le opposte fazioni. Esso pertanto indica la via dell’unione e della pace, nella giustizia e nella verità. Disgraziatamente è Invece accaduto che a partire dall’immediato postconcilio i cattolici si sono divisi in due partiti, lefebvriani e modernisti, in lotta tra di loro ed entrambi rivendicanti l’autenticità dell’essere cattolico.

Indubbiamente la Chiesa in se stessa resta una, in quanto ciò è un fattore necessario della sua essenza. Tale unità si realizza nella comunione dei santi, ossia di coloro che sono in comunione visibile o invisibile di grazia tra di loro, nella partecipazione esplicita o implicita ai medesunità della Chiesaimi sacramenti e nell’obbedienza esplicita o implicita al Sommo Pontefice. Costoro rifiutano gli opposti estremismi, benchè in ciascuno di questi esistano valori ed una comunione parziale con la Chiesa. Ma il problema oggi è quello di congiungere di fatto valori parziali che son fatti di per sé per creare un’unica sintesi ed un unico organismo che è appunto la Chiesa nella pienezza dei suoi elementi, dei suoi carismi e dei suoi fattori. Invece gli opposti partiti, impossessatisi di una parte dei valori della Chiesa, oppongono una parta all’altra, anziché unirle assieme in quel tutto armonioso che è appunto la Chiesa. Così per esempio la conservazione dev’essere congiunta col progresso ed il perenne col mutamento, la Tradizione con la Scrittura, distinguendo la conoscenza di fede, che continuamente progredisce, dall’oggetto della fede che, come verità divina, è fissa ed immutabile. In tal modo si evita sia un rigido fissismo che un relativistico evoluzionismo.

Il punto della discordia tra le due parti è l’interpretazione del Concilio, per la quale entrambe ritengono di trovarvi una discontinuità col Magistero precedente, per il fatto che il Concilio avrebbe assunto in toto quella modernità che fino ad allora la Chiesa aveva combattuto: dunque un mutamento dottrinale, tale da assumere ciò che prima era rifiutato e condannato.

 Nei lefebvriani e nei modernisti questa interpretazione causa due effetti opposti o si inserisce in due opposti quadri di riferimento: per i lefebvriani il Concilio avrebbe tradito la Tradizione, mutato l’essenza della Chiesa, ed assunto gli errori del modernismo già condannati da San Pio X [vedere qui]. Da qui il rifiuto da parte dei lefebvriani della dottrine images.php-001nuove del Concilio giudicate false per non dire eretiche. Essi ritengono pertanto di doverle rifiutare appellandosi direttamente alla Tradizione, che il Papato postconciliare avrebbe abbandonato per lasciarsi influenzare dagli errori del mondo moderno [tra i numerosi esempi vedere qui]. Dal canto loro i modernisti hanno recepito l’intento del Concilio di proporre un cattolicesimo aggiornato e moderno, ma si sono fatti la convinzione che la Chiesa col Concilio abbia finalmente assunto, dopo secoli di chiusura, insensate condanne e sterile polemica, i valori della modernità,  per i quali si devono smentire o mutare o abbandonare i dogmi definiti nel passato. Ma ciò per i modernisti non fa alcun problema, perché secondo loro il Magistero della Chiesa non è infallibile, non esiste una verità immutabile, ma essa è sempre relativa all’evoluzione storica e alla diversità delle culture. Non esiste nulla di fisso e di stabile, ma tutto muta, tutto è in divenire, tutto è relativo. Dio stesso diviene. Credere che vi sia qualcosa che non muta, vuol dire aggrapparsi invano e stoltamente a ciò che inesorabilmente muta e scompare, a ciò che non è più attuale, vuol dire conservare ciò che non serve più, che non dice più nulla ed è superato dalla storia.

Ciò che era falso ieri per i modernisti è vero oggi e per non restare indietro nel cammino della storia, si deve stare all’oggi, non tpascendi_dominici-001ornare allo ieri. La verità è ciò che il mondo pensa oggi, non importa se in contrasto con quanto si pensava ieri, perchè oggi si è più avanzati di ieri. Non esistono valori perduti da recuperare, ma sempre occorre avanzare verso nuove conquiste. Non occorre verificare se il nuovo rispecchia il vero; il vero è semplicemente il nuovo un quanto nuovo. Dunque, per i modernisti il progresso dottrinale comporta del tutto normalmente contraddizioni con i precedenti insegnamenti della Chiesa. Si tratta in fondo della schema hegeliano del divenire. Così per costoro in passato la Chiesa si è sbagliata e finalmente col Concilio ha corretto i suoi errori, da tempo denunciati da riformatori del passato, come per esempio Lutero. Per questo l’ecumenismo viene inteso dai modernisti non in armonia con la conservazione integrale dei dogmi cattolici, ma come accoglienza di dottrine dei fratelli separati che in passato, soprattutto al Concilio di Trento, erano state condannate dalla Chiesa. Per cui non occorre aver nessuno scrupolo ad abbandonarle o quanto meno a relativizzare quei dogmi cattolici che non sono riconosciuti dai protestanti.

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il monaco agostiniano Martin Luther affigge le sue tesi sul portale della cattedrale

Questa affinità che i modernisti hanno con i protestanti li porta, ad imitazione di Lutero, a promuovere la conoscenza della Scrittura e del messaggio cristiano, nonchè  il progresso teologico senza tener conto del Magistero, ma appellandosi direttamente alla Bibbia o agli esegeti moderni, anche protestanti, così come i lefebvriani criticano il Magistero conciliare appellandosi direttamente alla Tradizione. Dunque sia gli uni che gli altri scavalcano il Magistero e si pongono al di sopra di esso e lo giudicano, anziché — come invece dovrebbero se fossero veri cattolici — accogliere docilmente e fiduciosamente dalla mediazione del Magistero l’interpretazione della Scrittura e della Tradizione.

C’è però questa differenza tra lefebvriani e modernisti, che mentre questi non hanno scrupoli a contestare certe dottrine del Concilio da loro giudicate superate o arretrate, come pure qualunque altro insegnamento della Chiesa in base al loro evoluzionismo dogmatico, i lefebvriani almeno sanno conservare con diligenza i dogmi del passato, tuttavia solo fino al Concilio, dopo il quale, secondo loro, il Magistero avrebbe tralignato, sicchè essi si sentono in dovere di custodire la “Tradizione” contro lo stesso Magistero.

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Isola delle Correnti nella punta estrema della Sicilia sud orientale, dove si incontrano le correnti dei tre mari della penisola italiana

Che nella Chiesa possano esistere due correnti, una sanamente tradizionalista, più sensibile alla conservazione dei valori più sacri e perenni, come per esempio quelli della liturgia, ed un’altra, più attenta all’elemento storico, allo sviluppo del dogma e al progresso della vita cristiana, corrente che potremmo denominare “progressista”, è cosa del tutto normale, utile ed anzi necessaria all’integrità e al buon andamento e funzionamento della Chiesa nel suo aspetto umano e sociale. Queste due correnti infatti, se restano nell’ambito dell’ortodossia e della disciplina ecclesiastica, sono fatte apposta per completarsi a vicenda e per collaborare tra di loro nella promozione dell’unica fede e dell’unica carità. Diventano invece nemiche tra di loro dividono la Chiesa quando, per ambizione, presunzione o bisogno di protagonismo, fuoriescono dalla retta fede, dalla comune obbedienza al Papa e dall’osservanza della medesima disciplina e carità ecclesiali. Occorre dunque adoperarsi affinché lefebvriani e modernisti, da buoni fratelli nella fede, giungano ad un accordo sulla base comune di quel cattolicesimo che pur tutti intendono professare. E’ dunque urgente, attuando veramente il Concilio, mettere in luce ciò che può favorire il dialogo e l’accordo, fattore che in ultima analisi si riassume, per dirla in breve, in una sincera integrale accettazione del Magistero della Chiesa, prendendo atto in particolare del fatto che le dottrine del Concilio attuano un progresso nella continuità.

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… besame mucho

I modernisti devono pertanto amare una sana modernità rinunciando al modernismo, mentre ai lefebvriani non è affatto proibito, anzi è grandemente lodevole, mantenere una speciale stima per la Tradizione, a condizione però di capire che il Concilio non la tradisce affatto, ma la conferma, la interpreta e la sviluppa. Occorre altresì che ognuna delle due parti riconosca i valori presenti nell’altra e rinunci a considerarsi come l’uni comodo di essere Chiesa escludendo o disprezzando l’altra.

Questa nostra rivista telematica intende modestamente ma sinceramente contribuire a questa preziosa opera di avvicinamento reciproco e di pacificazione, al fine di rendere la Chiesa di oggi una testimone più credibile al mondo della salvezza che Cristo ci ha donato.

Fontanellato, 1° ottobre 2014

 Cliccare qui sotto per ascoltare un canto mariano della tradizione popolare

2 commenti
  1. Alessandro dice:

    Reverendo P. Cavalcoli, credo opportuno ricordare che tra le due vie di rottura, che il suo articolo evidenzia: lefevriani e modernisti, c’è una via di mezzo che risulta perfettamente compatibile ed ortodossa. Come ben sa, poichè Lei vi ha preso parte, c’è stato un convegno sul Concilio Vaticano II a cura dei Francescani dell’Immacolata, dal quale emergeva la lettura di quell’assise secondo una ermeneutica nella continuità. I semi gettati da quel convegno si sarebbero dovuti approfondire per arrivare alla giusta conciliazione delle posizioni estreme.

    • Giovanni Cavalcoli, OP
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Alessandro,

      il convegno organizzato dai Francescani dell’Immacolata nel 2010 purtroppo non fu sufficientemte equilibrato, ma risentì della corrente lefevriana, in quanto, sotto l’influsso di Mons.Gherardini, pretese di giudicare le dottrine del Concilio non alla luce del Magistero postconciliare della Chiesa e quindi dall’interno delle stesse dottrine, ma appellandosi direttemente alla Tradizione preconciliare, operazione illecita, perchè così hanno trascurato il fatto che il significato della Tradizione ci è mediato precisamente e infallibilmente dal Magistero dlla Chiesa e quindi in definitiva dallo stesso Concilio.
      Nessun buon cattolico può permettersi di criticare il Magistero dal di fuori o dal di sopra, si tratti della Tradizione, come fanno i lefevriani o si tratti della Scrittura, come fanno i protestanti, perchè Scrittura e Tradizione, come insegna il Concilio diTrento, ci sono appunto interpretate infallbilmente dal Magistero della Chiesa sotto la guida del Papa. E’ insomma una convinzione falsa ed inaccettabile che occorra correggere alcune dottrine del Concilio “alla luce dellaTradizione”.
      Tra lefevriani e modernisti non c’è tanto una “via di mezzo”, quanto piuttoso la via giusta, veramente ed integralmente evangelica, cattolica ed ecclesiale, che è la via indicata e garantita dal Succesore di Pietro, via che coglie i lati positivi delle estreme e nel contempo ne corregge gli errori.
      E’ la via della verità, della pace e della conciliazione fra queste due estreme, che occorre assolutamente percorrere, in comunione col Papa, per essere veramente fedeli a Cristo e al Vangelo. Chi non segue questa via, mette in pericolo la propria salvezza.

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