Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Quel canuto pagliaccio di Eugenio Scalfari continua ad offendere il Sommo Pontefice, mentre la Santa Sede continua a tacere, anziché smentire

— difendiamo il Santo Padre dai falsi amici  —

QUEL CANUTO PAGLIACCIO DI EUGENIO SCALFARI CONTINUA AD OFFENDERE IL SOMMO PONTEFICE, MENTRE LA SANTA SEDE CONTINUA A TACERE, ANZICHÉ SMENTIRE

 

È nostro sacro dovere difendere il Successore di Pietro, al quale è richiesto di essere maestro di sapienza e di prudenza. Noi possiamo anche smascherare i giochi di Scalfari, ma non possiamo omettere di prendere atto che il Santo Padre si manifesta a volte imprudente. Se non ammettessimo questo, un esercito di fedeli smarriti, feriti e addolorati, ci porrebbe questo quesito al quale non sarebbe facile rispondere: ammesso che Scalfari affermi e scriva scempiaggini attribuite al Santo Padre, chi è che lo riceve e che ci parla, se non il Santo Padre stesso? E dopo che Scalfari ha fatto certe sparate, come mai, i competenti organi informativi della Santa Sede, non lo smentiscono? E rispondere a un simile quesito, non è purtroppo facile.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Dio prende i sapienti per mezzo della loro astuzia

I Cor 3,19

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Giovanni Cavalcoli non è vegetariano, è solo paziente …

La escalation di chi le spara più grosse, pare proprio non avere fine. Il Demonio, che nel corso della storia mostra notevole inventiva nel sempre reiterato e sempre vano tentativo di distruggere la Chiesa di Cristo, a cominciare dal papato, che è la pietra su cui Cristo ha voluto che essa poggi [cf. Mt 16, 13-20], sta suggerendo ai suoi strumenti umani riguardo al pontificato di Papa Francesco, una nuova, subdola ed efficace tattica, per screditare ed abbattere il papato. Questa tattica sottile è ispirata ad un metodo che finora, il Maligno, non aveva mai adottato; una tecnica raffinatissima quanto paradossale, che non è più quella tradizionale della denigrazione, ossia di attaccare il Papa in nome della modernità e del progresso. Non è più quella di accusare il Sommo Pontefice di opporsi alle riforme e alla libertà, indicandolo come persona chiusa alle voci profetiche, o come reazionario baluardo della conservazione e della peggiore arretratezza, rappresentante delle classi dominanti e di un Dio proibizionista e legalista, oltre che terrorizzante suscitatore di sensi di colpa. Tutte accuse, queste, che furono diversamente ma similmente rivolte, in periodi storici molto turbolenti, sia al Beato Pontefice Pio IX sia al Santo Pontefice Pio X.

Nulla di tutto questo, nel nostro presente che è un autentico brulicare di abili e smaccati adulatori, falsi ammiratori e finti collaboratori che sorgono come funghi dovunque. Questi personaggi, falsamente interpretando l’insegnamento del Papa, vorrebbero darci ad intendere che egli è modernista o, come loro dicono, «progressista», intendendo ovviamente il progresso alla loro maniera, non certo in quella accezione improntata sulla più profonda e cristologica ecclesiologia che portò il Beato Paolo VI a donarci la Enciclica Populorum progressio [cf. testo QUI].

Tra tutti gli adulatori, il più famoso, il più geniale, il maggior falsario e provocatore, è certamente Eugenio Scalfari, del quale vogliamo commentare un paio di uscite formidabili, una risalente al 2 agosto e una al 9 ottobre. La prima delle due uscite ― quella di agosto ―, è indicata ironicamente da Francesco Agnoli sul quotidiana La Verità come un’uscita formidabile, di portata storica: «Il solito Scalfari si serve di Bergoglio per mostrare una chiesa fallita». Le cose, però, non stanno esattamente così [cf. QUI].

L’operazione è più diabolicamente sottile: Scalfari si finge ammiratore del Papa e quindi affetta di non volere affatto distruggere la Chiesa, ma si fa entusiasta portavoce e interprete ― lui, ateo ― di come oggi il Papa «rivoluzionario», intende la Chiesa. Egli infatti vorrebbe farci credere che il Papa propone un nuovo modello di Chiesa, che in realtà, se vi facciamo attenzione, è quella falsa Chiesa buonista, secolarizzata, relativista, polpettona, voltagabbana e politicizzata, progettata e profetizzata dalla massoneria già dal XVIII secolo e dai modernisti ritardatari, come società filantropica e a-dogmatica, tale da entrare, come membro malleabile, nella federazione internazionale delle religioni sotto la presidenza della comunità internazionale. Quello che fu già il sogno di Leibniz e della società segreta dei Rosa Croce nel XVII secolo, che poi è il sogno di tutti gli gnostici.

A questo episodio citato da Francesco Agnoli possiamo aggiungerne un nuovo recentissimo riportato dal Sismografo del 9 ottobre scorso e preso da Repubblica. Le parole di Scalfari sono le seguenti:

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«Papa Francesco … ha abolito i luoghi dove dopo la morte le anime dovrebbero andare: Inferno, Purgatorio, Paradiso […] Tutte le anime sono dotate della Grazia e quindi nascono perfettamente innocenti e tali restano a meno che non imbocchino la via del male. Se ne sono consapevoli e non si pentono neppure al momento della morte, sono condannate. Papa Francesco ― lo ripeto ― ha abolito i luoghi di eterna residenza nell’ Aldilà delle anime. La tesi da lui sostenuta è che le anime dominate dal male e non pentite cessino di esistere mentre quelle che si sono riscattate dal male saranno assunte nella beatitudine contemplando Dio. Questa è la tesi di Francesco» [testo, QUI].

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Queste cose che Scalfari attribuisce al Papa sono false, farebbero del Papa un eretico e sono solo pure, purissime invenzioni di quell’incredibile sfrontato che è Eugenio Scalfari. Che i malvagi al momento della morte cessino di esistere e non vadano all’inferno non è un’idea del Papa, ma un’eresia di Edward Schillbeeckx [1].  E per dar prova di ciò, se ce ne fosse bisogno, basterà citare queste parole dette del Pontefice ai mafiosi, che riprendono un severo monito già rivolto dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II [cf. video QUI] ai membri delle aggregazioni mafiose:

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«Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. È quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi» [cf. QUI].

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Ed inoltre badiamo a queste altre parole dell’Apostolo Giovanni che prosegue ancora: «Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco» [cf. Ap 20, 14]. Si tratta di quelli dannati. Il Papa ha voluto soffermarsi proprio su questa frase dell’Apocalisse: «Questa è la  seconda morte, lo stagno di fuoco» [cf. supra]. In realtà, ha spiegato, «la dannazione eterna non è una sala di tortura, questa è una descrizione di questa seconda morte: è una morte». E «quelli che non saranno ricevuti nel regno di Dio — ha spiegato — è perché non si sono avvicinati al Signore: sono quelli che sono sempre andati per la loro strada, allontanandosi dal Signore e passano davanti al Signore e si allontanano da soli». Perciò «la dannazione eterna è questo allontanarsi continuamente da Dio, è il dolore più grande: un cuore insoddisfatto, un cuore che è stato fatto per trovare Dio ma per la superbia, per essere stato troppo sicuro di se stesso, si è allontanato da Dio» [cf. QUI].

Altra cosa nella quale Scalfari mostra un’ignoranza crassa della dottrina cristiana, è quando si chiede:

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«A chi si deve l’esistenza del Demonio? È una potenza contraria a Dio, oppure è Dio stesso in una veste volutamente opposta a quella naturale? La religione cattolico-cristiana distingue ovviamente tra il bene e il male, ma non affronta l’origine del male: è Dio stesso ad averlo creato nel momento in cui riconosceva alle sue creature umane il diritto al libero arbitrio?» [cf. QUI]

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Ci potremmo limitare a rispondere a queste parole sorprendenti rimandando al Catechismo della Chiesa Cattolica. Tuttavia, diamo una breve risposta. Come insegna il Concilio Lateranense IV del 1215, «il diavolo e gli altri demòni sono stati indubbiamente creati da Dio buoni, ma essi da se stessi si sono resi malvagi» [Denz. 800]. Quanto all’origine del male, la Bibbia insegna con chiarezza che essa va attribuita alla malvagità di Satana: «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono» [Sap 2,24].

Dio ha donato alle sue creature, angeli e uomini, il libero arbitrio; ma il cattivo uso di questo non è colpa di Dio, ma della creatura. Gli uomini non nascono innocenti, ma con la macchia del peccato originale, che viene tolta dal Battesimo. La nuova tattica dei nemici del papato si è veramente raffinata. Vediamo più nel dettaglio l’astuzia dell’operazione diabolica di questi adulatori, che ha dell’incredibile, se non avesse riscontro nei fatti. Essa, che per adesso ― finché dura ―, funziona, consiste nel fatto che i tradizionali nemici della Chiesa: protestanti, massoni, liberali, epicurei, atei, positivisti, relativisti, idealisti, panteisti, gnostici, comunisti, un tempo accaniti nemici, aperti e dichiarati della Chiesa, oggi hanno fatto, in un grandioso patto tacito, una specie di spudorato voltafaccia. Con incredibile faccia tosta, spesso sotto gli occhi di vescovi reticenti, si sono infiltrati nella Chiesa nelle vesti di modernisti e rahneriani e, dall’interno stesso della Chiesa, atteggiandosi a punte avanzate del progressismo, sono passati dalle accuse roventi ai Papi del passato alla lode sperticata di quello di oggi, lode evidentemente interessata, ad usum delphini, storcendo a loro favore alcuni discorsi del Papa, che non sempre brilla per chiarezza e che, onestamente, dobbiamo riconoscere pure che non sono a volte poco ambigui. Il tutto per supportare le loro menzogne, tacendo sulle grandi tematiche della fede e della morale alle quali loro palesemente contrari, quindi prendendo disonestamente, ciò su cui il Papa tace, come una negazione o come un rifiuto formale da parte sua. Dunque, una truffa di proporzioni epocali gigantesche, facendo apparire il Papa, con sogghigno di compiacimento, come fosse uno di loro. In tal modo ― fàteci caso ― la Chiesa oggi non ha più nemici esterni, perché d’improvviso piace al mondo. I nemici sono ormai tutti interni e sono: o mascherati, come i modernisti, oppure aperti, come i lefebvriani.

I modernisti, che fino a Benedetto XVI attaccavano il papato, ora ne fanno le lodi. Ma sono rimasti modernisti; e per questo credono e fanno credere che il Papa sia uno di loro. Ma ― per chi non lo sapesse ― il modernismo è un’eresia e non è possibile che un Papa sia consapevolmente eretico.

Come però si suol dire, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. Per questo, il loro gioco, non può non lasciar filtrare delle crepe; e di queste la più evidente è la sparata di Scalfari ― che subito vedremo ―, sparata che, fra tutte quelle degli adulatori, è la più grossa, la più sfrontata e la più pacchiana, ma anche la più geniale, la quale come tale, mentre denota una mente indubbiamente acuta, scopre all’evidenza la sporcizia e la disonestà del gioco.  È una pugnalata che ferisce a fondo. Ma possiamo guarirne. «Bisogna studiare la cosa a fondo», come dice Scalfari. Ed ha ragione. Ma non con i suoi criteri. Verrebbe da lanciargli una maledizione. E invece dobbiamo restare calmi ed esaminare a fondo la questione.

Ma qual è questa sparata? È la seguente. Il Papa, afferma Scalfari quattro anni fa 

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«[…] è rivoluzionario per tanti aspetti del suo sia pur breve pontificato, ma soprattutto su un punto fondamentale: di fatto ha abolito il peccato. Un Papa che abbia modificato la Chiesa, anzi la gerarchia della Chiesa, su una questione di questa radicalità, non si era mai visto, almeno dal terzo secolo in poi della storia del cristianesimo e lo ha fatto operando contemporaneamente sulla teologia, sulla dottrina, sulla liturgia, sull’organizzazione. Soprattutto sulla teologia […] Questa è la rivoluzione di Francesco e questa va esaminata a fondo, specie dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, dove l’abolizione del peccato è la parte più sconvolgente di tutto quel recentissimo documento» [articolo, QUI].

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Questa sparata di Scalfari richiede una adeguata analisi psicologico-morale, perché con indubbia, anche se maliziosa acutezza di vista, va a toccare o, potremmo dire, a pizzicare, sia pur con grossolana brutalità, ma anche con una certa franchezza, seppure alla rovescia, proprio quello che a noi pare il nodo centrale della predicazione del Papa, non abbastanza chiaro su questo punto, ed evoca, quale apprendista stregone, un fantasma della cattiva coscienza del buonismo contemporaneo: la questione del peccato.

Se Scalfari non fosse quell’intellettualmente disonesto che è, Dio gli avrebbe dato le capacità di essere un consigliere intellettuale del Papa. Forse ― se non sono ingenuo io ― bisognerebbe leggere il suo messaggio alla rovescia o in negativo, come a dire: “Francesco, parlaci del peccato!”. Certo, che, prese ut sonant, le parole di Scalfari sono obbiettivamente un terribile insulto e una calunnia al magistero del Papa ― anche se Scalfari crede di fargli una lode ―, e alla stessa dottrina cattolica. Si tratta forse di una boutade? La cosa è troppo seria per scherzare. Una sparata per farsi della pubblicità? È possibile, ma Scalfari non paga un prezzo troppo alto per la sua reputazione? Un ateo non ha forse niente da perdere? No, anch’egli ha una coscienza, con la quale deve rispondere a Dio. E per questo voglio prenderlo sul serio e rispondere brevemente, benché il tema richiederebbe addirittura un libro.

Anzitutto la domanda di rigore: ma il Papa che fa? Si accorge di tutto questo? Per la verità, purtroppo, non dà segni in tal senso. Né lui né chi per lui interviene a correggere le cattive interpretazioni. Come mai? Non riesce a tener dietro a tutte? Le snobba? Ha paura delle reazioni? Non viene informato? Difficile rispondere. Che le approvi, quando si tratta di eresie, è impensabile. Il minimo che si possa dire è che la situazione è anormale, mai verificatasi in tali dimensioni e frequenza con Papi precedenti.

Scalfari, approfittando del silenzio del Papa e della benevolenza di questi nei suoi confronti, alza il tiro. Ma quanto potrà durare questa orribile buffonata? Questo affronto alla dignità pontificia? È la cosa che turba di più. Occorre indubbiamente interpretare il fenomeno in modo da salvaguardare la dignità magisteriale del Papa, e non dar spazio ai lefebvriani che lo accusano di essere eretico. Che dire, dunque?

Vediamo allora quali sono le responsabilità dall’una e dall’altra parte. La colpa di questo enorme equivoco e di questo terribile inghippo sta, secondo me, da entrambe le parti. Sembra un gioco a rimpiattino o degli specchi, se la situazione non fosse tragica e non ci andassero di mezzo le anime. Il Papa è pastoralmente avventato e imprudente, si presta al gioco, sembra spinto da un certo opportunismo, e i modernisti, che sono dei mascalzoni, ne approfittano spudoratamente. Il Papa è manovrato e ad un tempo si lascia manovrare. Crede di essere avveduto, ma gli la fanno senza che se ne accorga. Occorre aiutare il Papa  a liberarsi dai modernisti.

Così la tesi degli adulatori del papato palingenetico, sbandierata con entusiasmo e abbondanza di mezzi ai quattro venti a milioni di ingenui e gongolanti fedeli, è che, dopo secoli e millenni, abbiamo finalmente la svolta epocale di un Papa «rivoluzionario» (Scalfari), il Papa del Dio che non castiga, ma che perdona tutti (Rahner), il Papa dei poveri, dei lavoratori, degli sfruttati e degli immigrati, promotore della libertà dei popoli (Maduro), leader della sinistra internazionale (Castro, Gutiérrez, Maradiaga), anzi il Papa che finalmente ha introdotto la libertà nella Chiesa (Bianchi), Papa della misericordia e della tenerezza (Ronchi, Cantalamessa), della riconciliazione ecumenica (Kasper, Küng), del dialogo fra le “fedi” e della Chiesa “spontanea” e “rilassata” (Radcliffe), il Papa del primato della coscienza (Sosa), della modernità (Grillo), della tolleranza e della tenerezza (Paglia), il Papa della fratellanza universale, anche con i massoni (Ravasi) e i musulmani, il Papa dell’accoglienza (Galantino) e del Concilio (La Valle), Papa della «svolta profetica» (prossimo convegno di Assisi) e delle svolte epocali (Melloni).

È interessante che nessuno loda mai il Papa nel suo compito fondamentale e primario, che è quello di essere maestro della fede ed oppugnatore delle eresie. Forse si scoprirebbe qualche altarino, che metterebbe in imbarazzo gli ammiratori. Come fa Scalfari a dire un’enormità del genere? È possibile che egli parta da un concetto sbagliato del peccato. Ma non ci sembra il caso di esaminare negli scritti di Scalfari che cosa egli intende per ”peccato”. Credo che qui sia sufficiente ricordare che cosa è veramente il peccato, secondo la morale cattolica e quindi secondo il pensiero del Papa, che ne è il Maestro.

Ma che cosa è il peccato? Diciamo dunque che il peccato è un atto umano libero, col quale il soggetto coscientemente e volontariamente fa ciò che è male, ossia ciò che è proibito dalla legge divina, la quale è partecipata dalla ragion pratica [2]. L’infrazione alla legge umana è il delitto o crimine. La messa in pratica del comando divino ordina l’atto umano al conseguimento del fine ultimo dell’agire umano, che è Dio, sommo bene dell’uomo. L’agire umano è relativo ad una pluralità di fini, fondati sulla natura umana e gerarchizzati fra di loro, al vertice dei quali c’è Dio. La volontà, in certi suoi atti, può dirigersi direttamente a Dio. Ma anche se l’atto umano persegue un fine intermedio, per essere un atto moralmente buono, occorre che comunque l’agente ordini almeno implicitamente a Dio il fine intermedio. Il peccato sorge quando la volontà o respinge Dio direttamente oppure, anziché orientarsi a Dio come fine ultimo, sia pur per il tramite di un fine intermedio, sceglie come fine ultimo un fine intermedio [conversio ad bonum commutabile] respingendo implicitamente Dio [aversio a Deo]. Il peccato lascia la coscienza e la volontà in uno stato di turbamento o inquietudine, che è detto “colpa”. Essa può essere tolta mediante lo sconto o espiazione della pena, nel caso del delitto, mentre, se si tratta di peccato, che provoca la perdita della grazia divina, il peccato è rimesso, ossia annullato, e la colpa  è tolta dal perdono divino, che ridona la grazia, a condizione del pentimento e della penitenza del peccatore. La colpa si attenua o manca del tutto nei casi in cui il soggetto agisce o per ignoranza o per debolezza o perché sopraffatto dalle passioni. Se la coscienza erra in buona fede, il soggetto compie, con tale coscienza, un’azione oggettivamente cattiva, ma resta innocente, almeno davanti a Dio.

La nozione del peccato è una nozione fondamentale, intuitiva, spontanea ed inestirpabile della coscienza giuridica, morale naturale e cristiana. Essa entra nel deposito della divina rivelazione, custodito ed interpretato dal Sommo Pontefice. Per questo, il solo immaginare che il Papa possa «abolire» la nozione del peccato o il peccato stesso, è un’idea blasfema, assolutamente e gravemente offensiva del magistero pontificio.

Bisogna precisare che la volontà umana, nella vita presente, non può non opporsi al male né può evitare il peccato. Tutto sta a vedere che cosa intendiamo per “male” e per “peccato”. Questo avviene pertanto anche nel buonista, con la differenza, rispetto all’uomo giusto, che questi si riconosce peccatore e lotta contro il peccato, e dispone di una regola per la pratica della giustizia e della severità, per la quale egli tiene a freno i suoi peccati e si oppone ai peccati altrui con una giusta severità. Il buonista, invece, privo di questa regola di giustizia e ingannato appunto dall’errore buonista, che non riconosce l’esistenza del peccato, se qualcuno gli si oppone citando l’esistenza del peccato e l’esigenza che sia punito, si imbestialisce e lo aggredisce o se gli si presenta l’occasione di dover far giustizia, non disponendo di un retto criterio di giudizio, si sfoga nella violenza e nella prepotenza. Così la falsa misericordia si trasforma nella crudeltà.

Credere che tutti i problemi morali si possano risolvere semplicemente con la buona volontà, in un continuo progresso ― le “magnifiche sorti e progressive”, sulle quali ironizzava Giacomo Leopardi ―, senza il soccorso della grazia e di un’adeguata disciplina ascetica, è l’illusione tragica, tipica delle morali razionaliste, come il liberalismo e la massoneria. Ma d’altra parte, la fiducia nella divina misericordia non dispensa dalla lotta contro il peccato e dal dovere di obbedire alla legge, che punisce i malfattori. Infatti, la coercizione e l’uso della forza con giustizia e moderazione, al momento opportuno, sono necessari per frenare i malvagi ed hanno una funzione educativa.

Quella concezione buonista del peccato che porta alla negazione del peccato si trova in certo modo nell’attuale tendenza buonista, per la quale tutti in fondo sono buoni e benintenzionati. In questa visione c’è un panteismo e quindi un ateismo latente: il soggetto ritiene di essere buono, perché in fondo egli è Dio. Cattivi, semmai, sono gli altri, che non riconoscono la mia idea che tutti sono buoni. Non esistono pertanto “conseguenze” del peccato originale. Peccare e soffrire rientra nella natura umana. La morte è naturale. Se la natura è ostile, Dio non c’entra. È la natura che è fatta così. Tutti si salvano. Chi fa il male lo fa o per ignoranza o per fragilità. Il peccato sembra un male per il singolo, ma in realtà rientra nell’ordine generale dell’universo. Alcuni arrivano a dire che, dato che tutto è Dio, tutto è bene. Il peccato non è un vero male, ma è un’imperfezione. Il peccato è solo un incidente di percorso nel cammino dell’evoluzione. Tutti sono scusati e chi fa il male non dev’essere punito, né corretto, né minacciato, ma dev’essere lasciato libero e tollerato. Non possiamo giudicare gli altri con criteri esterni alla loro coscienza, perché ciò sarebbe un’imposizione. Infatti, ciò che è male per noi può essere bene per gli altri. Occorre pertanto mettersi dal loro punto di vista. Non esistono regole o leggi universali e immutabili, ma solo norme particolari e situazioni concrete. Ognuno è libero di comportarsi secondo la sua coscienza. Dio perdona sempre e non castiga. Non esiste male di colpa, ma solo di pena. I sensi di colpa non sono segni che si ha peccato, ma sono semplici patologie da curare con la psicanalisi. Non esistono persone malvagie, ma tutti sono in grazia e si salvano. All’inferno non c’è nessuno. La delinquenza si spiega con predisposizioni psichiche (Lombroso) o influssi ambientali (Rousseau) o condizioni economiche di classe (Marx) o inclinazioni sessuali (Freud).

Analizzando il problema della verità nascosta nell’errore, viene spontaneo offrire un suggerimento al Santo Padre. D’altra parte osserviamo che le grandi aberrazioni della mente umana, come è per esempio ciò che  Scalfari attribuisce al Papa, non sono mai così false da non nascondere una punta di verità e non sono mai così assurde, da non ricevere una qualche spiegazione, soprattutto se partorite da una mente raffinata e genialmente maligna ― da un’intelligente stoltezza, si potrebbe dire paradossalmente ― come quella di Scalfari. Chiediamoci allora come può essergli venuta in mente quell’idea balzana? Su quali basi o fatti? Partendo da che cosa? Riteniamo che in qualche modo essa possa essere messa in rapporto con un difetto della predicazione del Papa in tema di peccato. Senza essere un buonista, il Papa è pericolosamente vicino alle idee dei buonisti. Nella sua ansia di essere accanto a tutti, di accogliere tutti e di andare verso tutti, soprattutto gli “scartati”, i poveri, gli oppressi, i sofferenti, proiettato com’è verso le “periferie”, egli è, come si diceva un tempo, “troppo di manica larga”. Egli, invece di moderare la tendenza buonista già presente nel Concilio Vaticano II, per un moderato recupero di disciplina, regolarità, osservanza, austerità e severità, del quale da tempo la Chiesa sente il bisogno nell’educazione, nella formazione del clero, come nella pastorale, nel governo delle anime, della Chiesa e della società, il Papa, dicevo, come suol dire, è “troppo buono”, permissivo e accondiscendente, col rischio poi di uscire in atteggiamenti duri con chi non li merita, secondo quel meccanismo che ho illustrato prima.

Il Santo Padre è troppo severo verso i lefevriani, troppo indulgente verso i modernisti. Fa bene a riconoscere i punti in comune con i luterani, ma dovrebbe anche correggere i loro errori. Fa bene a riconoscere il monoteismo nel Corano, ma dovrebbe anche esortare i musulmani a convertirsi a Cristo. Fa bene a riconoscere nel comunismo un’istanza di giustizia sociale; ma dovrebbe anche condannarne il materialismo ateo; fa bene ad esortare ad accogliere gli immigrati, ma dovrebbe anche invitare alla vigilanza contro terroristi, i parassiti ed i sabotatori; fa bene a coltivare il dialogo inter-religioso, ma dovrebbe anche ricordare che il cristianesimo cattolico è la suprema delle religioni, l’unica senza errori; chiami pure la Bonino «grande italiana», ma sia più chiaro nella condanna dell’aborto; fa bene ad esortare gli omosessuali a volersi bene, ma condanni con forza la sodomia; la pace non si ottiene solo col dialogo, ma anche con l’uso moderato della forza; le famiglie irregolari non sono solo famiglie “ferite”, ma ce ne sono anche di quelle che feriscono, corrotte e scandalose.

Non basta annunciare le verità del Vangelo che piacciono al mondo, ma bisogna annunciare anche quelle che dispiacciono. Il Papa dice che non gli vanno gli adulatori: ebbene, allora, se li tolga di mezzo sostituendoli con collaboratori competenti, leali e sinceri. Questo sarebbe veramente un Papa rivoluzionario, un Papa mai prima visto, un Papa delle riforme. In tal modo il Papa toglierà ogni appiglio alle sciocchezze di Scalfari e dei suoi “simili”.

È nostro sacro dovere difendere il Successore di Pietro, al quale è richiesto di essere maestro di sapienza e di prudenza. Noi possiamo anche smascherare i giochi di Scalfari, ma non possiamo omettere di prendere atto che il Santo Padre si manifesta a volte imprudente. Se non ammettessimo questo, un esercito di fedeli smarriti, feriti e addolorati, ci porrebbero questo quesito al quale non sarebbe facile rispondere: ammesso che Scalfari affermi e scriva scempiaggini attribuite al Santo Padre, chi è che lo riceve e ci parla, se non il Santo Padre stesso? E dopo che Scalfari ha fatto certe sparate, come mai, i competenti organi informativi della Santa Sede, non lo smentiscono?

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Varazze, 13 ottobre 2017

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[1] Egli sostiene questa tesi in Umanità. La storia di Dio, Queriniana, Brescia 1992, p.183.

[2] San Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.91, a.2.

 

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La Nuova Bussola Quotidiana e le puttane del Vangelo che «vi precedono nel Regno dei Cieli». E’ stata data vita ad una religione peggiore del Protestantesimo: il Puttanesimo

LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA E LE PUTTANE DEL VANGELO CHE «VI PRECEDONO NEL REGNO DEI CIELI». È STATA DATA VITA AD UNA NUOVA RELIGIONE PEGGIORE DEL PROTESTANTESIMO: IL PUTTANESIMO

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Purtroppo nel Cattolicesimo contemporaneo si è da tempo insidiata un’altra religione parallela, che è quella del Puttanesimo. E di questo Puttanesimo, a livello d’informazione, ne è paradigma La Nuova Bussola Quotidiana, che potremmo definire come un vera e propria rivista on-line vetero democristiana.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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«[…] E poi il carisma non si conserva in una bottiglia di acqua distillata! Fedeltà al carisma non vuol dire “pietrificarlo”, è il diavolo quello che “pietrifica”, non dimenticare! Fedeltà al carisma non vuol dire scriverlo su una pergamena e metterlo in un quadro. Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato Don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione, ma fedeltà alla tradizione ― diceva Mahler ― “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi!

[S.S. Francesco I, discorso a Comunione e Liberazione, 2015. Testo integrale QUI]

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non è cattiveria, è solo … de natura et gratia

Non amo parlare di me stesso, del mio passato e neppure del mio presente privato. Non sono un soggetto da selfies pubblicati a ogni piè sospinto sulle pagine whatsapp e Facebook, perché il luogo idoneo dove “mi manifesto” in pubblico è dal pulpito della chiesa, da dove si annuncia e si predica il Santo Vangelo. E quando sono costretto a parlare di me stesso, devo compiere un grande sforzo, a volte un vero e proprio sacrificio, specie quando si tratta di narrare episodi affatto edificanti della mia vita passata.

Anche se non ho mai avuto alcun legame né formativo né di appartenenza all’Opus Dei, di cui apprezzo molto la Pontificia Università della Santa Croce, che stimo al presente come l’unica istituzione veramente cattolica nel disastroso panorama delle università ecclesiastiche [cf. QUI], a suo tempo mi colpì molto una risposta lapidaria data dal Santo Fondatore dell’Opera, Josemaría Escrivá de Balaguer ― il quale diceva anch’egli parolacce come me ―, che ad un giovane prete che si riteneva meritevole di assurgere a certe cariche ecclesiastiche, rispose: «Ricordati che sei diventato prete per celebrare il Sacrificio Eucaristico, per amministrare le Confessioni ed i Sacramenti di grazia pertinenti al tuo grado, per servire ed edificare il Popolo di Dio. Per questo, sei diventato prete».

Parole che mi toccarono profondamente e che tanto condivisi, io che all’interno della Chiesa non ho mai aspirato a niente, specie essendo consapevole che per certi ruoli ― lasciati sempre agli altri con profonda gioia ―, avrei per grazia di Dio qualità e capacità che coloro che li esercitano in modo a dir poco mediocre, non hanno neppure lontanamente; e non li hanno né per grazia di Dio, né per quei doni di natura legati comunque anch’essi al principio del de natura et gratia [cf. Mt 25, 14-30].

La prima santa lezione che feci mia sin dagli inizi della formazione al sacerdozio, la ricavai dalle manifeste brame e dalle alte aspirazioni di carriera nutrite da un vescovo. La lezione che ne trassi fu la seguente: se il Demonio riesce a prenderci nell’ambizione, può fare di noi tutto ciò che vuole, togliendoci anzitutto la libertà dei figli di Dio, perché a quel punto ogni sospiro, azione, rapporto umano e via dicendo, sarà condizionato e finalizzato solo alle proprie sfrenate ambizioni. Quel vescovo, che era un ambizioso patologico, non ha mai capito di avermi dato, proprio attraverso questo suo grave difetto, la lezione più preziosa e salvifica della mia futura vita sacerdotale. E sono purtroppo certo che un giorno costui, ricevuta la Santa unzione degli infermi ed il Santo viatico, prima di spirare pronuncerà queste ultime parole: “Signore, perché quel tale e quel tal altro coglione sono stati fatti cardinali, mentre invece io no?”. E, detto questo, renderà l’anima a Dio, mentre io pregherò molto per lui, perché gli ho voluto tanto bene, mentre egli trascorreva la propria vita a circondarsi di adulanti ruffiani, tenendosi a gran distanza da coloro che  per affetto e per autentica venerazione gli avrebbero detta la verità, ma soprattutto non lo avrebbero mai tradito, neppure se lui ha tradito se stesso.   

Nell’esercizio del mio sacro ministero, alcune volte mi è capitato di portare me stesso come esempio, ma sia chiaro: come esempio quasi sempre negativo. È così capitato che durante alcune omelie, affrontando certi temi di attualità, rigorosamente legati alle parole del Santo Vangelo proclamato poco prima, abbia ricordato a che cosa portano certe dissolutezze di vita che ci immettono come delle Ferrari sulla gran pista da corsa di quel peccato mortale che io ho percorso a tutto gas. Ecco allora che più volte, nella segretezza del foro interno, durante le Confessioni sacramentali, a qualche giovane ragazzo o ragazza che mi spiegava quanto fosse «importante un periodo di prova di convivenza, prima di compiere un passo importante come il matrimonio», nel rispondere che quella scelta era una strada sbagliata, ho spiegato: «Non pensare che io non sappia di cosa tu stia parlando, perché non sono un prete entrato a undici anni in un seminario. Certe esperienze le ho fatte prima di te, ma soprattutto più e peggio di te. Quindi posso spiegarti sulla mia stessa pelle che una de-responsabilizzante parodia di matrimonio, non porta a niente, per questi motivi  …».

Per non dire con quale severità ho trattato certe mammine cattoliche impegnate, di quelle che in giro per la rete si stracciano le vesti sulla Amoris laetitia, o sul sacrilego pericolo della Santa Comunione ai divorziati risposati, ma che al tempo stesso giustificano loro figlio o loro figlia che convive col compagno o con la compagna, perché in quel caso si tratta di «una convivenza a fin di bene», o perché «tanto presto si sposeranno». A questo esercito di sante mammine, per evitare che qualcuna potesse replicare “che ne sa, lei prete, di certe realtà?”, senza andare per il sottile ho risposto: «Mia madre, che è cattolica per davvero, quando io facevo il puttaniere, o quando nei momenti di “serietà” facevo il convivente saltando da una compagna all’altra, non mi ha mai permesso di farle visita assieme a qualcuna delle mie ganze occasionali. E una volta, in tono molto severo, mi disse: “Quando ti sarai sposato, allora potrai portarmi tua moglie, ma le tue amanti non le voglio né vedere né incontrare in casa mia”». Io rimasi così male e mi sentii a tal punto offeso, che non volli vedere e sentire più mia madre per diversi anni. Ma mia madre, che una coscienza cristiana ce l’ha per davvero, così come l’aveva il mio defunto genitore, non accettò mai le mie dissolutezze, pur di non perdere il figlio. Dissolutezze che invece, pur di non perdere i propri figli, sono accettate da quell’esercito di sante mammine che poi si sfogano da un blog all’altro tuonando contro «concubini» e «adulteri», ai quali la “famigerata” Amoris laetitia avrebbe aperto le porte alla Santissima Comunione Eucaristica. Cosa in ogni caso non vera, come già abbiamo spiegato noi Padri de L’Isola di Patmos [vedere QUI e QUI]. Queste persone che impazzano per la rete telematica, sono in gran numero perlopiù donne frustrate che, se andiamo a indagare, scopriamo che hanno figli e figlie beatamente conviventi e mariti che se la spassano più o meno alla luce del sole con la giovane segretaria d’ufficio. Ecco allora che per reazione, dopo aver tuonato contro «adulteri» e «concubini», cominciano a legare «pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» [cf. Mt 23,4]. E mentre impongono «fardelli sulle spalle della gente», non si curano del fatto che le loro figlie non si limitano neppure a fare le conviventi nelle “coppie di fatto”, ma vivono e si comportano come delle autentiche zoccole. Certo, nessuno di coloro che leggono su internet certe invettive contro «adulteri» e «concubini» scritte da questa razza di persone, può vedere le gesta delle loro figliole e figlioli, forse anche perché, per vedere all’opera la prole di certi cattolici sempre così rigorosi e zelanti sulla pelle dei figli altrui, più che sui siti della Vera&Pura Traditio Catholica bisognerebbe andare sui siti porno. E se qualcuno vuol vedere il vero e proprio tripudio dei divorziati risposati, o di quei diversamente sposati che nessuno chiama in certi casi «adulteri» e «concubini» ma «preziosi benefattori delle nostre opere di salvaguardia della vera fede e della autentica dottrina», basta che si affacci in certi ambienti della cosiddetta e impropriamente detta Vera&Pura Traditio Catholica, inclusi i lefebvriani, visto che alla Fraternità Sacerdotale di San Pio X non sono mai puzzati i soldi di quei non pochi «adulteri» e «concubini» che vantano quarti veri o presunti di vecchia nobiltà e che si sciolgono come neve al sole, assieme ai loro portafogli, dinanzi all’aromatico fumo degli incensi e al magico latinorum. Semmai presentandosi alle solenni liturgie vetero-cattoliche, a settant’anni abbondantemente superati, con le loro “infermiere” che non somigliano affatto alla talentata quanto brutta Tina Pica [cf. QUI], ma che paiono uscite fuori da un film erotico. Oppure giungono alla cosiddetta “messa di sempre” con la loro amabile nipotina di venticinque anni, appena giunta fresca e bella da Kiev. E questo ed altro ancora la dice lunga sul fatto che i farisei erano meno ipocriti del vescovo eretico e scismatico Bernard Fellay, colui che molto filialmente corregge il Sommo Pontefice, ma che si guarda bene dal correggere non pochi dei benefattori della sua Fraternità, ed in specie quei non pochi e generosi brasiliani e nord-americani appartenenti alla ultra destra, che collezionano divorzi con la disinvoltura con la quale un collezionista colleziona francobolli. Ma d’altronde, lo disse anche l’imperatore Vespasiano quando gli fu rivolto rimprovero per avere messo la tassa sull’orina: «Pecunia, non olet » [i soldi non puzzano, cf. QUI].

Ma torniamo a me ed alle mie dissolutezze per giungere più avanti al cuore di tutt’altra questione … soltanto vent’anni dopo la morte di mio padre, quand’ero già prete, mi fu confidato che il mio genitore, morto ad appena 56 anni, pregò e offrì durante la sua malattia le proprie sofferenze anche per il ritorno alla fede di suo figlio, che da dieci anni si rifiutava di passare anche davanti ad una chiesa. Ma volendo, a suo tempo, feci di peggio: chiesi persino che sul registro di battesimo ― quello dove oggi è annotata la mia sacra ordinazione sacerdotale ―, fosse annotato che io non appartenevo alla Chiesa Cattolica.

Non che intenda giustificare quel mio gesto scellerato, però è bene precisare che fu una reazione giovanile del tutto sbagliata ― ma comunque sempre una reazione ―, a delle figure sacerdotali veramente devastanti che avevo conosciute e con le quali avevo avuto a che fare in più occasioni, sino a formarmi l’idea che nel clero cattolico non vi erano solo alcune mele marce, ma che si faceva sempre più fatica a trovare una sola mela sana. E tutto questo generava in me particolare dolore e disagio, perché da bimbo, poi da adolescente, io avevo avuto da Dio la grazia e il privilegio di venire a contatto con sacerdoti veramente santi, cito tra tutti loro uno particolarmente noto al gran pubblico cattolico: Padre Divo Barsotti.

So bene pertanto cosa voglia dire, ed in che modo i giovani in particolare possono allontanarsi per sempre dalla Chiesa, quando anziché dei modelli di sacerdotale virtù, si presentano a loro innanzi certi pretini sculettanti immessi nel Collegio Sacerdotale dalla scelleratezza di quei vescovi che tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta si ritrovarono con i seminari deserti, al punto da riempirli spesso di checche e checchine, dive e divine

Di tutto questo e di peggio ancòra, la colpa non è però del Pontefice regnante, che ha dato inizio al suo pontificato dopo quattro decenni di scelte anche devastanti compiute dai suoi Sommi Predecessori, o da coloro ai quali costoro si sono affidati, o dei quali si sono fidati, mentre da una parte i preti si cimentavano in ogni porcheria, al punto tale che spesso, più erano maiali, più facevano carriera sotto i diversi pontificati oggi tanto rimpianti da coloro che hanno data vita ad una mitica storia passata imbalsamata, che però in verità non è mai esistita. E mentre il nostro clero diventava moralmente sempre più improponibile, di documento in documento non si esitava ad entrare a colpi di morale nelle camere da letto dei nostri fedeli col bilancino dell’orefice, per misurarne fatti e misfatti. E queste ultime non sono mie ingenerose opinioni, meno che mai “opinioni sovversive” contro quella morale cattolica che ben conoscono e che io stesso pratico; quella testé descritta è la storia della Chiesa degli ultimi quarant’anni, una storia scritta e documentata atto su atto, discorso ufficiale su discorso ufficiale, molti dei quali ci riportano alla mente quel terribile monito: «Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» [cf. Mt 23,4].

Se più volte la grazia di Dio si è servita di me per riprendere e riportare a sé diversi di questi traumatizzati e allontanati dalle prodezze di certi preti, forse è anche perché, per esperienza di vita, io potevo capire a fondo che cosa avevano vissuto e che cosa avevano provato, di conseguenza quale rifiuto reattivo avevano sviluppato nei confronti della Chiesa Cattolica e soprattutto del suo clero precipitato ai minimi morali storici. E mentre la situazione morale del clero era ormai precipitata, la Santa Chiesa di Dio governata dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II era impegnata a ribadire il suo categorico “no ai preservativi”, ma ordinando al tempo stesso un prete omosessuale dietro l’altro, sino a permettere lo sviluppo di una vera e propria epidemia di frocismo clericale, pagato infine negli Stati Uniti d’America con diocesi costrette a dichiarare bancarotta poiché subissate di sentenze di risarcimenti danni alle vittime di molestie, o sino al collasso della Chiesa d’Irlanda subissata di scandali a sfondo sessuale veramente inenarrabili. E fu soprattutto da questo punto di vista che il Venerabile Pontefice Benedetto XVI dovette affrontare una crisi morale del clero di proporzioni a tratti spaventose, mentre il Pontefice regnante ha ereditato tutti i postumi di una situazione al totale collasso, essendo ormai venuti a mancare da molto tempo i collaboratori fidati, fedeli e capaci, indispensabili per tenere in piedi un buon pontificato e per renderlo davvero tale.

Spesso, parlando con persone ri-convertite al Cattolicesimo, ho detto e spiegato che l’esperienza del Beato Apostolo Paolo o del Beato Vescovo Agostino, non sono, come spesso si pensa e si crede, dei casi isolati, unici ed eccezionali. Tutt’altro: sono un paradigma. Per questo motivo ho narrato tra queste righe la sintesi della mia vicenda personale e del mio conseguente cambiamento radicale di esistenza; l’ho fatto per dimostrare che tutto questo corrisponde alle dinamiche della folgorazione del Beato Apostolo Paolo lungo la Via di Damasco, od alla conversione del Beato Vescovo Agostino, dietro al quale c’erano le preghiere della sua santa madre Monica, come dietro a molte delle nostre conversioni o ri-conversioni ci sono state altrettante sante madri Monica. E come Saul di Tarso prese il nome di Paolo, ed Aurelio di Tagaste quello di Agostino, io che col battesimo sono stato chiamato dai miei genitori Stefano Maria, prima della mia sacra ordinazione ho chiesto di potermi chiamare Ariel, che significa Leone di Dio, avendo ritenuto ― se non ho sbagliato nelle analisi e nella interpretazione dei segni dello Spirito Santo ―, che da me, Dio Padre, voleva proprio quel che è stato impresso nel nome che ho assunto prima della sacra ordinazione. Nell’economia della salvezza, c’è infatti il monaco certosino che tace, ed il leone che ruggisce. A me, sarebbe piaciuta la clausura della Certosa ed il ritiro dal mondo nel silenzio e nel nascondimento totale, ma lo avrei voluto io, non lo voleva Dio; ed una scelta di egoistico piacere, non può mai chiamarsi vocazione. Non può infatti tacere chi è chiamato a ruggire, non può ruggire chi è chiamato a tacere.

La parola chiave di tutto questo discorso, come ripeto è la parola «coerenza». O come scrivevo poc’anzi: se una persona non è stata e non è a suo modo coerente nelle proprie scelte di peccato, non potrà mai essere riafferrata e recuperata alla grazia di Dio ed essere quindi coerente nella fede.

Il convertito o ri-convertito, non esiterà mai, senza disagio, a portare se stesso come esempio, lanciando senza alcuna vergogna, ai tanti cattolici leggeri e superficiali, questo chiaro messaggio: «Figliolo caro, ma se ce l’ho fatta io che ero a suo tempo un cittadino onorario di Sodoma e Gomorra, vuoi non farcela tu?».

Tutto questo comporta anche un altro aspetto: la capacità di ammettere, di dichiarare e di ribadire pubblicamente un radicale cambio di opinioni. Perché una conversione o ri-conversione, comporta anche questo: un modo radicalmente diverso di ragionare e di affrontare la realtà e la vita stessa. Se infatti io fossi un vescovo ― è un esempio puramente accademico, s’intende ―, al costo di chiudere delle parrocchie per mancanza di preti, me ne guarderei bene dal consacrare nel Sacro Ordine Sacerdotale dei soggetti che dopo anni di seminario, cambiato unicamente l’aspetto superficiale esteriore, sono rimasti tali e quali erano. Chi giunge infatti al Sacerdozio rimanendo tal quale, non può ricevere attraverso il Sacramento dell’Ordine un nuovo carattere che trasforma e che forma per tutta la vita. Ecco perché a nessuno è mai passato per la mente di nominarmi rettore di un seminario o di eleggermi ad una sede vescovile. E hanno fatto bene a non farlo, perché io non riempio la Chiesa d’immondizia, io svuoto la Chiesa dall’immondizia. E un rettore svuota-seminario o un vescovo-netturbino non interessa a nessuno, neppure alla Chiesa «rivoluzionaria» di Francesco I. E ciò detto desidero sia chiaro che con queste parole non mi sono auto-candidato, chi mi conosce sa perfettamente che non è così.

Purtroppo nell’odierno Cattolicesimo s’è insidiata da tempo un’altra religione parallela: il Puttanesimo. Di questo Puttanesimo, a livello d’informazione, n’è paradigma quella rivista on-line di indomiti e irriducibili politicanti de La Nuova Bussola Quotidiana, che potremmo definire come un vera e propria rivista vetero democristiana.

Cambiano i tempi, le persone e le situazioni, ma certi soggetti sono sempre lì, con i loro vescovetti di riferimento che lavorano a stillare veleno dietro le quinte, ad agire come se fossimo sempre nell’italietta democristiana degli anni Cinquanta, dove per essere assunto come bidello in una scuola pubblica era determinante la lettera di raccomandazione del Parroco, per essere assunto come impiegato in un ufficio del Comune cittadino, quella del Vescovo. E quando si avvicinavano le elezioni, non pochi vescovi convocavano tutto il clero non per dei necessari corsi di aggiornamento, né per istruirli su come edificare al meglio il Popolo di Dio, ma per trasformarli in propagandisti elettorali. E per settimane, dai pulpiti delle chiese, anziché le spiegazioni al Santo Vangelo, si udivano logorroici comizi elettorali. Ecco, i vescovetti di riferimento del direttore de La Nuova Bussola Quotidiana, sognano ancora questo, che equivale a dire: come sognare il calessino trainato dal ciuco mentre i missili volano verso la Luna.

Dinanzi alla mia accusa di Puttanesimo rivolta a La Nuova Bussola Quotidiana, non basta come reazione l’indignazione, anche perché, come diceva un loro vescovetto politicante di gran riferimento quando c’era da difendere Silvio Berlusconi ed i suoi bordelli a cielo aperto: «L’indignazione non è un sentimento cristiano». Quindi non è con l’indignazione che si reagisce, ma con la verità, che è sempre oggettiva, mai soggettiva, perché la verità soggettiva non è la verità, ma è la propria opinione, che come tale lascia sempre il tempo che trova.

A partire dal marzo 2013 a seguire, La Nuova Bussola Quotidiana si è palesata più papista del Papa. Fare un sospiro sul Sommo Pontefice Francesco I sarebbe stato impensabile. Diverse firme che tentarono una espressione critica velata e delicata sullo stile pastorale del Pontefice regnante, si sentirono rispondere dal segretario provinciale mancato della Democrazia Cristiana, ossia Riccardo Cascioli, che «La linea editoriale non permette alcuna espressione anche indirettamente critica di questo pontificato». E sia chiaro: i testimoni vivi, vegeti e dotati in tal senso di buona memoria, non mancano affatto, casomai l’interessato intendesse protestare, ma soprattutto smentire.

All’epoca, su La Nuova Bussola quotidiana scriveva il sociologo Massimo Introvigne, che per inciso è un eccellente specialista in sociologia delle religioni, nonché fondatore del benemerito CESNUR [cf. QUI, QUI]. Ad ogni articolo nel quale egli magnificava le meraviglie di questo pontificato, Massimo Introvigne era attaccato da tutte le fronde cattoliche che mostravano perplessità per certi stili pastorali del Sommo Pontefice Francesco I. C’erano persino dei blog che avevano creato apposite pagine di sfottò più o meno intitolate «la introvignata quotidiana », ed avanti a seguire.

È quindi di rigore chiedersi: cosa è accaduto a questa benemerita rivista, che oggi critica legittimamente Avvenire, L’Osservatore Romano, i collaboratori più stretti del Sommo Pontefice, ma soprattutto le scelte pastorali del Sommo Pontefice stesso? Qual è, il nucleo centrale della “conversione” che ha portato a siffatto cambiamento radicale, ma soprattutto alla scoperta di quel senso critico per il quale tra il 2013 e il 2014, La Nuova Bussola Quotidiana, defenestrò diversi collaboratori poiché ritenuti non sufficientemente papisti, o come si direbbe oggi bergogliani ? Com’è potuto accadere che il direttore de La Nuova Bussola Quotidiana, ieri come oggi consigliato dietro le quinte dallo stesso vescovetto ― ossia quello che tra una telefonata e l’altra sugli Eurostar augurava che il Pontefice regnante raggiungesse presto la Casa del Padre, per poi appresso pompare, sempre dietro le quinte, svariati firmatari della Correctio filialis ―, sia andato incontro a questa metamorfosi? Perché invero a confronto, le Methamorphosis di Ovidio, rischiano di essere solo una barzelletta, assieme a Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam.

Vediamo allora che cosa è accaduto per indurre l’allora ultra papista Nuova Bussola Quotidiana a scoprire d’improvviso che anche un Sommo Pontefice può essere all’occorrenza criticato, con tutto il buon garbo del caso e purché non si ponga in discussione la sua legittima autorità. È accaduto questo: nel 2015 il Sommo Pontefice Francesco I, ha elargito due sonore e meritate sberle al Movimento Comunione e Liberazione, attraverso un discorso molto deciso e molto severo che vi invitiamo a leggere tutto quanto per intero, perché così potrete capire l’origine della improvvisa “conversione” alla libertà dei figli di Dio de La Nuova Bussola Quotidiana e del suo direttore [cf. vedere testo QUI].

Dopo quel discorso pontificio è avvenuta prima una conversione, poi una trasformazione. E, d’improvviso, abbiamo assistito alla metamorfosi che oggi abbiamo sotto gli occhi: dalla pubblicazione della Correctio filialis fatta passare per puro dovere di cronaca, al successivo articolo di Antonio Livi che è stato come una pezza nuova posta su un vestito vecchio [cf. Mt 9, 14-17], oltre che offensivo sia all’intelligenza di colui che lo ha scritto sia all’intelligenza di chi, ed in specie i canonisti ed i teologi, lo hanno letto. Per seguire con gli attacchi rivolti ad Andrea Tornielli, reo di essere papista e cosiddetto bergogliano.

Premetto che io sono amico da molti anni di Andrea Tornielli, come lo sono di Antonio Socci e di Marco Tosatti. Si tratta di tre persone diverse, con un approccio dissimile a quello che giornalisticamente è indicato come il fenomeno Bergoglio.

Andrea Tornielli è una persona che per suo stile caratteriale e professionale si muove cauto, ed in lui io non ho mai ravvisato uno spirito improntato su quell’opportunismo dei voltagabbana che spesso gli viene contestato proprio da coloro che la gabbana l’hanno voltata per diritto e per rovescio, ma non solo, perché dopo averla voltata e rivoltata, l’hanno persino tinta con colori diversi, come ha fatto Riccardo Cascioli alla direzione de La Nuova Bussola Quotidiana.

Antonio Socci è un cristiano di fuoco, un passionario e sotto vari aspetti un uomo di Dio passato attraverso prove e sofferenze da non augurare a nessuno, nelle quali non solo ha mantenuto la sua fede, ma l’ha rafforzata, dando in tal senso un esempio non certo di poco conto. La sua posizione nei riguardi di questo pontificato è molto critica, ed è suo legittimo diritto essere critico, criticando in modo duro, a volte anche spietato, certe scelte del Sommo Pontefice, senza mai avere mancato di rispetto alla sua Augusta Persona e senza mai mettere in discussione la sua autorità.

Marco Tosatti è un gran signore in delicatezza ed in spirito espressivo, anche lui è perplesso dinanzi a certe scelte pastorali del Sommo Pontefice, ma il suo stile è diverso e tutto quanto improntato alla maniera di un “vecchio” galantuomo del giornalismo.

Tutti e tre questi professionisti, nella loro diversità, sono caratterizzati da un elemento: sono uomini di fede, mariti e padri esemplari, modelli di vita familiare cristiana, persone che amano veramente la Chiesa ed anche il papato.

Io posso stimare ed avere relazioni con persone animate da sentimenti del tutto opposti, in rapporto alla attuale situazione ecclesiale ed ecclesiastica, che come spesso ho scritto versa in uno stato di decadenza e di crisi senza precedenti storici. Ma non posso nutrire stima per i voltagabbana palesi all’insegna del “non è successo niente ”; i quali non trovano di meglio da fare che dare esplicitamente o implicitamente del voltagabbana ad Andrea Tornielli, che dirige un’agenzia d’informazione, Vatican Insider, che non fa opinione o analisi, ma da notizie e le commenta, quando non si limita a dare notizie e basta.

L’ultimo attacco in ordine di serie rivolto ad Andrea Tornielli in questi giorni è stata una vera e propria falsificazione. Un editorialista de Il Corriere della Sera, Gian Antonio Stella, che è un ottimo giornalista ma non un esperto in questioni ecclesiali ed ecclesiastiche, supportandosi proprio per questo su un articolo scritto da Andrea Tornielli lo scorso anno, ha scritto testuali parole:

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«[…] I cattolici integralisti che giorni fa, nell’anniversario della battaglia di Lepanto, hanno detto il rosario contro gli immigrati, in particolare islamici (compresi i siriani in fuga dalla ferocia di Assad e dai tagliagole dell’Isis), fingono di ignorare che il “loro” Papa non mollò mai su certi principi. Primo: il dovere cristiano dell’accoglienza. Mai. Lo ricordava un anno fa il vaticanista Andrea Tornielli in un pezzo intitolato «Immigrati, così la Polonia “seppellisce” Giovanni Paolo II» [testo di A. Tornielli del 10.15.2016, QUI, testo di G.A. Stella del 10.10.2017, QUI].

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La reazione falsante de La Nuova Bussola Quotidiana è stato un articolo così titolato: «Perché il potere infama i polacchi aiutato da certi cattolici». Articolo nel quale, a partire dal titolo stesso, Andrea Tornielli è infilato in un calderone di accuse, senza che mai egli abbia dileggiato i cattolici polacchi che, nella ricorrenza della vittoria dei Cristiani sui Musulmani a Lepanto il 7 ottobre 1571, hanno organizzata la recita di un Santo Rosario sui confini del territorio polacco, con la partecipazione di circa un milione di fedeli [testo di B. Frigerio del 12.10.2017, QUI].    

Ora voi capite bene che sulle righe e dietro le righe de La Nuova Bussola Quotidiana, che da ultra papista tal era tra il 2013 e il 2014, è diventata oggi critico-acidula dopo che il Pontefice regnante ha mollato due salutari sganascioni a Comunione e Liberazione, non è che non sia successo propriamente niente, ma è successo molto, specie in incoerenza ed in conseguente strafottenza verso altri professionisti del giornalismo. Nessuno infatti, dalle colonne de La Nuova Bussola Quotidiana che elargisce implicite o esplicite patenti di voltagabbana a destra ed a manca, ha mai detto: “abbiamo cambiato opinione”. Cosa non solo legittima, perché come credo d’aver spiegato sulla mia pelle e sulla mia stessa vita di passate dissolutezze e peccati mortali, il cambiare opinione è cosa spesso salvifica, a volte imprescindibile per un vero cammino di fede. Se infatti io stesso non avessi cambiata radicalmente opinione a suo tempo, oggi sarei tutt’altro genere di uomo, ma soprattutto non sarei un Sacerdote di Cristo.

Pertanto affermo in tutta serenità che quella sberla data dal Sommo Pontefice a Comunione e Liberazione, oltre ad essere stata del tutto meritata, ha contribuito a far venire ulteriori topi allo scoperto, a partire da Riccardo Cascioli che fa le pulci ad altri suoi colleghi indicandoli con gran caduta di stile professionale come degli snipers, ossia dei cecchini. Ora, io non so se il direttore de La Nuova Bussola Quotidiana ha fatto come il sottoscritto il servizio militare, oppure se è stato riformato alla visita di leva, o se si è dichiarato pacifista ed ha fatto il servizio civile alternativo passando il tempo a giocare con i videogames, in ogni caso non occorre aver studiata L’arte della guerra per sapere che lo sniper, il cecchino, specie dopo la sanguinosa guerra nella ex Jugoslavia, è divenuto sinonimo di vigliacco. I cecchini appostati sui palazzi di Sarajevo, sparavano addosso ai civili inermi, inclusi donne e bambini, spesso colpendoli volutamente alle spalle, ed erano solitamente imbottiti di droghe euforizzanti; e quando l’euforia passava, diventavano ancor peggiori e più sanguinari.

Ecco descritti i topi che il Sommo Pontefice Francesco I ha fatto venire allo scoperto con due sberle. Si tratta di topi opportunisti e incoerenti, di politicanti di bassa lega che rappresentano il paradigma dei topi di una religione del tutto nuova e molto peggiore di quel Protestantesimo che prende vita da uno scisma e da una eresia nata dal nucleo cristiano per opera di Martin Lutero. E questa nuova religione, che non nasce proprio da alcun nucleo cristiano, è il Puttanesimo.

È a questi personaggi che Nostro Signore Gesù Cristo dice: «Le prostitute vi precedono nel Regno dei Cieli» [cf. Mt 21, 38-32]. Cosa questa che a Riccardo Cascioli avrebbe dovuto spiegare con dovizia di particolari il suo vescovetto di riferimento, quello che, se dal Sommo Pontefice Francesco I fosse stato fatto cardinale, avrebbe incenerito sul rogo chiunque avesse sospirato su questo pontificato, anziché augurare al Pontefice regnante di tirare presto le cuoia parlando al telefono in mezzo alla gente dalla prima classe di un Eurostar.

E se questi sono tutti i topi oggi all’impazzimento che il Sommo Pontefice Francesco I ha fatto saltare fuori da dietro quelle quinte dove per decenni hanno lavorato a danneggiare la Chiesa, ebbene vi dico: io che pure sono stato e sono critico verso non poche scelte pastorali del Santo Padre ― come dimostrano inconfutabilmente non pochi miei scritti ―, per il solo merito di avere disseminato il topicida pontificio, sarei pronto a gridare, già mentre si trova sempre in vita … santo subito!

Ultima nota sia di stile sia di carattere professionale: la nostra rivista telematica L’Isola di Patmos ha raggiunto in questi giorni di ottobre i dodici milioni di visite. Il nostro lavoro, che è tutto gratuito, comporta però dei costi elevati di gestione, come accade quando si lavora con mezzi, strumenti, programmi, server-provider aziendali e via dicendo. Da sempre e da subito noi ci siamo affidati alla provvidenziale e gratuita carità dei Lettori, che sino ad oggi ci hanno sostenuti, anzitutto nella nostra piena e completa libertà. Quando invece si hanno certi sponsor o certi mecenati, si finisce sempre sullo spiacevole libro paga di chi, alla fine, giunge ad importi cosa dire e cosa non dire.

Alla Nuova Bussola Quotidiana che oggi da degli snipers agli altri, vogliamo dare anche questa lezione di stile e soprattutto di libertà cristiana, visto il modo in cui ha voltato gabbana come se nulla fosse, dopo i primi due schiaffi dati dal Sommo Pontefice, a giusto e santo merito, al Movimento di Comunione e Liberazione.

Non è che per caso — è solo una domanda —, hanno imposto un cambio di linea editoriale i loro finanziatori?

L’imperatore Vespasiano, affermando pecunia non olet, aveva torto, perché i soldi, in verità, puzzano sempre, quando comprano la tua libertà e quando rendono la tua coscienza cristiana alla stregua di un elastico che aziona un portafoglio a fisarmonica.

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dall’Isola di Patmos, 12 ottobre 2017

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Video del discorso del Sommo Pontefice Francesco I

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