Sulla Correzione filiale: «E Gesù disse alle donne che sciacquavano i panni nei pressi del Lago di Tiberiade: «”Mollate calzini e mutande e seguitemi! Io vi farò lavatrici di uomini”»

SULLA CORREZIONE FILIALE: «E GESÙ DISSE ALLE DONNE CHE SCIACQUAVANO I PANNI NEI PRESSI DEL LAGO: MOLLATE CALZINI E MUTANDE E SEGUITEMI! IO VI FARÒ LAVATRICI DI UOMINI »

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Esortiamo i nostri Lettori a non seguire le teorie fuorvianti di questi rumorosi e velenosi internauti, che si muovono su un equivoco che più volte, su queste colonne, vi abbiamo chiarito nel corso degli ultimi due anni: nella Amoris laetitia il Pontefice regnante non ha abrogato e modificato con alcun suo atto di magistero la disciplina dettata dal suo Santo e Sommo Predecessore San Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio circa il divieto, per i divorziati risposati, di poter accedere alla Comunione eucaristica.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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da Nostro Signore Gesù Cristo al Sommo Pontefice Francesco I, passando per tutti gli altri Sommi Pontefici della storia della Chiesa: nell’Orto degli Ulivi, a sudare sangue, da sempre si è soli …

Sulla Correzione filiale [cf. testo QUI], ci sono giunti tanti commenti che non abbiamo potuto pubblicare perché molti di essi sollevavano polemiche non attinenti al tema, o perché intrisi di sfoghi personali, o perché stillanti impeti d’umore che generano soggettivismi fondati sulla insussistenza del dato reale. Su questo fatto abbiamo già scritto e commentato in due articoli del 26 e 27 settembre ai quali vi rimandiamo [cf.  QUI e QUI].

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Dispiacere molto che non poche persone citino la Esortazione post-sinodale Amoris laetitia mostrando di non conoscerne né il testo né i contenuti, ma solo qualche brandello letto tra un blog e l’altro [Cf. testo integrale, QUI], opponendola ad un altro documento del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, la Esortazione post-sinodale Familiaris consortio. In questo gioco affatto onesto, certi giocatori d’azzardo mostrano alla prova dei fatti di avere letto nella Familiaris consortio [Cf. testo integrale, QUI] ciò che vorrebbero leggere, ma che in essa non è stato scritto. Infatti, la Amoris laetitia del Sommo Pontefice Francesco I, si rifà proprio alla struttura portante della Familiaris consortio essenzialmente nei passi che mettono in risalto quello spirito di carità e di accoglienza di queste coppie irregolari, sulle quali il Santo Pontefice Giovanni Paolo II si è espresso in toni molto chiari, basterebbe solo leggerlo, ma soprattutto leggerlo tutto:

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«La sollecitudine pastorale della Chiesa non si limiterà soltanto alle famiglie cristiane più vicine, ma, allargando i propri orizzonti sulla misura del Cuore di Cristo, si mostrerà ancor più viva per l’insieme delle famiglie in genere, e per quelle, in particolare, che si trovano in situazioni difficili o irregolari. Per tutte la Chiesa avrà una parola di verità, di bontà, di comprensione, di speranza, di viva partecipazione alle loro difficoltà a volte drammatiche; a tutte offrirà il suo aiuto disinteressato affinché possano avvicinarsi al modello di famiglia, che il Creatore ha voluto fin dal “principio” e che Cristo ha rinnovato con la sua grazia redentrice» [Familiaris consortio, n. 65].

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Il Santo Pontefice Giovanni Paolo II chiarisce la posizione di irregolarità dei divorziati risposati, ed al tempo stesso mostra a loro misericordia, accoglienza e aiuto, perché questo recita l’ormai pluri-citato n. 84 della Familiaris consortio :

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«[…] esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza […]

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Eppure, di questo n. 84, da certuni elevato al di sopra dello stesso dogma trinitario, è preso, tagliato e poi unicamente commentato il solo passo finale. Un passo che ― ed è bene ripeterlo ―, funge da chiusa dopo vari periodi improntati sulla più profonda amorevolezza pastorale e misericordia cristiana:

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«[…] La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati» [cf. n. 84].

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Non essendo questa la sede idonea, sorvolo su disquisizioni puramente tecnico dottrinarie e mi limito a chiarire solo per inciso che «prassi» non è sinonimo di dogma, se non è fatto espresso riferimento alla prassi dogmatica, perché le «prassi» non sempre sono legate ai dogmi di fede. Quando infatti una «prassi» o disciplina canonica o ecclesiastica si supporta su uno o più dogmi di fede, i testi lo indicano sempre in modo chiaro. Se infatti il Beato Paolo VI avesse potuto supportare la Enciclica Humanae vitae con un “pronunciamento dogmatico”, lo avrebbe fatto, invece l’ha appoggiata e strutturata su criteri legati al diritto naturale, perché per sorreggere con un pronunciamento solenne la proibizione della contraccezione ― che ribadisco è una norma e disciplina morale espressa con alto grado di certezza ―, i supporti non c’erano. Altrimenti, il Beato Paolo VI, avrebbe fatto ricorso ad un pronunciamento solenne del magistero infallibile. Ma, piaccia o non piaccia a taluni, egli non l’ha fatto; e non l’ha fatto perché non lo poteva fare [si rimanda all’articolo di Giovanni Cavalcoli, QUI].

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Faccio quindi notare che lo spirito di amorevolezza e di misericordia che pervade la Familiaris consortio, non rispecchia la personalità soggettiva del Santo Pontefice Giovanni Paolo II o quella dei Padri Vescovi che presero parte a quel Sinodo del 1981, ma pervade la Divina Persona di Colui che della Chiesa è il Fondatore e Capo del suo Corpo Mistico, il quale afferma:

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« “Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? Gesù li udì e disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”» [Mt 9, 11-13].

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Detto ciò capite bene quanto diverso sia questo spirito e questo magistero, rispetto al “magistero” di quegli internauti che senza alcun lume di carità cristiana usano in forma spregiativa dei termini quali «concubini», «adulteri» e «pubblici peccatori». Beninteso, esistono da sempre «concubini», «adulteri» e «pubblici peccatori», forse oggi più di ieri, ma lasciamo che a trattare certi delicati argomenti di morale cattolica che investono la vita di intere famiglie, sia la Chiesa mater et magistra, con la grazia di stato della carità che le è propria, ed evitino, certi laici arrabbiati che hanno scelto dei delicati terreni per dare sfogo alle proprie frustrazioni e disagi interiori sotto il vessillo del loro non meglio precisato Vero Cattolicesimo, di insegnare alla Chiesa come deve essere mater et magistra. Come esserlo gliel’ha insegnato e comandato Nostro Signore Gesù Cristo, ed a lui devono attenersi pontefici, vescovi e sacerdoti, che non devono prendere ordini da certi laici, ma soprattutto da quelle laiche passionarie inviperite dalla loro mancanza di umanità e di carità cristiana, incuranti del monito di Cristo Dio il quale ci ricorda che la Legge è stata fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge [cf. Mc 2, 27]. Purtroppo, l’idolatria della legge ci sottrae da sempre al Diocentrismo per farci sprofondare nell’omocentrismo :

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«Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”» [Mt 15, 7-9].

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Purtroppo sono molti i Lettori che ci hanno scritto citando come fossero testi del magistero infallibile le stoltezze scritte in forme a volte deliranti su vari siti e blog della impropriamente detta vera traditio catholica; quelli dai quali più volte, nel corso di questi anni, noi Padri de L’Isola di Patmos abbiamo messo in guardia i fedeli cattolici agendo in tal senso per imperativo di coscienza sacerdotale, non ultimo considerando che Cristo Dio, il suo gregge da pascere, lo ha affidato ai suoi sacerdoti, non a certi laici arrabbiati di non meglio precisata cattolicità che imperversano per la rete e che sfuggono a ogni correzione ed a qualsiasi contraddittorio, mostrando all’occorrenza una mancanza totale di rispetto quando sacerdoti con esperienza pastorale e adeguata formazione teologica, dottrinale e giuridica, li richiamano e li invitano a correggersi dall’errore. Il tutto, manco a dirsi, prende vita dal dramma generato della gran confusione di ruoli che oggi imperversa all’interno della Chiesa, dove anche l’ultima delle catechiste non esita a fare pelo e contropelo in pubblico ― e si noti bene ― neppure al parroco, ma direttamente al vescovo. E se qualcuno le fa presente che è uscita fuori di senno, perché il custode del deposito della fede è per Sacramento di grazia il vescovo e non certo lei, ella ribadirà senza alcun problema, più convinta che mai: «Ah, ma io faccio la catechista da trent’anni ed ho esperienza sufficiente per dire che il vescovo sbaglia, perché è mio dovere difendere la fede, come Santa Caterina da Siena!». E qui va detto tra le righe, prima di procedere oltre nel discorso, che a Santa Caterina non passò mai per la mente di dare pubblicamente del bischero al Vescovo di Siena, neppure se alcuni di essi furono tali in epoche passate e in epoche recenti.  Alla catechista passionaria possiamo poi aggiungere la capitolina ripiena di sacro fuoco, che forte del suo diplomino preso presso quella notoria fabbrica di geni della teologia del Theresianum, rincara la dose dicendo: «Ma io sono una teologa!». E questo le da quindi il diritto di criticare tutto e tutti dal suo blog, a partire dal Sommo Pontefice sino all’ultimo vescovo dell’orbe catholica, per non parlare delle bacchettate elargite ai preti conciliaristi ai quali ella insegna da anni come devono celebrare il Santissimo Sacrificio della Messa. Inutile dire, a questa come all’altra pia donna che tra libri e articoli sproloquia da anni indicando il vescovo scismatico ed eretico Marcel Lefebvre come un novello Sant’Atanasio di Alessandria, che cosa accadrebbe a tutto questo rumoroso e invadente gineceo se costoro si azzardassero fare le pulci ai preti lefebvriani, od a dire anche all’ultimo dei sacerdoti ordinati appena venticinquenne presso la loro adorata Fraternità Sacerdotale San Pio X, come deve celebrare la Santa Messa. Perché non provano a farlo? E, dopo averlo fatto, ci narrino a quanti metri di distanza sono state fatte rimbalzare come delle palle di gomma lanciate a gran forza sul muro  …

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… insomma, proprio come se Gesù Cristo avesse preso un gruppetto di Signore impegnate a sciacquare i panni ai lavatoi nei pressi del Lago di Tiberiade, ed avesse detto loro: «Donne, mollate calzini e mutande e seguitemi, perché io vi farò lavatrici di uomini!».  

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Faccio pertanto notare che tutte le teorie dannose propinate da questi soggetti accecati da vero e proprio odio aggressivo nei riguardi del Pontefice regnante, possono essere smontate con una semplice constatazione: questi internauti che sulla rete telematica hanno istituito le loro fantastiche cattedre di diritto canonico, di teologia dogmatica e di morale cattolica, presentandosi come difensori della vera e pura Traditio, da una parte negano l’autorità di un intero Concilio ecumenico della Chiesa, sino ad indicare il Vaticano II in toni sfottenti come «conciliabolo», ma al tempo stesso pretendono di conferire rango di dogma, al pari dei grandi dogmi cristologici, al n. 84 della Familiaris Consortio del Santo Pontefice Giovanni Paolo II. E qui verrebbe da dire: scusate, Gentili Signori e Signore dall’evidente spirito border-line, ma quel Pontefice di cui elevate a “vessillo dogmatico” il n. 84 della Familiaris Consortio, non è forse lo stesso che voi, poco prima, in pagine e pagine insultanti intrise di acrimonia, avete accusato di eresia per il «diabolico» incontro ecumenico promosso ad Assisi dalla Comunità di Sant’Egidio? Sia chiaro, neppure a me è mai piaciuto quell’incontro e non ho mancato in diversi miei scritti intrisi al santo vetriolo di definirlo persino il «Gran carnevale di Rio de Janeiro in trasferta ad Assisi». Però non mi è mai passato per la mente di ergermi a censore del Santo Pontefice Giovanni Paolo II o peggio di accusarlo di «apostasia dalla fede cattolica», come invece hanno scritto, affermato e ripetutamente dichiarato coloro che considerano però come dogma superiore al Simbolo di fede niceno-costantinopolitano le sole due ultime righe del n. 84 della Familiaris Consortio,  scritta da quello stesso Santo Pontefice Giovanni Paolo II da loro ripetutamente tacciato di eresia e indicato come «l’apostata ecumenista». E nel dogmatizzare le ultime due righe di questo numero, ignorano completamente e dolosamente le venti che lo precedono, che sono un richiamo, anzi un vero e proprio inno di lode alla carità, alla misericordia ed alla accoglienza di queste coppie irregolari, molte delle quali vivono con disagio la loro situazione in rapporto ai loro intimi sentimenti cristiani.

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Vi prego, cari Lettori e devoti Fedeli cattolici «siate sobri e vigilate, il vostro avversario, il Diavolo, va attorno a guisa di leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede» [I Pt 5, 8-9]. E se la mia grazia sacerdotale può esservi di ausilio, valutate bene, ve ne prego, queste mie parole basate su dati di fatto oggettivi, su testi scritti e su lunghi anni di campagne denigratorie portate avanti contro gli ultimi cinque Sommi Pontefici della storia della Chiesa, ad opera di coloro che oggi vi si presentano come difensori della vera fede dinanzi ad una Chiesa dagli stessi definita «eretica e apostata». Affermazione basata su una ignoranza teologica e dottrinaria sconcertante, perché la Chiesa è il Corpo di Cristo, di cui lui è capo e noi membra vive. Può forse dunque, Cristo Dio, essere «eretico e apostata»? Che la Chiesa visibile ― ossia la struttura ecclesiastica ― sia invasa e pervasa da peccato e da corruzione morale, è tanto indubitabile quanto evidente, ma la Chiesa corpo mistico di Cristo è santa e immacolata, per noi credenti. Purtroppo non è però così per le cordate di questi disagiati spirituali, che proseguono a trattarla come un fenomeno politico, per dare sfogo al suo interno a scontri politici basati su pretesti dottrinari.

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Ah, se i miei Confratelli Sacerdoti tornassero solo a insegnare e trasmettere i fondamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica, in questa nostra Chiesa visibile sempre più ridotta ad una via di mezzo tra una associazione filantropica, una associazione politica della sinistra radical chic e, non ultimo, un’associazione a delinquere!

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Esortiamo pertanto i nostri Lettori a non seguire le teorie fuorvianti di questi rumorosi e velenosi internauti, che si muovono su un equivoco che più volte, su queste righe, vi abbiamo chiarito nel corso degli ultimi due anni: nella Amoris laetitia il Pontefice regnante non ha abrogato e modificato con alcun suo atto di magistero la disciplina dettata dal suo Santo e Sommo Predecessore Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio circa il divieto, per i divorziati risposati, di poter accedere alla Comunione eucaristica.

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Valutate poi quanto sia cosa aberrante ed empia il pretendere di dogmatizzare da una parte delle discipline ecclesiastiche che non sono affatto dogmi della fede né pronunciamenti vincolati dal grado solenne della infallibilità pontificia [cf. Ad tuendam fidem], ma al tempo stesso negare in modo ostinato e aggressivo l’autorità delle due Costituzioni dogmatiche del Concilio Vaticano II, che a dire di certi aggressivi internauti sarebbe stata solo un’assise pastorale, quindi si tratterebbe di un cosiddetto concilietto di terza classe senza alcuna validità. Insomma, quattro “chiacchiere tra amici” fatte dai Vescovi di tutto il mondo col Romano Pontefice negli anni Sessanta del Novecento, non avendo gli uni e l’altro di meglio da fare per impiegare il loro tempo. E una volta affermato questo e rigettato un intero concilio della Chiesa, in quanto a loro dire non dogmatico, ecco che i soliti noti procedono poi ad elevare a rango di dogma della Santa Fede Cattolica ― e di grado ben superiore allo stesso dogma della Incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo ―, il Motu proprio Summorum Pontificum del Venerabile Pontefice Benedetto XVI sulla liturgia antecedente la riforma liturgica del 1970. Ora, è davvero inutile aggiungere che se i risultati di questo Motu Proprio sono stati di fatto anche il dare in mano a non poca gente un Messale di San Pio V usato oggi come un machete affilato per aggredire la Chiesa ed il Papato e per creare divisioni, forse sarebbe bene che il Pontefice regnante valutasse l’opportunità di revocarlo quanto prima per ragioni di prudenza pastorale, evitando che l’Eucaristia, centro della vita e dell’unità della Chiesa universale, finisca con l’essere usata in modo diabolico per creare attriti e divisioni tra il Popolo di Dio, ad opera di non pochi disagiati spirituali e di gruppi di politicanti mossi da ideologia aggressiva e distruttiva.

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Tutto questo, sia ben chiaro, è stato testé espresso da un sacerdote che come il sottoscritto si sentirebbe molto a proprio agio se una nuova riforma liturgica riportasse il celebrante sull’altare volto coram Deo, con il messale in lingua latina del Beato Paolo VI, ad eccezione della liturgia della parola proclamata in lingua nazionale, con dei canti liturgici idonei e rigorosamente approvati dall’Autorità Ecclesiastica, col suono dell’organo classico, senza più chitarrine strimpellate, bonghi ritmati e, meno che mai, danze e battimani, ma soprattutto col rispetto del sacro silenzio liturgico e via dicendo a seguire …

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La Correzione filiale, sempre per usare terminologie del lessico puramente teologico, è “stolta” ed “empia”. Ma soprattutto è un autentico processo alle intenzioni basato non su quanto affermato dal testo scritto della Amoris laetitia, ma su ciò che i redattori presumono che il testo scritto possa voler dire ed eventualmente affermare, attribuendo in tal modo al Romano Pontefice cose che egli, di fatto, non ha mai affermato, né tanto meno concesso. Poi, che su certi temi legati ai fondamenti dogmatici della fede e della morale cattolica, viga oggi la massima confusione, questo è un dato di fatto incontrovertibile; ma è un fatto molto antecedente al pontificato del Sommo Pontefice Francesco I, ed è anche un fatto parecchio antecedente la pubblicazione di Amoris laetitia, che contiene indubbiamente anche lacune o espressioni non felici e chiare, che però non sono le prime, né tanto meno nuove nella storia dei testi della Chiesa. Io che per varie ragioni ha avuto modo di seguirne per anni sia il processo di beatificazione, sia di partecipare attivamente con mie pubblicazioni alla smentita delle false accuse rivolte al Venerato Pontefice Pio XII da diversi autori, ho più volte spiegato e documentato che la crisi della Chiesa, assieme alle derive teologiche, avevano già preso tutte forma definitiva sul finire del suo pontificato alla metà degli anni Cinquanta del Novecento. Più volte ho anche cercato di spiegare e dimostrare che la celebre enciclica del Pontefice Pio XI, Ad catholici sacerdotii [cf. testo QUI], scritta nella metà degli anni Trenta, contiene già tutte le critiche al germe di questa crisi, oltre al fatto che tra le righe di questa enciclica emergono molte delle istanze impresse da Antonio Rosmini il secolo prima nel suo testo Sulle cinque piaghe della Chiesa, che pure concorse a giovargli la messa all’indice, salvo poi esser proclamato in seguito beato.

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Purtroppo, gli estensori della Correzione filiale, incluso tra di essi anche un epistemologo, ignorano che periodi ripetitivi, lacune per carenza di spiegazioni più approfondite e talune espressioni che potevano essere formulate in modo migliore, emergono anche dal testo del Concilio di Trento, che dopo quello di Nicea è considerato da molti studiosi uno dei più articolati e completi concili della storia della Chiesa, in tutti i suoi aspetti dogmatici, disciplinari e pastorali; ed io personalmente lo considero tale. 

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Sul piano canonico, la Correzione Filiale è uno scritto insussistente che non rispetta la struttura e la formulazione propria richiesta, ed è privo di quella chiarezza e di quella necessaria concretezza che i firmatari accusano essere carente nel testo della Amoris laetitia del Sommo Pontefice Francesco I.

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Sul piano teologico, manca tutta la spiegazione circostanziata ed approfondita in base alla quale possa essere supportata anche una sola e mera ipotesi di eresia diretta o indiretta, indicando anzitutto i dogmi contro i quali vanno a configgere certe espressioni, ed in che modo, queste espressioni, eventualmente ereticali, sono state formulate.

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Anche se il documento Amoris laetitia contenesse al proprio interno dei passaggi ambigui o non chiari ― e indubbiamente li contiene ―, esso non contiene però alcuna concessione o dispensa data dal Sommo Pontefice in deroga al n. 84 della Familiaris consortio. E chi afferma che «con la prassi pastorale si vuole distruggere la dottrina», cade di fatto, oggettivamente, nel processo alle intenzioni. Anche perché, se alcuni tentassero davvero di intaccare la dottrina attraverso la prassi pastorale, ciò che alla fine conta, non è che essi ci provino, ma che essi ci riescano, posto che in una simile impresa non potranno mai beneficiare sul consenso esplicito o tacito di questo come di nessun altro Pontefice. Pertanto, non si può domandare al Sommo Pontefice, dopo avere fatto il processo alle sue intenzioni, di ritirare la concessione di ciò che egli non ha mai concesso, vale a dire la possibilità, mai data ai divorziati risposati che vivono in situazioni di adulterio, o in situazioni cosiddette irregolari, di poter accedere alla Santissima Eucaristia.

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Sebbene quella lamentata nella Correzione filiale fosse la ambiguità di alcuni passaggi della Amoris laetitia, i redattori hanno mescolato nel loro testo vari frammenti di discorsi fatti “in modo colloquiale” dal Romano Pontefice nella propria veste di dottore privato, aggiungendo altresì, sul finale dello scritto, aspetti legati alla critica del modernismo e del protestantesimo. Tutto questo da vita ad un testo confuso, o come si direbbe in altro gergo espressivo “ad un minestrone”, privo di criteri giuridici e teologici, formulato in modo molto scorretto.

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Oltre all’inconsistenza canonica e teologica, la Correzione filiale è soprattutto una grave mancanza di rispetto e di carità cristiana verso la Augusta Persona della Santità di Nostro Signore Gesù Cristo il Sommo Pontefice Francesco I, formulata principalmente anche da un gruppo di teologi che, da tempo, hanno perduto di vista il fatto che loro sono a servizio del magistero della Chiesa, non sono al di sopra di esso e tanto meno suoi censori. Il teologo che rigetta gli atti del magistero cessa di essere cattolico, assumendo di conseguenza ― sia esso tradizionalista o progressista ―, degli atteggiamenti molto peggiori di quelli assunti dal Reverendo Prof. Hans Küng, che si è solo “limitato” a criticare certi atti del magistero, ma non li ha mai definiti o indicati come eterodossi. E chi tra tutti pare non aver capito questo, alla prova dei fatti pare purtroppo essere stato il caro Antonio Livi, col quale non so, se per grazia o sventura, morirà sommersa nel microcosmo dell’egocentrismo la grande Scuola teologica romana. Pertanto complimenti al caro Antonio Livi, al quale sarebbe bastato solo un pizzico di narcisismo in meno e un livicentrismo più moderato; sarebbe bastato che avesse imparato ad ascoltare anche gli altri, anziché solo se stesso, per evitare di far stravincere la Scuola di Bologna. Proprio così: la Scuola di Bologna ha vinto, mentre Antonio Livi, ultimo esponente della gloriosa Scuola romana, era impegnato a parlarsi addosso con l’estetizzante Enrico Maria Radaelli, mentre tutti gli incazzati della Fondazione Lepanto, appoggiata all’angolo la loro alabarda cavalleresca, gli battevano le mani e gli dicevano: «Siete dei grandi!». Intanto, la casa avvolta dalle fiamme bruciava, mentre loro cercavano di mordere le mani a chi, inutilmente, come il Padre Giovanni Cavalcoli, me e vari altri, hanno tentato in ogni modo di invitarli a salvarsi, ed a salvare con sé stessi anche un grande patrimonio di cultura teologica. Perché l’egolatria di certe persone si è spinta sino all’apice della peggiore distruzione: non lasciare neppure un allievo, perché per avere dei degni allievi, bisogna avere anzitutto la capacità e l’umiltà di confrontarsi con loro, ed all’occorrenza di imparare dal loro acume e dal loro ingegno. Ma se a questi egolatri, nel corso degli anni, si è avvicinato qualche allievo di potenziale talento, non hanno trovato di meglio da fare che distruggerlo, terrorizzati dall’idea che questi, in un futuro vicino o lontano, potesse impedire a loro di brillare di luce propria. Pertanto, Antonio Livi, quando se ne va in giro a pontificare nei circoli degli alabardieri e delle aspiranti contessine tutte pizzi e magico latinorum, affermando che «Alla Lateranense hanno distrutta la mia scuola», ebbene sappiate che mente spudoratamente senza sapere di mentire, perché la Scuola romana l’ha distrutta lui con il suo egocentrismo e la sua incapacità di ascolto e confronto, non l’hanno distrutta né i modernisti né i rahneriani, che né ad Antonio Livi né ad altri illustri teologi e studiosi hanno mai data considerazione, perché da mezzo secolo hanno vinto e non hanno certo bisogno di difendersi dagli attacchi di tre zanzare.

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E così, un altro patrimonio, è andato perduto. Sempre e di rigore per la gloria distruttiva del maledetto “io” di coloro che, quando rimangono soli e non hanno più con chi litigare, a quel punto cominciano a litigare con se stessi e ad auto-distruggersi.

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Riposi quindi in pace la Scuola romana e, il più tardi possibile, il suo ultimo allievo di indubbio e grande talento, Antonio Livi.

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Non hanno dovuto neppure attaccarci e farci la guerra, ci siamo distrutti da soli, annegati neppure nella gloria ma nel ridicolo, visto che l’ultima cosa che molto spesso rimane impressa nella memoria è la faccia cadaverica del vecchio morto truccato dall’estetista dell’impresa di pompe funebri, non l’immagine di quello che fu il massimo splendore della sua giovinezza, ma la penosa faccia imbellettata del Caro Estinto, mentre alabardieri e contessine piangono uno struggente lamento in magico latinorum sul colle Aventino presso la Fondazione Lepanto, gridando «eresia, eresia, siamo allo scisma!». 

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È il misero trionfo delle tre zanzare incazzate che hanno infine tentato di pungere il vecchio e antico elefante che siede da duemila anni sulla Cattedra di Pietro, correggendolo però in modo filiale, molto filiale …

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da L’Isola di Patmos, 30 settembre 2017

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il Papa eretico, Antonio Livi e la toppa che finisce con l’essere peggiore dello strappo, il dramma della superbia intellettuale

IL PAPA ERETICO, ANTONIO LIVI E LA TOPPA CHE FINISCE CON L’ESSERE PEGGIORE DELLO STRAPPO, IL DRAMMA DELLA SUPERBIA INTELLETTUALE

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«Per mezzo di parole, atti e omissioni e per mezzo di passaggi del documento Amoris laetitia, Vostra Santità ha sostenuto, in modo diretto o indiretto (con quale e quanta consapevolezza non lo sappiamo né vogliamo giudicarlo), le seguenti proposizioni false ed eretiche, propagate nella Chiesa tanto con il pubblico ufficio quanto con atto privato» [dalla Correctio filialis]

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Autori
Ariel S. Levi di Gualdo
Jorge Facio Lince

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PDF  articolo formato stampa
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«Non pigliateli sul serio, pigliateli per il culo»

[Lettera apocrifa di Sant’Ireneo di Lione]

 

 

Buongiorno!

per aprire il testo del Rev. Prof. Antonio Livi, cliccare sopra l’immagine tratta da La Nuova Bussola Quotidiana del 27.07.2017

Oggi, su La Nuova Bussola Quotidiana, è apparso un articolo di Mons. Antonio Livi, uno dei firmatari della supplica filiale nella quale si formula una accusa di sette eresie che, a quanto pare, non sarebbe tale. E, chi lo pensa, sbaglia, perché ha frainteso il testo [cf. Correctio filialis – testo italiano].

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Con questo articolo Mons. Antonio Livi entra in piena comunione col Sommo Pontefice Francesco I, condividendo con Sua Santità un elemento che caratterizza questo pontificato: «il Santo Padre è stato capito male», «è stato male interpretato», «con quell’espressione voleva dir tutt’altro, ma è stato travisato per colpa dei giornalisti che hanno riportate male le sue parole». 

 

Uno scritto col quale Mons. Antonio Livi s’inserisce a pieno titolo in quello che è il cosiddetto e impropriamente detto spirito bergogliano, per usare questo infelice termine giornalistico che nulla ha da spartire col linguaggio ecclesiale ed ecclesiastico, meno che mai con quello teologico.

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Nel testo latino della supplica filiale, molti, inclusa la Santa Sede e gli organi della Conferenza Episcopale Italiana, pensano d’aver ravvisato la formulazione di sette eresie, cadendo però sicuramente in errore dinanzi a questo testo latino:

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His verbis, actis, et omissionibus, et in iis sententiis libri Amoris Laetitia quas supra diximus, Sanctitas Vestra sustentavit recte aut oblique, et in Ecclesia (quali quantaque intelligentia nescimus nec iudicare audemus) propositiones has sequentes, cum munere publico tum actu privato, propagavit, falsas profecto et haereticas.

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Un testo tradotto dagli stessi Supplicanti a questo modo in lingua italiana:

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Per mezzo di parole, atti e omissioni e per mezzo di passaggi del documento Amoris laetitia, Vostra Santità ha sostenuto, in modo diretto o indiretto (con quale e quanta consapevolezza non lo sappiamo né vogliamo giudicarlo), le seguenti proposizioni false ed eretiche, propagate nella Chiesa tanto con il pubblico ufficio quanto con atto privato.

Nella altre lingue in cui questo testo è stato scritto, il verbo italiano «sostenuto» è stato tradotto: upheld, sostenido, soutenu …

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Malgrado la lapalissiana ed evidente chiarezza di queste parole, oggi, diversi degli estensori, affermano di non avere mai accusato di eresia il Sommo Pontefice, neppure dopo avere firmato un testo che recita: «Vostra Santità ha sostenuto, in modo diretto o indiretto […] le seguenti proposizioni false ed eretiche». Insomma, dinanzi all’articolo di smentita e di chiarimento di Mons. Antonio Livi tornano davvero alla mente le parole di quel “Santo dottore della Chiesa ” di Hegel, che in una frase a lui attribuita afferma: «Se i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti».

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Nel Santo Vangelo possiamo leggere queste parole: «Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore» [cf. Mt, 16]. Esattamente quel che fa Antonio Livi che su La Nuova Bussola quotidiana di oggi si straccia le vesti sotto il titolo «Correzione al Papa, la verità che i lettori meritano». Ecco, se c’è una cosa che i Lettori proprio non meritano, tutti, ed in particolare i nostri fedeli, è quella di essere trattati da perfetti imbecilli. Perché quando si comincia a giocare sulle parole, si esce dall’ambito della teologia, che richiede sempre e di per sé termini chiari e precisi che significano e possono significare una sola cosa, non una molteplicità di cose. In caso contrario si esce appunto dall’ambito teologico per entrare nei sofismi ed in quei bizantinismi giuridici che funsero da preludio alla caduta dell’Impero Romano, cosa questa che, come storico della Chiesa, dovrebbe sapere anzitutto Roberto de Mattei [cf. QUI]. Altrettanto la dolce Cristina Siccardi, che oggi cerca di nascondersi dietro la «materna protezione di Maria» [QUI], che è bene ricordare essere Madre della Chiesa e Madre dei Sacerdoti, non Madre dei politicanti maldestri di siffatta bassa lega, che dietro pretesti dottrinali e teologici celano tutt’altri fini, malumori, frustrazioni, caste nobiliari venute meno e non ultimo anche interessi economici, visto che fare gli ultra-tradizionalisti, da una parte è per alcuni molto costoso, mentre per altri è invece molto redditizio.

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Pertanto, chi di parola ferisce di parola perisce: Infatti, l’accusa — va da sé legittima — che è fatta a diversi passaggi del testo della esortazione post sinodale Amoris laetitia, è proprio quella di non essere chiara, di essere a tratti ambigua, foriera della più diverse e disparate interpretazioni, in quanto scritta in un linguaggio e con termini non sempre chiari.

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Antonio Livi è caduto nello stesso gioco attraverso il testo da lui firmato, del quale a suo dire sarebbero state male interpretate le parole, od il senso delle parole stesse. Il tutto detto da un filosofo e teologo che dovrebbe sapere molto bene che il termine ipostasi, ha un preciso significato e non una varietà di significati, perché al proprio interno esso non contiene solo la spiegazione precisa, ma anche l’interpretazione già data attraverso la enunciazione di un dogma, così come il termine transustanziazione e via dicendo. E questi termini, nella loro sostanza e nel loro significato, rimangono tali anche se trasposti o tradotti in altre lingue.

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A meno che non si viva in un mondo nel quale tutti fraintendono tutto, in tal caso, Mons. Antonio Livi dovrebbe anche spiegare questa sua affermazione, perché alla domanda, ripetuta per la seconda volta … «Ripetiamo: ci sono eresie in Bergoglio?». Egli risponde:

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«Lui non è personalmente e formalmente in eresia, non ne ha dette in modo palese. Lui non proclama cose che risultino eretiche, però le fa dire agli altri senza correggerle o smentirle, pertanto avallandole. Penso che sia quantomeno un peccato contro la prudenza ed è una prassi pastorale dannosa. Noi cerchiamo di farlo ravvedere sia nella prassi sia nella dottrina che risente negativamente del modernismo. Questa iniziativa è doverosa» [cf. QUI].

Mons. Antonio Livi non si è forse reso conto di avere affermato, con questa sua risposta, che il Sommo Pontefice, a suo dire, è di fatto a tal punto pavido e privo di virili attributi, che neppure ha il coraggio di enunciare eresie, le fa proclamare agli altri, poi lui le avalla in modo tacito? O forse abbiamo capito e interpretato male anche questa sua magistrale risposta?

Il Santo Padre Francesco ha tanti difetti, più volte noi li abbiamo messi in luce e ne abbiamo discusso su L’Isola di Patmos [cf. QUI], ma se c’è una cosa della quale egli non è privo, sono proprio gli attributi virili.

Duole riportare certi fatti, ma Mons. Antonio Livi non è nuovo a certe sparate a raffica pericolose e fuorvianti proprio sul piano dottrinario. Ci limitiamo solo a un paio di esempi: dopo aver pubblicamente definito «famigerato» il discorso del Santo Pontefice Giovanni XXIII all’apertura del Concilio Vaticano II, egli prosegue rincarando la dose affermando «faccio fatica a chiamarlo San Giovanni XXIII, perché una canonizzazione che avviene fuori dalle leggi canoniche pone dei problemi». Dinanzi a queste parole, è per noi molto doloroso dover ricordare all’improvvido relatore che si picca di essere uno degli ultimi puri difensori del dogma rimasti nella devastata Orbe Catholica, che questa canonizzazione non dovrebbe creargli proprio alcun problema, perché ogni canonizzazione comporta un pronunciamento che implica quella infallibilità suggellata come dogma di fede dal Beato Pio IX. Pertanto duole ricordare, a questo difensore di una dogmatica che rischia di essere una dogmatica a elastico soggettivo, che il Prof. Andrea Grillo, da noi più volte duramente criticato in dispute teologiche su queste colonne e indicato come un esponente del modernismo, reso “pericoloso” dalla sua profonda preparazione e dalla sua spiccata intelligenza, non si è mai permesso — che finora se ne sappia — di mettere in discussione né la beatificazione di Pio IX né tanto meno la canonizzazione di Pio X. Inoltre, l’onestà intellettuale e teologica, ci impone oggi di rimanere molto ben colpiti per il modo ed contenuti attraverso i quali, il Prof. Andrea Grillo, ha commentato la vexata quaestio [cf. QUI]. E, detto questo, tragga Mons. Antonio Livi le sue debite conclusioni, a ben considerare che sempre in questo suo lungo intervento egli prosegue affermando:

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«[…] come ho scritto più volte a proposito dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, il Papa ha voluto essere volutamente ambiguo. Perché? Perché da una parte vorrebbe dire cose sostanzialmente eretiche, e dall’altra sa che non le può dire».

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Leggendo questa frase infelice alla luce della logica, del diritto e della stessa teologia, questo meschino parlare ed esprimersi si chiama “processo alle intenzioni”. E per oltre un’ora, dinanzi ad un numeroso pubblico, Mons. Antonio Livi, registrato e filmato, infine sbobinato e pubblicato, ha affermate queste ed altre cose ben peggiori. Senza quindi procedere oltre, rimandiamo i Lettori alla lettura di questa sua lectio magistralis tenuta lo scorso anno [la lectio magistralis è leggibile QUI], in attesa che il direttore de La Nuova Bussola Quotidiana pubblichi presto un altro suo articolo di smentita più o meno improntato sul principio che «Se i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti». E, va da sé, con l’aggiunta, da parte di Mons. Antonio Livi che, chi non la pensa come me, è uno storicista, un rahneriano ed un pericoloso eretico modernista. Ignaro del fatto che, per essere teologi ortodossi, non basta essere contrari alle speculazioni teologiche di Karl Rahner, salvo poi agire, in certi concreti fatti, in modo molto peggiore di quanto non abbia agito questo pericoloso teologo gesuita tedesco. Pertanto, il caro Mons. Antonio Livi, anche in questo abbia l’umiltà di imparare da un autentico uomo di Dio come Padre Giovanni Cavalcoli, che studiato per un trentennio e poi criticato in ogni modo il pericoloso pensiero di Karl Rahner, non ha mai mancato di metterne sempre in luce, anche e soprattutto, i non pochi aspetti interessanti in esso contenuti. Così come più volte, il Padre Ariel S. Levi di Gualdo, nemico giurato del modernismo, non ha mancato di mettere in luce sia il problema oggettivo del «modernismo reattivo ad un rigore eccessivo», sia il fatto che il povero Don Ernesto Buonaiuti, dopo la sua meritata condanna, fu trattato dall’Autorità Ecclesiastica con una mancanza di carità veramente disumana; perché la Madre Chiesa non può trattare disumanamente neppure un pericoloso eretico, severamente si, ma disumanamente no.

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E questa, per inciso, si chiama: onestà intellettuale, in assenza della quale si cade nella cieca ideologia, ed anziché fare teologia, si rischia di fare solo soggettiva egologia

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Dinanzi alla penosa vicenda di Mons. Antonio Livi torna alla mente Socrate, che poco prima di bere la cicuta affermò: «Meglio morire con il corpo sano per evitare la decadenza».

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In ogni caso siamo certi che Mons. Antonio Livi, uomo di fede e di gran pietà sacerdotale, non avrebbe alcuna difficoltà, a pena della salute o della dannazione eterna della sua anima, a dichiarare solennemente che, a partire dal 2014 a oggi, egli non ha mai sostenuto che il Sommo Pontefice Francesco I è eretico. Non ha mai detto nulla di simile ad alcuna persona, ad alcun gruppo di persone, in nessun circolo e raduno scelto di persone. Mai, in alcun suo messaggio privato, indirizzato a una o più persone, ha risposto a quesiti a lui posti da fedeli smarriti e disorientati, dichiarando che il Sommo Pontefice Francesco è eretico, né mai ha spiegato a nessuno, con tutti i dettagli del caso, quali fossero le sue eresie.

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Analoga dichiarazione, non avrebbe difficoltà a farla neppure quel vescovo emerito che dietro le quinte di questo testo ha caricato diversi laici in buona fede, usando la propria autorità episcopale per trarli in grave errore. Questo prelato, che mai ha superata e digerita la rabbia di non essere stato creato cardinale, dal canto suo, sempre a pena della salute o della dannazione eterna della propria anima, potrebbe aggiungere anche la rassicurazione che in alcun dove, ad alcuna persona e ad alcun gruppo di persone, egli ha mai affermato, a partire dalla fine del 2013, che il Sommo Pontefice Francesco I, oltre a essere eretico, sarebbe persino legato alla Massoneria internazionale (!?).

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Dinanzi a questa straziante desolazione, è nostro desiderio rimandare i Lettori ad un articolo scritto nel 2015 dal Padre Giovanni Cavalcoli e dedicato alla apologia della superbia. È un articolo molto illuminante, nel quale il teologo domenicano indica e spiega in qual misura, quella intellettuale, è da sempre la forma di superbia peggiore. Quella che tra le varie cose impedisce al superbo di chiedere scusa, dopo avere palesemente sbagliato, trasformando di fatto quel «Confesso a Dio Onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni», solo in una filastrocca ritmata, particolarmente suggestiva se recitata poi in latino [l’articolo di Giovanni Cavalcoli è leggibile QUI].

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Buon pranzo!

L’Isola di Patmos, 27 settembre 2017

 

 

 




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Un Sommo Pontefice eretico? La cieca stoltezza del “partito dei bergogliani”: per difendere il Santo Padre Francesco e con lui il ministero petrino, è necessario mettere in luce anche i suoi molti difetti, anziché cantargli “osanna, osanna nell’alto dei cieli!” e trattarlo come fosse più perfetto di Cristo

UN SOMMO PONTEFICE ERETICO? LA CIECA STOLTEZZA DEL «PARTITO DEI BERGOGLIANI »: PER DIFENDERE IL SANTO PADRE FRANCESCO E CON LUI IL MINISTERO PETRINO, È NECESSARIO METTERE IN LUCE ANCHE I SUOI MOLTI DIFETTI, ANZICHÉ CANTARGLI «OSANNA, OSANNA NELL’ALTO DEI CIELI !» E TRATTARLO COME FOSSE PIÙ PERFETTO DI CRISTO

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L’eretico vescovo scismatico Bernard Fellay, con la propria firma su questo documento in cui si accusa il Pontefice regnante di sette eresie, ha data una sonora e meritata sberla all’imprudente Francesco I, il quale pensava che, tra offerte di pasticcini della tenerezza e di torte aromatizzate al misericordismo, potesse addolcire dei concentrati di fiele come i seguaci dell’eretico che si trova a monte: Marcel Lefebvre, conferendo ad esempio ai suoi seguaci facoltà di amministrare in modo lecito i Sacramenti. E questi sono stati poi i conseguenti risultati piovuti a breve addosso all’uomo Jorge Mario Bergoglio, che tende a non ascoltare nessuno. E, quando ascolta, tende ad ascoltare le persone sbagliate …

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa

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Carlo Caffarra: «Se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi. Perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita eterna dei fedeli» – per ascoltare il video intervista cliccare sopra l’immagine

È stato reso pubblico un documento, inviato al Sommo Pontefice Francesco l’11 agosto, poi reso pubblico il 24 settembre da un nutrito gruppo di studiosi, perlopiù laici, che hanno dolcemente intitolato la missiva «correzione filiale» e nella quale il Successore di Pietro è accusato di eresia [cf. documento QUI]. Siccome il testo era «filiale», gli estensori si sono limitati ad attribuirgli solo sette eresie, meno male! Immaginate che cosa sarebbe accaduto, se anziché «filiale» fosse stato invece un testo arrabbiato.

La vera gran colpa dei firmatari è anzitutto la desolante stupidità, come prova il loro testo di venticinque pagine contenenti accozzaglie, temi nei temi e fuori tema a non finire, assai più numerosi di quanti non se ne trovino invece nelle pagine ben più numerose che compongono il testo della esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, che non è propriamente chiara e felice, ma che non è però un testo tacciabile di eresia.

Il problema delle sette eresie lo esamineremo a breve, perché prima è necessario un preambolo nel quale è doverosa la difesa di alcune persone, ma al tempo stesso anche la doverosa presa di culo di altre [cf. QUI]. Detto questo si tranquillizzino i puritani, perché San Josemaria Escriva de Balaguer diceva molte più parolacce di me, che a confronto del Santo fondatore dell’Opus Dei ho una lingua comparabile in candore a quella della Beata Imelda. Poi si tenga presente che la lingua mia, dinanzi a quella di San Pio da Pietrelcina, è comparabile a quella di Sant’Agnese vergine e martire che sussurra dolci parole all’orecchio del tenero agnellino che tiene in braccio. A tal guisa basti rammentare che il Santo confessore di Pietrelcina fece fuggire dal confessionale una trentenne urlandole nel dialetto del gargano: «Vattene via grandissima puttana!». Anni dopo, la «grandissima puttana», entrò nel monastero di clausura delle monache clarisse, morendo novantenne oltre mezzo secolo dopo, in fama di santità, dopo quella brutale cacciata dal confessionale del Santo Cappuccino. E questa monaca io l’ho conosciuta, ho predicato più volte nel suo monastero. E sempre lo stesso confessore, ad un altro giovane, poi divenuto uno dei suoi devoti figli spirituali, disse: «Tu non sei un semplice peccatore, sei proprio un uomo di merda!». Ora, essendo io anche postulatore delle cause dei santi, prendendo spunto da certe venerate figure, conto un giorno di giungere a quella santità alla quale tutti i battezzati sono chiamati, usando all’occorrenza anche un linguaggio pastoral pedagogico da carrettiere di Dio.

Il nome usato dalla gran parte dei giornalisti per dare risalto alla notizia, incluso uno tra i più celebri vaticanisti,  più ancòra che al fatto ed al testo in sé, è stato quello del Professor Ettore Gotti Tedeschi, fino al 2012 presidente dello I.O.R. la cosiddetta banca vaticana [cf. QUI]. Chi, come il sottoscritto e Padre Giovanni Cavalcoli, ha avuto modo di conoscere questo cattolico devoto, nonché uomo di fede e specchiate virtù di vita, capisce anzitutto la purezza delle sue intenzioni. Gotti Tedeschi ha infatti agito seguendo un istinto improntato sul suo amore verso la Chiesa ed il papato, ma anche verso lo stesso Pontefice regnante. Come lui, presumo abbiano agito la gran parte degli altri laici firmatari, che per la quasi totalità non conosco, fatta eccezione per il Professor Roberto de Mattei, che è uno studioso che tende ad applicare alla Chiesa schemi e criteri socio-politici celati dietro la difesa della purezza della fede. Come del resto fanno i lefebvriani, che non sono devoti eredi del Santo Pontefice Pio X, al quale è titolata la loro Fraternità Sacerdotale, ma devoti eredi inconsapevoli dello stile di Martin Lutero: abbattere il pontefice col falso pretesto di difendere il papato che non difende a loro dire la purezza della fede.

Tra i firmatari intrisi di questo stile socio-politico filo-luterano non poteva mancare la Katharina von Bora della situazione, la deliziosa Cristina Siccardi, compito della quale dovrebbe essere quello di lavare e stirare le tovaglie d’altare della Fraternità Sacerdotale di San Pio X, inamidare i corporali con la colla di pesce e rammendare gli amitti recitando le litanie del Sacro Cuore di Gesù, non quello di fare la storica della Chiesa in modo a dir poco maldestro e soprattutto accecato di ideologia. E ciò detto ricordiamo per inciso che la von Bora era una ex monaca cistercense divenuta poi moglie dell’eresiarca Lutero.

La mia stima verso un uomo di fede come Gotti Tedeschi non è diminuita, valutata la purezza delle sue intenzioni. Ciò sul quale merita riflettere è che non sempre, la purezza delle intenzioni, porta a scelte giuste, almeno sin da quando esiste il peccato originale, che per noi credenti e teologi ortodossi è un fatto reale, non una metafora allegorica. E, come tutte le persone esposte al peccato, merita ricordare che un conto è errare in buona fede nella certezza di fare la cosa buona e giusta, altra cosa è errare mossi da una mala fede resa tale dai molteplici secondi fini che certe pretestuose esternazioni spesso nascondono. Or bene, se il primo dei due casi testé esposti, è quello di Gotti Tedeschi, la cui “colpa” è attenuata sin quasi alla inesistenza della colpa stessa, il secondo ― lungi dal voler giudicare la sua coscienza ―, è invece il caso di Roberto de Mattei, di chi lo segue e di chi oltre oceano foraggia le sue attività a botte di parecchi soldi. Perché una fondazione come la Lepanto, con le sue molteplici attività nazionali e internazionali, incluse attività editoriali a perdere, fatte di libri stampati e diffusi i cui proventi non riescono a coprire neppure le spese vive di stampa, non può essere sostenuta con la vendita per abbonamento del mensile Radici Cristiane ; e chi sostenesse questo od altro di simile, recherebbe grave offesa all’intelligenza altrui.

Mentre un coretto di adulanti vaticanisti della prima e dell’ultima ora si sono sbizzarriti a prendersi perlopiù beffa di questi firmatari, facendo dal mio canto quel mestiere che mi compete, che è quello di teologo dogmatico e di persona che ha acquisita un po’ di formazione giuridica, indicherò agli uni e agli altri di questi vaticanologi, quelli della prima e quelli dell’ultima ora, chi sono coloro che tra i firmatari vanno veramente sbeffeggiati: i ministri in sacris che hanno apposte le loro firme su un testo che è giuridicamente e teologicamente empio e delirante.

Noi tutti ricordiamo con qual garbo e umiltà, seguendo una antica tradizione apostolica, quattro Padri Cardinali hanno presentato dei dubia al Romano Pontefice chiedendo una sua risposta [cf. QUI]; il tutto nel legittimo esercizio del loro sacro ministero episcopale, muovendosi all’interno di una Chiesa a tal punto “aperta” e “collegiale” da avere cessato di disquisire sulle materie di dottrina e di fede dopo la morte del Santo Pontefice Giovanni Paolo II e dopo l’atto di rinuncia del Venerabile Pontefice Benedetto XVI. Che dire poi delle contestazioni alle quali fu sottoposto il Beato Pontefice Paolo VI, a difesa del quale mai si levarono tutti gli atei anticlericali che al presente si sono eletti papafranceschisti, o che senza pena di ridicolo ricordano oggi, a noi teologi talvolta legittimamente perplessi per certe posizioni pastorali del Sommo Pontefice Francesco I e per certe sue espressioni foriere di ogni peggiore ambiguità, che ogni suo sospiro è infallibile e che compito nostro è solo quello di tacere e di ubbidire dopo avere spento il cervello e la coscienza cattolica, prendendo semmai come atti di solenne magistero infallibile i proclami pubblicati sull’organo ufficioso della Santa Sede, il quotidiano La Repubblica. E, mentre si è costretti a vivere e spesso subìre questi assurdi paradossi, ecco che Eugenio Scalfari, Alberto Melloni, Enzo Bianchi, Andrea Grillo e via dicendo a seguire, proseguono indisturbati, ma soprattutto mai smentiti dalla Santa Sede, nel diffondere una immagine assurdo-grottesca di un “Papa Francesco” che è soltanto la loro personale parodia sia del ministero petrino, sia del papato, sia dello stesso Pontefice regnante.

Accettabile sarebbe stata anche una eventuale “correzione fraterna” da parte di un gruppo di vescovi, fatta con tutti i crismi dell’umiltà e del riconoscimento della somma autorità del Principe degli Apostoli, ovviamente in privato, nell’ambito dei colloqui più intimi e segreti. E, detto questo, merita ricordare ― in questi tempi d’abissale ignoranza esercitata da molti che scrivono di “faccende di Chiesa” sui vari giornali o blog ―, che i vescovi, non sono dei dipendenti subalterni del Romano Pontefice, ma suoi fratelli a pari dignità sacramentale, chiamati come membri del Collegio Apostolico al governo pastorale della Chiesa. Infatti, sia il Supremo Pastore della Chiesa, sia i Pastori di tutte le Chiese particolari che formano il corpo della Chiesa universale, sono rivestiti dello stesso grado in dignità sacramentale: la pienezza del sacerdozio apostolico [cf. C.I.C. can. 334]. Il Romano Pontefice non è superiore per grado sacramentale neppure all’ultimo vescovo della più sperduta diocesi missionaria di questo mondo, è solo superiore nel primato di giurisdizione sull’intera Chiesa universale [cf. C.I.C. cann. 331-332], perché a lui spetta presiedere il Collegio degli Apostoli e scegliere all’occorrenza gli Apostoli stessi.

I vescovi hanno quindi, anzitutto, titolo canonico per rapportarsi da pari a pari in dignità sacramentale al Romano Pontefice [cf. C.I.C. can. 333 – §1], il quale esercita la potestà di primato su tutti loro [cf. C.I.C. can. 333 §2]. I presbiteri non hanno tale titolo, né noi teologi, che siamo chiamati a servire e diffondere il magistero della Chiesa, possiamo correggerlo, nemmeno i maestri di logica aletica possono farlo, meno che mai i laici, posto che le pecore del gregge non possono né guidare né tanto meno correggere il pastore, con buona pace di Roberto de Mattei che per meglio inguaiare i Frati Francescani dell’Immacolata, anni fa mise in piedi una via di mezzo tra una raccolta firme e un referendum contro un provvedimento preso dal Romano Pontefice [cf. QUI], verso il quale non è possibile fare appello né ricorso [cf. C.I.C. can 333 §3]. In caso contrario, non si cade neppure nel luteranesimo, ma proprio nel peggiore calvinismo, nel quale il sacerdozio ministeriale ordinato non esiste, di conseguenza, laddove esiste, va considerato come «una invenzione politica della Chiesa».

Tutta quanta la questione sollevata in quel testo, elaborato con magistrale e non poco confusa artificiosità, è anzitutto priva di una solida struttura giuridica che lo rende per questo privo di logico senso comune, anche se uno dei presbìteri firmatari si picca d’esser maestro della filosofia del senso comune, rifacendosi, lui come altri, ai migliori criteri logici e metafisici di San Tommaso d’Aquino. Pertanto, i due Padri de L’Isola di Patmos, prendono atto che queste persone hanno conosciuto e studiato un Tommaso d’Aquino diverso dal nostro. Ovviamente, l’Aquinate autentico, è il nostro e non il loro, vale a dire quello che per logico e autentico senso comune ci insegna tra le righe di tutta la sua magna opera che dare dell’eretico al Sommo Pontefice, comporta ipso facto essere eretici palesi e manifesti, con buona pace della logica aletica e delle varie supercazzole prematurate con scappellamento a destra [cf. QUI].

Detto questo passiamo all’accusa, premettendo ch’essa, se non fosse tragica sarebbe comica: il Sommo Pontefice è stato pubblicamente accusato di ben sette eresie. E, come sopra appena spiegato, è bene ribadire che rivolgere una pubblica accusa formale di eresia al Supremo Custode del Santo deposito della fede cattolica, comporta essere eretici. Pertanto, i firmatari, sono caduti in eresia sostanziale e formale.

In questi giorni, il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli si trova a predicare gli esercizi spirituali alle monache di clausura, ed il prezioso ministero al quale sta adempiendo non gli consente di dedicarsi alla redazione di un appropriato testo sulla questione in corso, data però la nostra comunione sacerdotale e teologica, unita ad una conoscenza reciproca molto profonda, ritengo di poter parlare io anche a nome di questo insigne accademico pontificio, col quale a suo tempo ho potuto approfondire gli aspetti più delicati della metafisica e della dogmatica alla scuola di San Tommaso d’Aquino.

Se a spingere diversi dei firmatari sono state ragioni di carattere più politico che teologico, il risultato è stato anzitutto quello di avere trasformato il difettoso Sommo Pontefice Francesco I in una vittima vilipesa e insolentita nel peggiore dei modi, facendo così il gioco di coloro che al suo seguito, o manovrandolo con diabolica astuzia, stanno distruggendo la Chiesa attraverso scelte pastorali discutibili e nomine di persone improponibili piazzate in tutti i posti chiave di governo della Chiesa [cf. QUI].

I Padri de L’Isola di Patmos non possono essere accusati di spirito adulatorio nei riguardi del Sommo Pontefice, al quale abbiamo rivolto numerose volte delle critiche parecchio dure e severe, senza mai perdere di vista per un solo istante che egli è la pietra attraverso la quale, sopra la roccia di Cristo, il Verbo di Dio incarnato ha edificata la sua Chiesa [tra i numerosi articoli, vedere QUI]. A riprova di quanto io non sia tacciabile di spirito adulatorio, a parte i miei numerosi scritti pubblicati e tutti reperibili nell’archivio de L’Isola di Patmos, mi limito a citarne solo alcuni, per esempio quello nel quale mi interrogo sulla sanità mentale del Sommo Pontefice [cf. QUI], oppure quel saggio breve nel quale esprimevo un anno fa un timore che oggi, alla prova dei fatti, si sta rivelando tutt’altro che infondato, purtroppo! Ossia che «questo pontificato rischia di finire a fischi in piazza e fratture drammatiche» [cf. QUI]. E quando il Pontefice regnante sarà ― Dio non voglia, mai! ― preso a fischi in piazza, a difenderlo, a prezzo della nostra pelle, ci saremo noi, che siamo stati bistrattati nel peggiore dei modi dai cortigiani ruffiani della sua corte dei miracoli, lanciatisi in grandi carriere ecclesiastiche all’insegna di poveri&profughi e di periferie esistenziali varie [cf. QUI], ma pronti come nulla fosse a indossare domani una cappa magna di sette metri al primo cambio di vento [cf. QUI]. Pertanto penso di avere tutta quella libertà e di conseguenza tutta quella credibilità che mi porta ad affermare in chiari termini ciò che penso: temo sempre di più ― possa Dio concedermi la grazia di avere assolutamente torto! ― che l’uomo Jorge Mario Bergoglio, seguitando di questo passo, può correre il rischio di passare veramente alla storia come uno dei peggiori pontefici che la Chiesa abbia mai avuto. Non mi piace il suo modo di porgersi, di parlare, di fare pastorale; considero molti dei suoi atti di magistero intrisi di accozzaglie confuse e soprattutto di non poche ambiguità; giudico molto pericoloso che la corte dei miracoli del manipolo di delinquenti che lo circonda e lo circuisce, stia riaprendo in modo subdolo delle questioni trattate e chiuse dai suoi Sommi Predecessori, che sono peraltro, rispettivamente, un Beato e un Santo: dal diaconato alle donne [cf. QUI] alla “reinterpretazione” della Humanae vitae [cf. QUI]. Però non ho mai messo, ne mai metterò in discussione la sua autorità, a prescindere dal fatto che possa temere che passi alla storia come uno dei peggiori Sommi Pontefici della Chiesa. Un pensiero del tutto soggettivo, questo mio, che non tocca in alcun modo la mia fede nel ministero petrino e la mia devota obbedienza tributata a chi al momento lo esercita nella Chiesa universale, il Sommo Pontefice Francesco I.

In caso contrario sarebbe a dir poco incoerente che io proseguissi a esercitare il sacro ministero sacerdotale, per il quale è richiesta la comunione col Vescovo in piena comunione col Vescovo di Roma, non certo la comunione con quel che “io penso”. E non potrei esercitare il sacro ministero perché ogni giorno, sul Corpo e sul Sangue vivo di Cristo, durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico recito con autentica fede queste parole: «Ricordati Padre della tua Chiesa diffusa su tutta la terra, rendila perfetta nell’amore in comunione con il nostro Papa Francesco, il nostro Vescovo …». Ora, io non so, il maestro della filosofia del senso comune e delle supercazzole aletiche che celebra il Sacrificio Eucaristico come me, in che modo possa, dall’alto della sua fumosa ego-teologia, recitare delle parole del genere dopo avere firmato un documento nel quale si accusa il Romano Pontefice di ben sette eresie. Ma soprattutto mi domando come queste parole possa recitarle quel tal vescovo emerito, inesorabilmente trombato nella sua spasmodica corsa ad alcune delle più grandi e prestigiose sedi arcivescovili italiane, ma soprattutto escluso dalla dignità cardinalizia, che oggi vaga da un salotto all’altro a gettare benzina sul fuoco di questi scontenti che si sentono disorientati ― a volte anche a giusta ragione ―, da certi discorsi o da certe espressioni ambigue del Pontefice regnante. È forse questo il compito di un vescovo? E che dire di quel teologo e liturgista, oggi tutto tradizione liturgica e difesa della vera dottrina, anch’esso più o meno salottiero vagante, che dieci anni fa, quanto ancora non era settantenne ed era in speranzosa corsa per la carica di arcivescovo segretario della Congregazione per la dottrina della fede, non avrebbe mai proferito neppure un peto per fisiologico eccesso di gas intestinali, neppure se il Sommo Pontefice avesse ― per ipotesi pressoché impossibile ― enunciata per davvero un’eresia? Perché questi, miei cari Lettori, sono i perniciosi vigliacchi che si trovano dietro le quinte, alle spalle di questi firmatari, che sono stati da loro usati in modo spregiudicato e diabolico come “utili idioti”, per poter consumare a questo modo non la difesa della vera fede o della autentica dottrina, ma per consumare la loro ennesima vendetta per le aspettative di carriera a loro non concesse.

Sia chiaro, neppure il Beato Apostolo Pietro era uno stinco di santo, pur essendo stato scelto da Cristo in persona. Ma soprattutto merita ricordare che santo lo divenne poco prima di morire, attraverso il martirio, che fu una grazia da Dio concessa e da lui accettata, dopo che anche nella vecchiaia stava per fuggire la seconda volta lungo la Via Appia, detta anche la via del «Quo vadis Domine? » [cf. QUI].

Ora, le cose stanno in questi termini: lamentare che Amoris laetitia è un testo scritto male e foriero di potenziali ambiguità, è vero, ma affermare che contenga eresie sostanziali è falso; una falsità grave che rende eretici coloro che asseriscono una simile empietà.

Discutendo tra di noi nella redazione de L’Isola di Patmos, la nostra saggia domenicana Suor Matilde Nicoletti faceva giustamente notare che le accuse formulate e dalle quali i firmatari vogliono ricavare delle eresie, non stanno in piedi. E assieme al nostro giovane filosofo e teologo Jorge Facio Lince, siamo giunti tutti e tre ad una conclusione consequenziale: queste persone sono le stesse che attribuiscono al Concilio Vaticano II, anche a causa del linguaggio usato nei suoi testi ― indubbiamente nuovo e non sempre felice rispetto al consolidato linguaggio metafisico della Chiesa [cf. QUI] ―, le deviazioni e le conseguenti interpretazioni moderniste dei teologi della stagione del post-concilio. Questa incapacità di analisi e di distinzione li porta da sempre ad affermare con cieco accanimento che il post-concilio è generato in verità dal vero male che si trova a monte e che, a loro dire, è proprio il concilio, che peraltro sarebbe «solo un concilio pastorale», come afferma quel degno sacerdote e religioso di Padre Serafino Lanzetta sulla scia errata della buonanima non meno degna e pia di Monsignor Brunero Gherardini. Come se il Concilio Vaticano II, che non ha certamente proclamati nuovi dogmi della fede, non avesse promulgate delle nuove dottrine e delle riforme che sono e che restano vincolanti per l’intera Chiesa universale.

Per smentire queste persone occorre poco, anche se, dinanzi alla loro cecità, a poco servirebbe la migliore logica, più o meno aletica. Per smentirli e metterli dinanzi al loro ragionamento oggettivamente idiota, sarebbe sufficiente questa semplice domanda: all’epoca in cui il Messale Romano in uso era quello del Santo Pontefice Pio V, dinanzi ai non pochi preti che nel corso di cinque secoli celebravano male, in modo frettoloso e sciatto la Santa Messa, sarebbe stato pertinente, sempre previa applicazione della stessa logica, affermare che un elevato numero di sacerdoti celebravano male e senza dovuta devozione e venerazione verso i sacri misteri, perché la colpa era a monte, ed andava ricercata tutta quanta, nella mala stesura del testo liturgico promulgato da quel Pontefice? Io credo che, fatte salve alcune imperfezioni, poi corrette come spesso accade in tutti i testi della Chiesa, il Venerabile Messale del Santo Pontefice Pio V, che io stesso tengo da sempre in alta considerazione, sia stato redatto molto bene e che per cinque secoli ha costituito ― e tutt’oggi costituisce ― un patrimonio inestimabile di fede e di pietà liturgica che non deve essere in alcun modo perduto, allo stesso modo in cui, fatte salve alcune imperfezioni legate al linguaggio espressivo non sempre felice e idoneo, sono stati redatti molto bene i testi del Concilio Vaticano II.

L’eretico vescovo scismatico Bernard Fellay, con la propria firma su questo documento in cui si accusa il Pontefice regnante di sette eresie, ha data una sonora e meritata sberla all’imprudente Francesco I, il quale pensava che, tra offerte di pasticcini della tenerezza e di torte aromatizzate al misericordismo, potesse addolcire dei concentrati di fiele come i seguaci dell’eretico che si trova a monte: Marcel Lefebvre, conferendo ad esempio ai suoi seguaci facoltà di amministrare in modo lecito i Sacramenti [cf. QUI, QUI]. E questi sono stati poi i conseguenti risultati piovuti a breve addosso all’uomo Jorge Mario Bergoglio, che tende a non ascoltare nessuno. E, quando ascolta, tende ad ascoltare le persone sbagliate …

Il Sommo Pontefice non può essere dichiarato eretico, meno che mai accusato pubblicamente di eresia. È necessario tenere in considerazione e accettare i limiti oggettivi dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, facendogli giungere accorata supplica di far pubblicare quanto prima dalla Congregazione per la dottrina della fede e dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti, una Istruzione che spieghi gli insegnamenti di Amoris laetitia e che chiarisca i seguenti punti :

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1) le ragioni dell’indissolubilità del matrimonio;

2) il concetto di “stato irregolare” dei divorziati risposati;

3) se ci sono e quali sono in casi nei quali i divorziati risposati possono fare la Comunione  [cf. nota 351];

4) potere e autorità della legge morale naturale, ecclesiastica e divina;

5) l’oggettività, la fallibilità e la scusabilità del giudizio morale della coscienza;

6) la gravità del peccato di adulterio;

7) come e perché i divorziati risposati possono essere in grazia;

8) come possono essere perdonati da Dio i loro peccati;

9) come, perché e quando la colpa dei divorziati risposati può essere attenuata;

10) che cosa significa “stato di peccato”;

11) quali precisi vincoli crea il grado di autorità dottrinale legato alla recezione della esortazione apostolica post sinodale Amoris laetitia ed alla sua applicazione.

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Le venticinque pagine del testo sottoscritto dai firmatari, perlopiù laici, contengono testi intrisi di teorie oggettivamente errate, ma molto elaborate a livello tecnico. È pertanto quasi impossibile che il tutto sia stato redatto in modo autonomo da dei semplici fedeli laici. La domanda è pertanto di rigore: quali prelati si nascondono dietro a questo testo, a parte i due citati poc’anzi a titolo di esempio nel corso del discorso? Perché, questi prelati, anziché mandare avanti i laici non escono loro allo scoperto? Sono domande del tutto retoriche, perché sappiamo bene come mai non escono allo scoperto, è stato spiegato in precedenza ma lo ripetiamo ancora: perché molti di loro, anche se già avanti con l’età, non si sono ancora rassegnati ad essersi vista negata la porpora cardinalizia. Probabilmente sperano che il Sommo Pontefice Francesco I renda l’anima al Creatore anche e solo qualche settimana prima di loro, che muovendosi col deambulatore o con la sedia a rotelle giungerebbero dinanzi al Successore per essere creati finalmente cardinali. Perché questo, è ciò che solo conta, non la salvezza della propria anima, ma la agognata berretta rossa, con la quale bruciare meglio tra le fiamme eterne dell’Inferno. 

In questo susseguirsi di vicende che hanno sempre più i connotati del gioco al massacro e dei tiri incrociati dei cecchini sulla folla sempre più esigua dei nostri devoti fedeli, la domanda di rigore è: che cosa sta facendo, di piacioneria in piacioneria, il Sommo Pontefice? Perché al contrario di certi opinionisti affetti dalla devozione a senso unico, per amare e onorare veramente il Sommo Pontefice, noi dobbiamo prenderlo per ciò che egli realmente è, facendo i conti anche con quei suoi limiti e difetti che non emergono da alcun articolo di certa stampa più o meno cattolica, che pensa forse di calcare in eterno la cresta dell’onda, quasi come se questo pontificato non dovesse finire mai.

Per questo temo che il Sommo Pontefice Francesco I corra il serio rischio di passare alla storia come uno dei peggiori Pontefici della Chiesa, come un umorale tiranno sorridente in pubblico ma capace a essere disumano in privato, ma rimanendo sempre, per mistero di grazia, il legittimo Successore di Pietro. E questo mi basta e mi avanza per dire, assieme ad uno dei miei compianti maestri di sana e ortodossa dottrina cattolica, quelle parole che oggi, coloro che dopo morto vorrebbero tirarselo da una parte e dall’altra, si guardano bene dal dire e dal riferire:

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«Se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi. Perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita eterna dei fedeli» [video registrazione intervista, QUI]..

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Questo disse il Cardinale Carlo Caffarra di venerata memoria, non mancando di precisare:

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«[…] avrei avuto più piacere che si dicesse che l’Arcivescovo di Bologna ha un’amante piuttosto che si dicesse che ha un pensiero contrario a quello del Papa».

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Queste ultime parole, desidero possano fungere da monito ai cacciatori politici di eresie papali, ai quali, più che dire, io intimo con molta chiarezza: scrivete quel che volete sui vostri giornali e blog di Vera&Pura Traditio, accusate pure il Sommo Pontefice Francesco I di eresia a colazione, pranzo e cena, ma non coinvolgete mai, a supporto di certe vostre empietà, la memoria di quel santo uomo di Dio del Cardinale Carlo Caffarra, oppure dovrete fare i conti con il Padre Giovanni Cavalcoli e con me, che siamo due pitt-bull di Dio, non siamo due barboncini toy da biscottini al burro.

Il Cardinale Carlo Caffarra è morto con la lancia di Longino nel cuore [cf. QUI e QUI], dopo una vita offerta ai più alti e preziosi servigi resi alla Chiesa ed ai suoi Sommi Pontefici, senza essere mai ricevuto dal Pontefice regnante; lo stesso Pontefice che però ha ricevuto atei orgogliosi, eretici pentecostali, grottesche arcivescove luterane lesbiche dichiarate, dittatorelli da quattro soldi, abortiste ed eutanasisti fieri del loro sprezzo per la vita ed in ciò indomiti e impenitenti … però non ha ricevuto un autentico uomo di Dio, nonché suo fratello nell’episcopato. Cosa questa che dà indubbiamente il polso della permalosità e della disumanità insita nell’uomo Jorge Mario Bergoglio, che per alcuni vaticanisti è però più perfetto dello stesso Cristo. Eppure, il Cardinale Carlo Caffarra, autentico uomo di Dio, è morto venerando il Sommo Pontefice e pregando per lui. E che questo possa essere di esempio per tutti, riguardo l’obbedienza e la venerazione sempre dovuta anche al peggiore dei Successori di Pietro; lezione che vale, anche e soprattutto, per tutti gli avvelenati cacciatori di eresie papali.   

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da L’Isola di Patmos, 26 settembre 2017

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L’Anticristo e la profezia di Vladimir Soloviev: il S.O.S. del Titanic e la Chiesa che cola a picco …

 

L’ANTICRISTO E LA PROFEZIA DI VLADIMIR SOLOVIEV: IL S.O.S. DEL TITANIC E LA CHIESA CHE COLA A PICCO …

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«Ma se proprio vuoi una regola, ecco cosa ti posso dire: sii saldo nella fede, non per timore dei peccati, ma perché è molto piacevole per un uomo intelligente vivere con Dio» [Vladimir Sergeevič Solov’ëv, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo]

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Autore Ariel S. Levi di Gualdo

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Cari Lettori,

se c’è una cosa che mi reca profondo fastidio sono le affermazioni, spesso trionfali, a volte compiaciute di certi soggetti che citando se stessi esordiscono: «… come avevo detto in anticipo vedendoci giusto», «come avevo scritto in passato avendo poi ragione». Dinanzi alla prova provata dei fatti, devo ammettere che certe severe analisi da me fatte sulle sorti future della Chiesa, scritte e pubblicate dieci anni fa, in tempi e momenti nei quali certi elementi della nostra attualità sarebbero stati presi come vera e propria fantascienza, sono risultate oggi tristemente vere. Detto questo ammetto però che il mio intento è sempre stato quello di avere torto, quindi poter scrivere un giorno, con la debita onestà intellettuale, che anni prima mi ero sbagliato, nello scrivere certe cose. Non provo infatti alcun compiacimento ad averci visto giusto, dinanzi alla Chiesa che oggi affonda come il Titanic nelle gelide acque, mentre l’orchestrina seguita a suonare e la gente prosegue a danzare nel salone delle feste di un piroscafo che — scrissero i giornali britannici in occasione della sua prima traversata — «neppure l’ira di Dio avrebbe mai affondato». Questo è lo spirito col quale vi ripropongo oggi uno dei miei primi articolo pubblicati su L’Isola di Patmos nel 2014 [vedere archivio, QUI].

Ariel S. Levi di Gualdo 

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una splendida immagine fotografica di San Giovanni Paolo II

Nella sua seconda visita in Germania, San Giovanni Paolo II disse nel lontano 1984: «… oggi il mondo sta vivendo il XII capitolo del Libro dell’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni». Affermazione che dovrebbe indurci ad un preciso quesito: se il Santo Pontefice si esprimeva trent’anni fa a questo modo, oggi, in quali termini si esprimerebbe?

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Come però i fatti dimostrano, pare che da un po’ di tempo a questa parte gli Augusti Pontefici è più facile proclamarli santi e beati anziché ascoltarli e seguirli, venerando in essi e nel loro sommo magistero il mistero ed il dogma di fede del mandato conferito dal Verbo di Dio a Pietro [cf. Mt 16, 14-18]. È infatti noto e risaputo che il fare una bella cerimonia di canonizzazione in fondo non costa niente. Come non costa mettere in piedi fondazioni dedicate a San Giovanni XXIII, a San Giovanni Paolo II, al Beato Paolo VI. Qualche banca con un consiglio di amministrazione composto da massoni sempre lieti di foraggiare a botte di soldi la spocchia incontenibile di qualche vescovo e cardinale, allo scopo di colpire e di distruggere quanto meglio possibile la Chiesa da dentro, in giro per l’Italia si trova sempre, ciò che paiono invece scarseggiare sono vescovi e cardinali che facendosi carico di tutti i pericolosi rischi del caso accettino di essere linciati dalla piazza non più disposta ad ascoltare e recepire certi messaggi evangelici. O peggio: ad essere dilaniati all’interno dello stesso mondo ecclesiale per avere invitato l’esercito sempre più fitto di modernisti e di eretici a mettere in pratica ciò che certi santi e beati pontefici esortano a praticare attraverso gli atti del loro magistero, scritto per la gloria di Dio e per la salvezza dell’uomo, non per la gloria dell’uomo, che di secolo in secolo è capace di usare come pretesto Dio, la sua Chiesa e tutti i suoi Santi a gloria del proprio egocentrismo.

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Benedetto XVI atto di rinuncia

Cliccare sopra l’immagine per ascoltare l’atto di rinuncia del Sommo Pontefice Benedetto XVI con traduzione del testo latino

Oggi che abbiamo mezzi di comunicazione in grado di trasmettere immagini in tempo reale, il ricordo della cerimonia di beatificazione, appresso quella di canonizzazione di Giovanni Paolo II, dovrebbe indurre a riflettere, perché mai s’erano visti sino a prima tutti i principali responsabili della condizione di degrado in cui versa oggi la Chiesa di Cristo immortalati dalle televisioni come stars a quello che loro stessi chiamavano «grande evento», intrisi di mondano clericalese e privi ormai di adeguati linguaggi ecclesiali. A festeggiare il nuovo beato e santo pontefice hanno così sfilato, in rosso e violaceo, sulle passerelle d’onore, anche tutti coloro sui quali incombe la responsabilità d’aver gettato la Sposa di Cristo sul marciapiede come una prostituta. Gli stessi a causa dei quali il Sommo Pontefice Benedetto XVI farà atto di rinuncia al ministero petrino pochi anni dopo, dichiarando di non essere più in grado, per età e per mancanza di forze fisiche, di reggere certe situazioni, che in altre parole equivale a dire: l’incapacità di far fonte a certe persone, posto che “situazioni” — semmai a qualcuno sfuggisse — vuol dire “persone”, ossia coloro che siffatte situazioni le hanno generate e che tutt’oggi le reggono in piedi facendo uso del peggiore autoritarismo e delle peggiori vessazioni verso coloro che osano denunciare il male solo perché desiderano risollevare la propria amata sposa dal marciapiede dove questi scellerati l’hanno gettata, non certo per l’inutile piacere di denunciare il male fine a se stesso.

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Lapidazione di Santo Stefano, opera pittorica del XVI sec.

Alla cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II, per reale paradosso legato come tale a quel mistero del male che ci insidia sin dall’alba dei tempi, in pratica s’è assistito a questo: … come se coloro che avevano assassinato il diacono Stefano a colpi di pietre [Cf. At 6, 8-12; 7, 54-60], pochi anni dopo lo avessero dichiarato protomartire, partecipando primi avanti a tutti alla sua cerimonia di beatificazione e magnificando a giornali, televisioni e ad un nugolo di vaticanisti privi di memoria storica, la eroicità delle sue virtù. E pensare che molti romantici sono convinti che le meretrici esercitano il loro antico mestiere solo dentro i lupanare e non dentro i palazzi ecclesiastici …

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Vladimir Soloviev

ritratto di Vladimir Sergeevič Solov’ëv [Mosca, 16 gennaio 1853 – Uzkoe, 31 luglio 1900]

Solov’ëv scompare a inizi Novecento, secolo nel quale s’era affacciato dopo aver vissuto i travagli dell’Ottocento e profetando un futuro fatto di tanti ismi: filosofismi, liberalismi, modernismi, comunismi, psicanalismi, sociologismi, teologismi. Egli si colloca quindi nel mondo della belle époque, in anni in cui l’uomo era certo del sorgere di un mondo felice, ispirato dalle nuove grandi spinte di un progresso tecnologico che giunge talora a vere e proprie forme di idolatria della tecnologia; una tecnologia in nome della quale spesso, il pensiero moderno, ha cercato di sfrattare l’idea stessa di Dio dalla società contemporanea. Il tutto all’ombra orientata e ispirata dalla nuova religione del progresso, del principio evangelico di carità divenuta mecenatismo svuotato di sentimenti e di sostegni metafisici, in un mondo sicuro di marciare verso una èra illuminata dalla libertà di una nuova sicurezza sociale.

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titanic 1

Una copia d’epoca del New York Times che annuncia il disastro del Titanic

Nel primo decennio del Novecento, il mondo fu toccato da un episodio che scosse l’opinione pubblica: l’affondamento del Titanic inabissatosi alle ore 2.20 nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912 in acque temperate attorno a zero gradi. Di 2.223 passeggeri 1.523 persero la vita morendo per assideramento. Tutti erano provvisti di salvagente ed avrebbero potuto salvarsi grazie ai soccorsi, che quando giunsero poterono solo raccogliere centinaia di corpi che galleggiavano nelle acque gelide. Questo disastro, considerato il più grande nella storia della navigazione, ha prodotto una copiosa letteratura, alla quale s’è poi unita la cinematografia.

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titanic 2

cliccare sopra l’immagine per vedere il filmato del relitto

Il Titanic fu l’espressione di un uomo certo di dominare sulle leggi della natura, invincibile e sicuro di dare vita a cose indistruttibili, inattaccabili. C’è poi un forte elemento simbolico, per dirla con un celebre maestro e col suo celebre allievo divenuti poi avversari: Sigmund Freud e Carl Gustav Jung: il ghiaccio. Questo titano inaffondabile e invincibile creato da un uomo auto proclamatosi altrettanto invincibile, non è colpito dalla calda passione del sole, ma dal ghiaccio, dal gelo al quale aveva iniziato a dare vita l’uomo moderno che può fare a meno di Dio. E mentre i maestri del moderno pensiero spingevano i locomotori verso barriere di ghiaccio, Solov’ëv non si lascia ammaliare e preannunzia in modo lucido e profetico i mali che sarebbero nati dalle metastasi che l’uomo stava mettendo in circolo; mali che poi, alla concreta prova dei fatti, ad uno ad uno si sono avverati.

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lenin e stalin

Lenin e Stalin, dipinto sovietico degli anni Cinquanta

Discorrendo nel 1880 sul Secondo discorso sopra Dostoevskij, sembra quasi che Solov’ëv intuisca le brutalità del Comunismo che dopo la Rivoluzione di Ottobre del 1917 principieranno a ripercuotersi sull’umanità, dando al mondo un assetto del tutto diverso dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. L’uomo viene spersonalizzato nel progetto sociale e politico del Socialismo Reale, divenendo da protagonista biblico dell’umanità creata a immagine e somiglianza di Dio, anonimo ingranaggio vittima di una ideologia creata a immagine e somiglianza di un uomo socialmente e umanamente corrotto, attraverso il quale si giungerà ai noti processi di disumanizzazione portati avanti da Lenin e soprattutto da Stalin.

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San Michele giardini vaticani

Statua a San Michele Arcangelo eletto protettore della Città del Vaticano, voluta dal Sommo Pontefice Benedetto XVI e poi collocata nei pressi del Palazzo del Governatorato, con la scritta sottostante a Lucifero trafitto dalla lancia: “Et portae Inferi non praevalebunt“…

Nella sua ultima pubblicazione, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, [leggibile qui] opera compiuta la domenica di Pasqua del 1900, è impressionante rilevare la chiarezza con cui Solov’ëv prevede che il secolo XX° sarà l’epoca delle ultime grandi guerre, delle discordie intestine e delle rivoluzioni [Cf. Ed. Marietti pag. 184]. Dopo di che afferma che tutto sarà pronto perché perda di significato la vecchia struttura in nazioni separate e quasi ovunque scompaiano gli ultimi resti delle istituzioni monarchiche [pag. 188]. Si arriverà così alla Unione degli Stati Uniti d’Europa [pag. 195]. È invero stupefacente la perspicacia con cui Solov’ëv descrive la gran crisi che colpirà il Cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento, raffigurata attraverso l’Anticristo che riuscirà ad influenzare e condizionare un po’ tutti. In lui, come qui è presentato, non è difficile ravvisare l’emblema della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni: egli — seguita a narrare Solov’ëv — sarà un convinto spiritualista, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo. Sarà, tra l’altro, anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea honoris causa della facoltà di Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza [pag. 211]. Nei confronti di Cristo non avrà un’ostilità di principio [pag. 190]; anzi ne apprezzerà l’alto insegnamento. Ma non potrà sopportarne — e perciò la censurerà — la sua assoluta unicità [pag. 190]; e dunque non si rassegnerà ad ammettere ed a proclamare che egli sia risorto e oggi vivo.

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Marietti soloviev

I Tre Dialoghi ed i Racconti dell’Anticristo editi dall’Editrice Marietti

In queste righe prende forma la critica al Cristianesimo dei “valori”, delle “aperture” e del “dialogo”, dove pare rimanga poco spazio al mistero della Persona del Verbo di Dio fatto Uomo, crocifisso per noi e risorto. Tutto appare assorbito nelle melasse sentimentali delle tenerezze vaporose. Certo, abbiamo di che riflettere, se pensiamo alla militanza di fede ridotta ad un’azione umanitaria di tipo socio-culturale; al messaggio evangelico identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie e con tutte le religioni; alla Chiesa di Dio scambiata per un’organizzazione di promozione sociale nella quale si moltiplicano “eventi” costruiti su strategie di marketing. Siamo sicuri che Solov’ëv non abbia davvero previsto ciò che è effettivamente avvenuto e che non sia proprio questa l’insidia odierna più pericolosa per la “nazione santa” redenta dal sangue di Cristo? È un interrogativo molto inquietante che proprio per questo non dovrebbe essere eluso; ed invece proprio per questo viene rifiutato, a volte anche in modo violento, dentro la Chiesa e fuori dalla Chiesa.

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martiri del 2014

tavolta si ha l’impressione che il mondo sul baratro della follia sia troppo impegnato a difendere i “diritti” alle peggiori perversioni proprinate dalla cultura del gender, per volgere lo sguardo verso un massacro di cristiani che negli ultimi anni ha superato quello dei primi secoli di storia del Cristianesimo

Solov’ëv ha compreso a fondo il XX° secolo, forse siamo noi che non abbiamo capito lui, o non vogliamo capirlo per una chiusura reattiva-difensiva, tanto da non avergli mai prestato ascolto. Lo dimostrano molti atteggiamenti odierni di numerosi cristiani che si reputano colti ed impegnati sul versante ecclesiale, o che si reputano “cristiani adulti”. Proviamo solamente a pensare alle forme sempre più esasperate ed esasperanti di individualismo egoistico determinanti i nostri costumi e le nostre leggi attraverso le quali è progressivamente sovvertito l’ordine naturale. Basta solo analizzare quella “cultura” del gender che sta assumendo sempre più i connotati di una devastante dittatura, con tanto di censure ai sensi di legge e di condanne dei tribunali a carico di soggetti riconosciuti rei di avere espresso attraverso la libertà di pensiero e di parola un pacifico dissenso, considerato però non più diritto alla libertà di pensiero e di parola bensì reato, se in qualche modo tocca la potente mafia sociale e politica dei sodomiti, che già in più Stati hanno imposto protocolli attraverso i quali si insegnano i “valori” delle peggiori perversioni sessuali sin dalle scuole elementari, camuffati sotto la falsa etichetta luciferina di “diritto alle diversità“. In certi Paesi della decadente Europa — che ormai ammalata d’odio verso se stessa e verso le proprie radici cristiane si sta progressivamente consegnando all’Islam —, chi afferma che quella propinata da certe potenti mafie di pederasti e di lesbiche incattivite è una venefica cultura di morte che ci porterà al collasso, come già accaduto nel corso della storia a molte antiche civiltà sprofondate dalla gloria alla decadenza e per questo spazzate via, rischia ormai di finire condannato per omofobia. Per seguire col pacifismo mutato spesso in violento pacifondismo e la non-violenza mutata spesso in aggressione ideologica intrisa di sprezzo verso gli altri.

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Gli ideali di pace e di fraternità non sono più letti in chiave evangelica ma illuministica e come tali strutturati sul furore giacobino, vale a dire in chiave ideologica anti-cristiana, col conseguente risultato che dinanzi alle aggressioni ed alle peggiori prepotenze, non pochi dei nostri pastori finiscono debolmente col cedere e correndo subito a trattare con i padroni di questo mondo, oppure, come Esaù, svendono la legittima primogenitura per un piatto di lenticchie [Cf. Gen 25, 29-34], lasciando senza alcuna difesa i deboli e gli oppressi, in modo del tutto particolare se sono cattolici e cristiani perseguitati a causa della loro fede, dentro la Casa di Dio e fuori dalla Casa di Dio, perché oggi, le peggiori persecuzioni, non sono quelle dei perseguitati per la Chiesa, ma dei perseguitati dentro la Chiesa ad opera degli uomini di Chiesa. 

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In tutto questo si collocano certi potenti filoni della moderna teologia che, dopo avere confuso il concetto metafisico di assoluto inteso come assolutezza della fede, col concetto socio-politico del tutto diverso di assolutismo, hanno proceduto ad una vera e propria de-costruzione e distruzione del dogma, dopo avere minato quel concetto di assolutezza della fede in virtù del quale Cristo è per noi il Verbo di Dio incarnato, morto è risorto, che come tale rappresenta il centro del nostro presente, del nostro essere e divenire futuro, quindi il fine ultimo escatologico del nostro intero umanesimo.

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giornata del massone

Della serie ” e mo’ che m’envento pe’ stupì ” – Padre Geraldo Magela de Silva, presbitero della Diocesi di Pesqueira nel Brasile, celebra una Santa Messa per i massoni che sfilano nella Parrocchia di Nostra Signore della Concezione, ricevono l’Eucaristia e salgono sul presbiterio con squadre e compassi.

Cosa dire della virtù teologale della Carità, la più importante, come la definisce San Paolo [Cf. I Cor 13, 13], alla quale a poco a poco si è sostituito uno dei concetti più cari alla cultura massonica: la solidarietà? Non mi ripeto e mi limito a rimandare al mio articolo sulla neolingua in cui parlo delle parole svuotate del loro significato e riempite d’altro [vedere qui], il tutto sulla scia di un dramma odierno che a volte pare irreversibile: abbiamo perduto il nostro linguaggio, che è quello metafisico, per andare incontro non a “parole nuove”, ma a concetti senza senso che minano i fondamenti della nostra fede, che per esprimersi ha bisogno di chiare e precise parole, di un vocabolario comune che ci permetta di ricercare la perfezione nell’unità [Cf. Gv 17, 20-21.23].

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Qual è invece quella concreta realtà ecclesiale che molti nostri vescovoni e cardinaloni fingono di non vedere, per evitare di dover correre quanto prima ai ripari? Narrata da chi come me vive molto da dentro la vita ecclesiale come membro del Collegio Sacerdotale, la desolante realtà è questa: se mettiamo assieme tre o quattro preti scopriremo che ciascuno di loro ha un “suo” linguaggio, una “sua” ecclesiologia, una “sua” pastorale … e tutto questo finisce spesso per tradursi in una “sua” dottrina. In una sola cosa questi preti saranno uniti in un nefasto elemento comune: nello spirito clericale, nella malitia clericorum, perché quando si mina e si distrugge lo spirito ecclesiale sorge al suo posto il peggio dello spirito clericale. Se poi prendiamo come paradigma la Diocesi delle Diocesi, quella di Roma, sede della Cattedra Episcopale di Pietro, ed andiamo in giro per le parrocchie durante la celebrazione delle Sante Messe, scegliendone per esempio dieci a caso sparse per l’Urbe, scopriremo in esse dieci preti che celebrano il Sacrificio Eucaristico in dieci modi diversi, alcuni mossi pure dall’evidente spirito del …”e mo’ che m’envento pe’ stupì “? Sorvoliamo del tutto su certi gruppi neocatecumenali e carismatici che ormai hanno di fatto dei “riti” propri, inclusi riti propiziatori, animisti e sincretistici finiti nel rituale cattolico; ma sorvoliamo allo stesso modo anche su certi cosiddetti tradizionalisti, nell’ambito dei quali il numero di coloro che “adorano” gli accidenti esterni della sacra liturgia anziché le sostanze immutabili ed eterne del Memoriale Vivo e Santo, è purtroppo molto alto. Insomma: sembra talvolta di essere in un campo aperto senza possibilità alcuna di riparo con le granate che piovono da tutte le parti.

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dolce e gabbana

Se non fossero chiari i risultati della “mitica” rivoluzione sessuale e della “liberazione” della donna, ecco una pubblicità dell’azienda degli stilisti Dolce&Gabbana nella quale si simula lo stupro di una autentica donna oggetto del XXI secolo, figlia della donna finalmente “liberata” quattro decenni prima dal furore dei movimenti femministi

Dopo una rivoluzione sessuale che ha manifestato un tripudio di egoismo che non ha liberato affatto la donna, ma l’ha resa veramente “oggetto” più di quanto storicamente e socialmente sia mai stata e che ha scisso la sessualità dall’amore umano, il Novecento è infine giunto a livelli tali di perversione istituzionalizzata da rendere difficile trovare adeguati eguali storici, persino andando a prendere a prestito le immagini di Sodoma e Gomorra, che però non rendono l’idea, soprattutto non rendono “giustizia” alla realtà del nostro presente.

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Il Novecento è stato il secolo più oppressivo della storia, privo di rispetto per la vita umana e privo di misericordia; e certi istinti ormai in circolo da un secolo nel sangue delle nuove generazioni non si eliminano con inviti cinetelevisivi alla tenerezza, perché il lavoro che si richiede è molto più complesso, ma soprattutto più drastico, perché basato su un rischio che non si può evitare di correre: il non piacere alle masse ed alle elites di potere. Per non parlare della misericordia vera, quella correttamente intesa, recepita e praticata secondo il Mistero della Rivelazione, esposta e riassunta in numerosi passi dei Vangeli, prendiamone solo uno tra i diversi:

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«Se il tuo occhio destro è motivo di scandalo cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna» [Mt 5, 29-30]

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piede diabetico 2

quale saggio medico, sarà così scelleratamente “misericordioso”, da lasciare che la cancrena assalga l’intero corpo, anziché salvarlo attraverso l’amputazione dell’arto infetto?

Se all’interno della Chiesa contemporanea qualcuno è però convinto che dinanzi ad un corpo assalito da un devastante diabete degenerativo che ha generato una cancrena al piede, sia invece molto misericordioso non amputarlo, perché non è bene privare un essere umano di un arto, in tal caso è presto detto: ci si prepari alla inevitabile conseguenza della cancrena che da lì a breve assalirà anche tutti gli altri arti del corpo.

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Il Novecento è stato il secolo che ha assistito allo sterminio degli ebrei, che non è stato il solo, anche se pochi ricordano il genocidio degli armeni a cavallo della prima guerra mondiale. Nessuno commemora le decine e decine di milioni di uccisi sotto il regime sovietico e pochi si avventurano a fare il conto delle vittime sacrificate nelle varie parti del mondo all’utopia comunista. Nel corso di questo secolo si è imposto a intere popolazioni l’ateismo di Stato, mentre nell’Occidente secolarizzato si è diffuso un ateismo edonistico e libertario, fino ad arrivare all’idea grottesca della “morte di Dio”.

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Soloviev foto

Vladimir Sergeevič Solov’ëv

Solov’ëv è stato profeta e maestro inattuale e inascoltato, a lungo relegato nella letteratura visionaria. In realtà è stato un appassionato difensore dell’uomo schivo ad ogni filantropia. È stato un apostolo infaticabile della pace e avversario del pacifismo. Auspicò l’unità tra i cristiani e fu duramente critico verso ogni irenismo. Fu innamorato della natura ma totalmente distaccato dalle odierne infatuazioni ecologiche, o per dirla in breve: fu amico innamorato della Verità rivelata del Verbo di Dio e nemico ostile di ogni ideologia e di ogni socio-teologia pseudo religiosa. Queste sono le guide di cui oggi abbiamo estremo bisogno, assieme alla vera misericordia. Non abbiamo bisogno, né mai un corpo infetto da arti in cancrena sarà salvato con l’acqua distillata della vaporosa tenerezza, né con la misericordia mutata in misericordismo, perché è solo con la grande misericordia del bisturi, che un corpo affetto da cancrena può essere salvato …

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da L’Isola di Patmos, 29 dicembre 2014

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Riguardo il divieto della contraccezione: si riapre veramente la questione sulla Humanae vitae del Beato Pontefice Paolo VI ?

RIGUARDO IL DIVIETO DELLA CONTRACCEZIONE: SI RIAPRE VERAMENTE LA QUESTIONE SULLA HUMANÆ VITÆ  DEL BEATO PONTEFICE PAOLO VI ?

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La proibizione degli anticoncezionali può ammettere eccezioni? Possono esistere casi nei quali è lecito farne uso? Da come si esprime il Beato Pontefice Paolo VI sembrerebbe che simili eccezioni o casi non possano essere ammessi: «è assolutamente da escludere come via lecita per la regolazione delle nascite l’interruzione diretta del processo generativo». Eppure, oggi si parla di riaprire la questione …

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa
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La Humanae vitae del Beato Pontefice Paolo VI, 1968. Per aprire il testo dell’enciclica cliccare QUI

… se quanto ho cercato di spiegare con estrema chiarezza in questo mio articolo, riguardo il divieto della contraccezione stabilito dalla Humanæ vitæ del Beato Pontefice Paolo VI ― non escludendo la doverosa analisi di circostanze particolarmente gravi che rientrano di prassi quasi sempre in casi assolutamente eccezionali ―, dovesse finire accantonato per dare spazio ad altri generi di ragioni basate sul relativismo, la mutevolezza e quindi sul rigetto della immutabilità e della assolutezza della legge morale, tra non molto potremmo correre il serio rischio che taluni “teologi” aprano discussioni su quanto sia lecita la interruzione volontaria della gravidanza in alcuni particolari casi concreti, invocando la “reinterpretazione” del divieto categorico e assoluto di poter ricorrere all’aborto. E lo faranno evitando di spiegare che certi cosiddetti “casi concreti” da loro presentati, sono sempre dei casi limite rarissimi, se non addirittura unici. Ma soprattutto evitando di spiegare che neppure un caso limite, se non addirittura unico, di quelli che rasentano a volte l’incredibile, può consentire e legittimare in alcun modo la soppressione di una vita umana innocente. Perché la vita è un bene non disponibile, che tale sempre rimarrà in modo immutabile e assoluto, anche se oggi, a certi “teologi” e “dottori di morale”, le parole immutabile e assoluto causano stati di vera e propria allergia. Se questo problema legato sia al mondo teologico sia ad una certa cattiva pastorale non sussistesse, non sarebbe mai accaduto che nell’anno 2000, la Congregazione per la dottrina della fede presieduta dal Cardinale Joseph Ratzinger, per volontà e col pieno appoggio di San Giovanni Paolo II, si trovasse costretta a ricordare e lamentare di quanto certi “teologi” siano infastiditi da termini quali «unicità» e «assolutezza» della fede [segue l’articolo …]

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Per aprire l’articolo cliccare sotto

Giovanni Cavalcoli, O.P   —  « RIGUARDO IL DIVIETO DELLA CONTRACCEZIONE: SI RIAPRE VERAMENTE LA QUESTIONE SULLA HUMANÆ VITÆ DEL BEATO PONTEFICE PAOLO VI ? »
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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Il Cardinale Carlo Caffarra è morto crocifisso, come il crocifisso e con il crocifisso

IL CARDINALE CARLO CAFFARRA MORTO CROCIFISSO, COME IL CROCIFISSO E CON IL CROCIFISSO

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[…] in questo caso il Papa s’è comportato male, parecchio. L’abbraccio di Carpi al Cardinale Carlo Caffarra è stato ben poca cosa, anche perché è stato un saluto di pochi secondi, solo il tempo necessario per una fotografia, mentre la ferita di quest’uomo di Dio è rimasta. Il Cardinale Carlo Caffarra è morto crocifisso. Anzi, spieghiamoci meglio: è morto come il Crocifisso e con il Crocifisso.

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Il dolore propriamente religioso è quello  che piange o  il peccato proprio o quello degli altri. Né si duole perché questo male  è  colpito dalla giustizia divina, ma, se si rattrista, lo fa per  quanto viene commesso dall’iniquità umana.

San Leone Magno, Discorso 95, 4-5, PL 54, 462-463

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa 

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un ricordo del Cardinale Carlo Caffarra a cura del canale televisivo della Arcidiocesi di Bologna, per aprire il video cliccare sopra l’immagine

Abbiamo perso un Santo, un Santo Cardinale, onore e vanto del sacro collegio, quel sacro collegio, che oggi purtroppo è ferito e turbato da spinte moderniste, che ne minano l’unità e la funzionalità come sostegno del Papa nel governo della Chiesa. È quel collegio di eletti pastori che più da vicino aiutano il Successore di Pietro nel suo arduo ufficio apostolico. Il colore  della loro veste, come ricordava loro Santa Caterina da Siena, è il rosso, che simboleggia il sangue di Cristo, a significare che devono esser pronti a dare il proprio sangue per il bene della Chiesa. Col Cardinale Carlo Caffarra abbiamo perso  un umile principe e una robusta colonna della Chiesa, un uomo di Dio, luminare della teologia morale, soprattutto nel campo del sacramento del matrimonio e della famiglia, dunque in prima linea a subire gli attacchi e gli insulti del mondo e pertanto disprezzato, calunniato e sbeffeggiato dai modernisti, strumentalizzato e vanamente corteggiato dai lefebvriani, ammirato, ascoltato ed imitato dai buoni cattolici, viventi di quella “continuità nel progresso”, che fu la massima consegna alla Chiesa fatta  da un’altra grande guida spirituale: Benedetto XVI.

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Ed egli sempre sulla breccia, con indomita fermezza, fino all’ultimo, perché fondato su di una salda preparazione dottrinale e ancor più una fede calda e illuminata, non certo quella del Cardinale Carlo Maria Martini sempre in irresolubile discussione con l’ateo “interiore”.

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«Misericordia e conversione», una conferenza del Cardinale Carlo Caffarra, tenuta ad Ancona il 30 maggio 2016, per aprire il video cliccare sull’immagine

Riguardo la personalità di Carlo Caffarra, si è parlato di intelligenza, cultura, onestà, amore alla Chiesa, pastoralità. Tutto vero. Ma secondo me, il vero cuore della sua spiritualità, è testimoniato da alcuni episodi della sua vita, dove l’amore s’intreccia al dolore. Con San Paolo, egli ha potuto dire e ci dice ancora: «Non ci sia altro vanto per me che nella croce del Signore Nostro Gesù Cristo» [Gal 6,14].

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Come il Padre Ariel che due giorni fa ha preceduto questo mio ricordo su L’Isola di Patmos con un ricordo suo [cf. QUI], posso testimoniarvi anch’io d’aver conosciuto molto bene il Cardinale Carlo Caffarra. Ci fu tra di noi una reciproca stima ed amicizia, che trasse occasione e stimolo da quattro fattori: primo, l’esser stato il mio vescovo fino al 2012, ossia finché abitai nel Convento di Bologna; secondo, esser stato mio Superiore come Cancelliere della Facoltà Teologica di Bologna, dove insegnai fino al 2011, quando divenni emerito; terzo, l’esser stato incaricato da lui esorcista della diocesi; quarto, l’esser stato, fino alla fine del suo mandato episcopale, Giudice del Tribunale diocesano per la Causa di Beatificazione del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, inchiesta diocesana nella quale, fino al 2013, ho svolto la funzione di vice-postulatore.

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omelia del Cardinale Carlo Caffarra nella Papale Arcibasilica di San Pietro nel 2013, durante l’Anno della Fede, per aprire il video cliccare sopra l’immagine

In occasione di una visita al Cardinale nel 2012, legata al mio ufficio di vice-postulatore, egli mi raccontò con emozione che fin da seminarista amava far frequenti pellegrinaggi a piedi, partendo da Busseto, suo paese natale, a pochi chilometri di distanza, fino al Santuario della Madonna del Rosario a Fontanellato, presso Parma, diretto dai Domenicani. Carlo Caffarra visse la sua vita nella luce di Maria e quando dalla sede suffraganea di Ferrara fu promosso alla sede arcivescovile metropolitana di Bologna, fervente fu da allora in poi la sua devozione per la Vergine di San Luca.

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Vorrei ricordare tre importanti episodi della sua attività di pastore da Vescovo e da Cardinale. Pur nella loro diversità, sono tutti e tre legati da un filo rosso: sante, opportune e nobili iniziative, preparate, avviate e condotte con rettitudine d’intenzione, competenza, saggezza e coraggio, dalle quali Carlo Caffarra aveva diritto di attendersi molto per il bene della sua diocesi e della Chiesa e la diffusione del Vangelo, e pur tuttavia tutte e tre bloccate e frustrate non solo da ostacoli provenienti dall’esterno della Chiesa, ma soprattutto dall’interno, addirittura da parte dell’autorità superiore.

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Carlo Caffarra è apparso ad alcuni uno sconfitto, come ha scritto Padre Ariel di recente facendo un sottile riferimento a «noi cristologici falliti» [cf. QUI]. E sconfitto è forse apparso a un modernista come Andrea Grillo [1], che lo ha dipinto tra le righe come un uomo superato dalla storia. Eppure, poiché la causa di Carlo Caffarra era giusta ― anzi sacrosanta ―, sarà proprio la storia a dargli ragione, e Grillo sarà svergognato, mentre fin da adesso il santo Cardinale si trova trionfante sui suoi nemici nella gloria celeste, alla quale è salito per essere stato un servo fedele di Cristo.

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«avrei avuto più piacere si dicesse che l’Arcivescovo di Bologna ha una amante, anziché si dicesse che è contro il Papa», da un’intervista a Tv2000, per aprire il video cliccare sopra l’immagine

I tre episodi salienti della sua vita sono: primo, la deposizione da Segretario del Pontificio istituto per studi su matrimonio e famiglia  da parte di San Giovanni Paolo II nel 1984; secondo, gli ostacoli posti da autorità ecclesiastiche al procedere dell’inchiesta diocesana relativa alla Causa di Beatificazione del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, che fu approvata, ufficialmente aperta e appoggiata dal Cardinale; terzo, il rifiuto del Pontefice regnante di rispondere agli ormai famosi dubia e di riceverlo in udienza. Adesso vedremo come dietro a tutti tre questi episodi, che a tutta prima potrebbero dare l’impressione di una non piena consonanza con il Chiesa e il Sommo Pontefice, in realtà essi, se ben considerati e valutati con giusti criteri, mostrano invece la figura di un cattolico tutto d’un pezzo, fedelissimo alla sana dottrina, eccellente nella testimonianza cristiana, dotto e sapiente, specchio di Cristo crocifisso, splendido esempio di pastore ed educatore,  soprattutto dei giovani, in pienissima comunione con la Chiesa e col Papa, a proposito del quale qualche anno fa, per controbattere alle voci maligne, ebbe a dire con fanciullesco candore che egli era papista dalla nascita, lo era allora e lo sarebbe stato fino alla morte. Uomo dotato anche di elegante umorismo, che non esitò a rispondere: «Preferirei che si dicesse che l’Arcivescovo di Bologna ha un’amante, piuttosto che si dicesse che è contro il Papa» [cf. video-intervista QUI].

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Cominciamo allora dal primo episodio e precisamente dagli antecedenti. Nella Chiesa Carlo Caffarra scelse, in sua qualità di moralista e pastore, di dedicarsi, preferenzialmente all’approfondimento, in piena comunione con la dottrina della Chiesa, dello studio del sacramento del matrimonio ― mysterium magnum [Ef 5,32] ― in tutti i suoi aspetti liturgici, spirituali, umani, morali, psicologici, sociologici, canonistici, civili ed educativi. 

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Rome Life Forum 2017, intervento del Cardinale Carlo Caffarra, agenzia di informazione Corrispondenza Romana, per aprire il video cliccare sopra l’immagine

In questo campo si acquistò prestigio e fama internazionali. Per questo San Giovanni Paolo II, altro grande Maestro in questa delicata ed importante materia, lo nominò, ad appena quarantatre anni, nel 1981, a capo del Pontificio Istituto per studi su matrimonio e famiglia [cf. QUI]. Il buon Carlo Caffarra, carattere mite e fiducioso nella bontà degli altri, forse non si rese conto della terribile ed insidiosa zona di guerra nella quale lo aveva posto il Successore di Pietro. Ma partì fiducioso, forte della sua fede e della sua salda preparazione. Ecco però che il potere delle tenebre, celato sia all’interno che all’esterno della Chiesa, gli preparava un perfido agguato. Nel 1984 fu intervistato da un giornalista, che gli chiese che cosa ne pensava dell’aborto. E lui, con tutto candore, con semplicità, chiarezza e sincerità, secondo il dettato della legge naturale e il precetto della fede, senza immaginare che cosa sarebbe successo, rispose tranquillamente come suo solito: «L’aborto è un omicidio!». E scoppiò così la tempesta: qualcosa come 450 teologi “cattolici”, in realtà modernisti, quello che già il Beato Paolo VI aveva chiamato il «magistero parallelo», si scatenarono non contro il povero Caffarra, ma contro il Papa, con accuse roventi di essere un tiranno medioevale, a gruppi di 40, 50, 60 teologi, da vari paesi europei, diversi dei quali, negli anni a seguire, elevati alla dignità episcopale. Cominciò il Belgio, per seguire uno appresso all’altro con gli altri Paesi di passata tradizione cattolica: la Germania, l’Olanda, la Francia, la Spagna, ed infine l’Italia, che funse da “fanalino di coda”, come commentò il mio capo-ufficio Monsignor Tommaso Mariucci, all’epoca in cui mi trovavo a lavorare come consulente teologico presso la Segreteria di Stato di Sua Santità. Che cosa fece, in quella circostanza, il Sommo Pontefice? Tolse Carlo Caffarra dall’incarico. Alcuni in Segreteria di Stato commentarono: «Ha fatto male, doveva lasciarlo al suo posto!». Ma Carlo Caffarra ricevette in ogni caso una ferita terribile. Fu per lui una prova spaventosa e, cosa che probabilmente lo turbò e lo addolorò  ancora di più, ricevuta proprio da un Santo Pontefice, che pure lo stimava, ed al quale se c’era qualcosa che gli stava proprio a cuore, era proprio la famiglia. Dovette sentirsi piombare addosso come un macigno tutto lo scherno ed il trionfo dei modernisti. Dovette sentirsi trattato con immensa ingratitudine per tutto l’impegno che aveva profuso in quella delicatissima carica e probabilmente dovette avere l’impressione di una resa ai nemici sghignazzanti della Chiesa. Perché mai accontentarli, anziché premiare e confermare il fedele servitore?

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Carlo Caffarra «Matrimonio, Eucaristia, Comunione», 20 marzo 2014, a cura del canale televisivo dell’Arcidiocesi di Bologna, per aprire il video cliccare sopra l’immagine

Nella storia della santità, per la verità, si danno altri casi del genere, nei quali un santo, senza sapere o senza volere, o semplicemente perché ingannato da soggetti maligni o perché mal consigliato da altri, fa un grave torto a un altro santo. Ma egli restò in silenzio, non si difese, non protestò, continuò nella sua dirittura morale, pregò e offrì al Signore. Solo dopo lunghi anni su questa linea di santità riuscì a guarire, a rasserenarsi, incrementando il suo impegno pastorale, finché San Giovanni Paolo II, nel 1995, lo nominò Vescovo di Ferrara. Trascorsi otto anni, nel 2003 lo promosse alla sede arcivescovile metropolitana di Bologna, la dotta e la gaudente. Nel 2006, Benedetto XVI lo creò Cardinale.

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Secondo episodio, la Causa di Beatificazione di Tomas Tyn. Non sto qui a ricordare la figura di questo santo e dotto teologo domenicano, di origine cèca, morto a 39 anni nel 1990, vissuto nel convento di Bologna dal 1972 fino alla morte e docente nello Studio Teologico Domenicano di Bologna. Padre Tomas, del quale si possono visitare i due siti [QUI e QUI], è ben noto ai lettori de L’Isola di Patmos ed ormai noto nel mondo cattolico.

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apertura del processo di beatificazione di Padre Tomas Tyn, Bologna 25 febbraio 2006, relazione introduttiva di Padre Giovanni Cavalcoli alla presenza dell’Arcivescovo Metropolita di Bologna Carlo Caffarra, per aprire il video cliccare sopra l’immagine

Carlo Caffarra ammirava Tomas Tyn, oltre che per le sue virtù, anche per la sua sapienza teologica, ed in essa vedeva una guida nella ricerca di Dio e nella fondazione dei valori morali, a rimedio degli errori del nostro tempo. Egli aveva ben intuìto, come pure lo stesso Cardinale Joseph Ratzinger scrisse a Padre Tyn [2], quanto fosse importante, seguendo la migliore tradizione domenicana, dar fondamento, giustificazione e certezza alle asserzioni morali con una solida filosofia e teologia teoretica. E qui ricordo alcune parole significative dell’Arcivescovo Metropolita di Bologna Carlo Caffarra, con le quali, nel Decreto di Introduzione della Causa del 2006 loda il Servo di Dio per la sua fedeltà alla dottrina di San Tommaso d’Aquino e rileva come:

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«[…] oggi la sua beatificazione e canonizzazione è richiesta da numerose persone che mantengono viva la memoria delle sue virtù e fama di santità già riconosciuta da tanti, quando era in mezzo a noi» [3].

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Dal 2 al 3 dicembre 2011, presso il Convento di San Domenico di Bologna, si tenne un convegno internazionale organizzato dall’Associazione Cenacolo di San Domenico di Bologna, dal tema «La figura e il pensiero di Padre Tomas Tyn» [4]. Il Cardinale Carlo Caffarra aprì i lavori con un breve discorso, nel quale ribadì la sua alta stima per il Servo di Dio come teologo esemplarmente fedele, perché tomista, al Magistero della Chiesa.

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Prolusione del Cardinale Carlo Caffarra sul pensiero di Padre Tomas Tyn, Tele Radio Buon Consiglio, dicembre 2011. Per aprire il video cliccare sull’immagine

Per Carlo Caffarra, la Causa di Padre Tyn era dunque motivo di vanto per la sua diocesi, un’Arcidiocesi come Bologna, antica e prestigiosa sede universitaria, nella quale si incontrano e si scontrano le principali correnti filosofiche del nostro tempo. La presenza dinamica ed incisiva di Padre Tomas in questo complesso e non facile ambiente forniva un appoggio e una difesa alla pastorale dell’Arcivescovo nel campo culturale e teologico.

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Al contempo, Tomas Tyn non lesinava critiche alle tendenze moderniste, secolariste, liberali, marxiste, laiciste, idealiste massoniche, protestanti ed esistenzialiste presenti nella composita cultura bolognese, delle quali qualche infiltrazione non era assente neppure tra i suoi colleghi dello Studio Teologico, allora chiamato STAB (Studio Teologico Accademico Bolognese).

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Anche in questa impresa il Cardinale fu intralciato, fino al punto che nel 2013 l’inchiesta diocesana dovette sospendere temporaneamente il suo regolare lavoro, a causa di un intervento d’autorità evidentemente ostile al Servo di Dio, intervento incompetente ed illegittimo pilotato dal di fuori del tribunale diocesano, che sospese dal suo ufficio il vice-postulatore, sicché tale ufficio, ancora dopo 5 anni, è tuttora vacante, benché fino al momento della sospensione nel 2013 il tribunale non avesse affatto riscontrato fatti o irregolarità così gravi da giustificare la sospensione dell’attività  del vice-postulatore.

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Giovanni Cavalcoli, O.P. presenta la figura di Tomas Tyn a Ferrara nel marzo del 2011, per aprire il video cliccare sull’immagine

Altro dolore e umiliazione per Carlo Caffarra, il quale, nel constatare un’interferenza nelle sue funzioni di Giudice del Tribunale, rinunciò a far valere il suo diritto, ma possiamo immaginare che anche in questa occasione egli abbia trovato consolazione nella Croce. Nel corso della visita che gli feci e della quale ho parlato poc’anzi, avendogli chiesto se, anche dopo la destituzione del vice-postulatore, egli continuava ad essere favorevole alla Causa di Padre Tomas Tyn, mi disse: «Si». Poi, seduto com’era vicino a me, chinò il capo tra le mani, stette un minuto in silenzio e mi disse molto seriamente: «Non riesco a capire il perché di questa ostilità del tuo Ordine nei suoi confronti».

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Negli anni successivi al 2013 fino ad oggi, di fatto, su mandato della Postulazione Generale dell’Ordine Domenicano, l’ex vice-postulatore prosegue un lavoro non ufficiale per la Causa, anche in riferimento all’esistenza citata dal Decreto dei numerosi devoti del Servo di Dio, soprattutto in Italia e nella Repubblica Ceca [5], i quali mantengono l’interesse per il pensiero e la vita di Padre Tomas, ne studiano gli scritti e ne imitano gli esempi, lo difendono dalle critiche e ne approfondiscono il pensiero, continuano a farsi vivi, attendono e pregano per la ripresa del processo.

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“Fede e cultura di fronte al matrimonio”, conferenza tenuta nell’aprile 2015 dal Cardinale Carlo Caffarra alla Pontificia Università della Santa Croce, per aprire il video cliccare sull’immagine

Terza grande croce del Cardinale Carlo Caffarra è stata la tormentata vicenda dei dubia. Ancora una volta, un dolore che gli è venuto dal Papa, a lui, che se c’era un uomo sulla terra che fin da bimbo era per lui l’oggetto della sua tenera fiducia e il garante delle sue sicurezze assolute, questo era proprio il Romano Pontefice. E la prova tremenda doveva riguardare quel mysterium magnum al quale aveva dedicato la parte principale dei suoi studi, dei suoi interessi, delle sue pubblicazioni: il matrimonio e la famiglia. Aveva già sofferto per questo nel 1984: ora gli toccava di essere un’altra volta crocifisso. Anche adesso, di nuovo, i lazzi, le derisioni, le calunnie.

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Non che vacillasse la sua fede nell’autorità del Sommo Pontefice Francesco I. Di ciò neanche a parlarne. Ma ai suoi occhi la Amoris Laetitia conteneva dei passi ambigui, che avevano bisogno di essere chiariti dal Papa, in forza della sua autorità, anche perché di fatto, attorno a quei passi, s’era scatenata un’enorme discordia, tutt’ora non sedata. Il Papa doveva ribadire con inequivocabile chiarezza il dogma del matrimonio.

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Ma come mai il Papa non rispondeva? Come mai non lo rassicurava?  Questa è stata la sua angoscia. L’atteggiamento di Caffarra peraltro è stato ben diverso da quello del Card. Raymond Burke. Questi ha parlato illegittimamente di «correggere il Papa». Caffarra non si è mai sognato di prospettare un’irriverenza simile. Evidentemente i due hanno interpretato in senso opposto i dubia, benché li abbiano formulati assieme.

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meditazione del Cardinale Carlo Caffarra sul valore del martirio in una cristianità malata, aprile 2015, per aprire il video cliccare sull’immagine

Accortosi delle strumentalizzazioni alle quali venivano sottoposti i dubia, si premurò di fare questa commovente dichiarazione di fedeltà al Successore di Pietro: «Desidero rinnovare la mia assoluta dedizione ed il mio amore incondizionato alla Cattedra di Pietro e per la Vostra augusta persona, nella quale riconosco il Successore di Pietro ed il Vicario di Gesù: il “dolce Cristo in terra”, come amava dire Santa Caterina da Siena» [cf. QUI]. Ma quello che lo ha ferito è stata la mancata risposta del Papa, per lungo tempo attesa,  alla quale è seguito ― ulteriore ferita ― il rifiuto di riceverlo in udienza. Qui il Papa s’è comportato male, parecchio. L’abbraccio di Carpi è stato ben poca cosa, anche perché è stato un saluto di pochi secondi, solo il tempo necessario per una fotografia. Mentre la ferita, al Cardinale Carlo Caffarra, è rimasta.

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Il Cardinale Carlo Caffarra è morto crocifisso. Anzi, spieghiamoci meglio: è morto come il Crocifisso e con il Crocifisso.

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Varazze, 9 settembre 2017

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NOTE

 

[1] Vedete le nostre confutazioni delle accuse e degli argomenti — se di “argomenti” si può parlare e non piuttosto di insulti — di Andrea Grillo contro Caffarra pubblicata su questo sito. Il Cardinale ci fu grato di questa difesa portata avanti da me e da Ariel S. Levi di Gualdo su L’Isola di Patmos, vedere gli articoli seguenti: QUI, QUI, QUI

[2] Testo della lettera nel mio libro: Padre Tomas Tyn. Un tradizionalista postconciliare, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2007, p.129.

[3] Testo completo del Decreto nel mio citato libro, pp.147-149.

[4] Gli atti del convegno sono stati pubblicati nel numero unico di Sacra Doctrina, dal titolo “Tomas Tyn”, a cura di G.Cavalcoli, n.2, 2013.

[5] Ma anche in altri paesi, come per esempio negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Spagna, in Brasile, nel Messico, in Argentina, nelle Filippine.

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Ci siamo trascinati in casa un nemico che ci impiccherà con le corde che la Chiesa e gli Stati europei gli hanno fornito: una riflessione storica, sociale e teologica sulla fede islamica

Theologica 

CI SIAMO TRASCINATI IN CASA UN NEMICO CHE CI IMPICCHERÀ CON LE CORDE CHE LA CHIESA E GLI STATI EUROPEI GLI HANNO FORNITO: UNA RIFLESSIONE STORICA, SOCIALE E TEOLOGICA SULLA FEDE ISLAMICA

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Purtroppo, ci duole ammetterlo, con certi gesti decisamente imprudenti il Santo Padre ha consegnato, ai nuovi invasori di un’Europa ormai in fase irreversibile di scristianizzazione, le chiavi di casa. Nel mentre, a noi, in questa situazione irreversibile e senza umana possibilità di ritorno, non ci resta che attendere l’apertura del Settimo Sigillo secondo il racconto contenuto nella Apocalisse del Beato Apostolo Giovanni.

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Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P. – Ariel S. Levi di Gualdo

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