Esequie funebri del Nunzio Apostolico Adriano Bernardini. Omelia pronunciata da Padre Ariel S. Levi di Gualdo – Esequial Mass for Apostolic Nuncio Adriano Bernardini. Homily delivered by Father Ariel S. Levi di Gualdo –
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ESEQUIE FUNEBRI DEL NUNZIO APOSTOLICO ADRIANO BERNARDINI. OMELIA PRONUNCIATA DA PADRE ARIEL S. LEVI DI GUALDO
Diocesi di San Marino-Montefeltro, Chiesa di Monastero di Piandimeleto, 15 settembre 2025 ore 15:00. Esequie funebri di S.E. Mons. Adriano Bernardini, Arcivescovo titolare di Faleri e Nunzio Apostolico.
— Attualità ecclesiale —
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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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† Dal Vangelo secondo Giovanni (14, 1-6)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. lo vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”».
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Venerabili Vescovi Domenico, pastore di questa nostra Chiesa particolare e Andrea, emerito, Confratelli amici e tutti voi carissimi qui presenti: «Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo».
Ricevendo il 30 agosto la sacra unzione degli infermi Adriano Bernardini Arcivescovo titolare di Faleri e Nunzio Apostolico, mi sussurrò le parole del Vangelo di Giovanni: «Padre, è giunta l’ora» (Gv 17, 1-2). Per questo ho scelto di salutarlo con un’omelia tratta da questo Quarto Vangelo, dove l’Apostolo Pietro chiede a Gesù: «Signore, dove vai?». Gesù risponde a Pietro che non era ancora pronto: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Lo stesso aveva detto poco prima a tutti i discepoli: «Dove vado io, voi non potete venire» (Gv 13, 33-34).

Nella foto: S.E.R. Mons. Adriano Bernardini (13.08.1942 – †11.09.2025) e Padre Ariel S. Levi di Gualdo, suo segretario privato (2017-2025)
Sono frammenti che rivelano l’emozione per l’imminente distacco dal Divino Maestro. Forse è per questo che le parole del Vangelo appena proclamato si aprono con un invito di Gesù che diviene, oltre che promessa anche balsamo: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore».
Con le sue parole Gesù sta facendo della sua dipartita e del vuoto che lascia una occasione di rinascita per i suoi discepoli. Chiedendo loro fede, li spinge a trasformare la paura del nuovo e il terrore dell’abbandono nel coraggio di donarsi, appoggiandosi sul Signore che promette di andare a preparare un posto per loro. Egli vive la sua partenza in relazione con chi resta e mostra che non li sta abbandonando, ma sta inaugurando una diversa fase di relazione con loro. Il distacco è in vista di una nuova accoglienza basata su una precisa promessa: «Vi prenderò con me» (Gv 14,2-3).
In una circostanza difficile come questa è bello ritornare agli inizi, quando i discepoli, futuri apostoli, ebbero il primo contatto con Gesù e gli chiesero: «Rabbì, Maestro, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete».
“Rimanere” o “dimorare”, “venire” e “vedere” sono i verbi che soprattutto nel Vangelo di Giovanni descrivono il cammino di fede, l’approdo del discepolo e la risposta alla domanda di Pietro: «Dove vai, dove possiamo incontrarti e trovarti ancora?». Gesù dirà un giorno: «Rimanete nel mio amore, come il tralcio rimane nella vite, perché Io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Quello è il luogo dove dimoro, rimango e abito» (Gv 15,9-10).
Ecco il traguardo del discepolo per il quale non bisognerà attendere il transito della morte, perché è qui, ora, disponibile per tutti, perché Gesù si è fatto via. Non è una realtà futura che si rivelerà oltre questa vita per mezzo della morte, duro valico per chi lo deve oltrepassare e doloroso lascito per chi dovrà convivere con la memoria, ma essa è dono presente per chi «crede in lui» (Gv 14,12).
Non sia dunque turbato neppure il nostro cuore dinanzi al distacco, piuttosto prepariamoci fin d’ora a riconoscere il posto che a ciascuno di noi spetta nella dimora eterna che ci attende. Simile al posto del discepolo amato che reclinò il suo capo sul petto di Gesù nell’ultima cena. Questi era adagiato nel seno di Gesù (Gv 13,25), il quale, come dice il prologo giovanneo «è tornato nel seno del Padre ed ha aperto la via» (Gv 1,18), adesso «venuta la sua ora per passare da questo mondo al Padre (Gv 13,1) ci dice: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».
Per cercare di proporre le ragioni non facili, ma perseguibili e realizzabili del Santo Vangelo la Chiesa si serve da sempre di molti mezzi, compresa la diplomazia. Questo è il nunzio Apostolico: un portatore e annunciatore del Santo Vangelo chiamato a realizzare la pax Christi nel mondo. Ma proviamo a raffigurare il tutto con un esempio concreto: nell’ottobre 1962 il mondo sfiorò la Terza Guerra Mondiale con la “crisi di Cuba”. Ormai i due interlocutori, Nikita Kruscev e John Fitzgerald Kennedy non potevano più parlare né trattare, perché nessuno dei due era disposto a fare un passo indietro. Fu in quel momento tragico che intervenne il Santo Pontefice Giovanni XXIII che, bene ricordarlo, non era propriamente quel contadino sempliciotto che viene affigurato in certe iconografie popolari, proveniva dal mondo della diplomazia ed era stato un diplomatico anche raffinato, specie nel suo mandato come nunzio apostolico in Francia. I due interlocutori accolsero l’appello entrambi in contemporanea e le testate missilistiche in rotta verso Cuba tornarono indietro. Pochi mesi dopo, nell’aprile 1963, il Santo Pontefice pubblicò la sua enciclica Pacem in Terris. Il messaggio di pace del Vangelo prevalse grazie alla diplomazia pontificia. Oggi, i libri di storia contemporanea, narrano che quell’intervento diplomatico salvò l’umanità dal rischio di una Terza Guerra Mondiale.
Anziché recitare le litanie delle sue virtù accennerò a un suo difetto, per dimostrare come un servitore della Chiesa e del Papato può mutare un difetto in virtù attraverso le tre virtù di fede, speranza e carità (cfr. I Cor 13, 1-13), che non si reggono sulle emozioni, peggio sulle ideologie viscerali, ma sulla ragione. Fides quaerens intellectum e per inverso intellectus quaerens fidem, ovvero: la fede richiede la ragione e per inverso la ragione richiede la fede, come enunciò il padre della scolastica classica Sant’Anselmo d’Aosta rifacendosi a sua volta al pensiero del Santo Padre e dottore della Chiesa Agostino vescovo d’Ippona: credo ut intelligam e per inverso intelligo ut credam, ossia, credo per capire, capisco per credere. Sino a giungere al Santo Pontefice Giovanni Paolo II che riassunse questo rapporto tra ragione e fede nell’enciclica Fides et Ratio, fede e ragione.
Risoluto per temperamento, era capace a divenire inamovibile. Negli ultimi mesi di vita è stato indebolito dalla malattia, ma conservando il suo carattere peculiare. Un giorno, durante il suo ultimo ricovero nella casa di cura romana Villa del Rosario — dove per inciso è stato accudito in modo eccellente dai medici, dai paramedici e dalle suore —, prese a considerare giusta una cosa sbagliata che avrebbe potuto essere nociva per lui. Glielo dissi e, sulle prime, quasi si arrabbiò, ma lo placai ricordandogli la pagina del Vangelo in cui si narra del discorso in cui Gesù dice a Pietro: «”In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21, 18). Sorrise e rispose ironico: va bene, ti seguirò, però cerca di portarmi dove voglio andare io».
Alle persone dal carattere risoluto la Cristianità deve molto, basta pensare al passo degli Atti degli Apostoli dove si narra del Beato Apostolo Paolo che «discuteva con i greci» (traduzione: litigava con loro); «ma questi cercavano di ucciderlo» (traduzione: perché non lo sopportavano). «I fratelli, saputolo, lo condussero a Cesarea e di là lo mandarono a Tarso» (traduzione: cerchiamo di salvargli la vita in nome della neonata carità cristiana). E in chiusura la diplomatica conclusione di questa cronaca: «Così la Chiesa, per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria, aveva pace» (che tradotto significa: meno male che è partito) (At 9, 29-31). Eppure, quanto dobbiamo al carattere risoluto e non poco spigoloso del Beato Apostolo Paolo?
Ho onorato la sua volontà evitando beatificazioni per mezzo di racconti epici e biografie trionfali, come talora si è soliti fare ai funerali, cose da lui detestate, anche perché nessuno di noi conosce il giudizio di Dio, ma tutti sappiamo quanto sia grande la sua ricompensa per i suoi servi fedeli, perché solo gli uomini di fede forgiati dalle autentiche virtù riescono a mutare in servizio prezioso alla Chiesa persino i loro apparenti difetti; e in tal senso, da San Paolo a Sant’Agostino, la lista di questi uomini straordinari è molto lunga. A recare danni alla Chiesa non sono gli uomini resi risoluti dalla loro forza di carattere, ma coloro che non sanno dire sì quando è sì e no quando è no (Cfr. Mt 5, 37); sono i deboli fieri della propria debolezza velata di spiritualismi e misticismi, inconsapevoli che noi, nella sequela di Cristo, siamo chiamati a essere il sale, non lo zucchero della terra (cfr. Mt 5, 13-16). Infatti, quando fummo consacrati sacerdoti non ci fu regalato un pensiero sdolcinato, il Vescovo consacrante ci disse: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore». Il tutto basato sulle parole del Divino Maestro che ci ha ammoniti: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24-25).
Tutto questo egli ha cercato di comprenderlo, viverlo e trasmetterlo attraverso un modo particolare di annunciare e portare il Vangelo: la diplomazia ecclesiastica a servizio della Chiesa di Cristo e della Sede Apostolica.
La fonte della vera diplomazia ecclesiastica è tutta racchiusa sulle righe, dentro le righe e oltre le righe del Vangelo che, di secolo in secolo, sino al ritorno di Cristo alla fine dei tempi, non cesserà di mettere in luce le nostre miserie e le nostre ricchezze umane, i nostri limiti e le nostre grandezze, i nostri peccati e le nostre cristiane virtù. E di questi tempi, forse più che mai viene da dire col Beato Apostolo Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (II Tm 4,6). Perché non è facile conservare la fede, nemmeno dentro quella società umana che è la Chiesa visibile, definita «Santa e peccatrice» dal Santo vescovo Ambrogio, seguito secoli dopo dal Cardinale Joseph Ratzinger che meditando nel 2005 la nona stazione della Via Crucis lamentò: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!».
Chi è questo prete salito sul pulpito a predicare in memoria di Adriano vescovo? Sono un servo inutile. Come infatti dice il Signore Gesù: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17, 10). Quale era il mio intimo rapporto con lui? Rispondo dicendo che nel Vangelo lucano si parla della grande riservatezza della Beata Vergine Maria che «da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19).
Scrive l’Apostolo agli abitanti di Corinto: «Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (I Cor 15, 55). Riflettendo su questo passo sul finire della sua vita, il Sommo Pontefice Benedetto XVI commentò: «Non mi preparo alla fine ma a un incontro poiché la morte apre alla vita, a quella eterna, che non è un infinito doppione del tempo presente, ma qualcosa di completamente nuovo».
Buon viaggio nel «nuovo» buon viaggio «nell’eterno», Adriano vescovo, hai fatto quanto dovevi fare, come tutti noi «servi inutili», ne sono testimone come figlio, amico e fratello. Ogni 11 settembre, finché fisicamente potrò, verrò in questo luogo presso la Chiesa particolare di San Marino-Montefeltro, alla quale appartengo come presbitero ― benché non sia vissuto nel Montefeltro ma a Roma con te ―, per celebrare nel tuo luogo natale, oggi anche tuo luogo di sepoltura, una Santa Messa per l’anima immortale del padre, dell’amico e del fratello che sei stato per me.
Sia lodato Gesù Cristo!
Santa Maria del Mutino, loc. Monastero di Piandimeleto, 15 settembre 2025
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ESEQUIAL MASS FOR APOSTOLIC NUNCIO ADRIANO BERNARDINI. HOMILY DELIVERED BY FATHER ARIEL S. LEVI DI GUALDO
Diocese of San Marino-Montefeltro, Monastery Church of Piandimeleto, September 15, 2025, 3:00 PM. Esequial Mass for His Excellency Msgr. Adriano Bernardini, Titular Archbishop of Faleri and Apostolic Nuncio.
— Ecclesial actuality —
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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
† Gospel of John (14, 1-6)
«”Do not let your hearts be troubled. You have faith in God; have faith also in me. In my Father’s house there are many dwelling places. If there were not, would I have told you that I am going to prepare a place for you? And if I go and prepare a place for you, I will come back again and take you to myself, so that where I am you also may be. Where [I] am going you know the way”. Thomas said to him, “Master, we do not know where you are going; how can we know the way?” Jesus said to him, “I am the way and the truth and the life. No one comes to the Father except through me”».
Venerable Bishops Dominic, shepard of this particular Church, and Andrew, Bishops emeritus, Brother friends, and all of you dearly beloved present here: «Grace to you and peace from God our Father and the Lord Jesus Christ!».
Receiving the sacred anointing of the sick on August 30, Adriano Bernardini, Titular Archbishop of Faleri and Apostolic Nuncio, whispered to me the words of the Gospel of John: «Father, the hour has come» (Jn 17:1-2). For this reason, I chose to greet him with a homily taken from this Fourth Gospel, where the Apostle Peter asks Jesus: «Lord, where are you going? Jesus responds to Peter, who was not yet ready: “Where I am going, you cannot follow me now; you will follow me later”. He had said the same thing shortly before to all the disciples: “Where I am going, you cannot come”» (Jn 13:33-34).
These fragments reveal the emotion of the imminent separation from the Divine Master. Perhaps this is why the words of the Gospel just proclaimed open with an invitation from Jesus that becomes not only a promise but also a balm: «Do not let your hearts be troubled. Believe in God, believe also in me. In my Father’s house are many rooms».
With his words, Jesus is making his departure and the void it leaves an opportunity for rebirth for his disciples. By asking them for faith, he pushes them to transform their fear of the new and the terror of abandonment into the courage to give themselves, relying on the Lord who promises to go and prepare a place for them. He experiences his departure in relationship with those who remain and shows that he is not abandoning them, but is inaugurating a different phase of relationship with them. This separation is in preparation for a new welcome based on a specific promise: «I will take you to myself» (Jn 14:2-3).
In a difficult circumstance like this, it’s beautiful to return to the beginning, when the disciples, future apostles, first encountered Jesus and asked him: «Rabbi, Master, where are you staying?». He said to them: «Come and see».
«To remain» or «to abide», «to come» and «to see» are the verbs that, especially in the Gospel of John, describe the journey of faith, the disciple’s arrival, and the answer to Peter’s question: «Where are you going? Where can we meet you and find you again?» Jesus will one day say: «Remain in my love, as the branch remains in the vine, for I have kept my Father’s commandments and remain in his love. There is my dwelling place, where I remain and dwell» (Jn 15:9-10).
This is the disciple’s goal, for which there is no need to wait for the passing of death, because it is here, now, available to all, because Jesus has become the way. It is not a future reality that will be revealed beyond this life through death, a difficult passage for those who must cross it and a painful legacy for those who will have to live with the memory, but it is a present gift for those who «believe in him» (Jn 14:12).
Let not our hearts, then, be troubled by separation; rather, let us prepare ourselves from now to recognize the place that belongs to each of us in the eternal home that awaits us. Similar to the place of the beloved disciple who leaned his head on Jesus’ chest at the Last Supper. He was reclining in Jesus’ bosom (Jn 13:25), who, as the John prologue says, «has returned to the bosom of the Father and has opened the way» (Jn 1:18), now «when his hour has come to pass from this world to the Father» (Jn 13:1), he tells us: «No one comes to the Father except through me».
To try to propose the difficult, yet attainable and achievable, reasons for the Holy Gospel, the Church has always used many means, including diplomacy. This is the Apostolic Nuncio: a bearer and proclaimer of the Holy Gospel called to establish the Pax Christi in the world. But let’s try to illustrate this with a concrete example: in October 1962, the world came close to World War III with the “Cuban crisis”. By then, the two interlocutors, Nikita Khrushchev and John Fitzgerald Kennedy, could no longer speak or negotiate, because neither was willing to take a step back. It was at that tragic moment that the Holy Pontiff John XXIII intervened. It is worth remembering that he was not exactly the simpleton depicted in certain popular iconography; he came from the world of diplomacy and had been a refined diplomat, especially during his tenure as Apostolic Nuncio to France. Both sides simultaneously accepted the appeal, and the missile warheads headed toward Cuba were turned back. A few months later, in April 1963, the Holy Pontiff published his encyclical Pacem in Terris. The Gospel’s message of peace prevailed thanks to papal diplomacy. Today, contemporary history books tell us that this diplomatic intervention saved humanity from the risk of a Third World War.
Rather than reciting the litany of his virtues, I will mention one of his defects, to demonstrate how a servant of the Church and the Papacy can transform a defect into a virtue through the three virtues of faith, hope, and charity (cf. 1 Cor 13:1-13), which are not based on emotions, or worse, on visceral ideologies, but on reason. Fides quaerens intellectum and and vice versa intellectus quaerens fidem, or faith requires reason, and conversely, reason requires faith, as the father of classical scholasticism, Saint Anselm of Aosta, stated, in turn drawing on the thought of the Holy Father and Doctor of the Church, Augustine, Bishop of Hippo: credo ut intelligam and vice versa intelligo ut credam, or I believe in order to understand, I understand in order to believe. This culminated in the Holy Pontiff John Paul II, who summarized this relationship between reason and faith in the encyclical Fides et Ratio, Faith and Reason.
Resolute by temperament, he was capable of becoming immovable. In the last months of his life, he was weakened by illness, but retained his peculiar character. One day, during his final stay at the Roman nursing home Villa del Rosario — where, incidentally, he was excellently cared for by doctors, paramedics, and nuns — he began to consider a wrong thing that could have been harmful to him as right. I told him this, and at first he almost became angry, but I calmed him by reminding him of the Gospel passage recounting Jesus speech to Peter: «Truly, truly, I say to you, when you were younger, you girded yourself and walked where you wished; but when you grow old, you will stretch out your hands, and another will gird you and carry you where you do not wish to go» (Jn 21:18). He smiled and replied ironically: «All right, I will follow you, but try to take me where I want to go».
Christianity owes much to people of resolute character. Just think of the passage in the Acts of the Apostles where the Blessed Apostle Paul is described as «arguing with the Greeks» (translation: he argued with them); «but they sought to kill him» (translation: because they could not stand him). «When the brothers learned of this, they took him to Caesarea, and from there they sent him to Tarsus» (translation: we tried to save his life in the name of the nascent Christian charity). And finally, the diplomatic conclusion to this chronicle: «So the church throughout all Judea, Galilee, and Samaria had peace» (which translated means: thank goodness he left) (Acts 9:29-31). And yet, how much do we owe to the resolute and not a little rough-edged character of the Blessed Apostle Paul?
I have honored his will by avoiding beatifications through epic tales and triumphal biographies, as is sometimes customary at funerals, things he detested, also because none of us know God’s judgment, but we all know how great his reward is for his faithful servants, because only men of faith forged by authentic virtues are able to transform even their apparent defects into precious service to the Church; and in this sense, from Saint Paul to Saint Augustine, the list of these extraordinary men is very long. Those who harm the Church are not men made resolute by their strength of character, but those who cannot say yes when it is yes and no when it is no (cf. Mt 5:37); they are the weak, proud of their own weakness veiled in spiritualism and mysticism, unaware that we, in following Christ, are called to be the salt, not the sugar, of the earth (cf. Mt 5:13-16). In fact, when we were consecrated priests, we weren’t given a sentimental thought; the consecrating Bishop told us: «Realize what you will do, imitate what you will celebrate, conform your life to the mystery of the cross of Christ the Lord». All of this was based on the words of the Divine Master who admonished us: «If anyone would come after me, let him deny himself, take up his cross, and follow me» (Mt 16:24-25).
He sought to understand, live, and transmit all of this through a particular way of announcing and bringing the Gospel: ecclesiastical diplomacy in the service of the Church of Christ and the Apostolic See.
The source of true ecclesiastical diplomacy lies entirely inside and beyond the written lines of the Gospel, which, from century to century, until Christ’s return at the end of time, will never cease to highlight our human miseries and riches, our limitations and our greatness, our sins and our Christian virtues. And in these times, perhaps more than ever, we can say with the Blessed Apostle Paul: «have competed well; I have finished the race;f I have kept the faith» (2 Tim 4:7). Because it is not easy to maintain the faith, not even within that human society which is the visible Church, defined as “holy and sinful” by the Holy Bishop Ambrose, followed centuries later by Cardinal Joseph Ratzinger who, meditating on the ninth station of the Way of the Cross in 2005, lamented: «How much filth there is in the Church, and even among those who, in the priesthood, should belong completely to him!»
Who is this priest who ascended the pulpit to preach in memory of Bishop Hadrian? I am an unprofitable servant. As the Lord Jesus says: «When you have done all that you were commanded, say, “So should it be with you. When you have done all you have been commanded, say, “We are unprofitable servants; we have done what we were obliged to do”» (Lk 17:10). What was my intimate relationship with him? I answer by saying that the Gospel of Luke speaks of the great reserve of the Blessed Virgin Mary, who «And Mary kept all these things, reflecting on them in her heart» (Lk 2:19).
The Apostle writes to the people of Corinth: « Where, O death, is your victory?» (1 Cor 15:55). Reflecting on this passage at the end of his life, the Roman Pontiff Benedict XVI commented: «I am not preparing for the end but for an encounter, since death opens the way to life, to eternal life, which is not an infinite duplicate of the present time, but something completely new».
Have a good journey into the «new» world, and a good journey into the «eternal», Bishop Adriano. You have done what you had to do, like all of us «unprofitable servants». I bear witness to this as a son, friend, and brother. Every September 11th, as long as I am physically able, I will come to this place, to the particular Church of San Marino-Montefeltro, to which I belong as a priest — although I did not live in Montefeltro but in Rome with you — to celebrate in your birthplace, now also your burial place, a Holy Mass for the immortal soul of the father, friend, and brother you were to me.
Praised be Jesus Christ!
Santa Maria del Mutino, Monastero di Piandimeleto, 15 settembre 2025
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EXEQUIAS FÚNEBRES DEL NUNCIO APOSTÓLICO ADRIANO BERNARDINI. HOMILÍA PRONUNCIADA POR EL PADRE ARIEL S. LEVI DI GUALDO
Diócesis de San Marino-Montefeltro, Iglesia del Monasterio de Piandimeleto, 15 de septiembre de 2025. Exequias fúnebres de S.E. Mons. Adriano Bernardini, Arzobispo titular de Faleri y Nuncio Apostólico.
— Actualidad eclesial —
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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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†Del Evangelio según Juan (14, 1-6)
«En aquel tiempo, Jesús dijo a sus discípulos: “No se inquieten. Crean en Dios y crean también en mí. En la Casa de mi Padre hay muchas habitaciones; si no fuera así, se lo habría dicho a ustedes. Yo voy a prepararles un lugar. Y cuando haya ido y les haya preparado un lugar, volveré otra vez para llevarlos conmigo, a fin de que donde yo esté, estén también ustedes. Ya conocen el camino del lugar adonde voy”. Tomás le dijo: “Señor, no sabemos adónde vas. ¿Cómo vamos a conocer el camino?”.Jesús le respondió: “Yo soy el Camino, la Verdad y la Vida. Nadie va al Padre, sino por mí”».
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Venerables Obispos Domenico, pastor de esta nuestra Iglesia particular y Andrea pastor emérito, Cohermanos sacerdotes, amigos y todos estimados presentes: «Gracia y paz a vosotros de parte de Dios nuestro Padre y del Señor Jesucristo».
Recibiendo el 30 de agosto la unción de los enfermos Adriano Bernardini, Arzobispo titular de Faleri y Nuncio Apostólico, me susurró las palabras del Evangelio de Juan: «Padre, ha llegado la hora» (Jn 17, 1-2). Por eso he elegido despedirlo con una homilía extraída de este Cuarto Evangelio, donde el Apóstol Pedro pregunta a Jesús: «Señor, ¿adónde vas?». Jesús responde a Pedro que aún no estaba preparado: «Adonde yo voy, tú no puedes seguirme ahora; me seguirás más tarde». Lo mismo había dicho poco antes a todos los discípulos: «Adonde yo voy, vosotros no podéis venir» (Jn 13, 33-34)
Son fragmentos que revelan la emoción por la inminente separación del Divino Maestro. Quizás es por eso que las palabras del Evangelio recién proclamado se abren con una invitación de Jesús que se convierte, además de promesa, en bálsamo: «No se turbe vuestro corazón. Tened fe en Dios y tened fe también en mí. En la casa de mi Padre hay muchas moradas».
Con sus palabras Jesús está haciendo de su partida y del vacío que deja una ocasión de renacimiento para sus discípulos. Pidiéndoles fe, los impulsa a transformar el miedo hacia lo nuevo y el terror al abandono en valor para entregarse, apoyándose en el Señor que promete ir a preparar un lugar para ellos. Él vive su partida en relación con quien se queda y muestra que no lo está abandonando, sino que está inaugurando una fase diferente de relación con ellos. La separación es en vista de una nueva acogida basada en una promesa precisa: «Os tomaré conmigo» (Jn 14, 2-3).
En una circunstancia difícil como esta es bueno volver a los inicios, cuando los discípulos, futuros apóstoles, tuvieron el primer contacto con Jesús y le preguntaron: «Rabí, Maestro, ¿dónde moras?». Les dijo: «Venid y veréis».
“Permanecer” o “morar”, “venir” y “ver” son los verbos que sobretodo en el Evangelio de Juan describen el camino de fe, la llegada del discípulo y la respuesta a la pregunta de Pedro: «¿Adónde vas, dónde podemos encontrarte y hallarte de nuevo?». Jesús dirá un día: «Permaneced en mi amor, como el sarmiento permanece en la vid, porque yo he guardado los mandamientos de mi Padre y permanezco en su amor. Ese es el lugar donde habito, permanezco y moro» (Jn 15, 9-10).
He aquí la meta del discípulo para la cual no hay necesidad de esperar el tránsito de la muerte, porque está aquí, ahora, disponible para todos, porque Jesús se ha hecho camino. No es una realidad futura que se revelará más allá de esta vida a través de la muerte, un paso difícil para quien debe atraversarlo y un doloroso legado para quien deba convivir con el recuerdo, sino un regalo presente para quien «cree en él» (Jn 14, 12).
Que no sea pues turbado nuestro corazón ante la separación, sino preparémonos desde ahora a reconocer el lugar que a cada uno de nosotros corresponde en la morada eterna que nos aguarda. Que es similar al lugar del discípulo amado quien reclinó su cabeza en el pecho de Jesús en la última cena. Este estaba reclinado en el seno de Jesús (Jn 13, 25), el cual, como dice el prólogo joánico «ha vuelto al seno del Padre y ha abierto el camino» (Jn 1,18), ahora «habiendo llegado su hora de pasar de este mundo al Padre (Jn 13, 1) nos dice: «Nadie va al Padre sino por mí».
Para tratar de proponer las razones no fáciles, pero alcanzables y realizables del Santo Evangelio, la Iglesia se sirve desde siempre de muchos medios, incluida la diplomacia. Esto es el Nuncio Apostólico: un portador y anunciador del Santo Evangelio llamado a realizar la pax Christi en el mundo. Pero intentemos representar todo esto con un ejemplo concreto: en octubre de 1962 el mundo rozó la Tercera Guerra Mundial con la “crisis de Cuba”. Ya los dos interlocutores, Nikita Jrushchov y John Fitzgerald Kennedy no podían hablar ni negociar, porque ninguno de los dos estaba dispuesto a dar un paso atrás. Fue en ese momento trágico cuando intervino el Santo Pontífice Juan XXIII que, es bueno recordarlo, no era propiamente aquel simple campesino representado en ciertas iconografías populares. Provenía del mundo de la diplomacia y había sido un diplomático refinado, especialmente en su función como nuncio apostólico en Francia. Los dos interlocutores acogieron el llamamiento simultáneamente y las cabezas misilísticas en ruta hacia Cuba volvieron para atrás. Pocos meses después, en abril de 1963, el Santo Pontífice publicó su encíclica Pacem in Terris. El mensaje de paz del Evangelio prevaleció gracias a la diplomacia pontificia. Hoy, los libros de historia contemporánea narran que aquella intervención diplomática salvó a la humanidad del riesgo de una Tercera Guerra Mundial.
En lugar de recitar las letanías de las virtudes aludiré a un defecto suyo, para demostrar cómo un servidor de la Iglesia y del Papado puede mutar un defecto en virtud a través de las tres virtudes de fe, esperanza y caridad (cfr. I Cor 13, 1-13), las cuales no se sostienen sobre emociones, o peor aún sobre ideologías viscerales, sino sobre la razón. Fides quaerens intellectum e inversamente intellectus quaerens fidem, es decir: la fe requiere la razón e inversamente la razón requiere la fe, como enunció el padre de la escolástica clásica San Anselmo de Aosta remitiéndose a su vez al pensamiento del Santo Padre y doctor de la Iglesia Agustín obispo de Hipona: credo ut intelligam e inversamente intelligo ut credam, o sea, creo para entender, entiendo para creer. Y finalmente se llega al Santo Pontífice Juan Pablo II que resumió esta relación entre razón y fe en la encíclica Fides et Ratio, fe y razón.
Decidido por temperamento, era capaz de volverse inamovible. En los últimos meses de vida fue debilitado por la enfermedad, pero conservaba su carácter peculiar. Un día, durante su última estancia en la casa de cura romana Villa del Rosario — donde, por cierto, fue atendido de modo excelente por médicos, paramédicos y religiosas —, empezó a considerar correcta una cosa errónea que habría podido ser nociva para él. Se lo dije y, al principio, casi se enojó, pero lo calmé recordándole la página del Evangelio en la cual se narra el discurso en que Jesús dice a Pedro: «“En verdad, en verdad te digo: cuando eras más joven, te ceñías e ibas adonde querías; pero cuando seas viejo, extenderás tus manos, y otro te ceñirá y te llevará adonde no quieras”» (Jn 21, 18). Sonrió y respondió irónico: está bien, te seguiré, pero trata de llevarme adonde yo quiero ir».
A las personas de carácter decidido la Cristiandad debe mucho, basta pensar en el pasaje de los Hechos de los Apóstoles donde se narra que el Beato Apóstol Pablo «discutía con los griegos» (traducción: reñía con ellos); «pero estos buscaban matarlo» (traducción: porque no lo soportaban). «Los hermanos, al saberlo, lo condujeron a Cesarea y de allí lo enviaron a Tarso» (traducción: intentemos salvarle la vida en nombre de la naciente caridad cristiana). Y al cierre la diplomática conclusión de esta crónaca: «Así la Iglesia, por toda Judea, Galilea y Samaria, tenía paz» (que traducido significa: menos mal que se fue) (Hch 9, 29-31). Y sin embargo, ¿cuánto le debemos al carácter decidido y no poco espinoso del Beato Apóstol Pablo?
He honrado su voluntad evitando beatificaciones por medio de relatos épicos y biografías triunfales, como a veces se suele hacer en los funerales, cosas detestadas por él, también porque ninguno de nosotros conoce el juicio de Dios, pero todos sabemos cuán grande es su recompensa para sus siervos fieles, porque solo los hombres de fe forjados por las auténticas virtudes logran mutar en servicio precioso para la Iglesia incluso sus aparentes defectos; y en tal sentido, desde San Pablo hasta San Agustín, la lista de estos hombres extraordinarios es muy larga. No son los hombres decididos por su fuerza de carácter los que dañan a la Iglesia, sino aquellos que no saben decir sí cuando es sí y no cuando es no (Cfr. Mt 5, 37); son débiles orgullosos de su debilidad velada en espiritualismos y misticismos, inconscientes de que nosotros, en la secuela de Cristo, hemos sido llamados a ser la sal y no el azúcar de la tierra (cfr. Mt 5, 13-16). De hecho, cuando fuimos consagrados sacerdotes no se nos regaló un pensimiento empalagoso, el Obispo consagrante nos dijo: «Date cuenta de lo que harás, imita lo que celebrarás, conforma tu vida al misterio de la cruz de Cristo Señor». Todo ello, basado en las palabras del Divino Maestro que nos ha advertido: «Si alguno quiere venir en pos de mí, niéguese a sí mismo, tome su cruz y me siga» (Mt 16, 24-25).
Todo esto él ha buscado comprenderlo, vivirlo y transmitirlo a través de un modo particular de anunciar y llevar el Evangelio: la diplomacia eclesiástica al servicio de la Iglesia de Cristo y de la Sede Apostólica.
La fuente de la verdadera diplomacia eclesiástica está toda contenida en las líneas, dentro de las líneas y más allá de las líneas del Evangelio que, de siglo en siglo, hasta el retorno de Cristo al final de los tiempos, no cesará de poner en evidencia nuestras miserias y nuestras riquezas humanas, nuestros límites y nuestras grandezas, nuestros pecados y nuestras virtudes cristianas. Y en estos tiempos, quizás más que nunca, podemos decir con el Beato Apóstol Pablo: «He combatido el buen combate, he terminado mi carrera, he guardado la fe» (II Tim 4, 6). Porque no es fácil conservar la fe, ni siquiera dentro de aquella sociedad humana que es la Iglesia visible, definida «Santa y pecadora» por el Santo obispo Ambrosio, o siglos después, por el Cardenal Joseph Ratzinger quien meditando en 2005 la novena estación del Vía Crucis lamentó: «¡Cuánta suciedad hay en la Iglesia, y precisamente entre aquellos que, en el sacerdocio, deberían pertenecerle completamente!».
¿Quién es este sacerdote subido al púlpito a predicar en memoria de Adriano obispo? Soy un siervo inútil. Como de hecho dice el Señor Jesús: «“Cuando hayáis hecho todo lo que se os ha mandado, decid: “Somos siervos inútiles. Hemos hecho lo que debíamos hacer””» (Lc 17, 10). ¿Cuál era mi relación íntima con él? Respondo diciendo que en el Evangelio lucano se habla de la gran reserva de la Bienaventurada Virgen María que «por su parte, guardaba todas estas cosas meditándolas en su corazón» (Lc 2, 19).
Escribe el Apóstol a los habitantes de Corinto: «¿Dónde está, oh muerte, tu victoria?» (I Cor 15, 55). Reflexionando sobre este paso al final de su vida, el Sumo Pontífice Benedicto XVI comentó: «No me preparo para el final sino para un encuentro porque la muerte abre a la vida, a la vida eterna, que no es un infinito duplicado del tiempo presente, sino algo completamente nuevo».
Buen viaje hacia lo «nuevo» buen viaje «hacia lo eterno», Adriano obispo, has hecho cuanto debías hacer, como todos nosotros «siervos inútiles», de ello soy testigo como hijo, amigo y hermano. Cada 11 de septiembre, mientras físicamente me sea posible, vendré a este lugar bajo la jurisdicción de la Iglesia particular de San Marino-Montefeltro, a la cual pertenezco como presbítero — aunque no haya vivido en Montefeltro sino en Roma contigo —, para celebrar en tu lugar natal, ya hoy tu lugar de sepultura, una Santa Misa por el alma inmortal del padre, del amigo y del hermano que has sido para mí.
¡Alabado sea Jesucristo!
Santa Maria del Mutino, Monastero di Piandimeleto, 15 Septiembre 2025
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I Padri dell’Isola di Patmos
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L’amaro caso del presbitero Paolo Zambaldi della Diocesi di Bolzano-Bressanone: cronaca di una morte annunciata
/in Attualità/da Padre IvanoPagare di tasca propria per lavorare gratis è un privilegio che solo pochi “eletti” possono permettersi
/in Attualità/da Padre ArielPAGARE DI TASCA PROPRIA PER LAVORARE GRATIS È UN PRIVILEGIO CHE SOLO POCHI “ELETTI” POSSONO PERMETTERSI
Nella sua opera De rerum natura Tito Lucrezio Caro rivolge una critica alla religione indicandola come fonte che genera paura, superstizione e sofferenza, impedendo all’uomo di giungere alla vera felicità, od a quella conoscenza della verità — come afferma il Beato Apostolo Giovanni — che ci renderà liberi. Concetto al quale si rifarà Karl Marx con il celebre aforisma «la religione è l’oppio dei popoli». Avevano ragione tutti e due, Tito Lucrezio Caro e Karl Marx …
— Attualità —
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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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Duole lasciarsi andare alle geremiadi, specie quando si è consapevoli che non servono a niente, solo a manifestare comprensibile disagio fine a se stesso.
Nell’ottobre del 2024 questa nostra rivista ha compiuto 10 anni di attività, nel corso dei quali ha offerto servizi che possono essere più o meno condivisibili per contenuti e impostazioni, ma di indubbia qualità, cosa riconosciuta persino dai nostri avversari e da coloro che non la pensano come noi.
In un mondo cattolico sempre più devastato dal fideismo, da forme di millenarismo dal sapore esoterico, inquinato al presente da tutte le vecchie eresie di ritorno, i Padri de L’Isola di Patmos hanno sempre offerto un servizio improntato sul più aderente ossequio al deposito della fede, alla dottrina e al magistero della Chiesa, combattendo all’occorrenza pericolose derive e recuperando nel corso degli anni non poche persone che si erano smarrite al seguito di vari ciarlatani che oggi abbondano a dismisura, specie grazie ai social media.
Pochi mesi fa si è concluso un complesso pontificato reso complicato da un contesto geopolitico mondiale delicatissimo, il giudizio sul quale spetterà alla storia, che potrà darlo solo in futuro, forse anche tra molti anni. Un pontificato nel corso del quale diverse persone, già di per sé immature e fragili nella fede, sono andate totalmente fuori strada mettendosi in marcia dietro preti usciti fuori equilibrio, finiti sospesi a divinis, scomunicati o persino dimessi dallo stato clericale, seguiti, a loro volta, da laici senza arte né parte che si sono improvvisati ecclesiologi, canonisti e teologi in stuzzicante salsa complottistica alla Dan Brown de noartri. La nostra ultradecennale missione pastorale su L’Isola di Patmos si è incentrate principalmente sul richiamo all’unità con Pietro e sotto Pietro, a prescindere dagli evidenti difetti dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, senza dimenticare che sotto vari aspetti, quel rozzo pescatore galileo scelto da Cristo in persona, non eletto da un conclave di cardinali, a suo tempo si rivelò molto peggiore di tanti pontefici problematici della storia, sia sul piano pastorale che su quello dottrinale, basti pensare a quando giurando e imprecando rinnegò Cristo (cfr. Mt 26, 69-75) o quando ad Antiochia fu redarguito da Paolo su questioni legate alla dottrina della fede (cfr. Gal 2, 11-21)
Premesso che nella vita nulla è dovuto, che tutto va meritato e che tutto è una grazia, va detto però che la mancanza di generosità da parte delle persone — a partire dalle non poche alle quali abbiamo fatto del bene —, induce a prendere atto che l’opera pastorale portata avanti dal 2014 da un gruppo di sacerdoti e teologi forse non merita di essere sostenuta. Per questo suscitano in noi particolare amarezza — ed è difficile negare il nostro sacerdotale disagio in tal senso — le numerose persone che i Padri de L’Isola di Patmos hanno aiutato e sostenuto nel corso degli anni, sanando le loro ferite doloranti dopo che erano state ingannate da “santoni”, “santuzze” e “veggenti”, dinanzi ai quali non esitarono ad aprire i loro portafogli come fossero fisarmoniche, gli stessi che sono rimasti invece chiusi ermeticamente dinanzi alla nostra opera alla quale non hanno mai versato un euro.
C’è poco da stupirsi, sappiamo com’è solito agire quello che una volta si chiamava popolino, già lo sapeva Giovanni Boccaccio quando nel lontano XIV secolo immortalò nel Decameron la paradigmatica Novella 10 dedicata a Frate Cipolla. Basta inebriarlo, il popolino, con la garanzia del vero “segreto” di Fatima finalmente svelato dopo essere stato tenuto nascosto dalla Chiesa bugiarda e mentitrice; oppure ubriacarlo con i “dieci segreti” che una Gospa logorroica e ripetitiva, ormai affetta da evidente demenza senile, avrebbe dato a un gruppo di scaltri zingari bosniaci che grazie a questa grande truffa del Novecento si sono fatti le budella d’oro; oppure drogarlo con qualche madonna che batte i piedi come una narcisista isterica mandando a dire da qualche altro visionario fulminato che vuole essere proclamata a tutti i costi corredentrice e che smercia anch’essa “segreti” in giro per la orbe terracquea, in attesa del magico e definitivo trionfo del suo cuore immacolato. Ebbene sì, diamo questi generi di oppiacei al popolino ed ecco aprirsi come per magico incanto i portafogli. Così avveniva nella Certaldo boccaccesca del XIV secolo così avviene oggi nel Terzo Millennio.
Nella sua opera De rerum natura Tito Lucrezio Caro rivolge una critica alla religione indicandola come fonte che genera paura, superstizione e sofferenza, impedendo all’uomo di giungere alla vera felicità, od a quella conoscenza della verità — come afferma il Beato Apostolo Giovanni — che ci renderà liberi (cfr. Gv 8, 32). Concetto al quale si rifarà Karl Marx con il celebre aforisma «la religione è l’oppio dei popoli». Avevano ragione tutti e due, Tito Lucrezio Caro e Karl Marx, sbagliavano però sia il concetto che il termine confondendo la fede con il fideismo dei beoti al seguito di Frate Cipolla, che nulla hanno da spartire con la purezza della fede, da loro vilipesa e trasformata in parodia grottesca tra madonne parlanti, madonne piangenti, segreti rivelati, profezie catastrofiche e via dicendo a seguire.
Siamo arrivati alla conclusione, triste ma realistica, che in fondo questa gente si merita i vari Frate Cipolla capaci a suscitare in loro pruriti morbosi, facendogli uscire fuori soldi come gli incantatori fanno uscire il serpente dalla cesta al suono dell’ipnotico pungi.
Il paradosso è che L’Isola di Patmos non è un fallimento, tutt’altro: è un successo straordinario e a tratti incredibile. La mole di visite è pari a una media di oltre tre milioni al mese, l’anno 2024 si è chiuso con quasi quaranta milioni di visite totalizzate. Presto detto: se solo lo 0,1% di questi visitatori ci avesse donato un euro, le spese di gestione sarebbero totalmente coperte e ne avremo persino d’avanzo per qualche opera di carità.
Chiunque s’intenda solo un po’ di certi aspetti tecnici, con pochi colpi d’occhio coglie immediatamente la qualità del sito che ospita la nostra rivista, a partire dalla grafica. Offrire la versione stampabile degli articoli, la audio-lettura, spesso anche la traduzione degli stessi in tre lingue, comporta un lavoro redazionale notevole, tutto svolto dai Padri a titolo puramente gratuito. Certo, fa specie che nel corso di un anno solare non si riesca a raccogliere neppure la metà del necessario per il pagamento delle spese vive di gestione e che puntualmente si debba provvedere di tasca nostra al sopraggiungere delle scadenze di pagamento. Perché impiegare le proprie personali risorse per avere il raro privilegio di lavorare gratis per le persone che prendono e non danno, o che dopo avere dato agli scaltri incantatori di serpenti, una volta finito il suono del piffero e con esso l’effetto ipnotico vengono a piangere da noi per essere aiutate e sostenute, è davvero una gran soddisfazione, anzi: è proprio un privilegio, lavorare gratis et amor Dei per queste persone! Ma siamo preti e per quanto tanta sarebbe la voglia, mettere queste persone alla porta, come meriterebbero, è contro la nostra natura ontologica sacerdotale.
L’Isola di Patmos sta concludendo il proprio undicesimo anno di attività senza mai avere conosciuto flessioni ma solo un continuo incremento, lo prova l’alto numero di visite che a partire dal 2016 ci ha obbligati a spostare il sito su un server-dedicato, che costituisce la maggior voce di spesa annuale seguita dalle altre spese per i vari abbonamenti quali l’acquisto dei programmi grafici, audio, video, sistemi di sicurezza… Insomma, stiamo parlando di qualche cosa che funziona e che funziona anche molto bene, ma che non dispone dei mezzi di sussistenza. Per questo abbiamo deciso di darci un altro anno di tempo: se a settembre del 2026 non avremo raccolto tutto il necessario per sostenere le spese del successivo anno 2027, o se non troveremo un ente pubblico o privato disposto a finanziarci, concluderemo la nostra felice e proficua esperienza di apostolato chiudendo la rivista L’Isola di Patmos, conservando sempre il ricordo indelebile di questa esperienza bellissima vissuta nell’unione cattolica d’intenti in piena comunione tra un gruppo di sacerdoti che hanno cercato di testimoniare il Cristo vivo e vero. Come però insegna il Beato Apostolo Paolo nella sua epistola al discepolo Timoteo:
«Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del Vangelo, adempi il tuo ministero» (II Tm 4, 1-4).
E quel giorno oggi è venuto, purtroppo, riteniamo di averne fatto triste spesa anche noi. Però, anche in questo caso, il Santo Vangelo ci insegna:
«Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi».
Dall’Isola di Patmos 31 agosto 2025
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Riscoprire la filosofia della cura: dall’accudimento alla persona al prendersi cura delle possibilità
/in Attualità/da Padre IvanoCarlo Acutis, l’Eucarestia. A volte avere grilli per la testa è sterile e pericoloso
/in Attualità/da Padre GabrieleCARLO ACUTIS, L’EUCARESTIA. A VOLTE AVERE GRILLI PER LA TESTA È STERILE E PERICOLOSO
Abbiamo ascoltato parole profetiche, che non sono solo indirizzate ai professionisti dell’informazione, ma a ciascuno di noi. Perché tutti, oggi, comunichiamo. Lo facciamo in famiglia, al lavoro, sui social, nelle comunità. E ogni parola, ogni immagine, ogni silenzio… è un frammento di cultura, è una scelta di pace o di conflitto. Il Papa ci ha detto che «la pace comincia da come guardiamo, ascoltiamo, parliamo degli altri».

Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.
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La canonizzazione di nuovi santi è sempre un momento di dono per la Chiesa. Per nuove figure che sono modello ed intercessione per noi che rimaniamo. Anche per soffermarci su alcuni temi che quegli stessi santi hanno approfondito e vissuto nella loro vita.
Papa Leone, confermando il cammino svolto finora da Papa Francesco, ha confermato la canonizzazione di due santi: Carlo Acutis e Piergiorgio Frassati per il prossimo 7 settembre. Se dunque innanzi alle nuove canonizzazioni, un minimo di dibattito e di riflessione sono sempre comprensibili, ed anzi auspicabili anche in una linea più teologico speculativa, alcune esasperazioni sui presupposti teologici e dottrinali degli stessi santi può risultare pericoloso e sterile se non addirittura stucchevole.
L’impressione che, mi sembra, ci sia dietro alcuni scritti recenti non sia quella di valorizzare un’opera di un santo, che se come noto, per fede, in sé stesso non ci è ovviamente chiesto di accogliere come quarta persona della Trinità, però non ci è neanche chiesto di usarlo come grimaldello per smontare una visione classica della teologia eucaristica. È il caso di un recente articolo del Prof. Andrea Grillo sulla teologia Eucaristica di Carlo Acutis. Articolo che non ci sembra cogliere a pieno le potenzialità del santo. Vediamo ora di comprenderlo un passo alla volta. Innanzitutto, focalizziamoci su Carlo Acutis.
CARLO ACUTIS: UN SANTO DELL’INTERNET OF THINGS[1]
Carlo Acutis, nato a Londra nel 1991 e trasferitosi a Milano poco dopo, è una figura venerata dalla Chiesa Cattolica, noto per la sua precoce e profonda fede. La sua biografia rivela una vita breve ma intensa, caratterizzata da una straordinaria devozione e un talento eccezionale per l’informatica, che mise al servizio della sua spiritualità. Fin da bambino, Acutis manifestò una notevole inclinazione verso la fede. Questa sua devozione innata lo portava a desiderare ardentemente di ricevere la Prima Comunione, che gli fu concessa in anticipo, all’età di sette anni. Da quel momento, la Messa quotidiana, l’adorazione eucaristica e il rosario divennero pilastri della sua giornata. Frequentò le scuole dalle Suore Marcelline e successivamente l’Istituto Leone XIII, distinguendosi come uno studente brillante e socievole. Parallelamente ai suoi studi, Acutis sviluppò una notevole passione per l’informatica, diventando autodidatta e guadagnandosi l’appellativo di “genio dell’informatica”. Questa abilità non fu per lui un mero hobby, ma uno strumento di evangelizzazione. A soli quattordici anni, creò un sito web dedicato alla catalogazione dei miracoli eucaristici riconosciuti dalla Chiesa, un’opera che divenne uno strumento di evangelizzazione a livello mondiale, attirando l’attenzione di numerosi fedeli. Il suo obiettivo era far conoscere la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, diffondendo la fede attraverso le nuove tecnologie.
Nonostante la sua profonda spiritualità, Acutis era un adolescente come tanti, che amava giocare a calcio, dedicarsi ai videogiochi e stare con gli amici. La sua carità era un tratto distintivo: utilizzava i suoi risparmi per aiutare i senzatetto e dedicava il suo tempo come volontario nelle mense per i poveri. Era anche un punto di riferimento per i suoi compagni di scuola, aiutandoli nello studio e offrendo supporto a chi affrontava bullismo o difficoltà familiari.
Nell’ottobre del 2006, la vita di Acutis fu bruscamente interrotta da una diagnosi di leucemia fulminante. Affrontò la malattia con una serenità sorprendente, offrendo le sue sofferenze per il Papa e per la Chiesa. Morì il 12 ottobre 2006, all’età di 15 anni. La sua fama di santità si diffuse rapidamente, portando all’apertura del suo processo di beatificazione nel 2013. Papa Francesco lo dichiarò Venerabile nel 2018 e nel 2020 riconobbe un miracolo a lui attribuito, aprendo la strada alla sua beatificazione, avvenuta il 10 ottobre 2020 ad Assisi. Il suo corpo è conservato ed esposto alla venerazione ad Assisi.
Carlo Acutis è oggi considerato un modello di santità per i giovani nell’era digitale, spesso chiamato «l’influencer di Dio» o «il cyber-apostolo dell’Eucaristia», per la sua capacità di unire fede e tecnologia.
Essendo personalmente legato all’apostolato di predicazione digitale, ritengo che per questa propensione alla divulgazione della fede in internet sia uno dei punti di luce, in cui tutti i giovani possano prendere modello ed ispirazione, per diventare dei «cyber predicatori digitali», senza per questo diventare bigotti o estremisti.
UNA SCHERMAGLIA ECCESSIVA
Il Professor Andrea Grillo, nel suo articolo Il giovane Carlo Acutis e la maleducazione eucaristica [2], offre una disamina critica dell’interpretazione teologica dell’Eucaristia veicolata dalla figura del Beato Carlo Acutis, con particolare attenzione all’insistenza sui cosiddetti «miracoli eucaristici». Grillo si interroga su come Acutis, un «super-comunicatore», possa essere stato orientato verso una comprensione così «distorta» e «unilaterale» dell’Eucaristia, focalizzata sui «miracoli» anziché sul genuino valore ecclesiale del sacramento.
Il Professore esamina attentamente il sito ufficiale dell’Associazione Carlo Acutis, in particolare la sezione dedicata ai miracoli eucaristici, e analizza criticamente i testi introduttivi redatti dal Cardinale Angelo Comastri, da Monsignor Raffaello Martinelli e dal padre domenicano Roberto Coggi, che fu anche mio docente di filosofia della natura negli anni bolognesi della mia formazione. Grillo definisce questi testi «vecchi … pesanti … ossessivi», suggerendo che essi incarnino una «cattiva teologia» imposta ad Acutis da «cattivi maestri». Egli evidenzia incongruenze e visioni teologiche superate nelle loro scritture, come la prefazione difensiva del Cardinale Angelo Comastri, la giustificazione dei miracoli come “occasioni” per affrontare altri temi da parte di Monsignor Paolo Martinelli, e la comprensione antiquata delle parole della consacrazione di Padre Roberto Coggi. Il Professore sostiene che questa enfasi sui miracoli fisici distoglie l’attenzione dal «vero» e «”unico» miracolo eucaristico, che risiede nella comunione ecclesiale e nell’unità tra il corpo sacramentale e il corpo ecclesiale. La «maleducazione eucaristica», conclude Grillo, non è imputabile al giovane Carlo Acutis, quanto piuttosto agli adulti che hanno promosso queste interpretazioni sbilanciate, proponendo infine una “fissazione distorta sui miracoli eucaristici” come modello per i giovani.
AVERE GRILLI PER LA TESTA
Se da un lato concedo che l’eccessiva attenzione ai miracoli eucaristici «veicolato dagli adulti» in modo devozionalistico e quasi «eucaristolatrico» rischia di non far comprendere il vero senso dell’Adorazione in Gesù Cristo presente in corpo, sangue, anima e divinità e anche nell’Eucarestia quale comunione del nuovo popolo di Dio [3], ci sembra che il focus del professore non sia quello di smontare una falsa devozione eucaristica, ma, quanto al contrario, di minimizzare fino a quasi descrivere come obsoleta la concezione della presenza sostanziale di Cristo nelle specie eucaristiche. Sebbene questo non viene detto esplicitamente, il modus in rebus risulta eccessivo. Se davvero si voleva colpire solo una tendenza «eucaristolatrica», ritengo personalmente più giusto esaltare anche i passaggi di bontà dello stesso Acutis e del suo desiderio di far comunione in Cristo anche tramite internet. Saltando a più pari il riferimento al prossimo santo, ogni riferimento sembra proprio pensato per attaccare la dottrina della presenza reale, senza motivi dottrinalmente validi.
Per cui scherzosamente, rispetto alle posizioni del professore, scrivevo tempo fa che questa propensione ad usare Carlo Acutis come grimaldello per scardinare «i chiusi rimasti a concilio tridentino» o come un trampolino per saltare a piè pari tutta la bellezza della riflessione sulla contemplazione eucaristica, questa propensione è come avere grilli per la testa. Tre salti — in lungo, esagerati e fuori focus — di un grillo che penso vadano un po’ risistemati. Puntualmente adesso cercheremo di rispondere, documenti alla mano, alle posizioni del Professore.
Eucaristia «vecchia» e «fuori moda»? La verità sull’Eucaristia come presenza reale non ha età e non può essere “fuori moda” come probabilmente diventerà una coca cola zero fra quindici anni. La dottrina della Presenza Reale di Gesù nel Santissimo Sacramento è il cuore della nostra fede e un pilastro immutabile, non una «moda» passeggera. Il Concilio di Trento ha solennemente affermato che Cristo è «veramente, realmente e sostanzialmente» presente nell’Eucaristia [4]. Il Concilio Vaticano II, lungi dal negare questa verità, l’ha approfondita, esortandoci a una partecipazione più piena e consapevole al Sacrificio eucaristico [5] .Carlo Acutis, con la sua vita, ci ha semplicemente tentato di ricordarci la bellezza e la potenza di questa verità eterna, dimostrando che essa può infiammare il cuore di ogni generazione. Ha cercato di fare comunione digitale e virtuale a partire dalla comunione reale con Cristo Eucaristico. Se l’Eucaristia è davvero «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» [6] allora non è affatto inessenziale, ma il centro di tutto.
Miracoli Eucaristici vs. il «Vero Miracolo»? I miracoli eucaristici riconosciuti dalla Chiesa, pur non essendo «oggetto di fede» come i dogmi, possono essere un grande aiuto per la nostra fede. Monsignor Raffaello Martinelli, in uno dei testi che presenta la mostra di Carlo, spiega che possono «costituire un utile e fruttuoso aiuto alla nostra fede». Essi sono segni straordinari che Dio, nella Sua infinita sapienza, ci offre per rafforzare la nostra adesione al Mistero. San Tommaso d’Aquino stesso ha spiegato come nelle specie eucaristiche si esprimono sostanzialmente le proprietà della carne e del sangue, anche se tale proprietà ineriscono a Dio per un miracolo [7]. Questo richiamo è davvero necessario per noi che quelle proprietà non potemmo adorarle nel corpo glorioso di Cristo, perché nati secoli e millenni dopo la presenza del Verbo Incarnato sulla terra. Questi fenomeni non eliminano il vero miracolo della Transustanziazione, ma possono aiutare a sottolinearlo in modo visibile, guidando molti a una fede più profonda nella Presenza Reale. Carlo Acutis non ha «trascurato» il vero miracolo, ma ha usato questi segni per condurre altri al cuore di quel Mistero che per lui era «la mia autostrada per il Cielo».
“Maleducazione eucaristica” e «cattivi maestri»? Queste proposizioni del Professore ci sembrano poco prudente. Nessun articolo teologico autorizza a processare le intenzioni di altri teologi. Padre Roberto Coggi, Monsignor Paolo Martinelli e il Cardinale Angelo Comastri sembrano quasi descritti come dei cattivi maestri portatori di una teologia obsoleta e stantia, che, per come descritta, sembra quasi lontana dalla dottrina cattolica. Questo non ci sembra. Leggiamo insieme cosa ci dice la Chiesa. Le parole della consacrazione, come ci insegna il Catechismo (n. 1353), hanno il loro fulcro nelle parole di Cristo: «Questo è il mio Corpo… Questo è il mio Sangue…». Il Messale riformato nel 1970 ha ripreso questa formula traducendola dal latino: e infatti ha così provato le parole essenziali che operano il Sacramento rimangono quelle istituite dal Signore. Come tutto questo possa entrare nel novero della «maleducazione» o della «fantasia», o della cattiva maestria, mi sfugge completamente. Nessuno degli autori succitati, inoltre, ha mai negato l’importanza dell’Eucarestia come Comunione del Nuovo Popolo di Dio, e in particolare il padre Coggi, nel suo bel libro La Chiesa, frutto delle sue meditazioni a Radio Maria, scrive;
«La Chiesa non è presentata dal Concilio solo come il Corpo mistico di Cristo, ma anche come il nuovo Popolo di Dio. Anzi, si può dire che il Concilio ha sottolineato in modo particolare questo aspetto della Chiesa, che cioè la Chiesa è il Popolo di Dio. Lo dimostra il fatto che il Concilio dedica a questo argomento un intero capitolo fra gli otto di cui è costituita la Lumen Gentium. Infatti il secondo capitolo della costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla Chiesa è intitolato: Il Popolo di Dio. Vedere la Chiesa come Popolo di Dio apre molte prospettive. Innanzitutto sottolinea la continuità del Nuovo Testamento con l’Antico Testamento: come Israele era il Popolo di Dio dell’Antica Alleanza, così la Chiesa è il Popolo di Dio della Nuova Alleanza. Inoltre sottolinea l’aspetto storico della Chiesa. Le denominazioni che abbiamo esaminato nelle passate trasmissioni, quando abbiamo detto che la Chiesa è il Regno di Dio, il Tempio di Dio, il Corpo mistico di Cristo, concentrano la nostra attenzione sul legame della Chiesa con Dio, con la Santissima Trinità, con Gesù risorto e glorioso, cioè sottolineano la dimensione eterna della Chiesa. Ma la Chiesa non ha soltanto questo aspetto, che in un certo senso la sottrae al mondo e alla storia. La Chiesa è anche inserita nella storia umana, la Chiesa cammina nel tempo. Dire che la Chiesa è il Popolo di Dio, il Popolo di Dio pellegrinante nella storia verso il traguardo dell’eternità – come l’antico Popolo di Israele peregrinava nel deserto verso la terra promessa -, dire questo è cogliere un aspetto essenziale della Chiesa» [8].
È davvero un passaggio splendido per comprendere anche la Chiesa come popolo di Dio. Insomma l’attenzione alla Presenza Reale non è disattenzione verso i fedeli: ma di un’attenzione al nucleo del Mistero che arriva ai fedeli. Accusare di «cattiva teologia» chi cerca di comunicare la centralità della Presenza Reale, anche attraverso la devozione popolare e i miracoli, significa non comprendere la pluralità e la ricchezza delle vie attraverso cui la fede viene trasmessa e vissuta.
CONCLUSIONI
Il futuro santo Carlo Acutis è un modello di santità proprio per la sua ardente fede eucaristica, un esempio luminoso per tutti noi e per i giovani. Una fede non devozionistica e ancorata a retaggi semipagani o protestanti. Quella di Acutis è una fede eucaristica che ci aiuta a ripetere l’azione del piccolo apostolo Giovanni nell’ultima cena. Egli cioè di fronte a Gesù appoggiò il suo capo sul petto di Gesù sul suo Sacro Cuore. E in quel «accoccolarsi» abbandonò tutto sé stesso a Dio. Così anche noi durante l’adorazione al Santissimo, possiamo appoggiare il nostro capo sul Suo Sacro Cuore. Abbandonare tutte le nostre ansie, tutte le nostre paure, e anche offrendo tutto quello che abbiamo a Lui. Un bel momento di preghiera che, di cuore, auguro anche al Professor Andrea Grillo.
Santa Maria Novella in Firenze, 23 luglio 2025
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Per approfondire
– Concilio di Trento, Sessione XIII, Decreto sull’Eucaristia, Canone 1. Cfr. Denzinger-Hünermann, Enchiridion Symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, n. 1651.
– Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 14.
– Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 11.
– San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, q. 77, a. 1.
– Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1353.
– R.Coggi, La Chiesa, ESD, Bologna, 2002, 81.
NOTE
[1] Sintetizzo da qui https://biografieonline.it/biografia-carlo-acutis
[2] Si veda
https://www.cittadellaeditrice.com/munera/il-giovane-carlo-acutis-e-la-maleducazione-eucaristica/
[3] Non esiste la comunione dei fedeli in Cristo senza la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, sebbene anche questo, en passant, sembra essere assunto dal professore.
[4] Denzinger-Hünermann, n. 1651
[5] Sacrosanctum Concilium, n. 14.
[6] Lumen Gentium, n. 11
[7] Summa Theologiae, III, q. 77, a. 1, Somma Teologica III, q.76,a.8.
[8] R.Coggi, La Chiesa, ESD, Bologna, 2002, 81.
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Carlo Acutis. La fabbrica dei Santi passata al vaglio delle critiche dal teologo Andrea Grillo
/in Attualità/da monaco eremitaCARLO ACUTIS. LA FABBRICA DEI SANTI PASSATA AL VAGLIO DELLE CRITICHE DAL TEOLOGO ANDREA GRILLO
Di recente è stato sollevato un dibattito per certi versi interessante, perfino con qualche punta polemica, scaturito dagli interventi del Professor Andrea Grillo. Le sue puntuali critiche e perplessità erano rivolte a come il Beato Carlo Acutis viene ufficialmente presentato e sulla pubblicità ecclesiastica che si è sviluppata attorno a lui, la quale, a suo dire, risentirebbe di una sensibilità religiosa arretrata, che terrebbe di nessun conto tutto il cammino fatto dalla Chiesa negli anni del post Concilio in tema di Eucarestia.

Autore
Monaco Eremita
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Il popolare detto, «scherza coi fanti, lascia stare i Santi», negli ultimi tempi pare abbia perso di valore nei riguardi di colui che è considerato il beato moderno per eccellenza: Carlo Acutis; prossimamente innalzato agli onori degli altari insieme all’altro giovane beato Piergiorgio Frassati.
Poco tempo fa sono iniziati a circolare commenti circa l’opportunità della canonizzazione di Carlo Acutis; essi provenivano perlopiù ― e lo dico esemplificando molto ―, dagli ambienti cosiddetti conservatori. Gli appunti si addensavano intorno alla velocità del processo di canonizzazione, che appariva a costoro più una promozione della politica ecclesiastica che un invito alla santità. Di seguito sono emerse domande sulla figura del prossimo Santo che poco avrebbe da proporre ai giovani di oggi, i quali viaggiano sulla rete molto più velocemente del Beato ritenuto «genio dell’informatica», solo per aver creato un semplice sito internet sui miracoli eucaristici. E ancora, critiche sono state mosse alla presenza costante della famiglia Acutis; anche questa una novità tollerata dalla Chiesa che invece, in passato, proibiva ogni intervento pubblico dei familiari, come nel caso della madre e dei fratelli della giovane Santa Maria Goretti. Diversa invece la situazione odierna dove le mamme promuovono il figlio santo, oppure i figli e i nipoti che girano a tenere conferenze sul padre, la madre, il nonno o la nonna elevati agli onori degli altari.
Più di recente, da un fronte diverso, è stato sollevato un dibattito per certi versi interessante, perfino con qualche punta polemica, scaturito dagli interventi del Professor Andrea Grillo, docente di Liturgia presso l’Ateneo romano di Sant’Anselmo, riportati sulla sua pagina facebook e sul suo blog. Le sue puntuali critiche e perplessità erano rivolte invece a come il Beato Acutis viene ufficialmente presentato e sulla pubblicità ecclesiastica che si è sviluppata attorno a lui, la quale, a suo dire, risentirebbe di una sensibilità religiosa arretrata, che terrebbe di nessun conto tutto il cammino fatto dalla Chiesa negli anni del post Concilio in tema di Eucarestia. In particolare, egli ha usato l’espressione «mala educazione» riferendosi alla debordante attrazione verso il miracoloso, sottolineata nella presentazione del Beato Carlo. Afferma Grillo:
«Come è possibile che tutto il cammino che la Chiesa ha fatto negli ultimi 70 anni, sul piano della comprensione del valore ecclesiale dell’Eucaristia e della sua celebrazione, sia stato comunicato in modo così distorto al giovane ardente comunicatore, tanto da suggerirgli una comprensione tanto lacunosa, tanto difettosa, tanto unilaterale?».
Egli muove perciò una critica, più che al Beato, mai messo in discussione, piuttosto alla presentazione che di lui viene fatta e, riguardo all’Acutis, se la sua fu una passione verso i miracoli eucaristici, secondo il professore questa non fu ben indirizzata. Da queste affermazioni che ho molto sintetizzato, ne è nato un dibattito che, come sempre accade, prevede favorevoli e contrari. Forse alcune affermazioni del docente sono potute apparire a tratti pungenti, mi riferisco a quelle rivolte ai celebri motti del Beato, che ne hanno decretato la fortuna: «Non io ma Dio» e «Tutti nascono originali ma molti muoiono fotocopie». Ciononostante, alcune domande sollevate sono difficilmente aggirabili, rivolte soprattutto ai promotori della causa di canonizzazione e non al Santo, i quali si sono «fermati» troppo unilateralmente sull’aspetto miracolistico della presentazione dell’Eucarestia.
È probabile che alcune problematiche prima o poi sarebbero emerse, indipendentemente dalla canonizzazione del giovane Beato Acutis, a seguito delle nuove norme emanate da Giovanni Paolo II, anch’egli precoce Santo, le quali hanno permesso di accelerare i tempi per far si che si potessero presentare figure contemporanee, a scapito però della perdita di una prospettiva storica e dell’impossibilità di valutare la permanenza di una memoria e di un’ispirazione. Il discorso in questa circostanza si fa ancor più delicato perché parliamo, fra l’altro, di un ragazzo morto in giovanissima età che, secondo le concordi testimonianze, ha umanamente mostrato grande entusiasmo, generosità e coraggio e che la Chiesa Cattolica ha deciso, con procedure semplificate rispetto al passato, ma non per questo superficiali, di proporre come possibile modello per tutti, soprattutto per i giovani.
Il processo che porta alla canonizzazione di un Santo è complesso e delicato insieme. Alla fine, è come una consegna o un dono che la Chiesa fa a tutti i fedeli, quando riconosce le virtù di uno dei suoi figli. Ma i fedeli ― e questo spesso non accade ―, dovrebbero avere quella necessaria maturità che viene dalla formazione teologica e non solo, quel sensus fidei che porta a un sano discernimento e spirito critico. Pensiamo, per fare un esempio, alla tendenza attuale di considerare tutti i canonizzati come dottori della Chiesa, dando ai loro scritti un valore esorbitante. Mentre invece bisognerebbe sapere che la canonizzazione di un Santo non vuol dire, ipso facto, che tutto quello che egli ha scritto o detto sia da considerarsi oro colato. A maggior ragione quando siamo di fronte alla canonizzazione di un adolescente, che certamente avrà avuto una formazione non completa o esaustiva. Un tempo, per dire, venivano presi in considerazione come santi solo i bambini o gli adolescenti martiri, come nel famoso caso limite degli inconsapevoli, eppure veneratissimi, Santi Innocenti.
Anche se non si vogliono esasperare i problemi dottrinali messi in luce dal prof. Andrea Grillo, di comprensione dell’Eucaristia soprattutto, ma anche riguardo al destino eterno ― mi riferisco alle affermazioni del nostro Beato circa il desiderare di saltare il purgatorio grazie alle sofferenze ospedaliere ― è indubbio che si addice ai pastori e a seguire ai fedeli la capacità di saper discernere sapientemente ogni cosa, sapendo tirar fuori, secondo il detto evangelico: «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).
A mio avviso, il dono che il Beato Carlo Acutis sta facendo alla Chiesa è proprio questo. Egli purtroppo, come sappiamo, non ha avuto il tempo per sviluppare una conoscenza strutturata della teologia eucaristica o di altri aspetti del mistero cristiano e si è fermato a una intuizione che è divenuta in lui passione e devozione. Certo, è facile per noi citare San Tommaso d’Aquino, insigne teologo, lì dove discute dei miracoli eucaristici e ne limita il significato (cfr. Summa Theologiae, III, 76, 8) e metter ciò a confronto di quella che può apparire una fissazione adolescenziale del nostro Beato. Ma il fatto è appunto questo: che così confronteremmo un discorso teologico con qualcosa che non è discorso teologico e non vuole esserlo. È appunto passione e devozione. Non tutto può essere perfetto come lo vorremmo o ci aspetteremmo. Lo abbiamo visto nel caso emblematico di Medjugorje, dove la Santa Sede ha preferito alla fine promuovere l’esperienza religiosa che in quel luogo si vive, mentre ha declassato la saldezza dei messaggi mariani che da lì sono partiti, ritenendoli solamente presunti, di fatto non riconoscendoli autentici.
Casomai possiamo chiederci — e in questo ci aiuti il Beato Carlo Acutis — come mai dopo il Concilio di Trento sono nate tante devozioni che hanno arricchito l’esperienza cristiana, che mettevano al centro la semplicità di vita, l’interiorità, la vita comune? Era un movimento molto più laicale che clericale, che non aveva di per sé una sua teologia elaborata e strutturata, eppure traduceva la fede cristiana in una sensibilità, in pratiche, in modi di vivere. E invece questo non è avvenuto a seguito dell’ultimo Concilio. Non siamo stati capaci di rinnovare quelle devozioni, né farne nascere di altre, nonostante tutto lo sforzo teologico ed ecclesiologico del movimento liturgico che, se da un lato aveva ridimensionato molte devozioni, dall’altro offrì contenuti, approfondimenti e nuove occasioni per cammini rinnovati. Come è possibile che una comprensione così ricca e vitale non sia diventata anche devozione, sensibilità e forma di linguaggio? Così oggi ci troviamo di fronte a un adolescente Beato moderno che si è gettato con passione tutta giovanile su aspetti dell’Eucarestia considerati devozionali, come i miracoli eucaristici, al quale non sono pervenute tutte le acquisizioni più recenti su quell’importante Mistero. E, stando alla presentazione che viene fatta di quel Beato, sembra che tutta quella ricchezza non sia passata neanche ai promotori della causa di Carlo Acutis, finanche a coloro che promuovono forme che lasciano, per così dire, perplessi, come quella di una trasmissione youtube 24h su 24h del sepolcro del Beato Carlo.
La domanda sul perché non abbiamo oggi devozioni che tengano conto della ricchezza delle ultime acquisizioni, che sappiano legare vita liturgica e testimonianza di fede improntata al Vangelo, con al suo centro l’Eucarestia che insieme è approdo e sorgente della vita del credente e delle comunità, non è così peregrina. Alla luce di altri due fatti, il secondo dei quali alquanto doloroso. Il primo è che tutto il corso del processo che ha portato alla beatificazione e ora alla canonizzazione del Beato Acutis, come pure alla diffusione del suo culto, si sono svolti durante il pontificato di Papa Francesco. In Carlo troviamo l’esempio, infatti, di quella «santità della porta accanto» a cui accenna l’esortazione papale Gaudete et exultate del 2018. Addirittura, l’esortazione post sinodale del 2019, Christus vivit, nomina esplicitamente il Beato, pur essendo all’epoca ancora venerabile e gli dedica persino più di un rimando (nr. 104-107). Qualcuno ha chiesto: Come è possibile, anche da questo punto di vista, che nulla di «conciliare» sia stato trasmesso; visto che Papa Francesco è stato salutato come primo Pontefice figlio del Concilio?
Il secondo fatto è che oggi, stando alle inchieste sulla religiosità in Italia e in particolare quella dei giovani, si deve ammettere che se abbiamo da un lato un ragazzo prossimo Santo con una passione e devozione verso l’Eucarestia, forse poco formate; dall’altro c’è una grande maggioranza di ragazzi e giovani che non hanno alcuna devozione verso l’Eucarestia, tantomeno al «valore ecclesiale dell’Eucaristia e della sua celebrazione». E questo, per quasi tutti di loro, dopo anni e anni di catechismo e formazione in gruppi specifici. Anche qui qualcuno ha detto, probabilmente esagerando, ma senza andare troppo lontano dal vero, che è rimasta loro solo un «qualche valore umanitario ed ecologico».
Perché tutte queste domande e i dibattiti scaturiti dalla canonizzazione del Beato Carlo Acutis non rimangono uno sterile esercizio o, come spesso accade ultimamente anche dentro la comunità ecclesiale, un segnare il proprio campo, prendendo ancora le distanze dagli altri che pensano diversamente, sarebbe utile farne tesoro. E quindi sarebbe importante una riflessione a tutti i livelli, cominciando dai più alti nella Chiesa, su come riprendere un cammino di formazione alla vita cristiana dei giovani che sia serio, che tenga conto dei vissuti molteplici, ma anche di ricominciare a offrire un cibo solido ai ragazzi, senza tediarli certo, ma neanche prendendoli semplicemente per il pelo, perché altrimenti scappano o si annoiano. Certo qualcosa si sta facendo, ma credo sia giunto il momento di non perdere altro tempo. I tesori della Parola di Dio, della vita liturgica, la comprensione della Chiesa rispetto a questi e alla sua Tradizione, le mille e più esperienze e testimonianze della vita cristiana hanno bisogno di essere di nuovo posti al centro per farli diventare cultura e perché no, anche devozione, passione per la vita cristiana vissuta in tempi moderni. Per l’impegnativo compito immagino che la Chiesa si aspetti la consistente intercessione dei due prossimi Santi.
Dall’Eremo, 23 luglio 2023
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Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)
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Social media e ignoranza. Se la storia è scritta dai vincitori, dei vili terroristi assassini diventano martiri della libertà
/2 Commenti/in Attualità/da Padre ArielSOCIAL MEDIA E IGNORANZA. SE LA STORIA È SCRITTA DAI VINCITORI, DEI VILI TERRORISTI ASSASSINI DIVENTANO MARTIRI DELLA LIBERTÀ
I terroristi possono essere tali se l’ideologia da loro seguita perde e finisce sconfitta, come nel caso delle Brigate Rosse, ma possono diventare eroi e martiri della libertà se l’ideologia da loro seguita vince e si impone come potere di governo. Se infatti l’islamismo radicale avesse vinto e soggiogato gli Stati Uniti d’America, oggi a New York l’abbattimento delle due Torri Gemelle verrebbe celebrato allo stesso modo in cui si celebra in Francia la presa della Bastiglia e il rovesciamento del governo di Luigi XVII.
— Storia e attualità —

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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Più si abbassa nella società il quoziente intellettivo medio, più è necessario spiegare anche le cose ovvie. L’errore che spesso noi studiosi facciamo in ambito teologico come nelle sfere di tutte le più disparate scienze, dalla medicina all’astrofisica, è dare per scontate cose che riteniamo ovvie e che di fatto lo sono pure, trattandosi degli elementi più rudimentali delle varie scienze o del semplice e basilare umano buonsenso. Purtroppo, è necessario tenere conto che oggi si è più propensi a seguire gli influencer analfabeti e i tiktoker, inclusi certi preti che si sono lanciati in questi giochi demenziali (cfr. QUI).
Come sempre spieghiamoci con un esempio: numerosi influencer convinti che «un nano ha il cuore troppo vicino al buco del culo» perché non hanno capito la iperbole ironica della canzone Un Giudice di Fabrizio de André (testo QUI), usano in senso dispregiativo la parola medioevo, ignorando che il bagaglio d’arte, scienza e tecnologia di cui oggi noi disponiamo lo dobbiamo tutto al medioevo. Non solo, perché se oggi conosciamo gli autori classici; se la cultura, la letteratura e la filosofia greca e romana è stata tramandata sino a noi è solo grazie al medioevo, incluse le poesie più lussuriose di Valerio Gaio Catullo, che non solo la Chiesa si è ben guardata dal censurare o distruggere, perché se oggi le conosciamo è grazie a essa e ai monaci amanuensi che le hanno trascritte e tramandate nei secoli.
Se in quelle zone dell’Etruria che fu territorio dello Stato Pontificio fino al settembre del 1870, la Chiesa non avesse salvato e conservato affreschi murali e vasellami che raffigurano scene falliche, orge e rapporti omosessuali tra uomini, quei patrimoni etruschi e romani sarebbero andati perduti. Proprio come avvenne altrove, dove a governare non era la Chiesa, ma i governi liberali “illuminati” che giudicarono scandalose e immorali certe rappresentazioni e per questo le distrussero.
L’impianto del moderno diritto lo dobbiamo ai grandi glossatori bolognesi vissuti tra l’XI e il XII secolo e l’elemento fondamentale di civiltà giuridica della tutela e della legittima difesa dell’imputato lo dobbiamo proprio a quel processo inquisitorio sul quale sparano a raffica persone ignare e ignoranti circa il fatto che essere condannati dai Tribunali della Santa Inquisizione era difficilissimo. E furono proprio i tribunali dell’inquisizione a sancire un altro elemento che oggi fa parte delle giurisprudenze penali di tutti i paesi cosiddetti civili del mondo: la pena mirata al recupero, non alla punizione dettata da istinti di vendetta, perché attraverso la pena il condannato non va punito ma recuperato. Pronta la replica dell’ignorante: «Erano date condanne a morte!». E qui bisogna ribadire che le condanne a morte non erano rare ma rarissime, precisando che vanno collocate e lette in contesti storici ai quali non sono applicabili i criteri di giudizio di oggi, basterebbe spiegare che persino la condanna a morte era un atto estremo teso al recupero del condannato. Per questo i condannati erano vestiti di bianco, segno della purezza, perché con la morte pagavano il proprio debito ed estinguevano la loro colpa riacquistando quella che in linguaggio cristiano si chiama “purezza battesimale”. E i loro corpi, dopo la morte, dovevano essere trattati con rispetto e seppelliti con riguardo.
Alle spiegazioni storiche ribatte tosto l’ignorante: Giordano Bruno è stato bruciato al rogo, altro che ucciso e sepolto con rispetto!». Certo. E secondo quella che era la logica sociale, politica, giuridica e religiosa dell’epoca fecero bene a bruciarlo al rogo. Fu lui che sbagliò con rara ostinazione. Fu sottoposto a due processi, uno a Venezia e uno a Roma. Col secondo processo romano fu dato nuovamente avvio ex novo all’intero iter processuale che durò in totale otto anni, nel corso dei quali intervennero due annullamenti per risibili difetti di forma, allo scopo di dare al Bruno quanto più tempo possibile per potersi ravvedere. Per anni fu tentato di indurlo al ravvedimento, che ostinatamente rifiutò. Inutile dire e spiegare a certa gente che si nutre e abbevera di leggende nere che non si può valutare e giudicare il caso Bruno con i criteri di giudizio del nostro presente sociale, politico, giuridico e anche religioso. Sarebbe come condannare con grida di scandalo, mediante l’applicazione del pensiero contemporaneo, certe pratiche degli uomini della preistoria ritenute a nostro parere disumane e criminali.
Molti sono i fatti storici manipolati dal XVI secolo per opera di autori protestanti e dalla fine del XVIII inizi XIX da liberali-anticlericali nel periodo successivo la Rivoluzione Francese. Tutt’oggi rimane cosa ardua, se non pressoché impossibile smentire certe leggende nere ormai assurte a verità impresse persino su testi scolastici di storia. Come nel caso della vicenda che vide protagonisti nella Roma pontificia del 1867 Gaetano Tognetti, 23 anni, Giuseppe Monti, 33 anni, oggi celebrati come indiscussi eroi e patrioti del Risorgimento. I due sedicenti eroi, nella sera del 22 ottobre 1867 piazzarono e fecero esplodere una potente carica di esplosivo che distrusse quasi completamente la caserma di Serristori, ubicata in una traversa della attuale Via della Conciliazione, a poche decine di metri dalla Papale arcibasilica di San Pietro. In questa caserma alloggiava una compagnia di zuavi pontifici. L’esplosione causò la morte di venticinque militari e di due civili. Se poco prima una numerosa compagnia non fosse uscita dallo stabile, il numero di morti sarebbe stato assai maggiore. L’ispiratore di questo attentato fu principalmente Francesco Cucchi, deputato al Parlamento di Firenze, che con altri sodali si servirono dell’opera dei due attentatori, finiti poi scoperti, arrestati, processati e condannati a morte.
Due anni dopo la loro esecuzione, a unità d’Italia avvenuta e con Roma diventata sua capitale, i due attentatori furono celebrati come eroi e fatti passare alla storia come “martiri della libertà”. Nel 1977 il regista italiano Luigi Magni scrisse e diresse un film di becera matrice anticlericale esaltando queste due figure e falsando totalmente il quadro storico dell’ultimo squarcio di vita dello Stato Pontificio, ormai ridotto al solo territorio di Roma e di parte della attuale Regione Lazio.
Gaetano Tognetti e Giuseppe Monti non furono degli eroici patrioti ma dei vili terroristi che uccisero in un attentato dei giovani in fascia d’età compresa tra i 18 e i 25 anni, tutti perlopiù componenti la banda musicale. Molte più di ventisette in totale avrebbero potuto essere le vittime, se un’intera compagnia non fosse uscita d’improvviso da quello stabile.
Nessuno dei regnanti europei, a partire dai Savoia, offrì diplomatico aiuto a Pio IX, chiedendo la grazia dei condannati e la commutazione della condanna alla pena capitale in carcerazione, pur sapendo che in quel momento il Romano Pontefice doveva fare i conti con i genitori delle giovani vittime e la popolazione romana ferita e arrabbiata per la loro morte, inclusa quella di una bimba di cinque anni, Rosa, morta sul colpo assieme al padre Francesco Ferri, mentre la madre, Giuseppa Cecchi, si salvò cadendo a terra stordita. Una volta ripresi i sensi impazzì completamente, tanto che fu necessario internarla nel manicomio di Santa Maria della Pietà, dove in seguito morì.
Questa reale narrativa dei fatti non è mai passata nei leggendari racconti del glorioso Risorgimento Italiano, come provano libri pseudo-storici, romanzi e persino produzioni cinematografiche di registi anticlericali.
In virtù di quella che fu la reale vicenda storica, ci saremmo dovuti guardare dal mutare a posteriori questi due terroristi in leggendari eroi per opera della propaganda liberale-anticlericale, con tanto di strade, quartieri e monumenti a loro dedicati. Ciò equivarrebbe a erigere oggi a Roma, in Via Fani, dove fu rapito nel 1978 il primo ministro Aldo Moro e uccisi i suoi agenti di scorta, un monumento celebrativo in onore delle eroiche e patriottiche Brigate Rosse. Imprimendo a seguire sui libri di storia che le Brigate Rosse non costituirono un pericoloso movimento terroristico che si macchiò di omicidi e attentati nel corso degli anni Settanta del Novecento, ma un eroico gruppo di liberatori, intitolando al nome di ciascun terrorista strade e piazze.
I terroristi e gli attentatori possono divenire eroi ed essere celebrati come tali a seconda di chi vince la guerra e a seguire scrive le cronache, mutando ideologie e leggende in falsi storici presentati ai posteri come storia-patria, con tanto di film di grande diffusione, scopo dei quali è instillare nelle masse sempre più incolte disprezzo e odio verso la Chiesa Cattolica e il Papato, nello spregio totale delle verità storiche. I terroristi possono essere tali se l’ideologia da loro seguita perde e finisce sconfitta, come nel caso delle Brigate Rosse, ma possono diventare eroi e martiri della libertà se l’ideologia da loro seguita vince e si impone come potere di governo. Se infatti l’islamismo radicale avesse vinto e, sempre per esempio, soggiogato gli Stati Uniti d’America, oggi a New York l’abbattimento delle due Torri Gemelle verrebbe celebrato allo stesso modo in cui si celebra in Francia la presa della Bastiglia e il rovesciamento del governo di Luigi XVII, senza cenno alcuno alle esecuzioni sommarie o ai processi farseschi interamente basati su false delazioni che dettero poi vita a un immane bagno di sangue sulle ghigliottine.
Lo storico olandese Pieter Geyl (1887-1966) affermò che «La storia è sempre scritta dai vincitori». Molti secoli prima, il filosofo greco Aristotele scrisse nella sua opera politica: «Le bugie dei vincitori diventano storia mentre quelle dei vinti vengono scoperte».
Frase tutt’altro che facile da interpretare, quella di Aristotele, che il filosofo e politico italiano Rocco Buttiglione chiarì in modo lapidario interloquendo proprio sulle pagine dei social media:
«Esiste la scienza storica che ha le sue regole: il controllo delle fonti, la verifica della coerenza logica delle affermazioni, l’obbligo della completezza dell’informazione. La scienza storica vuole appurare “was eigentlich geschehen” (ciò che veramente è accaduto). Ciò non elimina ma pone un limite alla partigianeria. C’è la propaganda di guerra dei vincitori che cerca di affermarsi come verità ufficiale. C’è anche la propaganda di guerra dei vinti, che periodicamente viene riscoperta e opposta alle versioni ufficiali degli avvenimenti. C’è però anche la ricerca storica seria che valuta tutti i dati disponibili. Spesso la frase “la storia è scritta dai vincitori” è usata dai vinti per riabilitare la propria propaganda di guerra. È bene tenerlo a mente per distinguere fra il revisionismo storico serio e quello che serio non è» (cfr. QUI).
Oggi, dalla Russia all’Ucraina sino al Medio Oriente, la storia si sta ripetendo, con i peggiori prepotenti già all’opera per fabbricare i prossimi falsi eroi della patria da celebrare.
Dall’Isola di Patmos 12 luglio 2025
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