“Gratis et amor Dei”? Fuori discussione l’ “amor Dei”, mentre sul “gratis” è bene valutare e se il caso evitare. Una nuova veste de L’Isola di Patmos

GRATIS ET AMOR DEI ? È FUORI DISCUSSIONE L’AMOR DEI, MENTRE SUL GRATIS È BENE VALUTARE E SE IL CASO EVITARE. UNA NUOVA VESTE DE L’ISOLA DI PATMOS

A molti basta un telefonino tra le mani e un collegamento a Internet per credere che la cultura e la conoscenza debbano essere gratuite, se non peggio: che siano dovute. A questo modo, tutto ciò che non ha un costo rischia di diventare intrattenimento, se non peggio motivo di lite e aggressione da parte degli odiatori seriali e degli attaccabrighe internetici.    

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Cari Lettori,

il 20 ottobre questa rivista ha compiuto 10 anni di attività pubblicistica. I Padri redattori avrebbero voluto ritrovarsi tutti assieme per festeggiare, ma impegni di vario genere in diverse parti d’Italia non l’hanno consentito. Sono stati dieci anni molto belli, di continua crescita e incremento, senza mai conoscere flessione. Dal 1° gennaio 2024 a oggi abbiamo già superato i 30 milioni di visite.

Nel corso dell’ultima assemblea il Consiglio delle Edizioni L’Isola di Patmos Onlus, proprietaria di questa rivista, ha confermato il Dott. Jorge Facio Lince nella carica di presidente dell’Associazione e me come direttore responsabile della testata giornalistica L’Isola di Patmos

Correva l’anno 2011, quando recandomi in visita a un anziano sacerdote gli portai in omaggio il mio libro E Satana si fece trino. Analisi sulla Chiesa del terzo millennio. Mi disse l’anziano:

«Ti ringrazio e leggerò il tuo libro, però ti do un consiglio: non regalare le tue opere a destra e a sinistra, ciò che viene regalato spesso non è apprezzato. Scrivere certi libri costa impegno, studio e sacrifici di vario genere. Certi libri possono richiedere anni di lavoro, se qualcuno li vuole leggere, se li compri».

Feci tesoro di quel saggio insegnamento pensando anche ad altri risvolti, forse ignorati da quell’anziano, come il modo in cui certi scritti e lavori sono disprezzati e criticati a botte d’insulti da parte di soggetti più o meno anonimi che impazzano per i social media e che di certi articoli hanno letto solo il titolo, al massimo il sottotitolo.

Oggi la Pietà di Michelangelo si trova posta al riparo dietro un vetro, ond’evitare così che qualche altro folle possa vandalizzarla a martellate come accadde nel 1972.

Per evitare che le nostre cattedrali monumentali seguitassero a essere prese d’assalto da orde barbariche interessate solo a farsi selfies, non di rado anche danni, visto che entrare e uscire non costava niente, fu imposto il biglietto d’ingresso per ovviare problemi del genere.

A molti basta un telefonino tra le mani e un collegamento a Internet per credere che la cultura e la conoscenza debbano essere gratuite, se non peggio: che siano dovute. A questo modo, tutto ciò che non ha un costo rischia di diventare intrattenimento, se non peggio motivo di lite e aggressione da parte degli odiatori seriali e degli attaccabrighe internetici.    

I Padri de L’Isola di Patmos hanno così deciso di mettere un “biglietto” in forma di abbonamento annuale per accedere a tutti quegli articoli teologici e di attualità che richiedono particolare lavoro, tempo e dedizione. Il costo dell’abbonamento è di 5 euro al mese, per un totale di 60 euro all’anno. I proventi saranno usati per il pagamento delle spese vive di questa nostra rivista che ammontano annualmente a 5.200 euro.

Si è soliti dire gratis et amor Dei. Fuori discussione è L’amor Dei, mentre sul gratis è bene valutare e se il caso evitare, specie quando non è opportuno, meno che mai dovuto. Sulla riconoscenza, invece, è meglio sorvolare …

Siamo riconoscenti ai Lettori che ci hanno sostenuti nel tempo e ringraziamo anticipatamente coloro che avendo compreso il significato, il valore e la qualità che viene offerta, vorranno contribuire sostenendo la rivista.

dall’Isola di Patmos, 27 ottobre 2024

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Quella luce della fede che restituisce la vista ai ciechi

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

QUELLA LUCE DELLA FEDE CHE RESTITUISCE LA VISTA AI CIECHI

I discepoli devono finalmente aprire gli occhi, soprattutto quelli del cuore e della fede, per vedere bene ciò che sta per accadere, e cioè lo scandalo del Messia sconfitto, cogliendone tutto il suo significato e valore salvifico.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Vi sono molti racconti nei Vangeli, in cui si mette in evidenza la sollecitudine e la premura con cui Gesù si prende cura dei malati: egli li cura nel corpo e nello spirito e raccomanda ai suoi discepoli di fare altrettanto.

il chirurgo Grazia Pertile (a destra) durante un intervento alla retina nell’Ospedale di Negrar (Verona)

Quando Giovanni Battista manda due suoi discepoli a chiedere un contrassegno del Messia, Gesù afferma la propria identità con le parole: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito; i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti resuscitano» (Lc 7, 22). In questa Domenica, trentesima del tempo ordinario, ascoltiamo proprio della guarigione di un cieco.

«In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (Mc 10,46-52).

Il Vangelo odierno ci racconta l’ultimo miracolo compiuto da Gesù durante la sua vita terrena, se non prendiamo in considerazione la menzione di Matteo: «Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì» (Mt 21,14); e l’episodio, narrato da Luca nel racconto della passione, quando Gesù risana l’orecchio del servo del sommo sacerdote colpito da uno dei suoi (Lc 22, 51).

Questa guarigione del cieco Bartimeo è emblematica, poiché nel piano narrativo del secondo Vangelo, subito dopo aver detto: «la tua fede ti ha salvato», Gesù riprende velocemente il cammino. Il verso iniziale completo che recita: «E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla» (v. 46) esprime infatti tutta la fretta di Gesù di portare a termine il suo viaggio che lo porterà a Gerusalemme dove si compirà il suo destino umano e la sua missione. Manca ancora un breve tratto in salita (cfr Lc 10,30) e il cieco ormai guarito: «prese a seguirlo per strada» (v. 52).

Tenendo così presenti questi accenni e, in particolare, che la guarigione avviene a questo punto del ministero di Gesù, in prossimità della sua passione, comprendiamo che per Marco essa possa avere un valore simbolico rilevante. Come a voler dire che i discepoli devono finalmente aprire gli occhi, soprattutto quelli del cuore e della fede, per vedere bene ciò che sta per accadere, e cioè lo scandalo del Messia sconfitto, cogliendone tutto il suo significato e valore salvifico. Il racconto marciano del viaggio di Gesù ha avuto come intento principale quello di mostrare chi è Colui di cui si sta parlando. Non a caso lo scritto del secondo Vangelo è intimamente orientato verso il momento in cui il centurione romano, di fronte alla morte in croce di Gesù Cristo, dice: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È presso la Croce che si svela il mistero di Gesù Cristo. Secondo le intenzioni narrative di Marco l’identità di quel «Nascosto» che era Gesù (cfr il «segreto messianico) e che solo in momenti particolari, come la Trasfigurazione, si era rivelata agli occhi di pochi discepoli, adesso, al momento della crocifissione, è palesata attraverso le parole di un pagano.

Chi ha letto il Vangelo di Marco fin qui si ricorda che all’inizio del suo viaggio verso Gerusalemme Gesù aveva guarito un altro cieco. Un episodio che è stato più volte riprodotto dai pittori nel corso dei secoli, insieme a quello del cieco nato di Gv 9. Quella volta la guarigione fu alquanto macchinosa e per ben due volte il Signore dovette imporre le mani sugli occhi del cieco che iniziava a vedere pian piano. Infatti invece di vedere persone vedeva «alberi che camminano» (Mc 8,24). Ora, quasi alle porte della città santa, per guarire Bartimeo non serve più il gesto dell’imposizione delle mani, ma soltanto la fede è necessaria.

Si capisce così che Marco non ha solo voglia di narrare un consueto atto di potenza da parte di Gesù, ma, soprattutto in questo momento, fare di esso una catechesi sulla vera fede, nascosta fra le pieghe del testo e valida per i credenti d’ogni generazione. Bartimeo che grida verso Gesù, che lo invoca forte: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!», mentre gli altri gli intimavano di star zitto, è l’esempio del discepolo che cerca insistentemente da Gesù la salvezza, mostrando in Lui fiducia. Questa fede di Bartimeo costringe Gesù a fermarsi, «Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!», ed è tanto forte, come la sua voce, che Gesù non ha bisogno di toccarlo, ma questa sola basta perché il miracolo avvenga: «E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». Lungo il viaggio descritto in Mc 8,22-10,52 Gesù ha insegnato ai suoi discepoli chi Egli sia, ciò che lo aspetta a Gerusalemme e cosa significhi seguire lui. Ma i più vicini a Gesù non lo hanno capito, hanno cercato piuttosto onori e primazie. Questo cieco che chiama Gesù col titolo messianico di Figlio di Davide e che interpellato si rivolge a Lui con quella variante aramaica, Rabbuni maestro mio, conservata solo qui da Marco e poi da Giovanni quando Maddalena riconosce Gesù Risorto (Gv 20, 16), esprime in questo modo il desiderio di ogni credente di alzare lo sguardo da terra, di vedere di nuovo, di sollevare la vista; la vista a questo punto della fede. Così possiamo interpretare quel verbo (ἀναβλέψω, anablepso) utilizzato da Marco per esprimere la volontà del cieco: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».

Bartimeo ricevuto il dono della vista e della fede si incammina sulla strada di Gesù, quella che porta a Gerusalemme. Diviene l’emblema del discepolo che ha riconosciuto chi è Gesù e non si scandalizza se la sua strada lo porterà alla sofferenza e alla morte per mano delle autorità giudaiche e romane, perché grazie alla fede intravede il mistero salvifico nascosto in esse.

E da ultimo un’annotazione ormai riconosciuta da diversi esegeti. Questo cieco porta un nome curioso che non ritroviamo in alcun elenco di nomi del tempo di Gesù. Un nome per metà aramaico (bar) e per metà greco: il figlio di Timèo. Se il Vangelo di Marco, come riporta un’antica tradizione, fu scritto a Roma, diversi lettori istruiti e colti di allora non potevano non pensare al Timeo, uno dei più importanti dialoghi di Platone. È possibile che anche questo, nell’intento di Marco, sia un velato accenno. Non a caso Bartimeo si chiama così, come un greco, travestito da mendicante cieco attraverso il quale la cultura greca cerca un contatto con Gesù.

Scopriamo così che nascosta fra le pieghe di quello che inizialmente poteva apparire come l’ennesimo racconto di un miracolo, è celata la testimonianza di un’autentica fede e la ricerca sincera di un contatto fra culture. Del resto Marco ci aveva già abituato all’incontro del cristianesimo con mondi diversi. Pensiamo all’indemoniato Legione nella terra dei geraseni (Mc 5, 1) e alla donna di lingua greca che domanda a Gesù la guarigione per la figlia (Mc 7, 24-30). 

L’opera di Marco, come si evince dai dati interni al testo, quali la conoscenza di diverse parole latine, è tradizionalmente ritenuta il Vangelo portato nel cuore del paganesimo, Roma, ed emanazione della predicazione di Pietro in quella città. Nella figura di quel povero cieco al bordo della strada tra Gerico e Gerusalemme vi è forse racchiusa la speranza di uomini e donne di ogni parte che desiderano vedere e credere in Gesù per seguirlo.

Dall’Eremo, 27 ottobre 2024

 

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Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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