Il Cavallo di Troia arcobalenato dei cattolici perfetti, Sora Maria chiusa per omofobia a causa della grattachecca e il foeniculum al mercato ortofrutticolo al posto del finocchio fuorilegge

—  Attualità ecclesiale —

IL CAVALLO DI TROIA ARCOBALENATO DEI CATTOLICI PERFETTI, SORA MARIA CHIUSA PER OMOFOBIA A CAUSA DELLA GRATTACHECCA E IL FOENICULUM AL MERCATO ORTOFRUTTICOLO AL POSTO DEL FINOCCHIO FUORILEGGE

Molti tra di noi appartengono alla generazione cosiddetta giovanpaolista, non pochi divenimmo in seguito sacerdoti colpiti da quel richiamo lanciato dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II all’epoca in cui eravamo appena adolescenti: «… non abbiate paura, aprite: spalancate le porte a Cristo e alla sua salvatrice potestà!». E per aprire a Cristo e farlo regnare nella sua Chiesa, all’occorrenza è necessario sbarrare con forza le porte ai gai cavallini di Troia arcobalenati che rivendicano il “sacrosanto diritto” al peccato.

 

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Dinanzi al fallimento del Ddl Zan il Padre Ivano Liguori e io pubblicammo un saggio nel novembre del 2021 intitolato Dal Prozan al Prozac. Libro che non ha perduto attualità, semmai l’ha acquistata, come altre nostre opere dove gli autori hanno guardato al futuro senza lasciarsi intrappolare dalle emozioni sociali del presente e analizzando certe derive fallimentari in divenire.

Questo libro fu dedicato alla memoria del grande attore di teatro Paolo Poli, di cui riportammo nel retro di copertina un’espressione boccaccesca molto forte. Frase che costituisce il paradigma di quei soggetti che si sentono dei perfetti cattolici arcobalenati e che come tali non possono tacere, al punto da reclamare il diritto ad avere la gallina, l’uovo e il culo caldo, come recita questo sapiente detto della saggezza popolare emiliano-romagnola (An s’pol brisa aver galina, ov e cul cald).

 

A riguardo di certi cattolici perfetti arcobalenati che non possono tacere Paolo Poli commentò:

«Vedo molta omologazione, un appiattimento della propria individualità, anche nell’apparire: tutti vestiti uguali in uno stereotipo pseudo-maschile, logicamente etero […] I gay potrebbero avere la possibilità di esprimere una propria unicità e diversità nel senso più vero del termine. Invece no, vogliono giocare a marito e moglie e avere il permesso del Papa per potersi inculare! Ma dai! Lasciamo stare» (Paolo Poli, intervista del 17 dicembre 2003)

Questo è il problema, raffigurato ormai vent’anni fa in modo plastico da questo artista che era inorridito dalle parate del Gay Pride e che faceva abituale uso di termini come «froci … froce … finocchi … finocchie … checche …», quindi un pericolosissimo omofobo mascherato sotto le spoglie di uno dei più grandi e celebri artisti omosessuali del Novecento.

Oggi siamo spettatori di diversi pericolosi squilibri legati alla violenta negazione di un concetto cristologico che sta a fondamento della nostra Cristianità: il compito della Chiesa non è di amoreggiare con le tendenze del mondo, ma di combatterle. È pertanto raccapricciante e pericoloso che in giro per le Diocesi d’Italia si stiano moltiplicando incontri e veglie di preghiera contro la cosiddetta omofobia all’insegna del politicamente corretto. Sui manifesti che annunciano queste iniziative c’è una ostentazione di sigle che fanno vario riferimento ai «cattolici LGBT» o gruppi di «omosessuali cattolici» [vedere QUI, QUI, QUI, etc …].  

 

Chiariamo: non si tratta di essere né rigorosi né intransigenti, perché se un cattolico è tale o desidera esserlo, non può rivendicare il diritto a praticare l’omosessualità e a costituire associazioni LGBT di cattolici, perché commettere peccati rientra nella piena libertà umana. Va però chiarito che il peccato commesso ― sebbene permesso da Dio in virtù della libertà e del libero arbitrio donato all’uomo ― non è un diritto. E tra i vari peccati gravi la sodomia rimane tutt’oggi un peccato che grida al cielo [Cfr. Catechismo nn. 2357-2359]. Poi, che non esista peccato superiore alla grazia e alla misericordia di Dio, questo è un fondamento della nostra fede. In questione non sono però né la grazia né il perdono, ma che certi non meglio precisati «cattolici LGBT» o «cattolici omosessuali» stiano ormai rivendicando, in gruppi costituiti e organizzati, il diritto all’esercizio di una sessualità che è in totale contrasto con tutti i principi della morale cattolica. Ma c’è di peggio: questi gruppi, lungi dal cercare la grazia e il perdono di Dio, si stanno infiltrando nelle nostre strutture ecclesiali, diocesane e parrocchiali per rivendicare da una parte il “diritto” al peccato, dall’altra per spiegare che nei concreti fatti a sbagliare non sono loro, ma la Chiesa. E questo è inaccettabile, perché la Chiesa di Cristo, madre e maestra, in materia di dottrina e di fede non sbaglia, perché gode di una assistenza speciale dello Spirito Santo inviato da Cristo Dio a Pentecoste, il quale la regge e la governa.

Siamo dinanzi a un gaio cavallo di troia arcobalenato fatto entrare in modo scellerato da molti nostri vescovi all’interno della Città Santa, con tutte le devastanti conseguenze che a breve ne deriveranno. I vescovi che per non avere problemi di impopolarità stanno appoggiando o tollerando questa invasione, sono avvolti da una grave confusione su un nostro preciso fondamento: la Chiesa respinge il peccato ma accoglie sempre il peccatore, soprattutto i peggiori peccatori. Se non lo facesse tradirebbe nel peggiore dei modi la missione che Cristo Dio le ha affidato. Proprio in questo sta però la confusione e lo smarrimento, lo vado dicendo e spiegando da anni, ma non mi stanco di ripeterlo: oggi corriamo il rischio di accogliere non più il peccatore ― che ribadisco va sempre accolto ―, ma il peccato istituzionalizzato, sino a genuflettersi timorosi all’insegna del politicamente corretto dinanzi ai vari gruppi LGBT che rivendicano una strana idea di cattolicità, sino a pretendere che la Chiesa dichiari che il male non è tale ma bene. Anzi peggio: accusando di omofobia chi indica il male e il peccato come tali, organizzando a tal scopo persino incontri di preghiera per chiedere a Dio la conversione dei poveri omofobi che indicano la sodomia come turpe peccato, rifiutando di quanto sia “meraviglioso” che due maschi si accoppino dichiarando di farlo per puro amore e sentendosi proprio per questo con la loro eccentrica coscienza “cattolica” in perfetto ordine.

Già anni fa sollevai questo quesito: quando una coppia di lesbiche che si sono fabbricate un figlio con l’inseminazione artificiale, o quando una coppia di gay che se lo sono comprato da un utero in affitto si presenteranno a chiedere il Santo Battesimo per la loro creatura, i nostri prudenti e lungimiranti vescovi, come intendono agire e reagire? Volete che descriva certe scene in anticipo? Presto fatto: in simili infauste occasioni ci ritroveremo nelle chiese tutto il gotha delle lobby LGBT, alle quali niente interesserà del battesimo, perché il loro scopo sarà solo dimostrare, tramite la pubblica profanazione di un Sacramento, che hanno piegato la Chiesa di Cristo ai loro capricci perversi. O vogliamo negare quanto sia in sé perverso e disumano che certe coppie si “fabbrichino” dei figli? E dinanzi a una coppia di lesbiche, o a una coppia di uomini sodomiti fieri e orgogliosi, quale prete avrà il coraggio di accogliere questi soggetti come genitori e fargli poi pronunciare le promesse battesimali? Come si può chieder loro di rispondere: «Rinunci a Satana … e a tutte le sue opere … e a tutte le sue seduzioni?». Qualcuno pensa realmente di chiedere a Satana di rinunciare a sé stesso? Perché due omosessuali che si sono “sposati” e poi “comprati” un bambino da un utero in affitto e che dichiarandosi “genitori” lo portano a battezzare all’unico scopo di piegare la Chiesa ai loro capricci diabolici, sono Satana in persona che irride un Sacramento di grazia, al quale si andrebbe a chiedere nei concreti fatti: Satana, prometti di rinunciare a te stesso?

Dinanzi a casi di questo genere, può mancare forse il cattolico “per caso” o il cattolico “si fa per dire” pronto a tuonare che la creatura, a prescindere da chi la presenta, non ha colpa e va in ogni caso battezzata per essere liberata dal peccato originale? Temo che al cattolico “per caso” o al cattolico “si fa per dire” sfugga questo dato teologico: esistono i mezzi ordinari di salvezza, ossia i Sacramenti a noi donati da Dio e amministrati attraverso il ministero della Chiesa, a seguire i mezzi straordinari di salvezza, che sono quelli esercitati da Dio, al di là dei Sacramenti e a prescindere dai Sacramenti stessi, di cui Dio non ha alcun bisogno per salvare le anime, che può redimere quando e come vuole, senza dover chiedere il permesso né alla dottrina né alla morale cattolica, tanto meno ai cattolici perfetti, perché Lui può derogare scegliendo altre vie, ma noi no.

Quindi sarà bene negare in modo deciso e categorico il Sacramento del Battesimo ai bambini di queste coppie che la Chiesa non può accettare come genitori, come modelli e come educatori alla vita cristiana, in quanto perversi e pervertitori. Se poi la creatura, giunta all’età della ragione, chiederà liberamente lei stessa il Battesimo, in quel caso faremo gran festa facendoglielo amministrare direttamente dal vescovo durante la Santa Veglia di Pasqua. Ma ai capricci del Demonio la Chiesa non può piegarsi, mai e in alcun caso.

Sempre in casa nostra abbiamo poi un’altra categoria di cattolici perfetti: quelli che sostengono l’omosessualità tristemente diffusa anche tra i sacerdoti, molti dei quali hanno portato questa piaga all’interno del nostro clero, costituendo quella che in un mio libro di 12 anni fa, E Satana si fece trino, indicai con profonde analisi e in anticipo sui tempi come Lobby gay ecclesiastica. Una lobby ormai molto potente, influente e parecchio dannosa.

Sbagliando gravemente, qualcuno potrebbe pensare che i non pochi preti gay che inquinano il clero siano protetti dalle frange cosiddette progressiste, ma non è così. A sostenerli sono perlopiù quei cattolici perfetti inebriati dalle trine barocche e mascherati da conservatori con uno sguardo eccitato verso i tradizionalisti, pronti a farsi beffa di un vescovo che indossa una mitria che non è di loro estetico gusto, per poi urlare poco dopo all’omofobo verso chi osa parlare della piaga dei preti omosessuali, che dentro la Chiesa non dovrebbero avere cittadinanza, perché un presbitero omosessuale praticante costituisce la peggiore profanazione del sacerdozio cattolico. Soprattutto, quando certe gaie checche ecclesiastiche raggiungono ruoli di governo, possono recare danni enormi, produrre ingiustizie terribili e colpire degni e santi sacerdoti non intenzionati a piegarsi ai capricci e agli umori di certi despoti clerical gay al potere.

Questi novelli cattolici perfetti si sono dati ormai alla pubblica caccia dell’omofobo, vedono omofobi ovunque. Con risultati a volte persino ridicoli e grotteschi. Ecco due diversi esempi: giorni fa, a Roma, sono passato per Via Trionfale e con mio grande stupore ho scoperto che il casotto della mitica Sora Maria che ha prodotto e offerto ai romani la grattachecca sin dal lontano 1933, è chiuso. Pare che la povera Sora Maria sia al momento sotto processo per avere offeso la comunità LGBT con la sua grattachecca, con tanto di gaia e agguerrita associazione radicale per la difesa di non meglio precisati diritti che si è costituita persino parte civile al processo. Ma c’è di peggio. Girando tra le bancarelle del mercato ortofrutticolo in Campo dei Fiori, notai che Sor Ernesto aveva esposto su una cassa il nome e il prezzo di un ortaggio scrivendo: «Foeniculum 4 euro al chilo». Mi avvicino a lui e gli dico: «’a Sor Ernè, ma che ce stai a pija perculo? Nun te sei preso manco ‘a licenza media e mo’ sei deventato pure latinista?». Sor Ernesto si è spaventato a morte, mi ha invitato a parlare a bassa voce, poi, tirandomi da parte, ha sussurrato che tempo fa era stata presentata una denuncia alla Procura della Repubblica di Roma da una associazione LGBT perché la parola «finocchi e finocchio» era un termine omofobo e non doveva essere più usata nel mercato ortofrutticolo. Anche in questo caso, la stessa gaia e agguerrita associazione radicale per la difesa di non meglio precisati diritti si era costituita parte civile pure in quel processo. 

Molti tra di noi appartengono alla generazione cosiddetta giovanpaolista, non pochi divenimmo in seguito sacerdoti colpiti da quel richiamo lanciato dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II all’epoca in cui eravamo appena adolescenti: «… non abbiate paura, aprite: spalancate le porte a Cristo e alla sua salvatrice potestà!». E per aprire a Cristo e farlo regnare nella sua Chiesa, all’occorrenza è necessario sbarrare con forza le porte ai gai cavallini di Troia arcobalenati che rivendicano il “sacrosanto diritto” al peccato.

Intendiamo rimanere romani indomiti, liberi di poter dire senza paura grattachecca e finocchio, con buona pace dei cattolici perfetti che massacrano un vescovo per una mitria che non è di loro gusto, ma che poche righe dopo benedicono l’abominio della desolazione: l’omosessualità diffusa tra il clero, che nella Chiesa non può essere mai e in alcun modo tollerata. Perché la Chiesa accoglie da sempre il peccatore, soprattutto i peggiori peccatori, ma non può e non potrà mai benedire il peccato, specie se lo chiedono le gaie viperelle mascherate da cattolici perfetti che sparano a raffica su tutto e su tutti. Mentre noi, da uomini navigati che siamo, nonché da veri e reali conoscitori di quella curia romana che tanto eccita la insana libido di certi gay estetici che proprio non la conoscono e che per questo non la sanno minimamente analizzare, stiamo sul ponte in meditabonda attesa, sapendo quanti siano stati in numero, soprattutto di più intelligenti, potenti e cattivi, che abbiamo visto passare sotto trascinati via dall’acqua del fiume. Figurarsi se non vedremo passare a breve anche una piccola e sciocca viperella.

 

dall’Isola di Patmos, 20 maggio 2023

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Ci fosse stato un solo politico italiano cacciatore professionista di pulci che ha fatto un sospiro sul modo in cui Volodymyr Zelenskyj ha violato il protocollo

CI FOSSE STATO UN SOLO POLITICO ITALIANO CACCIATORE PROFESSIONISTA DI PULCI CHE HA FATTO UN SOSPIRO SUL MODO IN CUI VOLODYMYR ZELENSKYJ HA VIOLATO IL PROTOCOLLO

Non stiamo a parlare di formalità o di formalismi, ma di protocollo istituzionale, che non si regge su futili forme esteriori, ma si basa proprio sul rispetto dovuto a chi ti accoglie: sia il Paese, sia il suo Capo di Stato, sia il suo Primo Ministro. 

— Notizie in breve —

Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

 

 

 

 

 

 

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L’Autocrate dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyj — perché tale è al pari del suo omologo russo Vladimir Putin: un autocrate — si è presentato in visita ufficiale di Stato in Italia con un abbigliamento non semplicemente indecoroso, ma proprio irrispettoso.

Non stiamo a parlare di formalità o di formalismi, ma di protocollo istituzionale, che non si regge su futili forme esteriori, ma si basa proprio sul rispetto dovuto a chi ti accoglie: sia il Paese, sia il suo Capo di Stato, sia il suo Primo Ministro. Pertanto, uno che si comporta a questo modo denota due cose:
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1) io posso permettermi tutto;
2) io sono io e voi non siete un … come diceva il mitico Marchese del Grillo in un celebre film di Alberto Sordi entrato ormai nella storia.
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In omaggio per questo abbigliamento caccia&pesca potevano anche regalargli una canna … da pesca. Ce ne fosse stato uno solo, tra quei nostri numerosi politici cacciatori professionisti di pulci, che avesse fatto un sospiro, uno solo.
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Bisogna riconoscere che Vladimir Putin, quando manca di rispetto a persone e istituzioni lo fa perlomeno in modo più subdolo ed “elegante”, ad esempio presentandosi per due diverse volte in visita ufficiale dal Sommo Pontefice in ritardo: nel 2013 con 50 minuti e poi a seguire nel 2015 con un’ora e 10 minuti di ritardo. Della serie: “Io sono lo zar della Grande Russia, posso permettermi questo e altro, ma volendo altro ancora”.
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dall’Isola di Patmos 14 maggio 2023

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.https://www.youtube.com/watch?v=ltEAQNopUYM&t=2s

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Il Sacramento del Matrimonio di Padre Gabriele Giordano M. Scardocci a Santa Maria Novella in Firenze. Siete invitati: vi aspettiamo!

IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO DI PADRE GABRIELE GIORDANO M. SCARDOCCI A SANTA MARIA NOVELLA IN FIRENZE. SIETE INVITATI: VI ASPETTIAMO!

Invitiamo i nostri Lettori che si trovano a Firenze e dintorni a partecipare all’appuntamento per festeggiare il Sacramento del Matrimonio di Padre Gabriele Giordano M. Scardocci il 17 maggio alle ore 18:00 presso il Convento di Santa Maria Novella in Firenze.

— Novità editoriali —

Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

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Questa pubblicazione del Padre Gabriele Giordano M. Scardocci centrata sugli aspetti del matrimonio nelle Summe dell’Aquinate ha il pregio di dimostrare come oggi il pensiero di questo Santo Dottore della Chiesa è stato perfezionato e migliorato, ma non superato, perlomeno al momento.

In questo nostro presente storico bisognerebbe accettare che avremmo più che mai bisogno di ascoltare coloro che sono venuti prima di noi e che ci hanno lasciato il meglio di se stessi per costruire il presente in divenire e per il nostro futuro in fieri, a partire da due grandi giganti come Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino.

Il valore principale di questo testo possiamo coglierlo “tra” e “nelle” righe, ed è anzitutto quello della testimonianza familiare del Padre Gabriele: il libro si apre con i ringraziamenti alla famiglia perché è solo dopo aver ricevuto, osservato e partecipato che si può meditare qualcosa d’importante come il dono del matrimonio sul quale fare poi una indagine speculativa. Questo è il filo conduttore di tutto il libro dove ai quesiti sulle tematiche così attuali e allo stesso tempo così aride e spinte a generare divisione e incomprensione nella società attuale ― come per esempio la indissolubilità del matrimonio ― l’Autore risponde anzitutto in quanto figlio, poi come teologo, infine attraverso il dono della grazia sacramentale del sacerdozio che ha ricevuto.

La caratteristica principale che risalta in questo lavoro è l’uso che il Padre Gabriele fa del consolidato metodo dell’Aquinate: fondare le speculazioni su ciò che hanno detto i Santi Padri e dottori della Chiesa cogliendo il meglio di ognuno di loro prima di rispondere con le proprie parole. Non si può costruire niente dal nulla o dall’immaginazione, si costruisce attraverso il patrimonio di sapienza a noi lasciato da questa grandi Autorità Morali della Chiesa facendo tesoro di ciò che ci hanno lasciato.

L’Autore parte riprendendo la Summa contra gentiles, l’opera dell’Aquinate più filosofica che presenta una possibilità non solo di riscoprire o conoscere oggi l’opera del Doctor Angelicus, ma dimostra come le tematiche del matrimonio si possono riscontrare per mezzo dell’esercizio della ragione in qualsiasi uomo, società o cultura, anche in forma primitiva o molto elementare. 

L’Autore spiega in che modo quello sessuale non è solo un atto di procreazione ma un atto nel quale l’uomo, come altri animali, deve essere presente da lì in avanti per soddisfare tutte le necessità della vita umana sia della femmina (donna) che dei figli, quindi l’emissione dello sperma non è un atto egoistico, non è finalizzato al piacere e basta, o solo per la riproduzione, ma un primo atto che si perpetua e si aggiorna nel divenire come coppia e come genitore, successivamente come padri. Questo al contrario delle tante coppie che si riproducono senza aver mai pensato a fare i genitori e quindi a essere padre e madre.

La nozione di parità tra uomo e donna non è stata una lotta degli ultimi decenni, uno slogan elevato a pilastro sociale contemporaneo. Padre Gabriele spiega e dimostra che la femmina non è solo un oggetto e un mezzo di riproduzione o di abbellimento della propria vita alla maniera di un trofeo, ma deve essere compagna, dunque rispettata anche quando comincia a passare il tempo e l’incanto giovanile estetico deve lasciare spazio ad altre bellezze più genuine e delicate che nascono dell’interiorità umana e dal correre della vita stessa.

In conclusione finisce per risaltare nell’opera l’argomentazione sul bisogno di stabilità e di sicurezza nei rapporti umani che non sono solo certezza e veridicità di un sentimento, ma anche un valore antropologico necessario per l’uomo chiamato a vivere un senso e una pienezza profonda del suo essere singolo e sociale.

Invitiamo i nostri Lettori che si trovano a Firenze e dintorni a partecipare all’appuntamento per festeggiare il Sacramento del Matrimonio di Padre Gabriele Giordano M. Scardocci il 17 maggio alle ore 18:00 presso il Convento di Santa Maria Novella in Firenze.

dall’Isola di Patmos, 13 maggio 2023

Beata Vergine Maria di Fatima

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«Dei delitti e delle pene». Le immancabili stravaganze di certi preti alla luce del Mistero Pasquale

«DEI DELITTI E DELLE PENE». LE IMMANCABILI STRAVAGANZE DI CERTI PRETI ALLA LUCE DEL MISTERO PASQUALE

Nella Istruzione Redemptionis Sacramentum, è forse scritto che per certi abusi liturgici, alcuni dei quali sono veri e propri “delitti”, è prevista la pena, per esempio della sospensione a divinis del sacerdote per un congruo periodo di tempo? Si prevede forse, per quelli più gravi, la rimozione dall’ufficio di parroco? No, perché forse questo modo di fare non sarebbe caritatevole e misericordioso, quindi il nostro legislatore esorta, istruisce e nei propri documenti si lamenta con cuore franto, mentre chi abusa seguita a farlo in totale mancanza di precise pene. 

— Pastorale liturgica —

Autore
Simone Pifizzi

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C’è una celebre opera di Cesare Beccaria scritta nel 1764 che s’intitola Dei delitti e delle pene, dove si parla soprattutto della prontezza e della certezza della pena. Quante volte, nel nostro Paese, specie di fronte a situazioni di criminalità più o meno diffusa, abbiamo udito la frase e il lamento «manca la certezza della pena»? A dire il vero ciò che manca è l’applicazione della pena, perché in quanto a esistere, le pene ci sono e sono scritte e ben dettagliate. Invece noi, su questo problema Dei delitti e delle pene, non ci interroghiamo nemmeno, perché nei vari documenti e atti del Magistero della Chiesa degli ultimi decenni la parola “sanzione” o “pena” non esiste proprio, due sono infatti le cose essenziali che di prassi vengono fatte: si lamenta con cuore franto certe situazioni che proprio non vanno, poi si esorta con documenti che spesso si chiamano proprio per questo “esortazioni” o “istruzioni”, come per esempio la Istruzione Redemptionis Sacramentum, nella quale si istruisce con cuore trepidante e afflitto a non fare certe cose.

 

Sono andato a sfogliare il Codice di Diritto Penale e i testi di varie leggi prese a caso, ed ho scoperto, con mio grande stupore, che per ogni figura di reato è prevista una pena, che può essere una pena a un certo numero di anni di carcere, oppure una sanzione amministrativa per i reati meno gravi, attraverso l’obbligo al pagamento di una somma di danaro stabilita. Abituato come sono allo stile dei documenti nostri, mi sono chiesto perché, il legislatore, non si sia a limitato esortare e istruire che certi reati non si commettono, manifestando tutto il proprio “impotente” dolore per quelli che invece vengono commessi.

Nella Istruzione Redemptionis Sacramentum, è forse scritto che per certi abusi liturgici, alcuni dei quali sono veri e propri “delitti”, è prevista la pena, per esempio della sospensione a divinis del sacerdote per un congruo periodo di tempo? Si prevede forse, per quelli più gravi, la rimozione dall’ufficio di parroco? No, perché forse questo modo di fare non sarebbe caritatevole e misericordioso, quindi il nostro legislatore esorta, istruisce e nei propri documenti si lamenta con cuore sfranto, mentre chi abusa seguita a farlo in totale mancanza di precise pene. 

Per parlare del tema degli abusi liturgici, alcuni dei quali ormai istituzionalizzati e divenuti quasi una norma in certe parrocchie o in certi gruppi laicali cattolici, prenderò quello che è il cuore della nostra liturgia: la Pasqua.

Durante il Triduo Pasquale di quest’anno 2023 i nostri Lettori ci hanno inviato tra la sera del Giovedì Santo e il Sabato mattina fotografie e filmati dinanzi ai quali noi Padri de L’Isola di Patmos, che pure siamo navigati, oltre che consapevoli delle stravaganze di cui purtroppo sono capaci certi nostri confratelli, abbiamo stentato a credere, pur dinanzi a foto e documenti.

Vi offriamo solo una piccola rassegna di ciò che è pervenuto in redazione durante il Santo Triduo Pasquale, soprattutto riguardo la riposizione del Santissimo Sacramento all’interno dei Sepolcri presso gli altari della riposizione il Giovedì Santo e quanto accaduto a seguire il Venerdì Santo.

Giovedì Santo. In una cappella della riposizione è stato allestito un tavolo da pranzo con le sedie, apparecchiato con tovaglia, piatti, posate e bicchieri, di lato il tabernacolo con il Santissimo Sacramento, probabilmente per indicare che Nostro Signore Gesù Cristo, anziché sulla croce, è morto al termine di un pranzo assalito da un repentino colpo apoplettico. In un’altra cappella della riposizione la pisside con il Santissimo Sacramento è stata messa sopra un tavolo con attorno una ciambella di salvataggio, al posto dei fiori sono stati disposti dei giubbotti di salvataggio appesi, come se Nostro Signore Gesù Cristo, anziché in croce, fosse morto annegato in mare mentre dalla Giudea tentava di sbarcare come clandestino sulle coste del Mediterraneo. E ancora a seguire: il Santissimo Sacramento riposto all’altare della riposizione dentro un fornetto a microonde, pare per simboleggiare in che modo il Signore riscaldi i cuori (!?).

Altare della reposizione forse ispirato al musical: «Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più, se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu …» (Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria, Rutigliano)

Venerdì Santo. Le immagini e i filmati che ci sono pervenuti fanno sorgere in noi il serio quesito se certi preti abbiano mai letto l’Ordinamento Generale del Messale Romano e se durante la formazione prima e lo svolgimento del sacro ministero a seguire, abbiano realmente capito che cos’è il Triduo Pasquale, per esempio leggendo un’opera del Novecento scritta dal teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, in edizione italiana “La teologia dei tre giorni” (1969). Opera che offre una meditazione del mistero pasquale secondo la scansione dei tre giorni: il mistero del venerdì santo (la croce nella vita di Gesù, l’Eucaristia, l’agonia), il mistero del sabato santo (in cui il Cristo fa l’esperienza della “seconda morte”), il mistero della Pasqua come teologia della risurrezione e della glorificazione del Figlio. Il Venerdì Santo, giorno in cui si commemora la passione di Cristo Signore, nel corso di una liturgia austera e silenziosa tutta incentrata sulla adorazione della croce, è mai pensabile che si possa cantare al suono di chitarre e tamburelli ritmati allegre canzoncine da campo-scuola, scandendo persino «alleluia, alleluia” in ritornelli di canti del tutto inappropriati e fuori luogo? Qualcuno ha forse dimenticato l’omissione dalla liturgia del Gloria e dell’Alleluia durante il periodo quaresimale, o le cosiddette “campane legate” il Giovedì Santo che torneranno a suonare solo nel giorno di Pasqua assieme al canto del Gloria e dell’Alleluia per rendere lode al Risorto dai morti?

Un altro autore che ci ha guidati nel mistero della teologia del Triduo Pasquale è stato il fiorentino Padre Divo Barsotti, che in una sua predicazione del 1987 spiegò il senso mistagogico della “discesa agli inferi” di Gesù Cristo, articolo di fede contenuto anche nel Credo Apostolico in cui recitiamo «[…] patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte». Domandiamoci: quanti sono oggi i fedeli cattolici che comprendono il senso della “discesa” in quegli inferi indicati nell’antica tradizione anche come Shéol o Αιδην, il “regno dei morti” dove Gesù Cristo morto discese con l’anima unita alla sua Persona divina, per aprire le porte del cielo ai giusti che l’avevano preceduto (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 631-635).

Altare della riposizione dentro il barchino con le reti, Chiesa del Buon Pastore di Diamante

Il Triduo Pasquale, nella sua simbologia, racchiude una grande e sapiente pedagogia, una somma catechesi per il Popolo dei credenti, che non può essere certo finire svilita da stravaganze inscenate quasi sempre all’insegna del politicamente corretto del momento.

Vediamo adesso cosa è liturgicamente quel triduo pasquale che conclude con quella che la Chiesa indica come la Madre di tutte le Veglie, nella speranza che possa servire di riflessione per la prossima Pasqua 2024. Il Triduo Pasquale è la realtà della Pasqua del Signore, celebrata liturgicamente e sacramentalmente in tre giorni: il Venerdì Santo, che fa memoria viva della Passione e Morte del Signore; il Sabato Santo, in cui la Chiesa sosta al sepolcro del Signore; la Domenica di Pasqua che celebra la gloriosa Resurrezione di Cristo. Caratteristica delle celebrazioni del Triduo è che sono organizzate come un’unica liturgia, per questo motivo la Missa in Coena Domini non termina con ite missa est (”la Messa è finita”), bensì in silenzio. L’azione liturgica del venerdì non comincia con l’usuale saluto e con il Segno della Croce e termina anch’essa senza saluto, in silenzio. Infine la solenne veglia comincia in silenzio e termina con il saluto finale.

Il Triduo Pasquale costituisce un’unica solennità, la più importante di tutto l’Anno liturgico cattolico. Dal Gloria della Messa del Giovedì a quello della Veglia le campane devono stare in liturgico silenzio. Anticamente anche gli strumenti musicali dovevano tacere il Venerdì e il Sabato Santo, fino alla Veglia Pasquale, per meglio esprimere il senso penitenziale di questi giorni. Per questo molte composizioni di autori antichi per il Venerdì Santo furono scritte per solo coro. Oggi tuttavia è permesso l’uso degli strumenti musicali durante le celebrazioni di queste giornate, anche se solo per sostenere il canto. 

Vertice e centro gravitazionale dell’intero Triduo è la Solenne Veglia Pasquale nella Notte Santa. Con la celebrazione della Missa in Coena Domini, la sera del Giovedì Santo ha inizio il Triduo Pasquale della Passione, morte e Risurrezione di Cristo, culmine di tutto l’anno liturgico e cuore della fede e della preghiera della Chiesa (cfr. SC 102). Il Giovedì Santo la Chiesa ricorda l’Ultima Cena di Gesù nella quale il Signore Gesù, la vigilia della Passione, spinse all’estremo il suo amore per i suoi che erano nel mondo, offrì al Padre il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino e, donandosi come nutrimento ai suoi apostoli, comandò loro di perpetuarne l’offerta in sua memoria, istituendo di fatto il sacerdozio della Nuova Alleanza. Obbediente al comando del Signore, la Chiesa celebra la Santa Cena, sentendosi impegnata a tradurre nella vita di ogni giorno lo stile di servizio e di amore fraterno (cfr. il segno della lavanda dei piedi, proprio della liturgia del Giovedì Santo) che ha nel Sacrificio del Signore, sacralmente presente nell’Eucaristia, il suo senso e la sua fonte. I testi che vengono usati in questa celebrazione sottolineano l’aspetto sacrificale dell’Eucaristia e il suo carattere di memoriale del sacrificio del Signore (altro che “Cena Santa…”), annunziato e prefigurato dagli avvenimenti dell’Esodo di Israele dall’Egitto, col simbolo dell’agnello immolato e del passaggio dell’angelo del Signore per colpire i primogeniti di Egitto (I lettura); “memoriale” che il beato Apostolo Paolo descrive come rito celebrato da Gesù nella cena pasquale con i suoi apostoli, segno della nuova ed eterna Alleanza tra Dio e gli uomini, sigillata e ratificata col suo stesso sangue (II lettura). Infine – strettamente legato alle due letture – il brano evangelico di Giovanni ci mostra Gesù che pur essendo maestro e Signore, si fa servo, lavando i piedi ai suoi apostoli. Con questo gesto il Signore Gesù voleva manifestare che la sua missione era il più grande servizio che Dio rivolgeva agli uomini per salvarli: lavarli dai peccati e nutrirli con il suo Corpo e il suo Sangue.

Il Prefazio di questa Messa riassume l’ineffabile mistero dell’amore divino:

«Sacerdote vero ed eterno, egli istituì il rito del sacrificio perenne; a te per primo si offrì vittima di salvezza, e comandò a noi di compiere l’offerta in sua memoria. Il suo Corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo Sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa».

Al termine della Missa in Coena Domini del Giovedì Santo, l’Eucaristia viene riposta e custodita nell’altare della Reposizione, chiamato nel linguaggio popolare di alcune regioni del sud Italia sepolcro. Termine improprio in quanto non simboleggia la morte di Gesù ma è il luogo in cui adorare l’Eucaristia. Il termine giusto è altare o cappella della Reposizione. Parliamo dello spazio della chiesa allestito, al termine della Missa in Coena Domini, per accogliere le specie eucaristiche consacrate, conservandole sino al pomeriggio del Venerdì Santo, quando verranno distribuite ai fedeli per la comunione sacramentale. Le Sacre Specie vengono così riposte per essere adorate durante la notte. È tradizione che gli altari della reposizione siano addobbati in modo solenne, con composizioni floreali o altri simboli: non devono essere il luogo della stravaganza o della forzatura di segni che nulla hanno a che fare con l’unico scopo di invitare i fedeli all’adorazione. La lettera circolare della Congregazione del Culto Divino del 16 gennaio 1988 dal titolo Preparazione e celebrazione delle feste pasquali precisa a proposito dell’altare della reposizione quanto segue:

«Il Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso. Non si può mai fare l’esposizione con l’ostensorio. Il tabernacolo o custodia non deve avere la forma di un sepolcro. Si eviti il termine stesso di “sepolcro”. Infatti la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare “la sepoltura del Signore”, ma per custodire il pane eucaristico per la comunione, che verrà distribuita il venerdì nella passione del Signore. Si invitino i fedeli a trattenersi in chiesa, dopo la messa nella cena del Signore, per un congruo spazio di tempo nella notte, per la dovuta adorazione al Santissimo Sacramento solennemente lì custodito in questo giorno. Durante l’adorazione eucaristica protratta può essere letta qualche parte del Vangelo secondo Giovanni. Dopo la mezzanotte si faccia l’adorazione senza solennità, dal momento che ha già avuto inizio il giorno della passione del Signore» (nn. 55-56).

La lettera circolare della Congregazione del Culto Divino del 16 gennaio 1988 dal titolo Preparazione e celebrazione delle feste pasquali precisa a proposito dell’altare della reposizione quanto segue: «Il Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso. Non si può mai fare l’esposizione con l’ostensorio»

Il Venerdì Santo la Chiesa celebra la Passione Morte del suo Signore e rimane in amorosa contemplazione e meditazione del suo sacrificio cruento, fonte della nostra salvezza. Per antichissima tradizione in questo giorno la Chiesa non celebra l’Eucaristia, ma solo una solenne Liturgia della Parola, seguita dall’adorazione della croce e dalla santa Comunione.

Davanti all’altare completamente spoglio, dopo la prostrazione del celebrante nel silenzio dell’assemblea e l’orazione introduttiva, vengono proclamate tre letture:

– il quarto canto del Servo di IHWH (Is 52, 13-15; 53, 1-12), dove nella figura del servo caricato dei nostri dolori, castigato, percosso e umiliato e che tuttavia giustificherà molti e dalle cui piaghe siamo stati guariti, non è difficile riconoscere la figura di Gesù, colui che si è fatto peccato, è divenuto il disgusto dei vicini e l’orrore di conoscenti (cfr. Salmo responsoriale) e che è l’unica nostra via di salvezza.

– La seconda lettura è tratta dalla lettera agli Ebrei (cfr. 4, 14-16; 5, 7-9) e precisa che il Cristo servo sofferente di IHWH è il sommo sacerdote che è stato provato in ogni cosa e che diviene causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono.

– Il Vangelo riporta il racconto della Passione secondo Giovanni (cfr. 18, 1 – 19,42). La morte di Gesù è la rivelazione suprema dell’amore di Dio che si prolunga sacramentalmente nei secoli nell’acqua (Battesimo) e nel Sangue (Eucaristia) ed è intimamente legata al dono dello Spirito Santo e con la nascita della Chiesa, rappresentata dalla Santa Vergine Maria e dall’apostolo Giovanni. All’omelia segue poi una solenne Preghiera universale in cui si innalzano suppliche per la Chiesa, il Papa, per tutti gli ordini sacri e i fedeli, per i catecumeni, per l’unità dei cristiani, per gli ebrei, per i non cristiani, per coloro che non credono in Dio, per i governanti e per i tribolati.

Come conseguenza della parola ascoltata ed accolta, segue poi la solenne Adorazione della Croce, gesto “scandaloso” e profetico perché venerata non più come semplice strumento di morte infame, ma come albero della vita, “talamo, trono ed altare al corpo di Cristo Signore”. Il sacerdote scopre la croce in tre volte, presentandola al popolo come trofeo di vittoria e dicendo: «Ecco il legno della croce, a cui fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo»; a questo invito l’assemblea risponde: «Venite, adoriamo!». L’assemblea compie poi il gesto dell’adorazione, ricordando che già in quel momento si compie la Pasqua, si realizza la nostra salvezza nel sangue dell’Agnello immolato: «Adoriamo la tua croce, Signore; lodiamo e glorifichiamo la tua santa Resurrezione. Dal legno della croce è venuta la gioia in tutto il mondo». Al termine dell’adorazione, la croce viene posta vicino all’altare, segno anche esso del sacrificio di Cristo, offerto al Padre per la nostra salvezza.

All’adorazione della croce, segue la Comunione Eucaristica, con le sacre Specie consacrate il giorno precedente. La Commemorazione della Passione si conclude con una preghiera di benedizione sull’assemblea, che poi si scioglie in silenzio.

Sabato Santo. Il Messale Romano ci presenta questo giorno con queste parole:

«Il Sabato Santo la Chiesa sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e la sua morte, nonché la discesa agli inferi, e aspettando la sua risurrezione, nella preghiera e nel digiuno. Spogliata la sacra mensa, la Chiesa si astiene dal sacrificio della Messa fino alla solenne Veglia o attesa notturna della risurrezione”. La Chiesa è chiamata a meditare prima di tutto il fatto che Gesù “morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1 Cor 15, 3-4).

Contempla ciò che nel Credo professa affermando «discese agli inferi»: Gesù Cristo si fa solidale con l’uomo da salvare, affrontando la morte nella certezza che l’avrebbe vinta non soltanto per sé, ma per tutti. Da questo punto di vista, il Sabato Santo è un giorno di grande speranza! Il Sabato Santo il cristiano è chiamato ad imitare le pie donne che dopo la sepoltura di Gesù «erano lì davanti al sepolcro» (Mt 27, 61). Non è cosa da poco fermarci anche noi, in clima di fede e di amore, per pregare, meditare e contemplare: può essere il giorno di deserto, di preghiera e di illuminata speranza in Dio che ha scelto non solo di morire per noi, ma di risorgere e di farci partecipi della sua vita di risorto.

La Veglia Pasquale nella Notte Santa è il vertice e il centro di tutto il Triduo Pasquale. Considerata la “madre di tutte le veglie”, in essa la Chiesa attende, vegliando, la risurrezione di Cristo e la celebra nei sacramenti (cf. Norme per l’anno liturgico e il calendario, 21). Tutta la celebrazione di questa Veglia, pertanto, deve svolgersi di notte e terminare prima dell’alba della domenica. Questa è la notte per eccellenza, in cui si celebrano i grandi sacramenti dell’Iniziazione cristiana (Battesimo, Confermazione, Eucaristia), che comunicano ai fedeli la grazia salvifica del mistero pasquale di Cristo. La Veglia Pasquale è costituita da quattro parti:

  1. Liturgia della luce o lucernario. La Veglia si apre con la celebrazione di Cristo Risorto come luce del mondo. Il sacerdote benedice un fuoco divampante (generalmente preparato all’esterno della Chiesa) e prepara il cero pasquale, incidendo su di esso una croce, le lettere greche A e W e le cifre dell’anno corrente, seguendo questo schema:

Mentre compie questo gesto, acclama a Cristo Principio e Fine, Alfa e Omega, al quale appartiene il Tempo, i secoli, la gloria e il potere. Completata l’incisione, il celebrante può infiggere 5 grani di incenso in forma di croce e mentre compie questo gesto acclama alle piaghe sante, gloriose e salvifiche del Cristo. Il Cero viene acceso al fuoco nuovo e inizia una processione che si avvia verso il presbiterio; durante questa processione si acclama per tre volte “Lumen Christi!” e vengono accese le candele dei fedeli e le luci della Chiesa. Posizionato il cero nel suo candelabro, il diacono proclama il solenne Preconio Pasquale (detto “Exultet”) un testo bellissimo che annuncia la gloria della resurrezione di Cristo, vertice di tutta la storia della salvezza, iniziata dopo il peccato di Adamo, figurata nell’agnello della pasqua ebraica, dall’esodo, dal passaggio del mar Rosso, dalla colonna di fuoco e realizzata in pienezza da Cristo morto e risorto. Il Preconio è un cantico entusiasta che, ricapitolando tutti i grandi momenti della storia di Dio e dell’uomo, esprime l’esultanza del cielo e della terra, perché con la resurrezione di Cristo anche l’universo, abbruttito dal peccato, risorge e si rinnova. Un testo che andrebbe a lungo meditato e pregato anche personalmente.

Liturgia della Parola. Terminato il lucernario, il celebrante invita all’ascolto della Parola per meditare «come nell’antica alleanza Dio salvò il suo popolo e nella pienezza dei tempi ha mandato a noi il suo Figlio come redentore». Vengono quindi proclamate nove letture (sette dell’Antico Testamento e due del Nuovo), con lo scopo di introdurre i fedeli nel significato e nell’importanza della Pasqua nella vita della Chiesa e di ogni cristiano, in relazione ai sacramenti pasquali (Battesimo, Cresima ed Eucaristia) medianti i quali siamo morti e risorti con Cristo:

I lettura:            Gen 1, 1 – 2, 2: la creazione

II lettura:           Gen 22, 1-18: la prova di Abramo

III lettura:         Es 14, 15 – 15, 1: il passaggio del Mar Rosso

IV lettura:         Is 54, 5-14: Tuo sposo è il Creatore

V lettura:           Is 55, 1-11: Voi tutti assetati venite all’acqua

VI lettura:         Bar 3, 9-15. 32 – 4, 4: L’alleanza eterna

VII lettura:        Ez 36, 16-17a. 18-28: Vi aspergerò con acqua pura

Epistola:            Rm 6, 3-11: Cristo risorto dai morti non muore più

Vangelo:           Uno dei tre sinottici a seconda del ciclo liturgico

Tra la VII lettura e l’Epistola viene cantato solennemente il Gloria e al termine dell’Epistola – dopo il “digiuno” quaresimale – viene solennemente intonata l’Alleluia. 

Liturgia Battesimale: Fino dall’antichità, la Chiesa ha collegato con la Veglia Pasquale l’amministrazione del Battesimo, immersione nella morte di Cristo e risurrezione con Lui alla vita nuova. Dopo il canto delle litanie dei santi, viene benedetta l’acqua battesimale — con il particolare gesto di immergervi per tre volte il cero pasquale — con cui si amministra il Battesimo e si asperge l’assemblea, dopo che questa ha rinnovato la professione di fede con le promesse battesimali.

La Veglia termina con la Liturgia Eucaristica, che diviene compimento di tutta la celebrazione e azione di grazie più alta e significativa rivolta al Padre per averci dato il suo Figlio morto e risorto per la nostra salvezza. Con la Pasqua infatti ha avuto inizio la vera Eucaristia, nella quale, fino alla consumazione dei secoli, la Chiesa acclamerà «Cristo vero Agnello che ha tolto i peccati del mondo; Cristo che, morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio Pasquale I). Ed è così che inizia il “Giorno del Signore”, giorno di vita senza tramonto, in cui il dovere di ogni credente è quello di “cercare le cose di lassù” e di “nascondere la propria vita con Cristo risorto in Dio”.

A voi tutti lancio una domanda, ed assieme alla domanda lascio a tutti voi l’onere della risposta: il cuore centrale del mistero fondante della nostra fede, è la risurrezione del Cristo, dinanzi alla quale l’Apostolo Paolo afferma che se non fosse veramente risorto la nostra fede e la nostra speranza sarebbe del tutto vana (cfr. I Cor 15, 12-15) può essere forse motivo e occasione per lanciarsi in stravaganze che rischiano di trascendere non di rado tra la dissacrazione e il vero e proprio sacrilegio? Tutto è possibile, quando si esorta, si istruisce, ma non si puniscono i trasgressori, farlo sarebbe una mancanza di misericordia, un peccato questo sì, assolutamente intollerabile.

Firenze, 12 maggio 2023

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I Padri dell’Isola di Patmos

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«Bergoglio, eretico e apostata, bestemmia la Madonna». Parola di un eretico solare con l’ossessione di Maria corredentrice che chiederebbe la proclamazione del quinto dogma mariano

—  Attualità ecclesiale —

«BERGOGLIO, ERETICO E APOSTATA, BESTEMMIA LA MADONNA!». PAROLA DI UN ERETICO SOLARE CON L’OSSESSIONE DI MARIA CORREDENTRICE CHE CHIEDEREBBE LA PROCLAMAZIONE DEL QUINTO DOGMA MARIANO

Persino Ario e Pelagio impallidirebbero dinanzi a simili parole: «Fatima può essere considerata per la sua ricaduta profetica, ecclesiale, mistica, storica … possiamo chiamare Fatima “rivelazione privata”? Credo di no. Allora sarebbe bene parlare di “rivelazione primaria”, che è la parola di Dio, la Sacra Scrittura, la tradizione, e “rivelazione secondaria” […]»

 

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Lo youtuber più eretico del sistema solare, certo Alessandro Minutella, già presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, incorso in scomunica per delitto di eresia e scisma e infine colpito dal provvedimento tanto estremo quanto raro della dimissione dallo stato clericale, ha dato vita dal 2017 a un culto mariolatrico intriso di esoterismo e millenarismo; culto che non ha niente da spartire con la devozione da sempre tributata alla Beata Vergine Maria dalla Chiesa universale, ma neppure con la fede popolare dei semplici animati spesso da quella santa ignoranza che porterà eserciti di persone a guadagnarsi la salvezza dell’anima con una mezza Ave Maria recitata male «nell’ora della morte». Mentre invece a noi, che siamo stati dotati di intelletto, scienza e conoscenza, per meritare la salvezza eterna delle nostre anime sarà chiesto molto di più (cfr. Lc 12, 48). Tuona il nostro in una delle sue dirette giornaliere:

«I modernisti sono furbi, Fatima può essere considerata per la sua ricaduta profetica, ecclesiale, mistica, storica … possiamo chiamare Fatima “rivelazione privata”? Credo di no. Allora sarebbe bene parlare di “rivelazione primaria”, che è la parola di Dio, la Sacra Scrittura, la tradizione, e “rivelazione secondaria” […]» [cfr. video, QUI].

Dopo questa affermazione eretica che tocca l’essenza stessa della Rivelazione ― che è una ed è legata unicamente a Cristo Dio ― il prossimo passo quale sarà, forse l’inserimento della Madonna nella Santissima Trinità? Eppure, se prendessimo il diretto interessato e di fronte a questa sua affermazione teologicamente delirante gliene chiedessimo conto, per tutta risposta saremo investiti da una mitragliata di sofismi. Oppure, se messo dinanzi al documento video dove c’è lui che parla facendo queste affermazioni, non esiterebbe a rispondere che le persone hanno capito male, che non intendeva dire quello ma altro.

Ossessionato dall’idea di “Maria corredentrice” [cfr. video QUI] da anni seguita a lanciare accuse violente al Sommo Pontefice Francesco, manipolando e falsando i dati storici, gli scritti e i discorsi. Così fa da anni, duole profondamente che certi suoi seguaci accecati dai suoi discorsi affabulatori non vogliano proprio rendersi conto del suo castello di contraddizioni e falsità.

Sul piano teologico e alla luce del Mistero della Rivelazione, è indubbio che la Beata Vergine abbia contribuito col suo Divino Figlio alla redenzione dell’umanità, ma crocifisso come vittima sacrificale per la redenzione degli uomini è morto il Redentore, non la Madonna, che stava ai piedi della croce, sulla quale non fu inchiodato lei, ma Gesù Cristo. Poi, se vogliamo andare alla più profonda e intima sostanza, basterebbe ricordare che Gesù Cristo non era una creatura, era Dio «generato non creato della stessa sostanza del Padre» [Cfr. Simbolo di Fede Niceno-Costantinopolitano]. Mentre Maria, per quanto immacolata e preservata dal peccato originale, è una creatura creata, non è Dio, tanto meno generata non creata della stessa sostanza del Padre. E per inciso ricordiamo che il Dio Trinitario si adora in tutte e Tre le sue Santissime Persone, mentre Maria si venera. Nel lessico teologico siamo soliti parlare di latria, dulia e iperdulia. Col termine latria si intende il culto di adorazione riservato solo a Dio. Col termine dulia si intende il culto riservato ai Santi, che è culto di venerazione e non di adorazione. Col termine iperdulia s’intende il culto di alta venerazione riservato e dovuto alla Immacolata Concezione, la Beata Vergine Maria, la Mater Dei, che rimane comunque culto di venerazione rivolto alla più perfetta delle creature create, che rimane creatura creata.

La mariologia non è qualche cosa di a sé stante, quasi come se vivesse di vita autonoma: «La mariologia non è altro che una appendice della Cristologia ed è inserita in una precisa dimensione teologica di cristocentrismo. Se la mariologia è in qualche modo distaccata da questa centralità cristocentrica, si può correre il serio rischio di cadere nel mariocentrismo. Se poi il tutto è filtrato attraverso emotività di stampo fideistico, in quel caso si può cadere nella vera e propria mariolatria, che equivale a dire: paganesimo allo stato puro. A quel punto, Maria, potrebbe assumere tranquillamente il nome di qualsiasi dea dell’Olimpo greco o del Pantheon romano».

Lo youtuber più eretico del sistema solare imputa così al Sommo Pontefice Francesco di avere sprezzato e irriso la “corredenzione” di Maria e di avere definito — udite, udite! — i dogmi mariani delle sciocchezze. E proprio a tal proposito afferma:

«[…] Bergoglio considera la Madonna una donna qualunque, una come tutte le altre […] Bergoglio non crede ai dogmi mariani e li ha definiti come delle tonterias (sciocchezze)».

Lungi dal negare i dogmi mariani come gli attribuisce lo youtuber più eretico del sistema solare, in verità il Santo Padre ha detto queste esatte parole:

«Quando vengono da noi con storie che si dovrebbe dichiararla [Maria] questo, o fare quest’altro dogma oppure questo, dico: non perdiamoci in sciocchezze» [cfr. omelia del 12 dicembre 2019, testo integrale, QUI].

E di nuovo:

«Cristo è il Mediatore, il ponte che attraversiamo per rivolgerci al Padre. È l’unico Redentore: non ci sono co-redentori con Cristo, [Maria] come Madre alla quale Gesù ci ha affidati, avvolge tutti noi; ma come Madre, non come dea, non come corredentrice: come Madre […] È vero che la pietà cristiana sempre le dà dei titoli belli, come un figlio alla mamma: quante cose belle dice un figlio alla mamma alla quale vuole bene! Ma stiamo attenti: le cose belle che la Chiesa e i Santi dicono di Maria nulla tolgono all’unicità redentrice di Cristo. Lui è l’unico Redentore. Sono espressioni d’amore come un figlio alla mamma, alcune volte esagerate. Ma l’amore, noi sappiamo, ci fa fare cose esagerate, ma con amore» [Udienza generale del 24 marzo 2021, testo integrale QUI].

Stravolgendo totalmente come suo uso e stile i discorsi, dal 2019 accusa il Sommo Pontefice Francesco di essere un miscredente che nega i dogmi mariani, che ha una visione luterana della mariologia e che disprezza il titolo di corredentrice che la Madonna stessa avrebbe richiesto insistentemente fosse proclamato affidando questo messaggio alla veggente Ida Peerdeman, alla quale la Beata Vergine avrebbe chiesto tra il 1945 e il 1959 la proclamazione di un quinto dogma mariano per Maria corredentrice e mediatrice di ogni grazia [cfr. video QUI].

«La falsa Chiesa del falso Papa Bergoglio ha fatto smentire le apparizioni di Amsterdam […]. Questa Signora di tutti i popoli che si presenta “mi chiameranno Signora” e che annuncia, anticipa la proclamazione del quinto dogma mariano [di Maria corredentrice] gli sta sullo stomaco, non la sopporta. Lui non sopporta le apparizioni mariane, beninteso. Fatima: è andato a Fatima e ha detto “a questa Madonna che appare e minaccia castighi preferisco la Maria dei Vangeli”. E la gente che purtroppo è tenuta nell’ignoranza dai preti non ha capito che stava bestemmiando […] Bergoglio è un ottimo allievo della Massoneria, ai livelli più alti. Bergoglio ha questa capacità che gli viene da Satana: distrugge i suoi avversari» [cfr. video QUI].

La psichiatria e le scienze sociali ci insegnano e dimostrano che il fanatico violento deve trovare anzitutto un oggetto sul quale indirizzare l’odio delle masse, servendosi di notizie false e di dati totalmente manipolati. La storia della geopolitica ha ripetutamente dimostrato, dopo la caduta di certi regimi, in che modo questi avessero degli efficienti e appositi uffici, gestiti da eccellenti specialisti, il cui scopo era quello di manipolare dati e informazioni sino a creare una realtà del tutto diversa da quella oggettiva.

Ovviamente lo youtuber più eretico dell’intero sistema solare dimentica che il tema circa la proclamazione del quinto dogma mariano di Maria corredentrice non è stato accolto, per questioni teologico-prudenziali, da tutti i Sommi Pontefici della storia, persino da quelli particolarmente devoti alla Beata Vergine, da Pio XII sino a San Giovanni Paolo II che l’emblema mariano lo volle nel suo stemma pontificio e sotto la sua protezione mise il suo pontificato sin dall’omelia pronunciata nel 1978 per l’inizio del ministero petrino.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, che questo imbonitore ha definito per anni come uno dei più grandi teologi del Novecento, già da Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede spiegò più volte che il termine stesso “corredentrice” creava sul piano teologico dei problemi oggettivi con la cristologia.

I fideisti mariolatri passionari replicano che alcuni Sommi Pontefici, per esempio Pio XI e San Giovanni Paolo II, in alcuni loro discorsi usarono questo termine. È vero, ma questo termine lo usarono per indicare nel preciso contesto del discorso che Maria aveva collaborato per la nostra redenzione, cosa diversa dalla definizione di un dogma. Né si obbietti, come fanno i digiuni totali di teologia, ma che proprio per questo presumono di poter dissertare nelle più delicate sfere della dogmatica:

«… ma San Luigi Maria Grignion de Montfort nel suo Trattato sulla vera devozione a Maria ha scritto che … ma la Madonna di Amsterdam in una rivelazione privata ha chiesto che … la tal mistica, la tal veggente hanno detto che in una rivelazione privata la Madonna gli ha chiesto che …».

Veramente qualcuno è disposto a credere che la Beata Vergine Maria avrebbe chiesto di essere proclamata corredentrice con un quinto dogma mariano? Sorridiamo per non piangere su quelle che a giusta ragione il Santo Padre Francesco ha definito tonterias (sciocchezze) che rendono taluni soggetti parecchio arroganti e difficilmente gestibili, proprio perché la loro arroganza va di pari passo con la loro ignoranza.

Si provi a ragionare: è pensabile che la Beata Vergine che si è definita umile serva, la donna dell’amore donato, del silenzio e della riservatezza, colei che come finalità ha quella di guidare a Cristo, possa veramente domandare a dei veggenti o a dei visionari di essere proclamata corredentrice e messa quasi al pari del Divino Redentore?

Il termine stesso di corredentrice è in sé e di per sé in conflitto con l’essenza della cristologia e il mistero della redenzione operata unicamente da Dio Verbo incarnato, che non necessita di co-redentori e co-redentrici. Il mistero della redenzione è un tutt’uno con il mistero della croce sulla quale, come già detto poc’anzi, è morto come agnello immolato Dio fatto uomo, non la Beata Vergine Maria, che alla fine della sua vita si è addormentata ed è stata assunta in cielo, non è morta e risorta il terzo giorno sconfiggendo la morte. La Beata Vergine, prima creatura dell’intero creato al di sopra di tutti i Santi per sua immacolata purezza, non perdona i nostri peccati e non ci redime, intercede per la remissione dei nostri peccati e per la nostra redenzione. Quando ci rivolgiamo a lei attraverso la preghiera, sia nella Ave Maria che nel Salve Regina, da sempre, nell’intera storia e tradizione della Chiesa, la invochiamo dicendo «prega per noi peccatori», non le chiediamo di rimettere i nostri peccati né di salvarci. È al Dio Trinitario che chiediamo «rimetti a noi i nostri debiti», ossia perdona i nostri peccati, non lo chiediamo alla Madonna, che può intercedere per la remissione dei nostri peccati, ma non perdonarli. Quando recitiamo le Litanie Lauretane, nella prima parte dove si invocano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, a ogni invocazione rispondiamo: «Abbi pietà di noi», alle invocazioni alla Beata Vergine rispondiamo: «Prega per noi». Già questo dovrebbe bastare a chiudere un discorso improponibile sul piano teologico come quello di Maria corredentrice.

Detto questo bisogna precisare che molte persone sanamente e santamente devote alla Beata Vergine, ciò che vogliono dire col termine corredentrice è qualche cosa di esatto, ma espresso con una parola sbagliata, cosa che compresi discutendo con una mia amica molto cara che considero un vero modello di devozione mariana. Di fatto intendono dire che Maria ha cooperato alla nostra redenzione. Un dato al quale possiamo aggiungere: e lo ha fatto in modo particolare e come nessun Santo avrebbe mai potuto fare, perché lei sola è la Mater Dei. Il tutto con buona pace dello youtuber più eretico del sistema solare il quale potrebbe persino indurci a ridere, con le sue follie pseudo-teologiche e mariologiche. Ma purtroppo, dietro c’è il disastro delle anime che trascina nell’errore, cosa sulla quale c’è poco da ridere e molto invece da piangere.

dall’Isola di Patmos, 11 maggio 2023

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I Padri dell’Isola di Patmos

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