«Dei delitti e delle pene». Le immancabili stravaganze di certi preti alla luce del Mistero Pasquale

«DEI DELITTI E DELLE PENE». LE IMMANCABILI STRAVAGANZE DI CERTI PRETI ALLA LUCE DEL MISTERO PASQUALE

Nella Istruzione Redemptionis Sacramentum, è forse scritto che per certi abusi liturgici, alcuni dei quali sono veri e propri “delitti”, è prevista la pena, per esempio della sospensione a divinis del sacerdote per un congruo periodo di tempo? Si prevede forse, per quelli più gravi, la rimozione dall’ufficio di parroco? No, perché forse questo modo di fare non sarebbe caritatevole e misericordioso, quindi il nostro legislatore esorta, istruisce e nei propri documenti si lamenta con cuore franto, mentre chi abusa seguita a farlo in totale mancanza di precise pene. 

— Pastorale liturgica —

Autore
Simone Pifizzi

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C’è una celebre opera di Cesare Beccaria scritta nel 1764 che s’intitola Dei delitti e delle pene, dove si parla soprattutto della prontezza e della certezza della pena. Quante volte, nel nostro Paese, specie di fronte a situazioni di criminalità più o meno diffusa, abbiamo udito la frase e il lamento «manca la certezza della pena»? A dire il vero ciò che manca è l’applicazione della pena, perché in quanto a esistere, le pene ci sono e sono scritte e ben dettagliate. Invece noi, su questo problema Dei delitti e delle pene, non ci interroghiamo nemmeno, perché nei vari documenti e atti del Magistero della Chiesa degli ultimi decenni la parola “sanzione” o “pena” non esiste proprio, due sono infatti le cose essenziali che di prassi vengono fatte: si lamenta con cuore franto certe situazioni che proprio non vanno, poi si esorta con documenti che spesso si chiamano proprio per questo “esortazioni” o “istruzioni”, come per esempio la Istruzione Redemptionis Sacramentum, nella quale si istruisce con cuore trepidante e afflitto a non fare certe cose.

 

Sono andato a sfogliare il Codice di Diritto Penale e i testi di varie leggi prese a caso, ed ho scoperto, con mio grande stupore, che per ogni figura di reato è prevista una pena, che può essere una pena a un certo numero di anni di carcere, oppure una sanzione amministrativa per i reati meno gravi, attraverso l’obbligo al pagamento di una somma di danaro stabilita. Abituato come sono allo stile dei documenti nostri, mi sono chiesto perché, il legislatore, non si sia a limitato esortare e istruire che certi reati non si commettono, manifestando tutto il proprio “impotente” dolore per quelli che invece vengono commessi.

Nella Istruzione Redemptionis Sacramentum, è forse scritto che per certi abusi liturgici, alcuni dei quali sono veri e propri “delitti”, è prevista la pena, per esempio della sospensione a divinis del sacerdote per un congruo periodo di tempo? Si prevede forse, per quelli più gravi, la rimozione dall’ufficio di parroco? No, perché forse questo modo di fare non sarebbe caritatevole e misericordioso, quindi il nostro legislatore esorta, istruisce e nei propri documenti si lamenta con cuore sfranto, mentre chi abusa seguita a farlo in totale mancanza di precise pene. 

Per parlare del tema degli abusi liturgici, alcuni dei quali ormai istituzionalizzati e divenuti quasi una norma in certe parrocchie o in certi gruppi laicali cattolici, prenderò quello che è il cuore della nostra liturgia: la Pasqua.

Durante il Triduo Pasquale di quest’anno 2023 i nostri Lettori ci hanno inviato tra la sera del Giovedì Santo e il Sabato mattina fotografie e filmati dinanzi ai quali noi Padri de L’Isola di Patmos, che pure siamo navigati, oltre che consapevoli delle stravaganze di cui purtroppo sono capaci certi nostri confratelli, abbiamo stentato a credere, pur dinanzi a foto e documenti.

Vi offriamo solo una piccola rassegna di ciò che è pervenuto in redazione durante il Santo Triduo Pasquale, soprattutto riguardo la riposizione del Santissimo Sacramento all’interno dei Sepolcri presso gli altari della riposizione il Giovedì Santo e quanto accaduto a seguire il Venerdì Santo.

Giovedì Santo. In una cappella della riposizione è stato allestito un tavolo da pranzo con le sedie, apparecchiato con tovaglia, piatti, posate e bicchieri, di lato il tabernacolo con il Santissimo Sacramento, probabilmente per indicare che Nostro Signore Gesù Cristo, anziché sulla croce, è morto al termine di un pranzo assalito da un repentino colpo apoplettico. In un’altra cappella della riposizione la pisside con il Santissimo Sacramento è stata messa sopra un tavolo con attorno una ciambella di salvataggio, al posto dei fiori sono stati disposti dei giubbotti di salvataggio appesi, come se Nostro Signore Gesù Cristo, anziché in croce, fosse morto annegato in mare mentre dalla Giudea tentava di sbarcare come clandestino sulle coste del Mediterraneo. E ancora a seguire: il Santissimo Sacramento riposto all’altare della riposizione dentro un fornetto a microonde, pare per simboleggiare in che modo il Signore riscaldi i cuori (!?).

Altare della reposizione forse ispirato al musical: «Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più, se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu …» (Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria, Rutigliano)

Venerdì Santo. Le immagini e i filmati che ci sono pervenuti fanno sorgere in noi il serio quesito se certi preti abbiano mai letto l’Ordinamento Generale del Messale Romano e se durante la formazione prima e lo svolgimento del sacro ministero a seguire, abbiano realmente capito che cos’è il Triduo Pasquale, per esempio leggendo un’opera del Novecento scritta dal teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, in edizione italiana “La teologia dei tre giorni” (1969). Opera che offre una meditazione del mistero pasquale secondo la scansione dei tre giorni: il mistero del venerdì santo (la croce nella vita di Gesù, l’Eucaristia, l’agonia), il mistero del sabato santo (in cui il Cristo fa l’esperienza della “seconda morte”), il mistero della Pasqua come teologia della risurrezione e della glorificazione del Figlio. Il Venerdì Santo, giorno in cui si commemora la passione di Cristo Signore, nel corso di una liturgia austera e silenziosa tutta incentrata sulla adorazione della croce, è mai pensabile che si possa cantare al suono di chitarre e tamburelli ritmati allegre canzoncine da campo-scuola, scandendo persino «alleluia, alleluia” in ritornelli di canti del tutto inappropriati e fuori luogo? Qualcuno ha forse dimenticato l’omissione dalla liturgia del Gloria e dell’Alleluia durante il periodo quaresimale, o le cosiddette “campane legate” il Giovedì Santo che torneranno a suonare solo nel giorno di Pasqua assieme al canto del Gloria e dell’Alleluia per rendere lode al Risorto dai morti?

Un altro autore che ci ha guidati nel mistero della teologia del Triduo Pasquale è stato il fiorentino Padre Divo Barsotti, che in una sua predicazione del 1987 spiegò il senso mistagogico della “discesa agli inferi” di Gesù Cristo, articolo di fede contenuto anche nel Credo Apostolico in cui recitiamo «[…] patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte». Domandiamoci: quanti sono oggi i fedeli cattolici che comprendono il senso della “discesa” in quegli inferi indicati nell’antica tradizione anche come Shéol o Αιδην, il “regno dei morti” dove Gesù Cristo morto discese con l’anima unita alla sua Persona divina, per aprire le porte del cielo ai giusti che l’avevano preceduto (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 631-635).

Altare della riposizione dentro il barchino con le reti, Chiesa del Buon Pastore di Diamante

Il Triduo Pasquale, nella sua simbologia, racchiude una grande e sapiente pedagogia, una somma catechesi per il Popolo dei credenti, che non può essere certo finire svilita da stravaganze inscenate quasi sempre all’insegna del politicamente corretto del momento.

Vediamo adesso cosa è liturgicamente quel triduo pasquale che conclude con quella che la Chiesa indica come la Madre di tutte le Veglie, nella speranza che possa servire di riflessione per la prossima Pasqua 2024. Il Triduo Pasquale è la realtà della Pasqua del Signore, celebrata liturgicamente e sacramentalmente in tre giorni: il Venerdì Santo, che fa memoria viva della Passione e Morte del Signore; il Sabato Santo, in cui la Chiesa sosta al sepolcro del Signore; la Domenica di Pasqua che celebra la gloriosa Resurrezione di Cristo. Caratteristica delle celebrazioni del Triduo è che sono organizzate come un’unica liturgia, per questo motivo la Missa in Coena Domini non termina con ite missa est (”la Messa è finita”), bensì in silenzio. L’azione liturgica del venerdì non comincia con l’usuale saluto e con il Segno della Croce e termina anch’essa senza saluto, in silenzio. Infine la solenne veglia comincia in silenzio e termina con il saluto finale.

Il Triduo Pasquale costituisce un’unica solennità, la più importante di tutto l’Anno liturgico cattolico. Dal Gloria della Messa del Giovedì a quello della Veglia le campane devono stare in liturgico silenzio. Anticamente anche gli strumenti musicali dovevano tacere il Venerdì e il Sabato Santo, fino alla Veglia Pasquale, per meglio esprimere il senso penitenziale di questi giorni. Per questo molte composizioni di autori antichi per il Venerdì Santo furono scritte per solo coro. Oggi tuttavia è permesso l’uso degli strumenti musicali durante le celebrazioni di queste giornate, anche se solo per sostenere il canto. 

Vertice e centro gravitazionale dell’intero Triduo è la Solenne Veglia Pasquale nella Notte Santa. Con la celebrazione della Missa in Coena Domini, la sera del Giovedì Santo ha inizio il Triduo Pasquale della Passione, morte e Risurrezione di Cristo, culmine di tutto l’anno liturgico e cuore della fede e della preghiera della Chiesa (cfr. SC 102). Il Giovedì Santo la Chiesa ricorda l’Ultima Cena di Gesù nella quale il Signore Gesù, la vigilia della Passione, spinse all’estremo il suo amore per i suoi che erano nel mondo, offrì al Padre il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino e, donandosi come nutrimento ai suoi apostoli, comandò loro di perpetuarne l’offerta in sua memoria, istituendo di fatto il sacerdozio della Nuova Alleanza. Obbediente al comando del Signore, la Chiesa celebra la Santa Cena, sentendosi impegnata a tradurre nella vita di ogni giorno lo stile di servizio e di amore fraterno (cfr. il segno della lavanda dei piedi, proprio della liturgia del Giovedì Santo) che ha nel Sacrificio del Signore, sacralmente presente nell’Eucaristia, il suo senso e la sua fonte. I testi che vengono usati in questa celebrazione sottolineano l’aspetto sacrificale dell’Eucaristia e il suo carattere di memoriale del sacrificio del Signore (altro che “Cena Santa…”), annunziato e prefigurato dagli avvenimenti dell’Esodo di Israele dall’Egitto, col simbolo dell’agnello immolato e del passaggio dell’angelo del Signore per colpire i primogeniti di Egitto (I lettura); “memoriale” che il beato Apostolo Paolo descrive come rito celebrato da Gesù nella cena pasquale con i suoi apostoli, segno della nuova ed eterna Alleanza tra Dio e gli uomini, sigillata e ratificata col suo stesso sangue (II lettura). Infine – strettamente legato alle due letture – il brano evangelico di Giovanni ci mostra Gesù che pur essendo maestro e Signore, si fa servo, lavando i piedi ai suoi apostoli. Con questo gesto il Signore Gesù voleva manifestare che la sua missione era il più grande servizio che Dio rivolgeva agli uomini per salvarli: lavarli dai peccati e nutrirli con il suo Corpo e il suo Sangue.

Il Prefazio di questa Messa riassume l’ineffabile mistero dell’amore divino:

«Sacerdote vero ed eterno, egli istituì il rito del sacrificio perenne; a te per primo si offrì vittima di salvezza, e comandò a noi di compiere l’offerta in sua memoria. Il suo Corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo Sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa».

Al termine della Missa in Coena Domini del Giovedì Santo, l’Eucaristia viene riposta e custodita nell’altare della Reposizione, chiamato nel linguaggio popolare di alcune regioni del sud Italia sepolcro. Termine improprio in quanto non simboleggia la morte di Gesù ma è il luogo in cui adorare l’Eucaristia. Il termine giusto è altare o cappella della Reposizione. Parliamo dello spazio della chiesa allestito, al termine della Missa in Coena Domini, per accogliere le specie eucaristiche consacrate, conservandole sino al pomeriggio del Venerdì Santo, quando verranno distribuite ai fedeli per la comunione sacramentale. Le Sacre Specie vengono così riposte per essere adorate durante la notte. È tradizione che gli altari della reposizione siano addobbati in modo solenne, con composizioni floreali o altri simboli: non devono essere il luogo della stravaganza o della forzatura di segni che nulla hanno a che fare con l’unico scopo di invitare i fedeli all’adorazione. La lettera circolare della Congregazione del Culto Divino del 16 gennaio 1988 dal titolo Preparazione e celebrazione delle feste pasquali precisa a proposito dell’altare della reposizione quanto segue:

«Il Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso. Non si può mai fare l’esposizione con l’ostensorio. Il tabernacolo o custodia non deve avere la forma di un sepolcro. Si eviti il termine stesso di “sepolcro”. Infatti la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare “la sepoltura del Signore”, ma per custodire il pane eucaristico per la comunione, che verrà distribuita il venerdì nella passione del Signore. Si invitino i fedeli a trattenersi in chiesa, dopo la messa nella cena del Signore, per un congruo spazio di tempo nella notte, per la dovuta adorazione al Santissimo Sacramento solennemente lì custodito in questo giorno. Durante l’adorazione eucaristica protratta può essere letta qualche parte del Vangelo secondo Giovanni. Dopo la mezzanotte si faccia l’adorazione senza solennità, dal momento che ha già avuto inizio il giorno della passione del Signore» (nn. 55-56).

La lettera circolare della Congregazione del Culto Divino del 16 gennaio 1988 dal titolo Preparazione e celebrazione delle feste pasquali precisa a proposito dell’altare della reposizione quanto segue: «Il Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso. Non si può mai fare l’esposizione con l’ostensorio»

Il Venerdì Santo la Chiesa celebra la Passione Morte del suo Signore e rimane in amorosa contemplazione e meditazione del suo sacrificio cruento, fonte della nostra salvezza. Per antichissima tradizione in questo giorno la Chiesa non celebra l’Eucaristia, ma solo una solenne Liturgia della Parola, seguita dall’adorazione della croce e dalla santa Comunione.

Davanti all’altare completamente spoglio, dopo la prostrazione del celebrante nel silenzio dell’assemblea e l’orazione introduttiva, vengono proclamate tre letture:

– il quarto canto del Servo di IHWH (Is 52, 13-15; 53, 1-12), dove nella figura del servo caricato dei nostri dolori, castigato, percosso e umiliato e che tuttavia giustificherà molti e dalle cui piaghe siamo stati guariti, non è difficile riconoscere la figura di Gesù, colui che si è fatto peccato, è divenuto il disgusto dei vicini e l’orrore di conoscenti (cfr. Salmo responsoriale) e che è l’unica nostra via di salvezza.

– La seconda lettura è tratta dalla lettera agli Ebrei (cfr. 4, 14-16; 5, 7-9) e precisa che il Cristo servo sofferente di IHWH è il sommo sacerdote che è stato provato in ogni cosa e che diviene causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono.

– Il Vangelo riporta il racconto della Passione secondo Giovanni (cfr. 18, 1 – 19,42). La morte di Gesù è la rivelazione suprema dell’amore di Dio che si prolunga sacramentalmente nei secoli nell’acqua (Battesimo) e nel Sangue (Eucaristia) ed è intimamente legata al dono dello Spirito Santo e con la nascita della Chiesa, rappresentata dalla Santa Vergine Maria e dall’apostolo Giovanni. All’omelia segue poi una solenne Preghiera universale in cui si innalzano suppliche per la Chiesa, il Papa, per tutti gli ordini sacri e i fedeli, per i catecumeni, per l’unità dei cristiani, per gli ebrei, per i non cristiani, per coloro che non credono in Dio, per i governanti e per i tribolati.

Come conseguenza della parola ascoltata ed accolta, segue poi la solenne Adorazione della Croce, gesto “scandaloso” e profetico perché venerata non più come semplice strumento di morte infame, ma come albero della vita, “talamo, trono ed altare al corpo di Cristo Signore”. Il sacerdote scopre la croce in tre volte, presentandola al popolo come trofeo di vittoria e dicendo: «Ecco il legno della croce, a cui fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo»; a questo invito l’assemblea risponde: «Venite, adoriamo!». L’assemblea compie poi il gesto dell’adorazione, ricordando che già in quel momento si compie la Pasqua, si realizza la nostra salvezza nel sangue dell’Agnello immolato: «Adoriamo la tua croce, Signore; lodiamo e glorifichiamo la tua santa Resurrezione. Dal legno della croce è venuta la gioia in tutto il mondo». Al termine dell’adorazione, la croce viene posta vicino all’altare, segno anche esso del sacrificio di Cristo, offerto al Padre per la nostra salvezza.

All’adorazione della croce, segue la Comunione Eucaristica, con le sacre Specie consacrate il giorno precedente. La Commemorazione della Passione si conclude con una preghiera di benedizione sull’assemblea, che poi si scioglie in silenzio.

Sabato Santo. Il Messale Romano ci presenta questo giorno con queste parole:

«Il Sabato Santo la Chiesa sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e la sua morte, nonché la discesa agli inferi, e aspettando la sua risurrezione, nella preghiera e nel digiuno. Spogliata la sacra mensa, la Chiesa si astiene dal sacrificio della Messa fino alla solenne Veglia o attesa notturna della risurrezione”. La Chiesa è chiamata a meditare prima di tutto il fatto che Gesù “morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1 Cor 15, 3-4).

Contempla ciò che nel Credo professa affermando «discese agli inferi»: Gesù Cristo si fa solidale con l’uomo da salvare, affrontando la morte nella certezza che l’avrebbe vinta non soltanto per sé, ma per tutti. Da questo punto di vista, il Sabato Santo è un giorno di grande speranza! Il Sabato Santo il cristiano è chiamato ad imitare le pie donne che dopo la sepoltura di Gesù «erano lì davanti al sepolcro» (Mt 27, 61). Non è cosa da poco fermarci anche noi, in clima di fede e di amore, per pregare, meditare e contemplare: può essere il giorno di deserto, di preghiera e di illuminata speranza in Dio che ha scelto non solo di morire per noi, ma di risorgere e di farci partecipi della sua vita di risorto.

La Veglia Pasquale nella Notte Santa è il vertice e il centro di tutto il Triduo Pasquale. Considerata la “madre di tutte le veglie”, in essa la Chiesa attende, vegliando, la risurrezione di Cristo e la celebra nei sacramenti (cf. Norme per l’anno liturgico e il calendario, 21). Tutta la celebrazione di questa Veglia, pertanto, deve svolgersi di notte e terminare prima dell’alba della domenica. Questa è la notte per eccellenza, in cui si celebrano i grandi sacramenti dell’Iniziazione cristiana (Battesimo, Confermazione, Eucaristia), che comunicano ai fedeli la grazia salvifica del mistero pasquale di Cristo. La Veglia Pasquale è costituita da quattro parti:

  1. Liturgia della luce o lucernario. La Veglia si apre con la celebrazione di Cristo Risorto come luce del mondo. Il sacerdote benedice un fuoco divampante (generalmente preparato all’esterno della Chiesa) e prepara il cero pasquale, incidendo su di esso una croce, le lettere greche A e W e le cifre dell’anno corrente, seguendo questo schema:

Mentre compie questo gesto, acclama a Cristo Principio e Fine, Alfa e Omega, al quale appartiene il Tempo, i secoli, la gloria e il potere. Completata l’incisione, il celebrante può infiggere 5 grani di incenso in forma di croce e mentre compie questo gesto acclama alle piaghe sante, gloriose e salvifiche del Cristo. Il Cero viene acceso al fuoco nuovo e inizia una processione che si avvia verso il presbiterio; durante questa processione si acclama per tre volte “Lumen Christi!” e vengono accese le candele dei fedeli e le luci della Chiesa. Posizionato il cero nel suo candelabro, il diacono proclama il solenne Preconio Pasquale (detto “Exultet”) un testo bellissimo che annuncia la gloria della resurrezione di Cristo, vertice di tutta la storia della salvezza, iniziata dopo il peccato di Adamo, figurata nell’agnello della pasqua ebraica, dall’esodo, dal passaggio del mar Rosso, dalla colonna di fuoco e realizzata in pienezza da Cristo morto e risorto. Il Preconio è un cantico entusiasta che, ricapitolando tutti i grandi momenti della storia di Dio e dell’uomo, esprime l’esultanza del cielo e della terra, perché con la resurrezione di Cristo anche l’universo, abbruttito dal peccato, risorge e si rinnova. Un testo che andrebbe a lungo meditato e pregato anche personalmente.

Liturgia della Parola. Terminato il lucernario, il celebrante invita all’ascolto della Parola per meditare «come nell’antica alleanza Dio salvò il suo popolo e nella pienezza dei tempi ha mandato a noi il suo Figlio come redentore». Vengono quindi proclamate nove letture (sette dell’Antico Testamento e due del Nuovo), con lo scopo di introdurre i fedeli nel significato e nell’importanza della Pasqua nella vita della Chiesa e di ogni cristiano, in relazione ai sacramenti pasquali (Battesimo, Cresima ed Eucaristia) medianti i quali siamo morti e risorti con Cristo:

I lettura:            Gen 1, 1 – 2, 2: la creazione

II lettura:           Gen 22, 1-18: la prova di Abramo

III lettura:         Es 14, 15 – 15, 1: il passaggio del Mar Rosso

IV lettura:         Is 54, 5-14: Tuo sposo è il Creatore

V lettura:           Is 55, 1-11: Voi tutti assetati venite all’acqua

VI lettura:         Bar 3, 9-15. 32 – 4, 4: L’alleanza eterna

VII lettura:        Ez 36, 16-17a. 18-28: Vi aspergerò con acqua pura

Epistola:            Rm 6, 3-11: Cristo risorto dai morti non muore più

Vangelo:           Uno dei tre sinottici a seconda del ciclo liturgico

Tra la VII lettura e l’Epistola viene cantato solennemente il Gloria e al termine dell’Epistola – dopo il “digiuno” quaresimale – viene solennemente intonata l’Alleluia. 

Liturgia Battesimale: Fino dall’antichità, la Chiesa ha collegato con la Veglia Pasquale l’amministrazione del Battesimo, immersione nella morte di Cristo e risurrezione con Lui alla vita nuova. Dopo il canto delle litanie dei santi, viene benedetta l’acqua battesimale — con il particolare gesto di immergervi per tre volte il cero pasquale — con cui si amministra il Battesimo e si asperge l’assemblea, dopo che questa ha rinnovato la professione di fede con le promesse battesimali.

La Veglia termina con la Liturgia Eucaristica, che diviene compimento di tutta la celebrazione e azione di grazie più alta e significativa rivolta al Padre per averci dato il suo Figlio morto e risorto per la nostra salvezza. Con la Pasqua infatti ha avuto inizio la vera Eucaristia, nella quale, fino alla consumazione dei secoli, la Chiesa acclamerà «Cristo vero Agnello che ha tolto i peccati del mondo; Cristo che, morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita» (Prefazio Pasquale I). Ed è così che inizia il “Giorno del Signore”, giorno di vita senza tramonto, in cui il dovere di ogni credente è quello di “cercare le cose di lassù” e di “nascondere la propria vita con Cristo risorto in Dio”.

A voi tutti lancio una domanda, ed assieme alla domanda lascio a tutti voi l’onere della risposta: il cuore centrale del mistero fondante della nostra fede, è la risurrezione del Cristo, dinanzi alla quale l’Apostolo Paolo afferma che se non fosse veramente risorto la nostra fede e la nostra speranza sarebbe del tutto vana (cfr. I Cor 15, 12-15) può essere forse motivo e occasione per lanciarsi in stravaganze che rischiano di trascendere non di rado tra la dissacrazione e il vero e proprio sacrilegio? Tutto è possibile, quando si esorta, si istruisce, ma non si puniscono i trasgressori, farlo sarebbe una mancanza di misericordia, un peccato questo sì, assolutamente intollerabile.

Firenze, 12 maggio 2023

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