Il caso di “Suor Cristina”. Ricordati cara Cristina, quando canterai, metti Cristo nelle note altrimenti la tua rinuncia non ti avrà insegnato nulla
IL CASO DI “SUOR CRISTINA”. RICORDATI CARA CRISTINA, QUANDO CANTERAI, METTI CRISTO NELLE NOTE ALTRIMENTI LA TUA RINUNCIA NON TI AVRÀ INSEGNATO NULLA
Adesso le sue ex consorelle, le care Orsoline della Sacra Famiglia, hanno ancora una possibilità di aiutare Cristina, le mostrino vicinanza e provvedano anche a un suo doveroso aiuto materiale. Senza lesinare qualche salutare scappellotto, le siano accanto, così come Cristo ha fatto con quel giovane ricco che non ha voluto seguirlo.
— Attualità ecclesiale —
Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp..
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La audio lettura sarà disponibile la mattina del 26 novembre
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Suor Cristina Scuccia, la suora cantante della Congregazione delle Orsoline della Sacra Famiglia, ha lasciato la vita consacrata per seguire forse la sua (vera?) vocazione nel mondo canoro [vedere: qui, qui, qui e qui]. È una notizia di pochi giorni fa.
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A questa recente notizia, Padre Ariel ha già dedicato un breve articolo che condivido in pieno quanto al realismo e all’equilibrio [vedere: qui]. Tuttavia, da presbitero religioso dell’Ordine Cappuccino desidero fare anch’io delle considerazioni in merito, che per certi versi risuoneranno come delle vere e proprie provocazioni scontentando forse qualcuno, ma che avranno il merito di evidenziare alcune delle più comuni ipocrisie della vita consacrata mascherate da sentimenti di pietà.
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Anzitutto c’è da mettere al corrente le tante anime belle ― quelle che in queste ore in real life o sui social stanno giocando al tiro al piccione con la povera ex Orsolina ― che ogni anno dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica sono gestite moltissime richieste di religiosi che chiedono di lasciare il proprio ordine, il proprio istituto o la propria congregazione di appartenenza. Di chi è la colpa? Perché avviene questo? Io non sempre riesco a darmi una risposta convincente, secondo il parere illuminato di alcune anime belle la colpa è senza dubbio del Papa gesuita o forse di quei religiosi che hanno fatto piangere Lama Donna con i peccati contro il sesto comandamento o forse di coloro che non si rassegnano a vivere secondo uno stile religioso grottesco tipico dei monaci del film Il Nome della Rosa di Jean-Jacques Annaud o delle improbabili suore del film Sister Act. Perché per certe anime belle ed esperti catto-blogghettari, tutta tradizione e latinorum, il religioso è una maschera grottesca tra lo psichiatrico e il farsesco, un misto di mortificazione e di cilicio, disturbi d’umore e pruriginosi desideri da romanzo alla Uccelli di Rovo, insomma un autentico pazzo.
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Perciò, quando si verifica che qualche consacrato appenda l’abito al chiodo, subito si parte alla ricerca delle motivazioni – vere o presunte – e si procede con la delicatezza e il tatto di uno schiacciasassi dentro un negozio di cristalli Swarovski. Ma noi qui, dall’amena Isola di Patmos non vogliamo essere degli schiacciasassi, sappiamo bene infatti che alcuni abbandoni sono senz’altro giusti perché privi di quella minima consapevolezza e libertà necessaria per vivere da consacrati e costituirsi nel mondo come fiaccole di luce, segni profetici per la Chiesa. Altri abbandoni, invece, costituiscono delle vere e proprie ingiustizie lasciate correre con troppa leggerezza e scaturite il più delle volte dalla disperazione, dalla solitudine, dalla miseria umana e dalla insulsa paraculaggine di alcuni superiori che scambiano il munus del governo con il privilegio dell’impeccabilità propria in cui l’errore personale non esiste mai e se c’è è di norma sempre e solo del “religioso problematico” che decide di lasciare.
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Onestamente, dopo più di vent’anni di vita religiosa ― sono entrato tra i Frati Minori Cappuccini a 21 anni di età durante gli studi universitari in farmacia ― non sono nella condizione di scandalizzarmi più per queste defezioni, come si chiamano in freddo linguaggio tecnico le uscite o abbandoni. Anzi, dico la verità, davanti a un confratello che lascia non solo sospendo ogni giudizio ma scelgo volutamente di spendere poche parole, sapendo che è urgente dimostrare quell’amore di una nonna che davanti al nipote più scapestrato e ribelle ha comunque la premura di domandare: «Come stai? Hai mangiato?». E Dio solo sa quanto sanno essere espressivi gli occhi e lo sguardo di un religioso che ha preso la sofferta decisione di lasciare. Chiedere come stai, significa condividere molto di più che un’onda sentimentale. A mio modesto avviso significa riversare come balsamo l’ultimo atto di misericordia verso un uomo in crisi. E non è forse questo il modo di interpretare la vecchia parabola lucana del Padre Misericordioso che tutti vantano di apprezzare ma che in pochissimi praticano soprattutto se religiosi, sacerdoti o cattoliconi doc?
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Forse la piccola (suor) Cristina, catapultata all’interno di quello sciagurato mondo dello spettacolo, divorante e divoratore, avrebbe solo avuto il bisogno di sentirsi rivolgere più spesso la domanda della nonna: «Come stai? Hai mangiato?», che poi si traduce in «Sei felice? Gesù e la Chiesa stanno riempiendo veramente la tua vita? Ti stai dissipando, sei turbata? Stai pregando? Il tuo cuore, la tua anima, il tuo desiderio sono forse cagionevoli in qualche cosa?». Perché sono queste le domande utili a prevenire le crisi personali, le malattie spirituali, le sentine di vizi che il demonio scatena per sviare il religioso dalla sua strada di perfezione come ebbe a dire il Vescovo San Macario.
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Nella mia vita religiosa ho conosciuto più volte superiori e direttori di studentato che erano più preoccupati della presenza in coro dei loro frati che della loro reale felicità. Scrupolosi nel vigilare se i frati recitassero integralmente il breviario ma non altrettanto solerti nel notare se i loro frati si aprissero al sorriso e alla gioia all’interno del convento. Preoccupati della regolare osservanza, dell’uso del denaro ma per nulla interessati se il frate fosse riuscito a dormire bene o meno, forse angosciato da qualche fantasma dell’anima. Ho conosciuto altrettanti superiori e direttori di studentato che hanno fatto diventare la vita religiosa una riproposizione di Instagram e Tick Tock. Un reality dove il religioso canta, balla, fa lo show man, fa tutto e il suo contrario, e dove la sola via di perfezione consiste nell’osservanza del motto sessantottino “vietato vietare” perché Gesù è l’asso pigliatutto che sta bene sopra ogni cosa, dal Palco di Sanremo alla Grande Chartreuse.
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Ma ormai a 45 anni di età comincio a diventare vintage, ricordando che un tempo per lasciare il convento, bisognava bussare alla porta del padre guardiano (il superiore locale) e chiedere il permesso: «Benedìcite padre, posso andare a…» e dopo aver fatto le commissioni fuori dal convento, ritornare dal guardiano e nuovamente dire: «Benedìcite padre sono rientrato». Queste cose oggi non si usano più, spesso i giovani novizi e studenti hanno molte libertà fin dal noviziato (io ho avuto il primo cellulare da diacono all’età di 33 anni) e quelle che vent’anni fa potevano essere considerate come formalità oggi capisco che erano modi per vivere la figliolanza e la paternità spirituale, insieme a quella fraternità evangelica che unisce e protegge tutti i religiosi.
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Il caso di (suor) Cristina è emblematico di quella verità che ci dice che anche i religiosi escono di scena. Assieme alle coppie che scoppiano (vedi Albano e Romina, Totti e Ilary), i preti che si spretano, i frati che si sfratano e le suore che si… beh avete capito. Questa è la nuda verità della nostra «Chiesa in uscita», una verità non certamente recente, queste cose sono sempre capitate e capiteranno ancora, basta ricordare alcuni precedenti illustri come Suor Sorriso o Fra Giuseppe Cionfoli. Verità forse scomode a cui è necessario trovare una risposta ma soprattutto un modo per prevenirle. Perché sono sicuro che sia suor Sorriso, così come fra Giuseppe Cionfoli e ora suor Cristina erano stati sicuramenti scelti e amati da Dio nella loro scelta di vita religiosa, ma non hanno avuto la grazia di incontrare maestri capaci di accettarli così come erano, accompagnando le loro doti verso una purificazione matura che limita le tentazioni e le nostalgie. Tali defezioni nella vita religiosa non sono mai facili e occorre avere uno sguardo molto più compassionevole e complesso di tutte le varie dietrologie che le persone normalmente seguono in questi casi.
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La dimensione di fragilità della Chiesa implica anche l’eventualità di un abbandono dello stato di vita consacrata, ma sono pochi coloro che vogliono riconoscerlo e in pochissimi coloro che desiderano amare e sostenere questi fratelli nel bisogno in modo gratuito e disinteressato. Perché l’essenza della vita battesimale, di cui la vita religiosa è la piena maturazione, non è nient’altro se non l’amore fino alla fine. È lì, nell’amore come martirio-testimonianza che risiede la credibilità e la santità della Chiesa e di noi cristiani: «Da come vi amerete riconosceranno che siete miei discepoli» [cfr. Gv 13,35]. E invece non si leggono che commenti di vergini vilipese che si sgomentano che Cristina Scuccia non è più suora, gridando al tradimento di Giuda e alla codardia. Davanti a queste esternazioni mi taccio perché altrimenti finirei per dire cose poco caritatevoli.
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Cerchiamo di capire una buona volta che l’amore cristiano è quello che è disdegnato dai più, un amore che ama quello che è disgregato, che crea scandalo, un amore che cammina su strade storte e affossate di una umanità decadente. Del resto, non è questo che ha fatto il Signore Gesù con ciascuno di noi? «Quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi» [cfr. Rm 5,6]. Questo risulta vero ancora oggi, Cristo continua a morire ogni giorno per noi, gente raccogliticcia, che lega a sé con il vincolo di una speciale consacrazione, battesimale, religiosa o sacerdotale, e che necessariamente chiede una conversione che ci faccia passare dall’abbandono delle tenebre allo splendore della luce.
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Cristo ama noi, battezzati, religiosi e sacerdoti, non perché siamo perfetti ma proprio perché imperfetti, anzi empi, non ancora entrati in quella pietas del giorno di Pasqua che non è certamente ottenibile con uno sforzo di volontà ma come gratia gratis data da chiedere ogni giorno allo Spirito Santo con lacrime. La vita religiosa è una strada di perfezione che si realizza solo quando l’immagine di Cristo, uomo nuovo, nasce in noi. E questo parto ha bisogno certamente di tempo, di paternità e di maternità spirituale, di accompagnamento affettuoso e sofferto, merce molto rara tra i superiori religiosi di una «Chiesa in uscita», sempre più manager così come è per molti vescovi.
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Considero il caso di (suor) Cristina Scuccia non un’eccezionalità ma l’espressione di una tendenza ben conosciuta da chi vive e lavora nel mondo reale della vita consacrata. Se andiamo a esaminare poi i casi di abbandono, constatiamo che a lasciare non sono i religiosi o le religiose con dei limiti umani e spirituali ma esattamente il contrario. Spesso ci troviamo davanti a personalità veramente talentuose, dotate di carisma, viva intelligenza e che hanno un bagaglio culturale di tutto rispetto, tanto da fargli conseguire titoli accademici importanti. Essi sono come delle auto di grossa cilindrata che sono state affidate a gente senza esperienza di guida. E (suor) Cristina ha delle qualità che indubbiamente sono state canalizzate male. Qualità che potevano sostenerla e aiutarla nella vocazione e che invece sono state usate per sovrapporsi alla vocazione religiosa creando un’alternativa che sarebbe venuta incontro alle necessità temporali di una congregazione religiosa giovane, che dall’opera canora della consorella avrebbe forse usufruito anche di belle somme di denaro? Questo non deve scandalizzare perché anche le suore devono mangiare e mantenere le loro strutture, ma forse c’è bisogno di un’attenta riflessione che tenga conto di qualche priorità da riconsiderare.
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I casi di abbandono nella stragrande maggioranza delle volte non riguardano neanche il celibato – così come si aspetterebbero le tante anime belle tutte Cuore di Gesù e di Maria – e questo significa che non si esce perché ci si vuole sposare o perché non si riesce più a rispettare il voto di castità. La motivazione del fallimento risiede in tutt’altro: di molto più profondo, di molto più articolato, di molto più concreto. Per questo, ogni abbandono resta misterioso, conosciuto solo per alcuni risvolti ma sempre ingiudicabili dagli uomini così pronti a giudicare e a incasellare tutto dentro a rassicuranti categorie. Solo Dio che è Padre può conoscere in profondità il cuore dell’uomo, anche di quello che decide nella sua libertà di abbandonare la vocazione che gli è stata offerta ma che non potrà sottrarsi alla vocazione comune di ogni battezzato che è quella alla comune chiamata alla santità che travalica lo stato di vita (poco importa se consacrato, sposato o single).
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Per questo motivo, smettiamola di fare il tiro al piccione con la ex (suor) Cristina, con lei così come con gli altri ex religiosi. Questo non è un caso mediatico da sbandierare su rotocalchi scandalistici o blog cattolici. In questo momento di fragilità, benché l’apparenza e il maquillage dicano il contrario, questa ragazza ha bisogno di sincero aiuto per ricostituirsi una vita ma soprattutto ha bisogno di imparare a non assecondare i miraggi dello spietato mondo dello spettacolo che vedono il religioso o l’ex religioso come un animale da esibire per fare audience. Ricordate il caso di don Alberto Ravagnani prima utilizzato da Fedez e poi bullizzato e preso a parolacce? Bene, queste sono le reali prospettive.
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Prima c’era suor Cristina, adesso c’è Cristina Scuccia cameriera in terra di Spagna, domani forse sarà un’anonima donna con un matrimonio fallito alle spalle e figli a carico che canta nei locali spagnoli per riuscire a sbarcare il lunario. Sic transit gloria mundi, la gloria degli uomini, così come la gloria del palcoscenico.
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Adesso le sue ex consorelle, le care Orsoline della Sacra Famiglia, hanno ancora una possibilità di aiutare Cristina, le mostrino vicinanza e provvedano anche a un suo doveroso aiuto materiale. Senza lesinare qualche salutare scappellotto, le siano accanto, così come Cristo ha fatto con quel giovane ricco che non ha voluto seguirlo. Siamone certi, la proposta passa, l’amore di Cristo resta, benché velato di quella triste nostalgia che solo gli occhi sanno esprimere, come quel giovane ricco che se ne andò perché aveva molti beni, ma tra i tanti beni che aveva abbisognava dell’unico necessario che avrebbe dato valore al tutto il resto.
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Cristina, ricordati quando canterai, metti Cristo nelle note altrimenti la tua rinuncia non ti avrà insegnato nulla.
Laconi, 25 novembre 2022
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