Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Gabriele

La preghiera, il giudice ingiusto e la vedova assillante

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

LA PREGHIERA IL GIUDICE INGIUSTO E LA VEDOVA ASSILLANTE

 

«Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai»

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

La chiesa del convento domenicano di Santa Maria Novella in Firenze, presso il quale Padre Gabriele è stato trasferito e dove ha celebrato la prima Santa Messa nella giornata di oggi

In questa XXIX domenica del tempo ordinario il Santo Vangelo ci offre un grande e prezioso insegnamento sulla preghiera [vedere liturgia della parola QUI]. In molti altri passi ha descritto l’importanza degli atti di misericordia e carità verso Dio e il prossimo. Oggi il tema centrale è invece la preghiera:

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«Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai»

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Una preghiera incessante. Molto spesso agli occhi del mondo contemporaneo la preghiera è una pratica noiosa, che va evitata, perché da vecchi o perché considerato qualcosa di superato. Al contrario, la preghiera è innanzitutto intimità con Dio. Uno stare con lui dialogando con Padre, Figlio e Spirito Santo: tre Persone che ci ascoltano e dialogano con noi. Non è un dialogo fra sordi, come purtroppo accade spesso oggi, nelle comunicazioni via WhatsApp, Telegram o anche in persona. Ricordo un libro di qualche anno fa, l’Ulisse di James Joyce. Uno dei protagonisti, Molly, comincia un lungo monologo interiore. Parla di temi anche disordinati fra loro. Distesa su un letto. Poi si risponde da sola. Si rivolge a Gesù e Dio. Ma materialmente non li ascolta.

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Gesù invece è venuto a dirci di aprire il cuore incessantemente a Dio, perché è un dialogo che vi cambierà la vita in modo definitivo. Non solo la vita, ma ogni girono che ci affidiamo a Lui nella preghiera. Così, per rendersi più chiaro, Gesù ai suoi racconta la parabola del giudice ingiusto e la vedova insistente. Quello che il Signore vuole sottolineare è l’insistenza della vedova, nonostante la situazione di ingiustizia che ella vive. Alla fine della sua insistenza viene esaudita. Per cui alla fine della parabola dice:

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«Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

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La preghiera è allora la nostra azione tenace. Di affidarci a Dio nei nostri momenti di sofferenza, nelle ingiustizie che viviamo, nelle nostre aridità spirituali. Perché il Signore sa tutto di noi e nella preghiera ci alimenta continuamente della sua grazia e dei suoi doni dello Spirito Santo. La preghiera ci prepara dunque a ricevere altre grazie e altri doni più grandi. Ma come dice lo stesso Gesù alla fine con una domanda retorica, la preghiera è ciò che alimenta la fede. Quella fede, virtù teologale, che il Signore ha generato in noi e vuole ritrovare ogni giorno, perché la fede è l’innamoramento di Dio. È l’innamoramento più bello di tutti.

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La preghiera è dunque quell’azione che ci permette di essere sempre più innamorati e ferventi di carità verso Dio e il prossimo. Nella tradizione cattolica esistono diversi tipi di preghiera: quella vocale, il canto, la meditazione e la contemplazione. Per noi domenicani è preghiera importantissima quella contemplativa. Cum templum fare: la contemplazione è come un farsi tempio, rendersi un tutt’uno con Gesù. Dunque, un entrare nell’intimo di Gesù: una relazione di intimità nella carità e nella verità.

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Chiediamo al Signore di diventare sempre più credenti che pregano Dio col cuore e con lo spirito, affinché possiamo bagnare i nostri deserti esistenziali con la pioggia dell’amore tenero e profondo di chi ci ha amato fino alla fine.

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Firenze, 15 ottobre 2022

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NOTA

Padre Gabriele è stato trasferito dal convento romano di Santa Maria Sopra Minerva a quello fiorentino di Santa Maria Novella, dove questa domenica ha celebrato la prima Santa Messa e predicato per la prima volta.

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Il blog personale di

Padre Gabriele

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Quando il prete vuole promuovere i diritti del laicismo, i vescovi hanno il dovere di pretendere un prete che promuova la Chiesa

QUANDO IL PRETE VUOLE PROMUOVERE I DIRITTI DEL LAICISMO, I VESCOVI HANNO IL DOVERE DI PRETENDERE UN PRETE CHE PROMUOVA LA CHIESA

Per certi preti oggi vivere nella Chiesa è un po’ come percepire il reddito di cittadinanza, permette di vivere avendo uno stipendio senza dare assolutamente nulla. Togliere la congrua a questi soggetti sarebbe la prima azione necessaria, insieme all’interdetto a ricoprire incarichi ecclesiali rappresentativi in nome di una Chiesa con cui non si sentono in comunione.

— Attualità ecclesiale —

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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PDF  articolo formato stampa

 

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La versione audio sarà disponibile lunedì

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un libro molto consigliato in lettura (cliccare sull’immagine per aprire la presentazione)

Dopo la celebrazione della Santa Messa sul materassino [vedi qui, qui, qui, qui] e quella in tenuta ciclistica [vedi qui, qui, qui, qui] la kermesse del clericalmente corretto ha aggiunto un nuovo tassello verso il completamento del grande mosaico della Chiesa in uscita, povera per i poveri, in cui l’unica vera povertà da tutti percepita è quella in materia dottrinale che finisce per condizionare la prassi pastorale.

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Così nella bella Liguria, al confine con le Cinque Terre, in quel di Bonassola il presbitero Giulio Mignani della diocesi della Spezia-Sarzana-Brugnato si è meritato l’onorificenza di ambasciatore per i diritti del laicismo, tanto da avere come attendente niente meno che l’agguerrito Marco Cappato [vedi qui, qui, qui, qui]. Devo dire che ci siamo persi, per la “gioia” del prete e del promotore dell’eutanasia, una sicura performance del nostro Padre Ariel S. Levi di Gualdo, prontamente invitato a dibattere con loro al programma Dritto e Rovescio in onda giovedì 13 ottobre su Rete 4. Il nostro confratello non intendeva però mancare al funerale di uno dei suoi grandi maestri, il gesuita Peter Gumpel, insigne teologo e storico del dogma [vedere qui], celebrato a Roma venerdì mattina alle 10 presso la cappella della curia generalizia della Compagnia di Gesù. Questo gli ha reso impossibile recarsi negli studi di Cologno Monzese. Se sia stato un bene o un male non è dato sapere, forse avremmo assistito a chissà quali fuochi di artificio.

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Sia ben chiaro, tutto questo bailamme non è il risultato di un colpo di testa estivo ma è il ragionato e meticoloso lavoro di svariati anni di ministero parrocchiale in cui questo prete pro-eutanasia si è presentato come l’esponente di un pensiero teologico filo-germanico che lo delinea come prete di rottura, come del resto ha fatto, sta facendo e ancora farà in Sardegna il presbitero Ettore Cannavera [vedi qui].  

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Da Crotone a Mazara del Vallo passando per Bonassola, isole comprese ecco realizzata la nuova via sacra in cui i novelli presbiteri inclusivi, resilienti e paladini dell’amore sfoggiano con orgoglio i paramenti iridati fino a calcare il recinto del Tempio dei Diritti in cui possono offrire le primizie del loro zelo e ribadire che l’unico vero dogma esistente è la Resistenza.

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Sì, resistenza e vigilanza, come ci pare stia già facendo la Conferenza Episcopale Italiana dopo le ultime elezioni politiche [vedi qui, qui]. Davanti a una Chiesa ritenuta omofoba e allergica alle politiche civili sull’aborto e sul fine vita, c’è bisogno di resistere: resistere davanti alla Verità, resistere davanti al buon senso, resistere davanti all’ovvio, resistere anche davanti all’innocenza incolpevole che si incarna nelle fattezze di un feto, di un disabile o di un malato terminale, resistere soprattutto davanti a Gesù Cristo che non informa più la vita di numerosi presbiteri, i quali strizzano l’occhio alla militanza civile. Un tempo andavano di moda i preti operai, oggi quelli attivisti e resistenti!

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Come risaputo la resistenza migliore è quella che si consuma ad intra, tra quinte colonne che operano all’interno delle Curie arcivescovili, nei saloni parrocchiali, dove i sacerdoti possono fare liberamente il loro coming out di pensiero e manifestare le vere intenzioni che si uniscono ai rispettabilissimi ragionamenti a-teologici e a-cattolici che vengono fatti passare come l’architettura su cui si costruisce una spiritualità alternativa (non “indietrista” direbbe qualcuno), come si affretta a chiarire il prete pro-eutanasia all’intervistatore delle Iene [vedi video qui dal minuto 4,30].

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Se è vero che la bocca parla della pienezza del cuore [Mt 12,34], la bocca di questo prete e di tanti altri come lui ha abbondantemente parlato in questi ultimi anni mettendosi consapevolmente e orgogliosamente al di fuori dell’insegnamento della Chiesa. Ma stavolta, nell’ingranaggio ben oliato della lotta per i diritti civili, qualcosa è andato storto, un vescovo ha voluto dire la sua e si è messo di traverso come inciampo evangelico affinché fosse a tutti noto che la militanza di quel suo presbitero non solo era ed è sbagliata, ma bisognava farla giungere al capolinea.

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Sono assolutamente convinto che la notizia del provvedimento canonico della sospensione a divinis sia giunta senza troppe sorprese: sicuramente non per il prete che aveva già da tempo fatto un pensierino di abbandonare la Chiesa [vedi qui] ma anche per la diocesi spezzina assuefatta dalle dichiarazioni diuturne del prete dei diritti. Da parte sua il vescovo S.E. Mons. Luigi Ernesto Palletti si è comportato da gran signore, non ha fatto nulla di più di quanto un autentico successore degli apostoli dovrebbe fare, cosa che oggi lo definisce come una mosca bianca nel panorama episcopale italiano. Non solo si è dimostrato veramente un padre paziente davanti ai capricci di questo figlio prodigo ― prete di rottura che ha rotto abbastanza le altrui ortodosse gonadi presbiterali ― ma anche ha saputo promuovere percorsi di recupero e di riconciliazione con questo suo prete più intento a difendere i diritti civili che ad amare la Chiesa di Cristo di cui è stato costituito ministro.

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Voglio ricordare a tutti i nostri Lettori che ogni candidato al sacerdozio, prima dell’ordinazione diaconale e prima di quella sacerdotale pronuncia un giuramento molto chiaro e vincolante, che poi ribadisce nel momento in cui assume incarichi ufficiali all’interno della Chiesa. Qui di seguito riporto i testi a cui è necessario fare riferimento:

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Io N.N. credo e professo con ferma fede tutte e singole le verità che sono contenute nel simbolo della fede, e cioè: Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen. Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato. Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo. Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio episcopale propongono quando esercitano il loro Magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo.

Io N.N. nell’assumere l’ufficio di […] prometto di conservare sempre la comunione con la Chiesa cattolica, sia nelle mie parole che nel mio modo di agire. Adempirò con grande diligenza e fedeltà i doveri ai quali sono tenuto verso la Chiesa, sia universale che particolare, nella quale, secondo le norme del diritto, sono stato chiamato a esercitare il mio servizio. Nell’esercitare l’ufficio, che mi è stato affidato a nome della Chiesa, conserverò integro e trasmetterò e illustrerò fedelmente il deposito della fede, respingendo quindi qualsiasi dottrina ad esso contraria. Seguirò e sosterrò la disciplina comune a tutta la Chiesa e curerò l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche, in particolare di quelle contenute nel Codice di Diritto Canonico. Osserverò con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa, e presterò fedelmente aiuto ai Vescovi diocesani, perché l’azione apostolica, da esercitare in nome e per mandato della Chiesa, sia com­piuta in comunione con la Chiesa stessa.

Così Dio mi aiuti e questi santi Vangeli che tocco con le mie mani.

Sosterrò la disciplina comune a tutta la Chiesa e promuoverò l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche, in particolare di quelle contenute nel Codice di Diritto Canonico. Osserverò con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa, e in unione con i Vescovi diocesani, fatti salvi l’indole e il fine del mio Istituto, presterò volentieri la mia opera perché l’azione apostolica, da esercitare in nome e per mandato della Chiesa, sia compiuta in comunione con la Chiesa stessa.

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Il presbitero spezzino Giulio Mignani ha sicuramente pronunciato davanti al suo vescovo e agli officiali di Curia questo giuramento impegnativo, sebbene sostenesse di fatto tutto il contrario. Sarebbe quindi ora di giungere a una resa dei conti, non in seno alla battaglia per la difesa dei diritti civili, ma nel cuore e nella vita di questo fratello sacerdote. Mi spiego meglio: in Italia nessuno proibisce a nessuno di svolgere la carriera di attivista in qualsiasi campo (purché si rispetti la legalità), per questo motivo Giulio Mignani farebbe bene in avvenire a discernere quello che intende fare. Lui ha il pieno diritto di esercitare la parresia e dire al suo vescovo che rinuncia al suo sacerdozio per perseguire la nobile causa di attivista pro-aborto, pro-eutanasia, pro-unioni arcobaleno, lasciando così che a parlare sia la sua singola e rispettabile persona, non però quella della Chiesa che come sacerdote egli rappresenta e di cui si vuole fare portavoce.

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Ribadisco: questo è nel suo pieno diritto, così come è nel pieno diritto della Chiesa, dei vescovi e dei fedeli avere dei sacerdoti che sappiano annunziare Cristo, testimoniare il Vangelo della vita e difendere il deposito delle fede dai lupi rapaci che insinuano l’errore, anche se deboli e peccatori. Nessuno mai ha preteso dai sacerdoti un certificato di impeccabilità, siamo i primi a sperimentare la contraddizione, ma è doverosa una proporzionata chiarificazione delle proprie intenzioni liberamente assunte davanti alla Chiesa e al popolo santo di Dio al momento della sacra ordinazione.

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Sarò malizioso ma per certi preti oggi vivere nella Chiesa è un po’ come percepire il reddito di cittadinanza, permette di vivere avendo uno stipendio senza dare assolutamente nulla. Togliere la congrua a questi soggetti sarebbe la prima azione necessaria, insieme all’interdetto a ricoprire incarichi ecclesiali rappresentativi in nome di una Chiesa con cui non si sentono in comunione. Dopo di che si aspetta per vedere se le varie associazioni promotrici dei diritti civili, quelle che non lesinano a pubblicizzare e aizzare questo genere di sacerdoti, saprebbero sobbarcarsi il loro completo mantenimento, magari come addetti al volantinaggio nelle scuole in favore della pillola RU486, in qualche gazebo in piazza per dirci quanto è misericordiosa e buona l’eutanasia o forse come barman presso il Muccassassina di Roma. Perché deve essere chiaro che chi predica il Vangelo, dal Vangelo sarà sostenuto nelle sue necessità. Chi invece predica i diritti civili, dai diritti civili dovrà essere ugualmente sostenuto, visto che non è più possibile invocare l’errore o la confusione mentale quando si è arrivato a fare una lucida e pubblica professione di fede da attivista.

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Spero di sbagliarmi ma da oggi a qualche mese potremmo sentire ancora parlare di questo confratello, forse perché ridotto allo stato laicale, per richiesta sua o come conseguenza canonica per il mancato ravvedimento. Davanti a una Chiesa percepita come oscurantista e incapace a riconoscere l’amore vero, egli sarà il nuovo martire dei diritti e dell’inclusione. Portato in trionfo tra i vari salotti televisivi del pensiero democratico egli proclamerà la bellezza di essere sacerdote: sacerdote senza più mediazione con il divino, sacerdote mortificato nel suo essere profeta contro corrente, sacerdote svuotato di quella fortezza dei martiri che sanno affrontare la croce soprattutto quando si sentono inermi.

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Concludo manifestando tutto il mio rammarico per quei fedeli che oggi gridano allo scandalo a causa della sospensione a divinis di Giulio Mignani, perché non si rendono conto che questo confratello non è una loro proprietà da usare, così come è tremendamente ingiusto percepirlo come ariete per forzare la porta della Chiesa. Mi spiace anche per tutti i fratelli omosessuali, per tutte le donne che hanno abortito e per coloro che hanno desiderato mettere fine alla loro vita: hanno perso una buona occasione per incontrare un Cireneo capace di affiancarsi alle loro sofferenze senza giudizio, tanto da venirne sollevati per un tratto di strada, incamminati verso la sola vera liberazione che giunge al mattino della domenica di Pasqua e che ha nel Risorto l’unico e vero protagonista, non un uomo – anche se animato dalle migliori intenzioni – che gioca a tana libera tutti.

Laconi, 15 ottobre 2022

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