Só Jesus poderia ser tão bom e misericordioso a ponto de curar e curar uma sogra

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

SOLO GESÙ POTEVA ESSERE COSI BUONO E MISERICORDIOSO DA CURARE E GUARIRE UNA SUOCERA

«La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Ele se aproximou e a fez levantar pela mão; a febre a deixou e ela os serviu. A noite chegou, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta».

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La pericope del Vangelo di questa V Domenica del Tempo Ordinario ci racconta ancora della giornata-tipo di Gesù a Cafarnao.

"Naquela época, Jesus, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Ele se aproximou e a fez levantar pela mão; a febre a deixou e ela os serviu. A noite chegou, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni». (MC 1,29-39)

Se l’utilizzo frequente in Marco dell’avverbio «subito» è servito ad accelerare il tempo narrativo, evidenziando la fretta di Gesù riguardo l’annuncio del regno; nel brano odierno, anche i luoghi qui sono presi in considerazione, come uno spazio che tende ad allargarsi sempre di più. Il movimento del racconto passa infatti dalla sinagoga della cittadina sul lago (MC 1,29) alla casa di Pietro, poi ancora dalla casa alla strada aperta davanti alla porta del cortile della casa di Pietro (v. 33), da una città ai villaggi vicini (v. 38); no fim, dai villaggi fino a «tutta la Galilea» (v. 39). Come se tutto lo spazio, velocemente, debba essere occupato da Gesù, dal suo annuncio e dalle sue opere.

I personaggi del racconto sono i discepoli più vicini a Gesù, la suocera di Simone e soprattutto i malati. Sono questi ad impadronirsi della scena. Essi si possono trovare già dove arriva Gesù, come la suocera di Pietro, oppure vengono portati a lui; altri ancora lo cercano spontaneamente sin dall’alba, quando egli sta pregando. La malattia incornicia il nostro brano: che si tratti di una febbre o di una sofferenza più profonda, spirituale o fisica (come quella causata dagli spiriti impuri del v. 39), il vocabolario del campo semantico dell’infermità costella il racconto ed è presente in modo consistente, includendo tutta la narrazione.

«E subito gli parlarono di lei». La sollecitudine verso questa donna anziana colpisce, perché manifesta un’attenzione verso i fragili e la fede nella presenza di Gesù. La donna anziana e febbricitante non viene nascosta al Maestro come fosse un problema o qualcuno di cui vergognarsi, per cui non varrebbe la pena disturbare. Il fatto che i discepoli parlino subito della suocera di Pietro a Gesù mostra che quella donna era per loro una priorità. Non ne chiedono la guarigione, non sfruttano la presenza del Maestro ai loro fini, semplicemente indicano la donna malata: questa persona per loro è importante. Da questo si può capire il senso e il valore dell’intercessione come del parlare a favore di qualcuno. Gesù lo apprezza, tanto che fa subito qualcosa: le tende la mano, la solleva e poi la guarisce dalla sua malattia. Gesù vuol essere disturbato dai malati. Gesù apprezza e ammira l’intercessione a favore dei malati, come nel caso del centurione che intercede per il suo servo malato (LC 7,1-10).

Il tema della malattia, dicevamo, percorre tutto il testo marciano. La sofferenza tocca ogni uomo, ma «sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino» (Catechismo degli Adulti, A verdade te libertará, 1021). È la «conversione» alla quale sono chiamati i malati sanati da Gesù, em vez de, alla quale siamo chiamati tutti noi.

Scopriamo così un altro senso delle prime parole di Gesù nel Vangelo di Marco: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (MC 1,15). Il tempo e lo spazio, ma anche gli uomini e le donne sono toccati dalla pienezza della presenza di Dio e il regno è quella realtà in cui è possibile l’incontro con Gesù. Gesù non compie solo attività terapeutiche, perché i suoi gesti sono accompagnati da parole, da insegnamenti. In effetti si tratta di segni per dire che il regno è vicino: i miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio e corrispondono alle attese di Israele, dove si credeva che il Messia sarebbe venuto con capacità taumaturgiche. Per questo motivo l’annuncio che «il regno è vicino» è complementare alla parola «convertitevi e credete al vangelo», perché le folle che accorrono da Gesù, davanti a questi gesti divini, sono chiamate a credere e a convertirsi. Se questo non accade, i miracoli non servono, come spiega Matteo in un altro passo: «Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, porque eles não se arrependeram: Ai de você, Corazim! Ai de você, Betsaida. Porque, se em Tiro e em Sidom se tivessem sido feitos os milagres que eram feitos entre você, elas se teriam arrependido há muito tempo, ravvolte nel cilicio e nella cenere» (MT 11,20-21). La guarigione più grande che Dio può operare è quella dalla nostra incredulità.

Finalmente, forse collegato a ciò che abbiamo appena detto, notiamo la piccola discrepanza fra i «tutti» che accorrono a Gesù per essere sanati (vv. 32.33.37) e i «molti» che invece, na realidade, sono guariti: «Guarì molti che erano afflitti da varie malattie» (v. 34). Essa, Mas, viene superata dal vocabolario della risurrezione usato da Marco. Infatti il verbo che Marco adopera per narrare la guarigione della suocera di Pietro — «la sollevò» del v. 31) — è molto importante nel Nuovo Testamento, perché non ricorre soltanto nei contesti delle guarigioni (MC 2,9.11; 5,41; 9,27), ma soprattutto nel racconto della risurrezione di Lazzaro (GV 12,1.9) e di Cristo (ad es.: No 3,15; RM 10,9). Come Gesù è stato capace di sollevare la suocera di Simone, così sarà capace di dare la vita ai morti, a todos. Si chiarisce allora la strada che vuol farci percorrere Marco per arrivare a conoscere chi è Gesù. Colui che nell’apertura del Vangelo viene definito come «Figlio di Dio» (MC 1,1), come il Battezzatore nello Spirito Santo (v. 8), come il «Figlio prediletto» (v. 11) è finalmente svelato nel suo essere nei confronti degli uomini: è colui che è «venuto» («uscito», Verbatim, dal verbo exérchomai; cf.. v. 38) agli uomini perché lo ascoltino e siano guariti dalle loro infermità.

Il racconto della giornata di Gesù prosegue col riposo, ma poi «al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!» (MC 1,35-37). Non sappiamo a quale luogo deserto possa riferirsi l’evangelista, ma certo non doveva essere distante dal lago. Marco ha già accennato alla preghiera di Gesù, nella forma celebrata in sinagoga. Questa preghiera mattutina e personale, come apprendiamo anche da altre tradizioni evangeliche, sembra essere il modo in cui il Signore riconduce tutto al Padre: quello che ha vissuto dalla sera precedente, quello che lo aspetterà nel giorno che continua. Così Gesù insegna ai discepoli che la preghiera è indispensabile per fare unità nella propria vita.

Do Eremitério, 4 fevereiro 2024

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Os Padres da Ilha de Patmos

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Aquele dia em que um endemoninhado reconheceu imediatamente Jesus Cristo como poder divino

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

QUEL GIORNO IN CUI UN INDEMONIATO RICONOBBE IMMEDIATAMENTE GESU CRISTO COME POTENZA DIVINA

«Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, provérbio: “O que você quer de nós, Jesus Nazareno? Vieste para nos destruir? eu sei quem você é: o santo de Deus!”. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui».

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Canção evangélica deste domingo forma parte di quella che viene comunemente definita la «giornata di Gesù a Cafarnao».

"Naquela época, Jesus, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao] ele ensinou. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. E aqui, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, provérbio: “O que você quer de nós, Jesus Nazareno? Vieste para nos destruir? eu sei quem você é: o santo de Deus!”. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”. La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea». (MC 1,21-28).

Si tratta di una raccolta di brevi episodi che vanno da MC 1,21 tão longe quanto 1,34 che l’Evangelista racchiude nell’arco di ventiquattro ore. Si inizia con la preghiera del mattino in sinagoga, descritta dal v. 21― preghiera celebrata ancora oggi dagli Ebrei, che prevede la proclamazione della Torah, del Profeta e il successivo sermone tenuto dal rabbino ― per arrivare al tramonto del sole, quando ormai, finito lo Shabat, è permesso portare i malati davanti a Gesù. L’attività di Gesù è frenetica: non ha tempo se non per insegnare e per guarire. C’è un avverbio, «subito» (εὐθύς, euthys), importantissimo per Marco, che si ripete nei vv. 21.23.28 ― purtroppo non colto dalla traduzione italiana, ma presente in greco ― e addirittura dodici volte solo nel primo capitolo, quarantacinque nell’intero vangelo di Marco; sta a indicare la fretta di Gesù per il quale «il tempo è compiuto» (MC 1,15): se il tempo è compiuto, non c’è tempo da perdere per mostrare come il Regno è arrivato tra gli uomini.

La prima attività che ci riferisce Marco su Gesù è il fatto che insegnava con autorità. Il primo miracolo, vamos chamá-lo assim, che compie non è una guarigione o un esorcismo, ma l’insegnamento. E, in proporzione, Marco presenta Gesù come un maestro, più degli altri Vangeli: per cinque volte usa a suo riguardo la parola didachē ― «insegnamento» ― e per dieci volte lo chiama «maestro», riferendo questo titolo solo a lui. L’insegnamento è uno dei ministeri di cui parla Paolo nella Lettera ai Romani (12,7), ed è forse la carità di cui più abbiamo bisogno in tempi in cui è difficile trasmettere la fede.

Os outros, a cui viene paragonato Gesù, sono gli scribi. Ma non hanno la sua stessa «autorità». Anche se non vengono disprezzati o diminuiti dall’Evangelista, Marco sottolinea due volte (vv. 22 e 27) che egli insegna in modo molto diverso rispetto a loro. La differenza tra lui e gli altri «rabbini» potrebbe stare a due livelli. Il primo è quello dell’autorevolezza con cui Gesù dice le cose. Leggendo i testi della tradizione rabbinica, che sono stati raccolti a partire dalla caduta del secondo Tempio, nella seconda metà del I secolo d.C., si rimane colpiti dall’attaccamento alle «tradizioni degli antichi» ― di cui parla anche Marco in 7,1-13 ― tramandate con una lunga catena di detti e di sentenze, ma soprattutto dal modo in cui queste sono elencate una dopo l’altra, come una raccolta di opinioni diverse ma dello stesso valore. La parola di Gesù invece ha un carattere più creativo ed un peso più grande: si rifà direttamente alla Legge e a Dio e, acquisendone forza, la sua parola non è mai solo un parere. Ma c’è di più e qui siamo al secondo livello dell’autorità di Gesù. Le sue non sono semplicemente parole, ma compiono ciò che dicono. Egli è il «santo di Dio» (MC 1,24) e perciò la sua autorità esprime il potere di Dio stesso: per questo insegna, esorcizza e guarisce, ma sempre attraverso una parola che libera e salva.

Il Regno di Dio è una nuova creazione no qual, come già nella prima, le parole proferite autorevolmente realizzano ciò che proferiscono. Questo diventa evidente nella seconda attività che contraddistingue l’avvento del Regno in Gesù: la guarigione dei malati e gli esorcismi. Dove c’è Dio con il suo regno, lì non c’è spazio per il male e le sue potenze: se ne devono andare.

Gesù infatti non lascia parlare lo spirito immondo: «Taci», gli ordina. Non vuole che Satana apra bocca e non solo perché il diavolo è «menzognero e padre della menzogna» (GV 8,44). Infatti già era accaduto una volta che il serpente avesse parlato, ed ebbe inizio la triste storia del peccato dell’uomo: il serpente antico per tentare al male Adamo aveva infatti inculcato il veleno del dubbio in Eva: "É verdade que?» (Geração 3,1). Se allora fosse stato fatto tacere, Adamo avrebbe vinto la tentazione.

In questa parte del Vangelo secondo Marco la cristologia è centrata sull’idea che Gesù sia capace di recuperare la sorte del primo uomo. Who, quando fa tacere il demonio e anche nella scena del deserto, ovvero nel racconto della sua tentação. Gesù viene «cacciato» in quel luogo (MC 1,12) così come Adamo era stato «cacciato» dal paradiso (Geração 3,24), condividendone così la sventura, ma uscendo vittorioso dalla prova. Al termine di essa, registra Marco, Gesù «stava con le fiere», cioè di nuovo in pace con la creazione, come Adamo, «e gli angeli lo servivano», cioè ricevendo lo stesso onore che, secondo una tradizione rabbinica, Dio aveva dato alla sua più bella creatura, l’onore di essere nutrito dagli spiriti buoni. Jesus, no fim, appare nel Vangelo di Marco non come un bambino, come invece nei vangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca, ma arriva sulla scena già adulto, uomo fatto, come anche Adamo era stato creato adulto.

La giornata di Cafarnao si svolge in un sabato, il giorno in cui Dio si è riposato dopo aver creato l’uomo. In questo giorno Gesù può riportare alla sua originale bellezza il mondo, per mezzo della stessa parola creatrice che ha fatto l’universo e che gli permette di esercitare la sua autorità forte; ma anche esercitando su quel giorno, Sábado, una speciale signoria. Il «Figlio dell’uomo», come ascolteremo in un’altra domenica, è «Signore anche del sabato» (MC 2,28). Il tempo è di Dio e Gesù afferma questa sovranità sul tempo compiendo guarigioni di sabato. E sono guarigioni che toccano uomini e donne che a causa della loro malattia avevano perso la ragione stessa del tempo. Per una persona sana, lo svolgersi delle attività lungo l’arco della settimana mirava ad un compimento nel riposo sabbatico: l’incontro con Dio e con la sua parola permeava di significato e di speranza l’esistenza.

Per una persona invalida, che era esclusa dal riposo sabbatico e dallo spazio del tempio, ecco che ogni giorno della settimana si caricava del medesimo dolore e sofferenza. Le guarigioni di Gesù nel giorno di sabato interrompono questo fluire indistinto del tempo nel corpo dei malati e ridonano a uomini e donne che hanno perso il senso del tempo il suo pieno valore attraverso il sabato. La guarigione di quell’uomo «posseduto da uno spirito impuro», che quel giorno di sabato si trovava proprio lì dove era presente anche Gesù, è l’inizio di un nuovo sabato, ossia di una nuova creazione, in cui al centro c’è la vita di ogni persona da salvare. Come ha scritto il rabbino e filosofo Heshel:

«Dobbiamo sentirci sopraffatti dalla meraviglia del tempo se vogliamo essere pronti a ricevere la presenza dell’eternità in un singolo momento. Dobbiamo vivere ed agire come se il destino di tutto il tempo dipendesse da un singolo momento» (Heshel A. (J), No sábado, Garzanti, Milão 2015, p. 96).

 

Do Eremitério, 27 Janeiro 2024

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Os Padres da Ilha de Patmos

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«Venha atrás de mim, Eu vos farei pescadores de homens ". E imediatamente eles deixaram as redes e o seguiram

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

«VENHA ATRÁS DE MIM, FAREI QUE VOCÊS SE TORNAREM PESCADORES DE HOMENS". E SUBITO LASCIARONO LE RETI E LO SEGUIRONO

Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? A principal dificuldade é que Jesus nunca usou nenhuma definição para falar sobre isso. Em vez disso, ele usou parábolas e imagens, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra o a un granello di senapa e così via.

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Lasciato alle spalle il passaggio nel Vangelo secondo Giovanni di domenica scorsa, il lezionario ci riporta a Marco, Who, terminata l’esposizione della trilogia comune ai sinottici (João Batista, Battesimo di Gesù e la prova nel deserto), riprende la narrazione dandoci un’indicazione temporale importante che apprendiamo dall’attacco del Vangelo di oggi.

«Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, ele viu Simone e Andrea, irmão da simone, enquanto lançam suas redes no mar; eles eram na verdade pescadores. Jesus disse-lhes:: «Venite dietro a me, Eu vos farei pescadores de homens ". E imediatamente eles deixaram as redes e o seguiram. Indo um pouco mais longe, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui. (MC 1,14-20).

Scrive Marco che Gesù inizia a proclamare il regno di Dio «dopo che Giovanni fu arrestato» (MC 1,14 cf.. Além disso MT 4,12). Molti immaginano che la cronologia dell’inizio del ministero pubblico di Gesù si sia svolta così: da Galiléia, regione da cui viene, Gesù scende al Giordano per essere battezzato. Subito dopo, tentativa de, rimane quaranta giorni nel deserto per poi ritornare in Galilea. Ma deve invece essere passato più tempo e il punto di svolta, ciò che fa tornare Gesù in Galilea è rappresentato dall’arresto del Battista. Forse è in quel preciso momento che per Gesù giunge la consapevolezza che è ora di assumersi le sue responsabilità.

La voce che gridava nel deserto, poiché è stata messa a tacere, passa ora alla Parola che annuncia il regno. Questa interpretazione aiuta noi credenti nei momenti di difficoltà e sofferenza, come deve essere stato per Gesù l’arresto di Giovanni e ci fa proferire: bisogna fare qualcosa. È in tali situazioni che, se non vai tu, nessuno può andare al posto tuo. La chiamata che ora Gesù farà dei discepoli, l’ha vissuta in prima persona lui; il regno che annuncia l’ha visto arrivare per primo lui, anche nella dolorosa notizia che Giovanni non può più parlare.

Ma eccoci a una questione teologica importante. Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? A principal dificuldade é que Jesus nunca usou nenhuma definição para falar sobre isso. Em vez disso, ele usou parábolas e imagens, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra (MC 4,26) o a un granello di senapa (MC 4,31) e assim por diante. Il regno, diz Jesus, non solo è vicino, ma bisogna accoglierlo come fanno i bambini (MC 10,15) ed entrarci dentro, anche se non è così facile, soprattutto se si hanno molte ricchezze (MC 10,23). È presente, cioè qui o vicino, ma è anche futuro, come quello in cui Gesù berrà, junto conosco, il vino nuovo, altro vino rispetto a quello dell’ultima sua cena (MC 14,25). La teologia cristiana ha elaborato a proposito una formula, quella del «già» ma «non ancora», quasi un ossimoro che dice però come il regno possiamo già ereditarlo e viverci, anche se non è ancora compiuto. Non è ancora esteso a tutti gli uomini, mãe, come insegna il documento del Concilio Vaticano II A luz «è già presente in mistero» con la Chiesa (cf.. n. 5).

Nesse sentido Gesù si distingue dalle due principali concezioni sul regno che circolavano nel giudaismo del suo tempo. Egli infatti non ha inventato questa idea, già nota all’Antico Testamento (cf. 1Cr 28,5) e non l’ha applicata né a quel modo di pensare che vedeva il regno come una realtà «nazionalistica», tutta presente, da attuare magari ad ogni costo, né tanto meno alla concezione opposta, di tipo apocalittico, che vedeva il regno possibile solo come una realizzazione futura che negava il presente. Se vogliamo rintracciare questi due estremi nella storia dell’umanità, potremmo dire che il materialismo si è spesso fondato sull’illusione che tutto potesse risolversi qui, agora; ma dall’altra parte è facile riconoscere in certi movimenti spiritualistici la svalutano del presente, considerato in modo negativo.

Gesù ha invece usato l’idea di regno per dire anzitutto che è arrivato e quindi ci si può entrare. Ma per farlo bisogna cambiare mentalità, modo di ragionare e pensare; per dirlo con le parole di Gesù: «convertirsi» (MC 1,15). "Venha seu reino!», prega ancora la Chiesa, hoje, após dois mil anos. Il regno c’è già, ma deve ancora essere accolto come un dono e trovato lì anche dove si fatica a vederlo.

In conformità dunque con l’attesa escatologica giudaica, ma con la differenza decisiva però che non più di attesa si tratta, il Regno di Dio è l’effetto dell’evento messianico annunciato da Gesù e in lui presente. Il pieno dispiegamento della sua sovranità redentrice non si è ancora realizzato, ma il tempo della fine è giunto e dunque per parlare in modo appropriato non c’è più sviluppo storico, mas sim uma recapitulação de toda a história chamada a julgamento.

«È questo il contenuto dell’«evangelo di Dio» quale ci è sinteticamente riferito dalla tradizione più antica raccolta da Marco: «Il tempo è compiuto ed è vicino il Regno di Dio: converter, e credete nell’evangelo» (1,14-15). O que se anuncia aqui é o tempo (a kairos) de conclusão final, o advento prometido do Reino, a grande virada do mundo inaugurada por Jesus, cujo último ato com sua parusia está prestes a acontecer. Evidentemente qui non può essere il Gesù storico a parlare, bensì il Risorto predicato dall’evangelista, che segna con precisione il tempo della fine tra resurrezione e parusia, come un evento unico in cui tutto il tempo, tutta la storia si condensa, ivi compresa la vita stessa di Gesù. Para isso agora, ao contrário da escatologia judaica, occorre «fede nell’evangelo», isto é, em Jesus Cristo, no Messias, que está presente como quem veio e quem vem. Tutto dunque in forza di questa fede precipita e si concentra nel presente, non vi è più oscillazione tra passato e futuro, tradizione e attesa; ma solo l’ora attuale in cui il passato è redento e il futuro è solo desiderio del compimento: "Vem Senhor Jesus" (Ap 22, 20).[1]

Il Vangelo prosegue descrivendo la fretta di Gesù di portare ad attuazione la sua parola sul regno, perché “il tempo è compiuto”. Il concetto emerge molto chiaramente nel Vangelo di Marco, dove abbonda l’avverbio euthus (εὐθὺς), «subito», ripetuto decine di volte. Tale sollecitudine trova una prima applicazione nella chiamata dei quattro discepoli (vv. 16-20) e nell’episodio dell’insegnamento nella sinagoga di Cafarnao, accompagnato dalla liberazione di un indemoniato (próximo domingo). Jesus, con gesti e con parole, mostra davvero come il regno è arrivato, e lo dice: ai discepoli (appena chiamati a sé) e alla sua gente (nella sinagoga). Ecco che allora il regno può essere solo uno spazio in cui Dio è presente, Onde, precisamente, solo lui regna. Le altre potenze non possono fare altro che riconoscerne l’autorità («Io so chi tu sei: il santo di Dio» di MC 1,24) e sottomettersi.

I padri della Chiesa erano colpiti dal modo in cui Gesù chiamò i primi a seguirlo: rilevano che erano persone semplici e illetterate (Orígenes), che probabilmente avranno obiettato con la loro inadeguatezza (Eusebio); noi ci stupiamo anche del fatto che questi «subito» lascino le reti lo seguano (cf.. MC 1,18), ma soprattutto per il fatto che ancora oggi, depois de muitos anos, Gesù ancora «passi accanto» (MC 1,16) alle nostre situazioni, al nostro quotidiano, alle nostre reti, e ci inviti a seguirlo per stare con lui.

Ciascuno di noi viene chiamato lì dove si trova e ogni inizio ha sempre un prima che lo ha preparato su cui poi si innesta una novità, un cambiamento: come il seme che è stato seminato ha una forma diversa dalla pianta che poi germoglierà, così anche noi siamo presi dal Signore a partire dalle nostre storie e dal nostro oggi per far sviluppare quelle potenzialità di bene e di vita che sono racchiuse nel «piccolo seme» della nostra vita e che solo il Signore può dischiudere e trasformare con la forza e la fantasia del suo Spirito. A noi è chiesta l’attenzione alla sua voce che chiama, l’abbandono filiale e fiducioso alle sue parole, e la prontezza nel rispondere senza dilazioni nel tempo o attaccamenti al «già», a quel noto e conosciuto che ci rassicura ma anche rischia di bloccarci: «E subito lasciarono le reti e lo seguirono».

 

Do Eremitério, 21 Janeiro 2024

 

NOTA

[1] Gaeta G., A hora do fim, Qualquer, 2020

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Um domínio de caridade: "Rabino, onde você mora? Venha e veja"

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

UM MESTRE DE CARIDADE: "RABINO, ONDE VOCÊ MORA? VENITE E VEDETE»

Scriveva Isaac Newton «Più imparo, mais percebo quantas coisas não sei". Hoje parece que muitos não querem aprender mesmo tendo certeza e certeza de que sabem.

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Caros Leitores da Ilha de Patmos,

uno degli atteggiamenti più naturali che tutti abbiamo è quello della ricerca. Quando siamo bambini ci domandiamo spesso il perché delle cose. Crescendo troviamo poi delle risposte, e continuamente rinnoviamo questa nostra ricerca del senso della verità nelle cose. Scriveva Isaac Newton «Più imparo, mais percebo quantas coisas não sei".

Nel Vangelo di oggi Gesù ci mostra due uomini in ricerca e la via da seguire per trovare la risposta definitiva. La risposta è molto bella: andare con Lui e vedere dove dimora il Signore.

«Gesù allora si voltò e, osservando che [Giovanni e due discepoli] lo seguivano, ele disse-lhes: “Che cosa cercate?”. Eles responderam a ele: “Rabbì — che, tradotto, significa maestro — , onde você mora?”. Ele disse-lhes: “Venite e vedrete”».

Troviamo dunque una scena molto bella. Giovanni, Andrea e un altro discepolo di cui non sappiamo il nome si muovono seguendo Gesù. Lui se ne accorge e li interroga. Rispondono e così lo riconoscono come maestro e vogliono sapere dove abita. Ed è allora che Gesù li invita a venire e vedere.

È un dialogo vivido e forte fra i tre e Gesù. Il Signore con il suo sguardo umano divino coglie un cuore e una mente pronti a cercare la casa di Dio. Pronti a cercare quel luogo dove possono trovare la verità che schiude il loro mistero e quello di Dio.

Gesù è davvero maestro per loro perché in quanto figlio di Dio può condurre Andrea, Giovanni e l’altro discepolo ad una maestria, ad una conoscenza che diventa amore. Una conoscenza di Dio che gli permette di amare in modo concreto e pratico sé stessi e gli altri.

In questo incontro ci siamo anche noi. Potremmo dire che siamo simboleggiati da quel discepolo innominato. Quello senza nome è colui che ascolta e chiede a Gesù qual è la sua dimora oggi nel 2024.

Il Signore chiede a tutti noi di cercarlo innanzitutto nella Chiesa, eua sua dimora principale, perché in essa si vive e si celebra l’Eucarestia, cioè la presenza reale di Gesù in corpo, sangue, alma e divindade. Se seguiamo e vediamo Gesù nella Chiesa che celebra l’Eucarestia, e dunque ci rende partecipi attivamente nell’Incontro con Lui, tutti possiamo crescere anche nell’imparare la comunione con il prossimo. Porque, efetivamente, la seconda dimora dove possiamo incontrare Gesù oggi, è proprio il nostro prossimo. Tutti noi infatti siamo tempio dello Spirito Santo e tempio dell’Eucarestia. Perciò impariamo a guardare nel prossimo sofferente e bisognoso, quello stesso Gesù che ci chiede aiuto.

Così dobbiamo innanzitutto imparare ad ascoltare la voce di Gesù che oggi domanda ai nostri cuori “Cosa cercate?”. Domandiamoci se i nostri desideri sono santi, giusti e buoni, e davvero sentiremo il Signore invitarci a camminare sui sentieri dell’Eternità.

Chiediamo al Signore il dono di una ricerca che ci porti alla vita autentica, la vita in Lui e nella sua Chiesa, per diventare ricercatori della Luce Eterna.

 

santa maria novela em Florença, 14 Janeiro 2024

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Os Padres da Ilha de Patmos

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O divino provocador Jesus aos Apóstolos: "O que você está procurando??»

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

O DIVINO PROVOCADOR JESUS ​​​​AOS APÓSTOLOS: "O QUE VOCÊ ESTÁ PROCURANDO?»

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. O profundo mistério da sua pessoa começa a revelar-se, bem como os nomes dos primeiros seguidores. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima.

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Nel Vangelo di questa II domenica del tempo ordinario vamos ler: «In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, ele disse-lhes: "O que você está procurando??». Eles responderam a ele: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, onde você mora?». Ele disse-lhes: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Jesus disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro». (GV 1,35-42).

La Chiesa ha compreso l’unità dei tre misteri che hanno attinenza con la rivelazione di Gesù, e li ha legati già nell’antica antifona dei Secondi Vespri del giorno dell’Epifania:

«Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia».

Quest’anno il terzo mistero che attiene alla manifestazione di Gesù è annunciato sempre tramite il Vangelo secondo San Giovanni, ma invece che l’episodio di Cana, la liturgia propone quello della prima manifestazione di Gesù ai discepoli, a seguito della indicazione di Giovanni Battista che lo definisce come «Agnello di Dio».

O episódio evangélico si colloca al terzo giorno della settimana inaugurale del ministero di Gesù, settimana che culminerà nella manifestazione della sua gloria a Cana davanti ai suoi discepoli che «credettero in lui» (GV 2,11). Il testo offre la versione giovannea della chiamata dei primi discepoli narrata dalla tradizione sinottica, ma con differenze rimarchevoli. Giovanni presenta uno schema in cui è fondamentale la mediazione di un testimone che confessa la fede in Gesù e conduce altri all’incontro con lui: è così per Giovanni Battista nei riguardi di due suoi discepoli (1,35-39), per Andrea nei confronti di Simon Pietro (1,40-41), per Filippo che si rivolge a Natanaele. In particolare Giovanni Battista che, dopo una testimonianza negativa su di sé («Io non sono il Cristo») e una positiva su Gesù («Ecco l’Agnello di Dio»), rivela davanti a due suoi discepoli l’identità di colui di cui egli è stato il precursore e li conduce a farsi discepoli di Gesù. Colui che era stato inviato da Dio come testimone del Verbo «perché tutti credessero per mezzo di lui» (1,7) adempie così il suo mandato lasciando che i suoi discepoli diventino di Gesù, chiedendo che aderiscano a lui.

Che siamo di fronte alla manifestazione di un mistero è segnalato anche dallo “schema di rivelazione”, spesso usato dall’evangelista nella sua opera e che si può riassumere nelle tre fasi del vedere, dire e proferire l’avverbio: «Ecco». Il brano evangelico si apre, assim, con Giovanni che «fissa lo sguardo» (1,36) su Gesù e dice: «Ecco l’Agnello di Dio» e si chiude con Gesù che «fissando lo sguardo» (1,42) su Simon Pietro gli dice: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni, sarai chiamato Cefa – che significa Pietro». Lida com, in entrambi i casi, di uno sguardo intenso, un vedere in profondità, un discernere l’identità di una persona. La vocazione non è solo una chiamata come nei sinottici, ma anche uno sguardo come qui in Giovanni. Lo sguardo, come e forse più della voce è comunicazione e rivelazione. In Giovanni Il verbo più neutro è scorgere, βλέπειν (Blepein). Lo troviamo per la scena iniziale del battesimo al Giordano. Giovanni Battista scorge Gesù che viene a lui e dice: «Ecco l’agnello di Dio». Ma si nota già in questo episodio un passaggio dallo scorgere al contemplare (GV 1,32) e poi all’«ho visto» di GV 1,34, come in GV 14,9.

Alla forma verbale più completa arriviamo in GV 14,9, dove il verbo «vede­re» verrà usato al perfetto: έώρακα (Eoraka). Applicato a Gesù, descrive ciò che lo sguardo attento e stupito ha scoperto in lui e di cui si conserva nella memoria la scoperta. Possiamo osservare che ogni volta che Giovanni usa questo verbo «ho visto» (e ne conservo la memoria) Gesù viene riconosciuto come il luogo santo dove Dio si manifesta, il tempio della presenza divina, casa, ovvero la dimora in cui Dio stesso abita. In un tale contesto diventa chiaro il senso del versetto di Gv14,9: "Quem me viu tem visto o pai". Aver visto Gesù e conservarne la visione interiore nella memoria vuol dire riconoscere Gesù come il luogo di inabitazione del Padre, presente nel suo Figlio come in una dimora. Por causa disso, ritornando al brano evangelico di questa domenica, bisogna dire che in modo adeguato la versione rinnovata della Bibbia CEI del 2008 ha tradotto il v.38 con: «Rabbì dove dimori?» e non «dove abiti?» come era nella precedente versione, data la presenza del verbo μένεις (Menein) che riveste nel quarto Vangelo una importanza particolare. Il tema del dimorare corre, na verdade, come un filo rosso attraverso tutto il quarto Vangelo, arricchendosi progressivamente. Allargando lo sguardo all’insieme del Vangelo e provando a tirare le fila del nostro discorso possiamo affermare che lo stesso evan­gelista in 1,14 ci invita a comprendere che nell’uomo Gesù — il Verbo fatto carne «pieno della grazia della verità» in cui i testimoni hanno «contemplato la gloria dell’unigenito» — c’era un mistero, «insondabilmente nascosto» ma che ci viene manifestato «simbolicamente» (São Máximo o Confessor). È il mistero dell’«unigenito venuto da presso il Padre», che «è venuto a mettere la sua tenda in mezzo a noi». Così egli diventa la dimora del Padre (GV 14,10), il nuovo tempio della presenza di Dio (GV 2,21; cf.. GV 4,20-24). Un bellissimo brano di san Massimo il Confessore, sep­pur difficile, dice l’essenziale:

«Il Signore […] è diventato precursore di se stesso; è diventato tipo e simbolo di se stesso. Simbolicamente fa conoscere se stesso attraverso se stes­so. Cioè conduce tutta la creazione, partendo da se stesso in quanto si manifesta, ma per condurla a se stesso in quanto è insondabilmente nascosto».

Forse più intellegibile e nello stesso tempo mirabile è questa frase di Guglielmo di Saint-Thierry, l’amico di San Bernardo, che interpretò in senso spirituale e trinitario la domanda dei primi discepoli:

"Maestro, onde você mora? Vieni e vedi, disse Egli. Non credi che io sono nel Padre, e che il Padre è in me? Grazie a te, homem! […] Noi abbiamo trovato il tuo luogo. Il tuo luogo è il Padre; e novamente, il luogo del Padre sei tu. Tu sei dunque localizzato a partire da questo luogo. Ma questa localizzazione, che è la tua, […] è l’unità del Padre e del Figlio»[1].

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. O profundo mistério da sua pessoa começa a revelar-se, bem como os nomes dos primeiros seguidores. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima. Così iniziamo a conoscere Andrea fratello di Simon Pietro, (1,42) che da Gesù riceve la vocazione a diventare «roccia» (questo significa «Cefa»), in mezzo ai suoi fratelli. Chi è l’altro discepolo che era insieme a Andrea? Possiamo ipotizzare che sia «il discepolo amato». Egli è colui che, presente alla croce di Gesù, vedendo Gesù morire come Agnello a cui non viene spezzato alcun osso (GV 19,33.36) «testimonia perché voi crediate» (GV 19,35), proprio come Giovanni Battista testimonia di Gesù, dopo averlo visto e indicato come Agnello di Dio perché tutti credano (GV 1,34.36.37). Il parallelismo tra GV 1,38 («Voltatosi Gesù e vedendo essi che lo seguivano dice loro») e GV 21,20-21 («Voltatosi, Pietro vede il discepolo che Gesù amava che seguiva … e dice a Gesù») mostra che accanto a Pietro, agli inizi della sequela e dopo la Pasqua, c’è, con ogni probabilità, il discepolo amato che ha seguito l’Agnello con fedeltà fin dagli inizi. E Pietro, mentre viene costituito pastore delle pecore del Signore e invitato nuovamente a seguire Gesù come pecora egli stesso (cf.. GV 10,4), riceve la rivelazione che la sequela dell’Agnello e il ministero pastorale trovano il loro esito nel dare la vita per le pecore, nel glorificare Dio con il martirio. Questa sarà la testimonianza di Pietro: nella morte di croce l’apostolo si troverà là dove è stato il suo Signore: «Se uno mi vuol servire mi segua e dove sono io, là sarà anche il mio servo» (GV 12,26).

Do Eremitério, 13 Janeiro 2024

 

NOTA

[1] GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, La contemplation de Dieu. L’oraison de Dom Guillaume, Paris, Ed. Du Cerf, 1959 (Cole. Sources Chrétiennes, n.61), 124-125.

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No senhorio de Cristo Rei do Universo sermos pequenos reis

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

NO SENHORIO DE CRISTO REI DO UNIVERSO PARA SER PEQUENOS REIS

Oscar Wilde escreveu: “O egoísmo não consiste em viver como nos agrada, mas em exigir que os outros vivam como nos agrada”

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Caros leitores da Ilha de Patmos,

Termina o Ano Litúrgico, É o nosso último do ano católico. O ano litúrgico termina com uma grande celebração, a de Jesus Cristo que é o Rei do Universo.

Hoje a monarquia não é mais uma forma de governo normalmente adotada em todo o mundo, onde em vez disso a república é preferida. É por isso que a figura do “rei” nos escapa, se não talvez pela recente coroação do rei Carlos da Inglaterra. Jesus é Rei de todo o universo e de nossas vidas. Mas não como o rei da Inglaterra, da Suécia ou da Bélgica. Sua monarquia não é exercida em um governo político. É uma monarquia de amor que expressa seu trono de glória, sua exposição de máxima visibilidade na cruz; hoje este trono de glória é realizado para nós, na compaixão de Jesus. Nós lemos isso no início de passagem do Evangelho de hoje:

"Quando o Filho do Homem vier na sua glória [...] ele se sentará no trono da sua glória. Todos os povos serão reunidos diante dele. Ele separará um do outro, como o pastor separa as ovelhas dos cabritos, e ele colocará as ovelhas à sua direita e os cabritos à sua esquerda”..

Aqui a imagem do rei se combina com a do pastor. Efetivamente, o pastor, também tem um papel governante no mundo da fazenda. Era um mundo e uma cultura próximos da imaginação em que Jesus fala. Aqui estão aqueles da direita que são abençoados pelo Pai. Os da esquerda não. Efetivamente, o bem-aventurado do Pai, são aqueles que acolheram os pobres e necessitados nas diversas situações de necessidade que Jesus expressa. Enquanto aqueles que estarão no fogo eterno, eles não estavam atentos e compassivos com esta pobreza material e espiritual. Assim Jesus nos mostra e nos pede para imitá-lo como Rei no Amor concreto, em caridade ativa, que Ele queria fazer com todas as pessoas que conheceu: Nicodemos, o cego de Jericó, o demoníaco de Gerasa e outros encontros. O Senhor sempre realizou todas essas grandes obras com um ato de compaixão e ternura, com um coração verdadeiramente humano e verdadeiramente divino. Um pequeno coração cristológico para um grande amor.

Disto vem o fundamento das obras de misericórdia para nós material e corpóreo. O Senhor, assim, Ele nos pede para segui-lo, nosso rei, na vida católica precisamente porque atuamos com um amor concreto e atento aos outros, procurando olhá-los com ternura. Tentar olhar para o próximo como se fosse o próprio Jesus que, ainda pequeno, nos pede este serviço. Tornamo-nos pequenos reis em Jesus pequeno rei do Universo.

Ao contrário em vez disso, encontramos aqueles que irão para o fogo eterno. Porque escaparam completamente da lógica do amor e da compaixão. assim, as cabras da esquerda são as pessoas fechadas no egoísmo, na dimensão da atenção única às próprias necessidades e exigências. O risco que corremos quando esquecemos a prática das obras de misericórdia é que deixamos de reconhecer não só os outros, mas de não reconhecer a necessidade de Deus na vida. Portanto, os ímpios no fogo eterno são aqueles que não reconhecem a centralidade do Senhorio de Deus na vida, do Rei dos reis, sem o qual nada podemos fazer. A tensão em direção ao egoísmo é, portanto, uma substituição, uma coroação de si mesmo como rei, exigindo que o Universo e Deus se curvem diante de nós.

Oscar Wilde escreveu: “O egoísmo não consiste em viver como nos agrada, mas em exigir que os outros vivam como nos agrada”.

Pedimos ao Senhor que seja acolhido em seu trono e sua monarquia de amor, e sejam testemunhas a partir de agora que o Amor autêntico existe, e vivemos em comunhão com o Pai, do Filho e do Espírito Santo.

Que assim seja!

santa maria novela em Florença, 25 novembro 2023

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Nosso Senhor Jesus Cristo Rei do Universo: uma realeza baseada na caridade

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

NOSSO SENHOR JESUS ​​CRISTO REI DO UNIVERSO: UMA REALEZA CONSTRUÍDA NA CARIDADE

Esta página do Evangelho hoje proclamado em nossas igrejas é tão esplêndida, que cada comentário parece estragar um pouco. Melhor deixar como está, simplesmente, para indicar às pessoas que a vida humana nunca é concebível sem o outro. Tragédia então o conflito não será, alteridade, a diferença, mas sim os dois extremos que negam esta relação: confusão e separação

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Em um curto mas famoso pedido de desculpas por título Natal de Martinho o escritor russo Leo Tolstoy1 ele contou sobre o homem, um sapateiro chamado Martin, que misteriosamente encontrou o Senhor nas pessoas necessitadas que passavam por sua loja durante o dia e citava expressamente a página de Evangelho deste domingo.

São Martinho dá parte de seu manto aos pobres (pintura, elemento geral) por Bartolomeo Vivarini (SEC. XV)

A literatura não foi a única arte que esta página maravilhosa de Matteo inspirou, pense nos afrescos de Buonarroti na Capela Sistina. Vamos ler:

"Naquela época, Jesus disse aos seus discípulos: “Quando o Filho do homem vier em sua glória, e todos os anjos com ele, ele se sentará no trono da sua glória. Todos os povos serão reunidos diante dele. Ele separará um do outro, como o pastor separa as ovelhas dos cabritos, e porá as ovelhas à sua direita e os cabritos à sua esquerda. Então o rei dirá aos que estão à sua direita: "Vamos, benditos de meu Pai, receba como herança o reino preparado para você desde a criação do mundo, porque eu estava com fome e você me deu algo para comer, Tive sede, e me destes de beber:, Eu era um estranho e você me acolheu, nua e você me vestiu, doente e me visitastes, Eu estava na prisão e você veio me visitar". Então os justos lhe responderão: "Homem, quando te vimos com fome e te alimentamos, você está com sede e nós lhe demos algo para beber? Quando foi que te vimos como um estranho e te acolhemos, ou nu e te vestimos? Quando foi que te vimos doente ou na prisão e fomos visitá-lo?”. E o rei lhes responderá: “Em verdade eu te digo: tudo o que você fez com apenas um desses meus irmãos menores, você fez isso comigo". Então ele também dirá aos da esquerda: "Através da, longe de mim, amaldiçoado, o fogo eterno, preparado para o diabo e seus anjos, porque eu estava com fome e você não me deu nada para comer, Tive sede e não me destes de beber, Eu era um estranho e você não me acolheu, nua e você não me vestiu, doente e na prisão e me visitastes ". Em seguida, ele vai: "Homem, quando te vimos com fome ou com sede ou como estranho ou nu ou doente ou na prisão, e nós não servimos você?”. Então ele irá respondê-las: “Em verdade eu te digo: tudo o que você não fez nem mesmo a um desses menores, você não fez isso comigo. E eles vão: para o castigo eterno, mas os justos para a vida eterna".

Com a música de hoje acaba não só, sobre a liturgia, o atual ano litúrgico, que dá lugar ao Advento, mas também o ensinamento de Jesus no Evangelho segundo Mateus. Na verdade, imediatamente após a nossa perícope, o evangelista começa a história da paixão, morte e ressurreição de Jesus, com estas palavras: «Quando toda esta conversa acabar, Jesus disse aos seus discípulos" (MT 26,1). Jesus ensinará de outra forma a partir de agora, especialmente com gestos e obediência ao Pai na prova suprema da cruz. Por esta razão a perícope de hoje é de particular importância, o último discurso proferido por Jesus em Mateus, sem contar, o convite do Ressuscitado a fazer discípulos e batizar em 28,18-19, e as poucas mas importantes palavras ditas durante a paixão, a partir da última ceia.

a propósito também deve ser dito que apesar de uma prática interpretativa consolidada que começa com os Padres da Igreja e que leva a definir a cena como o julgamento "universal", a partir do século XVIII, as muitas boas pistas do texto são sublinhadas, não apenas lexical, acreditar que em vez de um julgamento para o todo humanidade, o texto implica, ao contrário, um julgamento apenas para os pagãos, mas não é possível neste contexto tornar esta interpretação explícita, pois exigiria muito espaço.

A cena do julgamento é exclusivamente mateana, e é magistralmente construído, com o uso de vários expedientes como a repetição, útil para memorização. São muitas as comparações que podemos fazer com a linguagem e o simbolismo apocalípticos correntes na época de Jesus que aparecem de tempos em tempos na literatura canônica - Daniel e Apocalipse - mas também na literatura apócrifa.. Os dados originais, revolucionário, em vez de, a novidade que o discurso de Jesus traz é que o mesmo juiz, o rei, considerar-se objeto de tais ações: «Eu estava com fome e você alimentou", ou, "eu não você alimentou". Isto cria um efeito de surpresa tanto naqueles que lhe mostraram misericórdia como naqueles que a negaram.. Enquanto no Antigo Testamento o dia do Senhor é decretado pelo próprio Deus e portanto Ele é o único que julga, na lógica do Novo Testamento é Jesus, o Messias, quem pode intervir neste julgamento. Conseqüentemente, Deus executará o julgamento, mas isso em paz isso já acontece na forma como nos relacionamos com seu Filho neste mundo, a Jesus presente nos pobres que tinham fome e sede e que foram ou não assistidos por nós. É por isso que no final dos tempos, será Cristo, o cordeiro, para pegar o livro da nossa vida, o que nem nós somos capazes de ler e compreender completamente, e para abrir os seus selos (cf.. Ap 5).

O que chama a atenção então é a visão grandiosa que abraça toda a humanidade é acompanhada pelo olhar posto sobre cada um e, em particular, naquelas pessoas que normalmente são as mais invisíveis: pobre, pessoas doentes, prisioneiros, com fome, sedento, estrangeiros, nu. Não é por acaso que nosso texto os chama de “mínimos” (vv. 40.45). Caridade para com os necessitados, o gesto de compartilhar que é tão simples, Humana, diário, ao alcance de todos, crentes e não crentes, torna-se aquilo sobre o qual o julgamento final é exercido. O exemplo de Martinho de Tours, de acordo com a narração hagiográfica de Sulpício Severo2, é emblemático. Depois de ter dividido o seu manto com a espada para cobrir a nudez de um pobre mendigo nas portas de Amiens, em um inverno rigoroso, Martin teve uma visão em um sonho de Cristo dizendo a ele: «Martinho, você me cobriu com seu manto". Cristo é identificado com os pobres, como em nossa página evangélica.

Esta página do Evangelho é tão esplêndida proclamado hoje em nossas igrejas, que cada comentário parece estragar um pouco. Melhor deixar como está, simplesmente, para indicar às pessoas que a vida humana nunca é concebível sem o outro. Tragédia então o conflito não será, alteridade, a diferença, mas sim os dois extremos que negam esta relação: confusão e separação3. Os outros, especialmente se precisar, eles não serão um inferno para mim, mas uma bênção: «Você é abençoado porque…». Dois famosos peças teatral, um de Sartre4 com a famosa expressão dentro: "O inferno são os outros"; o outro de Pirandello, Vestindo os nus5, que no título faz referência direta à nossa passagem evangélica, eles nos dizem dramaticamente que se não excluirmos o Outro do nosso mundo o problema seria facilmente solucionável e o inferno deixaria de existir. Esses autores entenderam, ao contrário, observe a impossibilidade de uma existência que exclua o Outro. Em outras palavras, inferno, são os outros, porque você não pode escapar da alteridade, percebe-se que o Outro guarda o segredo do seu ser e, enquanto, que sem o Outro este ser não seria possível.

O mesmo acontece com o Senhor Jesus, mesmo em seu último discurso, surpreendeu-nos mais uma vez ao dar um novo significado às “obras de misericórdia”, já conhecido no judaísmo contemporâneo, onde eles estavam, Mas, entendido como uma espécie de imitação de Deus, no sentido de fazer pelos outros o que o próprio Deus fez pelo homem. Porém, não previram que o juiz eterno estava escondido atrás de existências muito humildes, desfavorecidos e derrotados. No outro, em seu irmão, ali está Jesus que disse aos seus discípulos: «Quem quer que te receba, me recebe, e quem me acolhe, acolhe aquele que me enviou... Quem der um só copo de água fria para beber a um destes pequeninos, porque é discípulo, em verdade te digo: ele não vai perder sua recompensa ". Embora agora ele estenda esta visão a toda a humanidade – calça ta ethne, todas as nações del v.22: «Tudo o que você fez com apenas um desses meus irmãos mais novos, você fez isso comigo". Porque como diz um antigo hino usado na liturgia da Quinta-feira Santa: «Onde a caridade e o amor, Deus está lá».

Bom domingo a todos!

Do Eremitério, 25 novembro 2023

 

NOTA

[1] A reformulação de Tolstoi apareceu pela primeira vez anonimamente na revista “Russkij rabocij” (O trabalhador russo), não. 1 a 1884, com o título “Djadja Martyn” (Tio Martin). Dentro 1886 a história, com o título “Onde há amor, há Deus”, foi incluído em um volume publicado em Moscou pela Posrednik junto com outros oito, tudo com a assinatura de Leo Tolstoy

[2] Severo Sulpício,Vida de Martinho, EDB, 2003

[3] Michel de Certeaux, Nunca sem o outro. Viagem para a diferença, 1983

[4] J.P.. Sartre, Porta fechada, Bompiani, Milão 2013

[5] Pirandello L., Máscaras nuas. vol. 5: Henrique IV – Sra., um e dois – Vestindo os nus, Mondadori, 2010

 

 

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Deveríamos refletir mais sobre o pecado de perder tempo

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

DEVEMOS REFLETIR MAIS SOBRE O PECADO DE PERDER TEMPO

Como você quiser entendê-los, já que todo conto parabólico está aberto a uma pluralidade de interpretações, os talentos continuarão sendo um dom gratuito que não pode ser guardado para si mesmo, nem se esconde, mas deve ser multiplicado. Eles revelam que Deus, mais que um mestre, ele se mostra um Pai para nós, filhos, e com o tempo oferece muitas dessas graças a cada um de nós e às nossas comunidades.

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Um presente pode ser oferecido por mil motivos, mesmo os não-nobres às vezes. Mas tem uma característica inconfundível ao seu lado: revela a identidade de quem oferece e de quem recebe. O Evangelho de Este Domingo apresenta um doador muito especial, que não concede um único presente, mas sim todo o seu bem. Vamos ler:

"Naquela época, Jesus contou esta parábola aos seus discípulos: «Acontecerá com um homem que, Indo viajar, ele chamou seus servos e lhes deu seus bens. A um ele deu cinco talentos, para outros dois, para outro, De acordo com a capacidade de cada um; então ele foi embora. Imediatamente aquele que recebeu cinco talentos foi usá-los, e ganhou mais cinco. O mesmo aconteceu com aquele que recebeu dois, ele ganhou mais dois. Aquele que recebeu apenas um talento, ele foi e fez um buraco no chão e escondeu lá o dinheiro do seu senhor. Depois de muito tempo o senhor daqueles servos voltou e quis acertar contas com eles. Aquele que recebeu cinco talentos apareceu e trouxe mais cinco, provérbio: «Senhor, você me deu cinco talentos; lá, Ganhei mais cinco”. "Boa, servo bom e fiel - disse-lhe o seu senhor -, você foi fiel no pouco, Eu lhe darei poder sobre muitas coisas; participe da alegria do seu mestre". Então aquele que havia recebido dois talentos aproximou-se e disse: «Senhor, você me deu dois talentos; lá, Ganhei mais dois”. "Boa, servo bom e fiel - disse-lhe o seu senhor -, você foi fiel no pouco, Eu lhe darei poder sobre muitas coisas; participe da alegria do seu mestre". Finalmente aquele que recebeu apenas um talento também apareceu e disse: «Senhor, Eu sei que você é um homem duro, que ceifam onde não plantaram e recolhem onde não espalharam. Fiquei com medo e fui esconder seu talento no chão: aqui está o que é seu". O mestre lhe respondeu: «Servo mau e preguiçoso, você sabia que eu colho onde não semeei e recolho onde não espalhei; você deveria ter confiado meu dinheiro aos banqueiros e assim, retornando, eu teria retirado o meu com juros. Então tire o talento dele, e dê ao que tem os dez talentos. Porque qualquer um tem, será dado e terá em abundância; mas para aqueles que não têm, até o que ele tem será tirado. E jogue o servo inútil lá fora, na escuridão; haverá choro e ranger de dentes". (MT 25,14-30).

Canção evangélica deste domingo acrescenta uma especificação ao significado de vigilância que já havia sido apresentado na parábola das dez virgens (MT 25,1-13). Lá, estar vigilante significava ser previdente, estar pronto, prepare-se, equipe-se com o que precisa, tendo em conta uma longa espera. Agora, na parábola dos talentos, a vigilância é especificada como atenção e responsabilidade na vida cotidiana e expressa como lealdade nas pequenas coisas ("você foi fiel em um pouco": MT 25,21.23).

Em primeiro lugar, vamos lembrar qual é a função da parábola. Esta forma de comunicação muitas vezes envolve o uso de linguagem hiperbólica, um cenário paradoxal, com exageros deliberados que podem até escandalizar pela violência envolvida. Isso nos afeta, Who, o castigo do servo mau. Mas o final também é surpreendente, como muitas vezes acontece em contos parabólicos fictícios, apresenta uma verdadeira reviravolta: o talento é tirado de quem só tem um e dado a quem já tem muitos. A questão surge no leitor: que mestre é aquele que se permite humilhar seu servo dessa maneira, que finalmente agiu com prudência?

Foi dito que a vigilância não diz respeito apenas à expectativa escatológica, mas afeta plenamente a relação com a vida cotidiana, com suas realidades cotidianas. A parábola de Mateus, que tem um paralelo um pouco diferente e mais complexo com Lucas 19,11-27, certamente está inserido num contexto escatológico - o v.30 coloca-o no horizonte do julgamento final: «Jogue o servo inútil na escuridão, haverá choro e ranger de dentes" - mas isso apenas reitera que este julgamento final está sendo preparado aqui e agora, nos dias atuais da história, algo que será mostrado em todas as suas evidências na parábola do Juízo Final (MT 25,31-46) próximo domingo. Aí aparecerá claramente a autoridade escatológica dos pequenos e dos pobres. O julgamento final será baseado nas ações de caridade e justiça realizadas a seu favor ou omitidas. O cotidiano revela-se assim como o lugar escatológico por excelência, porque é o tempo que nos é dado. Assim, a parábola após a distribuição de talentos[1] de forma personalizada, proporcional às capacidades dos destinatários, se desenrola entre o "imediatamente" (v.15) daqueles que os tornam lucrativos e depois de "muito tempo" (v.19) do retorno do mestre. Além disso, não parece importante, pelo menos nesta história, a quantidade de presentes recebidos, já que os dois servos trabalhadores, embora eles tenham recebido talentos em graus variados, no entanto, eles receberão a mesma recompensa. Em vez disso, o que importa é o tempo cuja duração traz à tona a verdade das pessoas, de seus comportamentos, dos seus bens e da sua responsabilidade. A passagem do tempo é reveladora; na verdade, os dois primeiros servos compreenderam imediatamente que era o primeiro grande presente do qual poderiam aproveitar e não o desperdiçaram jogando-o fora..

Deveríamos refletir mais sobre o pecado de perder tempo. Se o terceiro servo tivesse pensado nisso, ele teria aproveitado, porque no final a recompensa seria a mesma dos dois primeiros servos que receberam mais. Mas como foi dito acima, o presente é, bem como o tempo gasto, revelando os personagens desta parábola. O doador também, mesmo que Jesus inicialmente o esconda atrás de um homem anônimo (v.14), é claramente Deus quem mais tarde será chamado de 'Senhor' (Kyrie, Senhor Deus v.20.22.24). Só Ele é capaz de dar de presente todas as suas coisas [2], de forma preventiva e inesperada, especialmente para destinatários que, embora empreendedores, ainda são servidores. Alguns Padres da Igreja queriam ver por trás do dom dos talentos o da Palavra de Deus, em memória da parábola da boa semente que dá fruto segundo o solo que encontra. Irineu de Lyon, morreu em 202 DC, ele viu ali o dom da vida, concedida por Deus aos homens. Como você quiser entendê-los, já que todo conto parabólico está aberto a uma pluralidade de interpretações, os talentos continuarão sendo um dom gratuito que não pode ser guardado para si mesmo, nem se esconde, mas deve ser multiplicado. Eles revelam que Deus, mais que um mestre, ele se mostra um Pai para nós, filhos, e com o tempo oferece muitas dessas graças a cada um de nós e às nossas comunidades. A capacidade de reconhecê-los e fazê-los frutificar é a qualidade dos servidores destemidos que também sabem correr riscos.

O ponto da parábola mas não é de natureza económica, isto é, na capacidade de obter lucros do investimento de capital, porque a recompensa, nesse sentido, deveria ter sido proporcional ao mérito e tamanho dos ativos acumulados. Em vez disso, concentra-se em agir instantaneamente e não permanecer inerte no tempo determinado. Levando em conta que o mestre-Senhor voltará e pedirá razão («ele expõe o motivo» traduz a Vulgata) de como os servos terão agido. Eles descobrirão que aos seus olhos o que contava era a bondade e a fidelidade na ação e o que parecia muito era na verdade muito pouco comparado à recompensa: "Boa, servo bom e fiel - disse-lhe o seu senhor -, você foi fiel no pouco, Eu lhe darei poder sobre muitas coisas; participe da alegria do seu mestre".

A parábola torna-se assim um convite aos discípulos e para que as comunidades não fiquem imóveis e encantadas diante das dificuldades dos tempos atuais, pronto para agir a qualquer momento, conscientes dos dons recebidos e que este que nos é dado é o momento propício. Os desafios que coloca e as novas condições culturais não devem nos assustar ou fazer-nos ficar felizes apenas com o que já está feito ou intoxicados pelo ativismo como um fim em si mesmo. A parábola pede consciência aos cristãos, responsabilidade, audácia e acima de tudo criatividade, todas as realidades condensadas em palavras: seja bom e fiel.

Finalmente nos perguntamos primeiro porque o mestre, protagonista da parábola, ele tratou tão mal o terceiro servo. O que chama a atenção nesta história é justamente a ideia que o servo tinha dele. Embora os dois primeiros servos não precisassem pensar sobre isso, quase como se fosse automático para eles que, se o proprietário lhe der um presente, ele deve ser imediatamente rentável, o outro servo desenvolve sua própria ideia, poderíamos dizer que sua teologia, que bloqueia sua ação, porque a ideia do medo o domina. Preso nesta imagem que ele tem de seu mestre, a de um homem duro e pretensioso, apesar de ter à sua disposição o grande dom de um talento, não consegue confiar nele. E este será o seu verdadeiro drama.

Sua inação ele será julgado de forma paralela aos bons e fiéis, mas tão mau e preguiçoso. Se ele tivesse pelo menos aberto uma conta poupança, teria recebido a receita de juros, mas ele preferiu enterrar seu presente e por isso, quando não há mais tempo para agir, na hora do julgamento, será entregue ao choro e ao ranger de dentes, uma expressão bíblica que indica o fracasso da vida de alguém[3].

Fé que funciona é importante no vocabulário do primeiro Evangelho. Jesus fala da fé daqueles que acreditam nele para serem curados, a do centurião (8,10), do paralítico (9,2), da mulher com hemorragia (9,22), dos dois cegos (9,29), della Cananea (15,28), e encoraja seus homens, nunca foi criticado por ter “pouca fé”, ter mais (cf.. 6,30).

Nossa parábola poderia, portanto, significar algo sobre acreditar ou não acreditar em Deus no tempo intermediário que separa o julgamento. O terceiro servo, mal, ele não tem mais fé, ele perdeu com o tempo: ele esqueceu que o que lhe foi confiado tinha que ser investido para que desse frutos para o mestre, mas também a seu favor: tornou-se, portanto, inútil (v.30). Que a parábola trata do dom da fé, também pode ser deduzido indiretamente de outro texto do Novo Testamento, onde São Paulo diz que este presente é misteriosamente personalizado, assim como na parábola que Jesus conta:

«Pela graça que me foi dada, Eu digo a cada um de vocês: não se valorize mais do que o apropriado, mas avaliem-se com sabedoria e justiça, cada um segundo a medida de fé que Deus lhe deu" (RM 12,3).

Para concluir poderíamos nos perguntar: Que visão temos de Deus? O vingativo, exigente e duro que inspira medo ou libertador, positivo que nos faz agir com confiança e sem medo, como Jesus viveu e nos ensinou?

Do Eremitério, 19 novembro 2023

 

NOTA

1 O talento, que também significava «aquilo que é pesado, era uma unidade de peso de aproximadamente 30-40 kg. correspondente a seis mil denários. Porque um denário, de acordo com o que o próprio Mateus explica em 20,2 (Matteo é muito preciso no uso de moedas, e em seu evangelho vários tipos são listados), é o valor do pagamento por um dia de trabalho, aqui nos referimos a uma grande quantia dada aos servidores para gestão

2 Na parábola dos inquilinos assassinos, Ele não hesita em enviar também o seu Filho (MT 21,37)

3 "Ainda, o reino dos céus é como uma rede lançada ao mar, que coleta todos os tipos de peixes. quando está cheio, os pescadores puxam-no para terra, eles se sentam, eles recolhem os peixes bons em cestos e jogam fora os ruins. Assim será no fim do mundo. Os anjos virão e separarão os maus dos bons e os jogarão na fornalha ardente, Ali haverá choro e ranger de dentes " (MT 13,47-50).

 

 

 

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O amor que vem da caridade é o fundamento do Cristianismo

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

L’AMORE CHE NASCE DALLA CARITÀ È IL FONDAMENTO DEL CRISTIANESIMO

Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, dedicado e autêntico, e que não se torne amor ao próximo. Um amor à caridade que significa, portanto, agir segundo obras concretas e reais, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce.

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Caros leitores de A ilha de Patmos,

«É obvio: eu’Amore cresce o diminuisce e mai rimane uguale”. Questa bellissima frase troviamo in un antico Codice D’Amore Provenzale. In questa massima è raccolta una delle leggi fondamentali dell’amore che è la crescita continua nella donazione di sé all’altro e a Dio. L’amore è esperienza comune che tutti nella nostra vita abbiamo provato almeno una volta. Il fondamento, Por conseguinte, del nostro amore umano, quale amore di carità e di tenerezza è sempre l’amore di Dio che essendo eterno, chiede di amare di un amore eterno anche a noi.

Questo caposaldo è racchiuso No Vangelo di questa XXX Domenica del Tempo Ordinario, dove viene enunciata la legge fondamentale del Cristianesimo. Una vera e propria rivoluzione copernicana all’interno dell’Ebraismo e del mondo greco- romano. Una novità assoluta dove il centro di tutto è il rapporto d’amore fra Dio e l’uomo.

Ancora una volta troviamo i farisei tutti uniti a tenere conciliabolo contro Gesù Cristo. La settimana scorsa gli è andata male, quando avevano mandato gli erodiani per provare a metterlo contro i romani. Questa volta inviano un dottore della Legge, un esperto che gli pone una domanda trappola. Que 613 precetti ebraici (halakà) ritieni più importante, secondo la gerarchia ebraica? Anche questa è una domanda a trabocchetto, secondo la fallacia della falsa dicotomia. Fra i 613 precetti esisteva infatti una gerarchia e importanza. Al di là di ricordare o meno questa scala gerarchica ― che per Gesù era semplice ― la trappola consisteva nell’ascoltare la risposta di Gesù, qualsiasi sarebbe stata la risposta, ribattere che il precetto citato era invece quello meno importante. Desta forma,, si voleva screditare e mostrare l’assenza di legame di Gesù con la tradizione ebraica e con Dio. Gesù ancora una volta si disimpegna da questa trappola argomentativa. E sfrutta la situazione per offrire il centro e il nucleo centrale dell’insegnamento del cristianesimo. Gesù risponde:

«”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, e com toda a tua alma e com toda tua mente”. Este é o grande e primeiro mandamento. O segundo é semelhante a esse: “Amarás o teu próximo como a si mesmo”. Destes dois mandamentos dependem toda a Lei e os Profetas ".

La novità consiste innanzitutto nella formulazione di questi due precetti. Il primo è preso da Deuteronomio 6,5 ed è legato insieme alla legge di Santità che troviamo in Levitico 19,18. Ecco allora il legame inscindibile fra l’amore per Dio e per il prossimo già presente e prefigurato nell’Antico Testamento e viene poi così esplicitato e annunciato da Gesù. Questa risposta rompe qualsiasi contro-risposta. Ed è una risposta ancora valida per noi oggi.

Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, dedicado e autêntico, e que não se torne amor ao próximo. Um amor à caridade que significa, portanto, agir segundo obras concretas e reais, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce. Si cresce nell’amore verso Dio perché le opere di misericordia alimentano continuamente la nostra scelta di fede che è una relazione con il Tu eterno di Dio, perennemente innamorato della sua creazione e dunque della umanità. Ao mesmo tempo, amare di carità è scegliere di impegnarsi responsabilmente nella Chiesa, perché tutti gli altri credenti possano incontrare Cristo tramite noi. Se si smette di amare, anche la nostra vita e la nostra gioia, a poco a poco si affievoliscono. Così anche la nostra persona diviene sempre più chiusa in sé stessa. Gesù ci chiede di mettere in circolo il nostro amore autentico e tenero.

Pedimos ao Senhor la forza e il coraggio di aziono generose e misericordiose, per crescere tutti uniti nel sentiero di santità che porta alla vita eterna.

Que assim seja.

santa maria novela em Florença, 29 Outubro 2023

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"Amarás o teu próximo como a ti mesmo". Destes dois mandamentos dependem toda a Lei e os Profetas "

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

«AMARÁS O SEU PRÓXIMO COMO A SI MESMO» TODA A LEI E OS PROFETAS DEPENDE DESTES DOIS MANDAMENTOS

Jesus imediatamente foi mais longe com a surpreendente novidade que não tem paralelo na antiga literatura judaica: “Amarás o teu próximo como a ti mesmo”. Elas, voltando à vontade do Legislador, discerne que o amor a Deus e ao próximo são inseparáveis ​​um do outro: um não existe sem o outro.

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.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw

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No lecionário, a discussão com os saduceus sobre a ressurreição foi omitida, nós chegamos, com o evangelho deste XXX Domingo do Tempo Comum, a uma nova diatribe que começa com Jesus questionado por seus adversários, mãe, mais uma vez, para testá-lo.

"Naquela época, os fariseus, tendo ouvido que Jesus havia silenciado os saduceus, eles se reuniram e um deles, um doutor da lei, ele o questionou para testá-lo: "Maestro, na Lei, qual é o grande mandamento?». Ela lhe respondeu: «Amarás o Senhor teu Deus de todo o teu coração, com toda a sua alma e com toda a sua mente". Este é o grande e primeiro mandamento. O segundo é semelhante a esse: "Amarás o teu próximo como a ti mesmo". Destes dois mandamentos dependem toda a Lei e os Profetas ". (MT 22,34-40)

Estes são os últimos dias de Jesus na cidade santa de Jerusalém, antes da prisão e paixão, e ele sabe que o círculo ao seu redor está cada vez mais estreito. Os fariseus entram em cena novamente em nossa página do Evangelho, e entre eles um doutor da lei, um teólogo, diríamos, um especialista nas Sagradas Escrituras, que mais uma vez se dirige a ele chamando-o: Rabino (Maestro, professor). Na verdade, algo assim nunca tinha sido visto antes, que um carpinteiro tinha pensado em ensinar e dar conselhos sobre a Torá, sobre como honrar a Deus, sobre o que é permitido e o que é proibido. Isto não foi bem recebido, como atestou Ben Sira no início do século III a.C.: «Aquele que está livre do trabalho tornar-se-á sábio»1; e nos Evangelhos nunca há menção de uma escola exegética de Jesus. As surpreendentes interpretações da Torá, que lhe permitem enfrentar as armadilhas dialéticas de seus adversários, eles não serão replicados por seus discípulos. Se Jesus for chamado rabino (maestro) é por causa de sua autoridade e capacidade de se aprofundar nas Escrituras de forma criativa. No entanto, ele não é o tipo de professor que treina alunos, transmitir-lhes seus métodos exegéticos. Enquanto no judaísmo rabínico, que se afirmará após a destruição do segundo Templo em 70, o aluno está destinado a substituir e, se possível, superar o mestre em sabedoria, Os discípulos de Jesus permanecerão assim para sempre, sem a possibilidade de imitá-lo no campo intelectual.

Foram precisamente os rabinos que o identificaram na Lei, a Torá, mais de dez palavras (É 20,2-17), Bem 613 preceitos, então a pergunta feita a Jesus parece relevante e era sobre simplificação: "Maestro, na Lei, qual é o grande mandamento?». Foi um tema debatido, como evidenciado por esta resposta rabínica: «Rabino Simlaj disse:

«No Monte Sinai foram anunciados a Moisés 613 mandamentos: 365 negativo, correspondente ao número de dias do ano solar, e 248 positivo, correspondendo ao número de órgãos do corpo humano… Então veio David, que reduziu esses mandamentos a 11, como está escrito [em Ps 15]… Depois veio Isaías que os reduziu a 6, como está escrito [em é 33,15-16]… Então veio Miquéias que os reduziu a 3, como está escrito: «O que o Senhor te pede, se não praticar a justiça, amor, pena, ande humildemente com seu Deus? » (Mim 6,8) … Então Isaías voltou e os reduziu a 2, como está escrito: «Assim diz o Senhor: Observar a lei e praticar a justiça" (É 56,1) … Finalmente Habacuque veio e reduziu os mandamentos a apenas um, como está escrito: «O justo viverá pela sua fé» (Ab 2,4)» (Talmud Babilônico, Makkot, 24uma).

Jesus respondeu destacando, mais uma vez, sua capacidade de se referir ao que é fundamental e depois propor uma novidade surpreendente, amarrando um segundo mandamento ao principal, declarando-os semelhantes e fazendo ao mesmo tempo uma corda na qual toda a estrutura dos comandos restantes é equilibrada, na verdade, todo o complexo da Palavra de Deus. Se eles se soltarem, cairão no chão. Este é o significado do verbo Cremoso ― Eu me enforco ― del verso v.40, isto é, ser pendurado, suspenso, penzolar; que foi feito com depend: «Destes dois mandamentos dependem toda a Lei e os Profetas».

Onde Jesus encontrou o fundamento para justificar a grandeza do primeiro mandamento? Em oração, neste caso o de Shemá (Ouvir) que abriu e encerrou o dia do judeu religioso e em particular o do Shabat, Sábado:

«Listen, Israel: o Senhor é nosso Deus, o Senhor é um só. Você amará o Senhor seu Deus de todo o seu coração, com toda a sua vida e com toda a sua mente" (Dt 6,4-5). E ele disse: «Este é o grande e primeiro mandamento».

Então Jesus imediatamente foi mais longe com a surpreendente novidade de que não tem paralelo na literatura judaica antiga: “Amarás o teu próximo como a ti mesmo” (Nível 19,18). Elas, voltando à vontade do Legislador, discerne que o amor a Deus e ao próximo são inseparáveis ​​um do outro: um não existe sem o outro. A ordem para amar o próximo é, no Evangelho de Mateus, o texto mais citado do Antigo Testamento: também é encontrado em MT 5,43 e 19,19. Isso significa que Jesus insistiu neste preceito, mas também que para Mateus era particularmente necessário lembrar aos crentes em Cristo, quando eles não serão mais compreendidos e bem-vindos pelo seu próprio povo; Infelizmente, até mesmo de seus próprios irmãos judeus.

Não é de surpreender que em nosso texto o segundo mandamento é definido como igual – ὁμοία – ao primeiro, com a mesma importância e o mesmo peso, enquanto o evangelista Lucas até os une em um grande mandamento: «Amarás o Senhor teu Deus… e o teu próximo» (LC 10,27). Jesus faz assim uma inovação ousada e decisiva, e ele faz isso com a autoridade de quem sabe que não é possível amar a Deus sem amar as pessoas.

O amor é um sentimento humano não se pode dizer que representa uma apropriado do cristão, em vez disso, a fé em Jesus é, o Cristo, Filho do Pai que se revelou. E no centro deste processo está a manifestação de Deus como amor. Como todos sabem, os autores do Novo Testamento que exploraram a profundidade deste mistério são Paulo e João. Precisamente este último, em uma de suas cartas afirmou que “Deus é amor” (1GV 4,8.16) e quem "nos amou primeiro" (1GV 4,19). São Paulo nos dará o dom do hino à caridade (1CR 13). Todas estas palavras dirigidas em primeira instância aos discípulos de Jesus de todos os tempos, eles são agora o sinal distintivo daqueles que acreditam nele, tanto que o próprio Giovanni afirmou: «Se alguém disser: Eu amo a Deus e odeio seu irmão, ele e um mentiroso. Pois quem não ama a seu irmão, a quem vê, ele não pode amar a Deus a quem ele não vê. E este é o mandamento que recebemos dele: quem ama a Deus, você também ama seu irmão" (1GV 4,20-21). E isso porque a referência será sempre a Jesus que se colocou como ponto de comparação: «Disto todos saberão que sois meus discípulos: se você tem amor um pelo outro" (GV 13,35); isto é, aquele amor que põe em prática “o mandamento novo”, isto é, último e definitivo, deixado para nós por ele: “Amai-vos uns aos outros como eu vos amei” (GV 13,34; 15,12).

Voltando ao exemplo da corda suspensa o cristão sempre se encontrará caminhando por esse caminho sutil, evitando inclinar-se muito para um lado e perder o equilíbrio do outro. O amor a Deus e aos outros permanece em constante equilíbrio e ambos não constituem o emblema de uma época. Mesmo agora, na Igreja, maior ênfase é colocada na solidariedade e no acolhimento dos pobres e miseráveis, o cristão sempre será um “homem para todas as estações”2. E segundo os ensinamentos de Jesus sempre haverá alguém que, descendo a encosta sem supervisão de Jerusalém a Jericó, poderá correr o risco de se encontrar meio morto.: amor compassivo será a resposta (LC 10,25-37).

Santo Agostinho também parece pensar assim:

«Enunciando os dois preceitos do amor, o Senhor não recomenda que você ame primeiro o próximo e depois ame a Deus, mas ele coloca Deus em primeiro lugar e depois o próximo. Mas como você ainda não vê Deus, você merecerá ver isso amando seu próximo. Portanto ame o seu próximo, e olhe dentro de você para a fonte de onde flui o amor ao próximo: você nos verá, tanto quanto possível, Deu. Então comece amando o seu próximo. Parta o pão com quem tem fome, e traga os sem-teto para sua casa; se você ver uma pessoa nua, notícias, e não despreze aqueles que são da sua carne. Ao fazê-lo, o que vai acontecer? Então sua luz explodirá como um amanhecer (É 58,7-8). Sua luz é seu Deus. Ele é a luz da manhã para você, porque chega até você depois da noite deste mundo. Ele não sobe nem se põe, sempre brilha… Ao amar o próximo e se interessar por ele, você vai andar. Que caminho você seguirá, exceto aquilo que leva ao Senhor Deus, para aquele que devemos amar de todo o coração, com toda minha alma, com toda a sua mente? Ainda não chegamos ao Senhor, mas sempre temos nosso vizinho conosco. Portanto traga aquele com quem você anda, para alcançar Aquele com quem você deseja permanecer para sempre"3.

do eremitério, 29 Outubro 2023

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NOTA

1 [Agricultores, ferreiros, ceramistas, e todos os trabalhadores manuais que trabalham dia e noite por salário] «Sem eles uma cidade não pode ser construída, ninguém poderia ficar ou se movimentar por lá. Mas não são procurados para o conselho do povo na assembleia, não têm um lugar especial, eles não ocupam a cadeira de juiz e não conhecem as disposições da lei. Eles não fazem brilhar nem a educação nem a lei,
eles não aparecem entre os autores de provérbios, mas consolidam a construção do mundo,e o trabalho que eles fazem é a sua oração" (Senhor 38,24. 33-34)

2 Silvestre R.. S., O “Homem para todas as estações” De novo: Versos de Robert Whittington para Sir Thomas More, Biblioteca Huntington trimestralmente, vol. 26, não 2,1963, PP. 147-154.

3 Agostinho de Hipona, Comentário ao Evangelho de São João, Homilia 17, 7-9 (veja WHO)

 

 

 

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