Il Buon Pastore è colui che guida con serenità donandosi con carità nel mondo liquido

Padre Gabriele
—  omiletica —

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

IL BUON PASTORE È COLUI CHE GUIDA CON SERENITÀ DONANDOSI CON CARITÀ NEL MONDO LIQUIDO

 

Gesù descrive la figura del mercenario come opposta alla sua. Il mercenario esprime la mentalità del mondo liquido. Infatti non dà la vita, fugge dinanzi ai pericoli di chi gli è stato affidato. Il mercenario usa le pecore come oggetti, finché gli è comodo e per tornaconto personale. Egli non sa custodire, ma usa solo un’ottica di dominio

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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acquedotto romano sull’Appia Antica

Cari Lettori de L’Isola di Patmos,

quando ero liceale andavo ogni tanto a fare una corsa nel parco vicino casa, una enorme campagna dentro il Parco dell’Appia Antica. Un giorno ricordo che in questo grande verde comparì un folto gregge di pecore. Dietro un giovane pastore che le indirizzava fischiando in loro direzione. E le pecore silenziose, accompagnate anche dal cane pastore, obbedivano.

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Questo racconto del Vangelo di San Giovanni offerto dalla liturgia di questa IV domenica di Pasqua [cfr. 10, 11-18], ci ricorda provvidenzialmente che in questi tempi di grande incertezza, oggi il Signore ci viene incontro e ci ricorda che Lui è il Buon Pastore della nostra vita. È proprio in questo grande mistero che ci introducono le letture di oggi. In particolar modo nel Vangelo di Giovanni, Gesù si presenta come tale affermando:

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«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario […] vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore».

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Notiamo immediatamente che Gesù descrive la figura del mercenario come opposta alla sua. Il mercenario esprime chiaramente la mentalità del mondo liquido. Infatti non dà la vita, fugge dinanzi ai pericoli di chi gli è stato affidato. Il mercenario usa le pecore come oggetti, finché gli è comodo e per un tornaconto personale. Egli non sa custodire, ma usa solo un’ottica di dominio. Ha dunque una mentalità solo utilitaristica.

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Tutto il contrario è invece il buon Pastore. Egli conosce ed ama le sue pecore. Interessante come ci sia questo legame fra conoscere ed amare, che trova fondamento nel rapporto di conoscenza ed amore che c’è fra l’Eterno Padre e il Cristo Logos. Infatti, nella lingua ebraica e aramaica parlata da Gesù, la parola conoscere è detta con il vocabolo yadah che indica sia una conoscenza intellettuale, sia allo stesso tempo una intimità affettiva. Quando Gesù dice conoscere allora vuole indicare che c’è un rapporto di verità e intimissimo fra lui e noi, le sue pecore. Proprio perché ci ama, offre la sua vita e rimane, donandosi fino alla fine, nel Getsemani. Offre tutto sé stesso per liberarci dalla schiavitù del peccato.

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Nell’offrire la vita c’è la ragione più profonda di tutto il moto trinitario.  Ce lo spiega con parole chiare il Signore proseguendo così:

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«Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

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L’Eterno Padre infatti ha affidato la missione visibile a Gesù di incarnarsi, diventare uomo come noi, vivere i giorni della passione e morte per poi risorgere. Ecco allora che l’Incarnazione e la Pasqua hanno in comune l’elemento dell’amore: tutti quanti in Gesù risorto otteniamo la grazia per amare e conoscere Dio. La mentalità trinitaria di offerta ed amore di sé supera la mentalità utilitaristica. Perché rinnova l’uomo in Dio integralmente: anima, corpo e spirito. Questo interroga profondamente le nostre vite di fede.

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Vogliamo essere mercenari o pastori? Vogliamo entrare nell’ottica del dominio o dell’offerta di sé? Se davvero scegliamo di sforzarci ad essere coerenti con la nostra vocazione, entriamo anche noi nell’ottica dell’Eterno Padre che invia Gesù: rispondiamo allora al Suo comando, che però non è un’imposizione dittatoriale. È aderire ad un progetto d’amore personale comunitario che è espressione di una libertà più grande. Entrare nella prospettiva della Trinità, vuol dire accogliere la nostra missione che offrirà una gioia e soddisfazione impagabili.

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Chiediamo al Signore di entrare sempre più nella sua ottica di offerta e oblazione di noi stessi, per coinvolgere tutto il mondo nell’orizzonte della carità teologale e generare la vera civiltà dell’amore, uniti nell’amore dell’unico Pastore.

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Roma, 25 aprile 2021

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