«Se questo è un prete». Il bizzarro e imbarazzante caso di Don Ettore Cannavera e del suo credere a-cattolico e a-teologico

— Attualità ecclesiale —

«SE QUESTO È UN PRETE».  IL BIZZARRO E IMBARAZZANTE CASO DI DON ETTORE CANNAVERA E DEL SUO CREDERE A-CATTOLICO E A-TEOLOGICO

«Non esiste contrasto tra l’essere prete e la dolce morte». Purtroppo possiamo già prevedere che nessuno prenderà provvedimenti adeguati nei confronti di questo prete ingestibile. Né il suo vescovo, né la Congregazione per il Clero, né la Congregazione per la Dottrina della Fede muoveranno un muscolo. E questo perché, i preti come lui, a volte servono molto un sistema corrotto e di conseguenza corruttore. O come disse San Bonaventura da Bagnoregio: «Roma corrompe i cardinali che corrompono i vescovi che corrompono i preti che corrompono il popolo».

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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I confratelli del presbiterio cagliaritano sanno benissimo di chi stiamo parlando, anzi forse qualcuno di essi preferirebbe obliare anche solo il nome del prode Don Ettore Cannavera che non è certo paragonabile all’omonimo pio e virtuoso eroe omerico dell’Iliade.  Fuori dal circondario di Cagliari il personaggio in questione non è conosciuto, ma in questi giorni ha avuto attenzioni e spazi sui giornali della sinistra radicale e della sinistra radical chic, da Il Manifesto a La Repubblica.

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Ultimamente si è fatto notare per aver apposto ― così come il sindaco Giorgio Gori a Bergamo [vedi QUI] ― la sua prestigiosa firma a favore del referendum abrogativo sull’eutanasia legale [vedi QUI], argomentando che non esiste contrasto tra l’essere prete ed essere a favore della dolce morte (sic!). Il giornale dove è riportata l’intervista a firma di Patrizio Gonnella è il Manifesto e il corpo dell’articolo è piuttosto interessante per capire la personalità, la mentalità e la “teologia” di questo presbitero.

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Forse per qualcuno Don Ettore Cannavera potrebbe pure apparire come un odierno Don Andrea Gallo sardo, forse per dirla tutta egli rappresenta solo il prodotto di quel Sessantotto sociale becero e malsano che nulla ha portato di buono nel mondo, per l’Italia e tanto meno dentro la Chiesa Cattolica che adesso paga il prezzo per quei chierici che all’epoca confusero il Buon Pastore con Fidel Castro e il canto dell’Exsultet con Bella Ciao. E se per Don Andrea Gallo potevamo almeno sperare nella buona influenza e nell’esempio pastorale del cardinal Giuseppe Siri ― che di tutto poteva essere accusato tranne che di non aver amato Cristo, la Chiesa, il popolo di Dio e il Magistero ― per Don Ettore Cannavera sappiamo di quale influenza egli è discepolo, basta ascoltare la sua orgogliosa prolusione al 41° Congresso del Partito Radicale Italiano [vedi QUI]. Di queste idee, Don Ettore Cannavera si è fatto fautore e interprete già dalla giovinezza, cosa che gli ha fatto appoggiare da novello sacerdote la legge sul divorzio per poi condividere anche l’aborto, l’eutanasia e la droga libera [vedi QUI; QUI; QUI], tutti i cavalli di battaglia che riconosciamo essere presenti nella storica predicazione laica dei due orgogli italiani Marco Pannella ed Emma Bonino.

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Alla prova dei fatti, tanto basterebbe per poter sollevare dei fondati dubbi sulla sua scelta vocazionale e sulle motivazioni relative alla consacrazione presbiterale che non è certo finalizzata a questo tipo di battaglie sociali, cosa che peraltro un prete dovrebbe astenersi dal fare in questi termini. A meno che non si pensi che San Giuseppe Cafasso, San Leonardo Murialdo, San Giovanni Bosco e San Giovanni Battista Piamarta fossero preti meno sociali e meno attenti di lui alle povertà e all’accoglienza, pur restando al contempo profondamente sacerdoti, fedeli e obbedienti alla Chiesa e baluardi di integrità al Magistero.  

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Appare evidente che l’antropologia che guida la mente e l’azione di Don Ettore Cannavera non è certamente quella teologica legata all’idea di uomo che ha in Cristo il suo modello autorevole [Cfr. Gv 19,5]. Non c’è alcun sentire cattolico in questo modus operandi del tutto privo di quell’idea di uomo nuovo [Cfr. Ef 4] che diventa figlio nel Figlio e fratello di Gesù Cristo [Cfr Rm 8,15.23; 9,4; Gal 4,5]. Manca totalmente l’idea di uomo che si concepisce come figlio obbediente della Chiesa perché generato come tale dal sangue di Cristo sulla croce. Insomma, non c’è in tutto questo modello antropologico culturale alcunché che rimandi a una benché minima verità rivelata che renda possibile all’uomo l’immersione in quella grazia di Cristo che rappresenta il solo imperativo evangelico-morale dentro cui è possibile trovare pace per la totalità dell’uomo. E non saranno certo i paradisi artificiali dei diritti antiumani a rappresentare uno spinello anestetizzante per rendere la fatica del vivere più sopportabile.

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Per Don Ettore Cannavera, è evidente, l’umanesimo è quello illuminista, l’uomo è il demiurgo della sola ragione che crea da sé stesso la felicità e il successo prescindendo da Dio sia all’inizio della vita, così come nel suo naturale corso, fino al momento della morte, in una personalissima e discutibilissima visione biblica che non lesina egoismo ed egocentrismo roussoiano.

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Ecco perché è sensato dire che si poteva fare a meno che un vescovo pronunciasse su di lui la formula consacratorio e lo ungesse con il sacro crisma, per fare queste cose basta essere un politico neanche troppo sopraffino. Però, che cosa volete, un prete fatto politico mantiene il suo sex appeal irrinunciabile che non può sfuggire ai giornali e alle telecamere, cosa che nutre di dolce ambrosia il narcisismo patogeno di questi soggetti più genuflessi ai partiti che ai tabernacoli.

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E ovviamente abbiamo eserciti di cattolici adulti che osannano questi sacerdotali soggetti come l’avanguardia della Chiesa più pura, umiliando e denigrando i pochi che sono ancora rimasti preti per la santificazione del popolo loro affidato, attraverso la preghiera, i Sacramenti e la carità nella verità [Cfr.  Rituale Romano dell’Ordinazione Presbiterale].

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Se questo non fosse già materia sufficiente aggiungo che forse si dovrebbe rivedere la validità della stessa ordinazione sacerdotale di Don Ettore Cannavera, se veramente fosse giunto al sacerdozio mosso da certe convinzioni che costituiscono deciso sprezzo verso i pilastri della fede e il suo impianto dogmatico. Infatti, il nostro prode, non si fa problemi ad affermate perniciosamente errori gravi per un presbitero: «Non esiste l’inferno. Lo diceva già negli anni Cinquanta Giovanni Papini. Non credo nell’inferno» [vedi QUI]. Egli cita il Papini, con la differenza sostanziale che del Papini sappiamo di un’autentica conversione, di Don Ettore ancora non c’è giunta voce, ma sicuramente quando questo avverrà lo si potrà leggere su Il Manifesto, su La Repubblica o chissà, magari al prossimo meeting dei Radicali Italiani.  

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Tema delicatissimo quello della validità delle sacre ordinazioni sacerdotali, sul quale dibatterono nel 2016, a livello sacramentale, teologico e giuridico i due padri fondatori de L’Isola di Patmos, l’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli e il teologo dogmatico e storico del dogma Ariel S. Levi di Gualdo. Rimandiamo a questi loro articoli di taglio scientifico, ma leggibili e comprensibili da chiunque voglia approfondire il tema [Cfr. G. Cavalcoli QUI, A.S. Levi di Gualdo, QUI, QUI].

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Basterebbe utilizzare un minimo di senso della realtà per vedere che qui purtroppo non siamo davanti al caso di un sacerdote peccatore che ha smarrito la strada, cosa che a tutti noi può capitare perché non immuni da errore e da peccato, ma si tratta di un sacerdote che è caduto nell’accecamento luciferino che conduce a scambiare il male per bene per poi difenderlo orgogliosamente tanto da normalizzarlo nell’esercizio del peccato.

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Ma tutto questo oggi sembra non importare nulla, perché basta operare un generico bene filantropico per essere a posto in coscienza davanti al mondo senza il minimo bisogno di alcuna conversione (così come è stato nel caso di Gino Strada vedi QUI, QUI) e lasciarsi elevare e santificare, non dallo Spirito Santo, ma dallo spirito laico che spira dall’iperuranio degli intoccabili diritti civili in cui sgorga con abbondanza il riconoscimento pubblico a commendatore al merito della Repubblica italiana per atti di eroismo, per l’impegno nella solidarietà, nel soccorso, per l’attività in favore dell’inclusione sociale, nella promozione della cultura, della legalità e per il contrasto alla violenza [vedi QUI].

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Ma siamo seri? Quale eroismo c’è nel difendere e giustificare l’attentato alla vita nascente, quale eroismo nella cultura dello scarto, quale eroismo nel farsi arbitro della vita e della dignità di un altro uomo, quale eroismo nel permettere il divorzio e la nullificazione della famiglia naturale? Nessuno, nessun eroismo solo viltà e pavidità, solo il marchio della scimmia di Dio che promette all’uomo l’uguaglianza divina nel segno della disobbedienza [Cfr. Gn 3,5].

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Sarebbe saggio usare in questi casi il metodo del cardinale belga Joseph-Léon Cardijn e del padre croato Tomislav Kolakovic, quel metodo che ci permette di vedere, giudicare e agire in modo evangelico davanti ai totalitarismi moderati mascherati da Vangelo del povero nel tentativo di una correzione formale dell’errore e successivamente di un recupero del reo (anche se sacerdote) caduto in disgrazia a causa dell’apologia di un peccato e di un delitto.

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Purtroppo, possiamo già prevedere, senza particolari doti di chiaroveggenza, che nessuno prenderà provvedimenti adeguati nei confronti di questo prete ingestibile che nel passato ha anche insegnato nella Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. Né il suo vescovo, né la Congregazione per il Clero, né la Congregazione per la Dottrina della Fede muoveranno un muscolo. E questo perché, i preti come lui, totalmente ingestibili, a volte servono molto un sistema corrotto e di conseguenza corruttore. O come disse San Bonaventura da Bagnoregio: «Roma corrompe i cardinali che corrompono i vescovi che corrompono i preti che corrompono il popolo».

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Mi si permetta una divagazione cinematografica prendendo come esempio Jack Nicholson nel film del 1992 Codice d’Onore. Nicholson interpreta il ruolo di cinico Colonnello a cui non importa nulla della verità e che non lesina di sacrificare la vita di un suo soldato illudendosi di rispettare così l’onore, l’austerità della vita militare e la sicurezza nazionale del paese.

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Don Ettore Cannavera è così, mi ricorda il Colonnello Jessep di Jack Nicholson. È messo lì ma non per la verità del Vangelo ma per portare avanti le istanze di un mondo laico che si illude di tutelare l’uomo con gli imprescindibili diritti civili ma che a buon bisogno non batte ciglio davanti alla morte procurata di un feto nel grembo materno, alla morte procurata di un malato terminale, alla dissoluzione della dignità umana che viene ammantata da una calda e morbida coperta di empatia in un mondo senza più Cristo né Chiesa.   

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Forse al tramonto della sua vita, Don Ettore Cannavera, scriverà le proprie memorie che saranno il manuale di formazione dei sacerdoti del futuro. Forse al suo funerale, così come capitò per Don Andrea Gallo, ci sarà il cardinale di turno a renderne l’omaggio e l’avvallo della Chiesa per il suo operato, che sebbene scomodo ed eterodosso, di fatto è stato permesso da un sistema corrotto e corruttore che corrompe i cardinali che corrompono i vescovi che corrompono i preti che corrompono il popolo.

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Laconi, 10 settembre 2021

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Autore
Redazione de L’Isola di Patmos.

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QUANDO NELLA TRAGEDIA SI CERCA DI SDRAMMATIZZARE: IL MODERNO TANGO DELL’EPISCOPATO ITALIANO. INTERESSANTI E CALZANTI LE PAROLE DI QUESTA LEGGERA CANZONETTA …

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