Dal Pro-Zan al Pro-Zac. Noi cattolici siamo i veri liberali e il Senatore Tommaso Cerno una voce tacitata perché voleva una Legge equilibrata che avrebbe avuto l’appoggio anche della Chiesa Cattolica e dei cattolici italiani

— Attualità ecclesiale —

DAL PRO-ZAN AL PRO-ZAC. NOI CATTOLICI SIAMO I VERI LIBERALI E IL SENATORE TOMMASO CERNO UNA VOCE TACITATA PERCHÈ VOLEVA UNA LEGGE EQUILIBRATA CHE AVREBBE AVUTO L’APPOGGIO DELLA CHIESA CATTOLICA E DEI CATTOLICI ITALIANI

Bisogna prendere atto, alla prova provata dei fatti, che i veri liberali rispettosi delle regole democratiche siamo noi cattolici, non gli ideologi radicali dei movimenti LGBT che ti querelano a ogni minimo sospiro di dissenso, avendo soldi e appositi studi legali per applicare una vecchia e pericolosa logica tutta quanta fascista: «Punirne uno per educarne cento». Ma a questo gioco il Senato della Repubblica Italiana non c’è stato, specie oggi che i più violenti in assoluto rischiano di essere proprio i fascisti dell’antifascismo. Per questo è stato affossato il Disegno di Legge Zan.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Articolo inserito nella raccolta di questo saggio che potete ordinare cliccando sopra la copertina

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È morto un Amicone che mi induce a riflettere sull’indifferenza dei mezzi di comunicazione verso la vita e la morte, quando non sono pruriginoso spettacolo

—  Attualità ecclesiale —

È MORTO UN AMICONE CHE MI INDUCE A RIFLETTERE SULL’INDIFFERENZA DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE VERSO LA VITA E LA MORTE, QUANDO NON SONO PRURIGINOSO SPETTACOLO

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«Siamo circondati da ignoranza, malafede, menzogna, e quel che è serio è che lo sanno e non vacillano. Proprio come doveva essere un funzionario nazista o comunista»

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Luigi Amicone (Milano, 4 ottobre 1956 – Monza, 19 ottobre 2021)

Giovedì 21 ottobre si sono svolti nella chiesa cattedrale di Monza i funerali di Luigi Amicone, morto ad appena 65 anni. Dinanzi a sé poteva avere altri vent’anni di vita da vivere, stando alle statistiche odierne sulla vita media dell’uomo italiano, che non sono pochi. La sua morte mi è stata annunciata di primo mattino, martedì 19, da un confratello della Diocesi di Milano, cresciuto nelle fila di Comunione e Liberazione, il Movimento fondato dal presbitero ambrosiano Luigi Giussani.

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Luigi non era un amico di vecchia data, ma un amico sincero col quale era un piacere dialogare. più volte ci siamo incontrati tra il 2019 e il 2021 a vari programmi televisivi sulle Reti Mediaset, una volta ci siamo anche accapigliati sul tema della Madonna di Medjugorje, nota come Gospa, sulla quale nutro da sempre profonde riserve. Poi, terminato il dibattito e chiuse le telecamere della diretta, lui mi disse:

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«Ariel, io ti stimo come un uomo di fede. E gli uomini di fede li riconosco, sono di necessità tosti come te, penso di poterlo dire perché sono stato allievo di Luigi Giussani, che non era affatto una mammoletta».

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Dopo avere ricevuto l’annuncio della sua morte, poco dopo mi sono rigirato tra le mani il telefono cellulare, ho aperto il whatsapp al contatto Luigi Amicone e per alcuni minuti ho ripercorso vari ricordi rimasti impressi nella memoria d’archivio:

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«Luigi, sei stato splendido al programma Titolo Quinto su Rai3, un caro saluto e un caro augurio» (23.03.2021)»

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«Grazie Ariel, mi viene quasi da chiedere a uno della tua intelligenza: fai giornalismo! Siamo circondati da ignoranza, malafede, menzogna, e quel che è serio è che lo sanno e non vacillano. Proprio come doveva essere un funzionario nazista o comunista» (23.03.2021)

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Ricordo poi, con affetto e divertimento, un colloquio avuto durante la scorsa estate, mentre Luigi si trovava nella sua casa di vacanza in Sardegna, nella zona di Sassari, io invece nell’altra isola, nella mia casa di vacanza nell’Ortigia di Siracusa. Commentando alcune pagine del mio libro E Satana si fece trino, nella parte in cui analizzo il problema della lobby gay ecclesiastica, mi disse:

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«Conoscendo l’ambiente, immagino che cosa ti hanno fatto in ritorsioni, dopo che hai scritto queste pagine».

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Proseguendo su quel delicato discorso proruppi dicendo che lo Stato della Città del Vaticano è il Paese con la più alta percentuale di popolazione gay del mondo. Lui rise e replicò:

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«Questa frase te la frego, alla prima occasione che mi si presenta me la rivendo subito».

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Presto detto, l’occasione si presentò pochi giorni dopo, quando in collegamento esterno dalla sua casa nei pressi di Sassari partecipò a un programma sulle Reti Mediaset, dove durante il suo intervento esordì dicendo:

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«Figuriamoci se noi cattolici possiamo stupirci del disegno di legge Zan, quando lo Stato della Città del Vaticano è il Paese con la più alta percentuale di popolazione gay del mondo».

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Lo chiamo divertito al telefono la mattina del giorno dopo, prima lo prendo in giro per com’era abbronzato, domandando se il sole della Sardegna se l’era preso tutto quanto lui, poi esordisco:

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«Ah, come sono felice di avere fatto l’eminenza grigia alle tue spalle!».

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Ribatte lui:

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«Ma non dire cazzate, “alle spalle”? Tu è una vita che le sputi in faccia a tutti, per questo non diventerai mai una Eminenza Reverendissima».

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Luigi mi ha indotto a riflettere, non tanto sulla morte, mistero sul quale sono abituato a meditare ogni giorno, consapevole che il mio cuore, come quello di chiunque, potrebbe cessare di battere da un momento all’altro, all’improvviso.  Sulla morte ci ho scritto anche un libro, trattando dei Novissimi in forma di narrativa, che a breve sarà dato alle stampe.

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Con la sua repentina scomparsa Luigi mi ha indotto a riflettere sul rapporto della società contemporanea verso la morte. È su questo che adesso intendo riflettere, incluso il rapporto, o meglio il non-rapporto o il rapporto-negato dei mezzi di comunicazione di massa con la morte, laddove la morte non è uno spettacolo attraverso il quale Gianluigi Nuzzi, efficiente becchino di Rete4, trasforma delitti e morti in spettacolo, in fiction che non stimola affatto a riflettere sull’uomo, o sulla violenza psicologica che porta certi soggetti sino ai più violenti delitti efferati, ma che stimola solo pruriti morbosi.

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Come professionista Luigi non è stato giornalista di un quotidiano locale che narra fatti e vicende di una cittadina di provincia, di quelli che alla morte sono solitamente ricordati nella loro località da colleghi e concittadini che hanno letto i loro articoli per anni. Luigi è stato un giornalista della stampa nazionale, fondatore di una delle principali riviste cattoliche italiane, il mensile Tempi. È stato, come ho narrato poco prima, un cosiddetto volto televisivo rappresentativo della cultura cattolica italiana, con posizioni accettabili o non accettabili all’interno dello stesso mondo cattolico, ma che ha dato grandi contributi in tanti anni di professione. Per questo è stato ospite per anni nei salotti di dibattito televisivo di tutti i principali programmi Mediaset e Rai, perché aveva opinioni da esprimere e le sapeva esprimere, condivisibili o meno che fossero dagli altri opinionisti presenti, perché è proprio su questo che si fonda il dibattito.

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Mi sarei aspettato, non dico in prima serata o in apertura, ma semmai alla fine dei vari programmi di approfondimento giornalistico o cosiddetti talk show, che uno solo di coloro che lo hanno chiamato e avuto spesso nei loro parterre come opinionista nel corso degli anni, prima della sigla finale dicesse: «Martedì è venuto a mancare il collega Luigi Amicone, la nostra Redazione si unisce in cordoglio ai suoi familiari». Un messaggio di questo genere avrebbe occupato uno spazio di circa 7 od 8 secondi a chiusura di un programma nel quale semmai, Giorgia Meloni o Matteo Salvini avevano fatto in prima serata un monologo di 30 minuti senza alcuna interruzione pubblicitaria, che vale solo ― in modo inderogabile ― quando parlano altri ospiti e opinionisti. Nessuno ha invece dedicato pochi secondi di ricordo a un collega tutt’altro che sconosciuto, in un mondo della comunicazione nel quale il cinismo e l’indifferenza regnano sovrani, dove ciò che viene presentato come sensibile interesse umano non è tale, ma qualche cosa di voluto e studiato sulla fredda base degli indici di ascolto. O qualcuno crede sul serio che a quello spumeggiante conduttore interessi davvero qualche cosa di povere e modeste persone che si ritrovano con le loro case occupate da lestofanti che nessuno riesce a cacciare e che non pagano affitti? E si noti: non è, questo mio, un processo alle intenzioni, che sarebbe peraltro una grave contraddizione in termini con la mia formazione teologica e con la mia pregressa e ormai lontana formazione giuridica. È semplicemente un fatto, basta solo conoscere le televisioni, le redazioni dei giornali e soprattutto chi al loro interno lavora.

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No, anime ingenue, certi temi non nascono dal desiderio di difesa dei diritti dei deboli, il tutto nasce solo da puri e freddi criteri dettati dagli indici di ascolto. Perché se quel blocco dedicato in quel talk show agli occupatori abusivi di case non alzasse gli ascolti della televisione commerciale, che si regge in modo tanto ovvio quanto legittimo su pubblicità e indici di ascolto, potete stare certi che questo premuroso paladino della giustizia e della difesa dei deboli non esiterebbe a mettersi a parlare della profondità del culo delle balene nella puntata successiva, qualora la colonoscopia baleniera facesse più ascolti.

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L’indifferente non può essere sensibile, non può amare la giustizia e la verità facendosi paladino dei deboli, perché a sostenere l’impianto mentale e sociale dell’indifferenza sono l’utilitarismo selvaggio o il narcisismo ipertrofico, che finiscono col rendere quello dell’informazione un mondo della deformazione e spesso della manipolazione, il tutto per fini politici, economici e di indirizzo subliminale sulle masse.

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Girando per i vari programmi televisivi ho conosciuto due persone che considero amici e che sono rispettivamente: uno, una trans, Vlady Guadagno, in arte Vladmir Luxuria, un altro è un omosessuale, equilibrato attivista LGBT e liberale a tutto tondo, si tratta del celebre e ottimo divulgatore scientifico Alessandro Cecchi Paone, che ha una visione della vita e dell’uomo diversa dalla mia, ad esempio per quanto riguarda l’aborto o l’eutanasia, ma che da subito ho stimato come uomo leale e sensibile che sa cos’è l’amicizia e il rispetto per gli amici, soprattutto per coloro che non la pensano come lui. Questo fa di Alessandro Cecchi Paone un autentico liberale, con il quale potrei parlare con serenità su tutto ciò che nel diverso sentire umano ci divide, ma al quale sono unito da qualche cosa che unisce anche gli uomini coi pensieri più diversi: il rispetto della libertà dell’altro, che per lui è il caposaldo del Liberalismo, per me è il suffisso stesso della creazione dell’uomo, creato da Dio libero e dotato di libero arbitrio.

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Solo adesso che le spoglie mortali di Luigi Amicone sono state restituite alla terra, comprendo quel suo messaggio che ho riportato all’inizio, non certo perché mi ha definito «intelligente», ma perché in quel messaggio definisce la situazione e lo stato in cui versa il mondo dell’informazione:

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«Grazie Ariel, mi viene quasi da chiedere a uno della tua intelligenza: fai giornalismo! Siamo circondati da ignoranza, malafede, menzogna, e quel che è serio è che lo sanno e non vacillano. Proprio come doveva essere un funzionario nazista o comunista» (23.03.2021)

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Riposa in pace nella grazia e nella misericordia di Dio, mi mancherai, mio caro Amicone.

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dall’Isola di Patmos,  21 ottobre 2021

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«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],
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Il problema non è la ricchezza, ma l’uomo che anziché servirsi della ricchezza diviene schiavo della ricchezza

—  omiletica —

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

IL PROBLEMA NON È LA RICCHEZZA, MA L’UOMO CHE ANZICHÈ SERVIRSI DELLA RICCHEZZA DIVIENE SCHIAVO DELLA RICCHEZZA 

 

Il celebre pastore luterano Martin Luther King scriveva: «La vita è sacra. La proprietà è destinata a servire la vita, e per quanto noi la circondiamo di diritti e di rispetto, non ha una essenza personale: è parte della terra su cui l’uomo cammina: non è l’uomo».

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Meditazione sul Santo Vangelo della XXVIII Domenica del tempo ordinario

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Cari Fratelli e Sorelle,

“La prudenza”. Nella foto: Padre Gabriele Giordano M. Scardocci in prudente marcia sul Lungotevere con il monopattino”

in questa domenica attraverso le letture della Liturgia della Parola, il Signore ci vuole dare dei consigli su come vivere sempre più una vita di fede autentica, quella che non richiede una semplice professione del Credo, ma uno stile di vita che si impegni e si sforzi di vivere quello che si crede.

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Quando si imparano le pratiche di pronto soccorso, o quelle di protezione civile, vi sono principi teorici di guida e orientamento a scelte che devono poi essere attualizzate per compiere un’azione efficace di salvaguardia e difesa dei cittadini e dei malati. In questa XXVIII Domenica del tempo ordinario il Signore ci ricorda che il dono della Sapienza è necessario e indispensabile a essere discepoli, affinché tutti noi, per quanto limitati, fragili e peccatori, grazie a questo Dono tendiamo a imitare Gesù e la sua vita. Della Sapienza parla la prima lettura:

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«Pregai e mi fu elargita la prudenza, / implorai e venne in me lo spirito di sapienza / La preferii a scettri e a troni, / stimai un nulla la ricchezza al suo confronto».

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L’Autore del testo sacro ammette che preferisce la sapienza persino alle più grandi ricchezze, persino al potere regale. Proprio perché la sapienza permette di acquisire la chiave di comprensione dei tesori nascosti dei misteri divini. Realtà che se assimilate e fatte proprie, non sono teorie astratte o dottrine aride, ma cambiano lo sguardo sul mondo e su tutto ciò che accade. Questo spirito di Sapienza è dono dello Spirito Santo che permette di gustare e assimilare tutte le verità di fede che professiamo nel Credo. È un modo dunque vivido, esperienziale e autentico di vivere la fede, un quasi contatto concreto con i sacri misteri, che possiamo avere durante una preghiera profonda.

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Prendere un orientamento sapienziale sul mondo è ciò che ci aiuta a riconoscere anche il cammino che Dio ci dona. Nel Vangelo di oggi si narra di un giovane ricco che si presenta a Gesù con un “currriculum” invidiabile: seguiva i comandamenti a menadito fin dalla giovinezza. Probabilmente lo faceva con convinzione. Ma adesso manca il passaggio clou. Ed è lì che il giovane va in crisi. Gesù gli chiede di seguirlo dopo aver venduto tutti i suoi beni per ottenere un tesoro in cielo. A quel punto il giovane se ne va. In privato poi il Signore spiega agli apostoli:

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«Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio! […] Quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».

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Gesù non condanna i ricchi in sé e per sé in quanto ricchi, ma in questo caso espone la difficoltà di proseguire in un cammino di santità se la ricchezza materiale è qualcosa radicato nell’uomo, quando la ricchezza tende a eliminare qualsiasi orizzonte spirituale e divino. O quando al tempo stesso, la ricchezza, concentra tutta l’attenzione umana sul guadagno, sul possesso smodato, facendo dimenticare che i beni materiali, come per esempio il denaro o le proprietà immobiliari, sono sì mezzi importantissimi, ma pur sempre mezzi che devono aiutarci a diventare veri discepoli di Gesù.

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Il Dono della Sapienza è l’unica vera ricchezza, perché insieme alla grazia ci prepara a valutare tutto ciò che possediamo alla luce della vita eterna; ci aiuta a distinguere l’effimero dall’eterno, donandoci uno sguardo libero, giusto, prudente e armonico. E con questa libertà possiamo diventare generosi nella carità verso il prossimo e prodighi solo nell’amore di Dio. Il celebre pastore luterano Martin Luther King scriveva:

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«La vita è sacra. La proprietà è destinata a servire la vita, e per quanto noi la circondiamo di diritti e di rispetto, non ha una essenza personale: è parte della terra su cui l’uomo cammina: non è l’uomo».

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Chiediamo al Signore di essere pronti alla sua chiamata a lasciare tutto il superfluo, lasciar cadere tutta la zavorra della nostra vita, per vivere una vita cattolica autentica e percorrere i sentieri eterni della santità.

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Così sia.

Roma, 10 ottobre 2021

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Colloquio con Andrea Turazzi Vescovo di San Marino-Montefeltro: «Nell’antica Repubblica dove il referendum sull’aborto ha vinto con il 77,28% dei voti, il Monte Titano diverrà come il Monte Taigeto?

—  Attualità ecclesiale —

COLLOQUIO CON ANDREA TURAZZI VESCOVO DI SAN MARINO-MONTEFELTRO: «NELL’ANTICA REPUBBLICA DOVE IL REFERENDUM SULL’ABORTO HA VINTO CON IL 77,28% DEI VOTI, IL MONTE TITANO DIVERRÁ COME IL MONTE TAIGETO?

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«Non credo che sia pertinente né credo che sia giusto paragonare i sammarinesi agli spartani. Occorre non identificare quel 77% di “sì” all’aborto con l’atteggiamento estremamente aggressivo e ideologico di alcuni gruppi. Il Referendum a San Marino è stato celebrato come Referendum propositivo per chiedere la depenalizzazione. Tuttavia, l’istanza prospetta anche l’eventualità di una pratica abortiva senza limitazioni. Tiene infatti conto solo del punto di vista della donna. Non viene considerato adeguatamente il diritto del nascituro».

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PDF  articolo formato stampa
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.https://youtu.be/2qrilziMZHk

Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos.

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NOTA STORICA INTRODUTTIVA: L’ANTICA SERENISSIMA REPUBBLICA

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Capitale della Repubblica di San Marino: la rocca, anche detta guaita, sulla sommità del Monte Titano

Nella Repubblica di San Marino detta la serenissima, 33.860 abitanti, dopo accesa campagna referendaria gli aventi diritto si sono recati alle urne dove il 77,28% degli elettori ha votato a favore dell’aborto. Un risultato che richiama alla mente certe maggioranze oceaniche e che induce a riflettere animati anche da comprensibile inquietudine.

Il tema della nostra intervista che seguirà merita un’introduzione storica e agiografica. La Repubblica nasce il 3 settembre 301. Suo fondatore fu Marino, un tagliapietre nativo dell’isola di Arbe fuggito dalla Dalmazia durante le persecuzioni dei cristiani avviate da Diocleziano. Con una piccola comunità cristiana si stabilì sul Monte Titano, il più alto dei sette colli dove oggi sorge la Capitale. Proprietaria di quei terreni era certa Felicissima, ricca nobildonna della Città di Rimini che fece dono di quella proprietà alla comunità di Marino, che in seguito la titolerà a suo nome. Assieme a Marino spicca la figura di un altro scalpellino, Leo o Leone. Questo secondo, dopo essere giunto anch’esso sul Monte Titano si spostò sul Monte Feliciano, noto oggi come Montefeltro, seguitando a lavorare alla estrazione e lavorazione delle pietre. Su quella altura Leo edificherà una chiesa, in una zona chiamata oggi San Leo, con-cattedrale della Diocesi di San Marino-Montefeltro, che ha la propria cattedrale e sede vescovile a Pennabilli, paese di circa 1.000 abitanti. Marino e Leo, secondo l’antica tradizione diaconi, sono i santi patroni della Diocesi. La comunità di San Marino diviene indipendente nell’VIII secolo alla caduta dell’esercato bizantino di Ravenna, sede arcivescovile metropolitana di cui la Diocesi di San Marino-Montefeltro è suffraganea. Da sempre molto stretto e solido il legame tra l’antica Repubblica — che nasce da profonde radici cristiane — e la Chiesa di Roma. Nel 1291 il Sommo Pontefice Niccolò IV riconobbe San Marino come cristiana repubblica.

Tutt’oggi la Serenissima Repubblica è in relazioni diplomatiche con la Santa Sede e sul suo territorio si trova la nunziatura apostolica. L’ufficio di nunzio apostolico è ricoperto dal Nunzio Apostolico in Italia, che svolge il suo ufficio diplomatico con doppio accredito: al Governo della Repubblica Italiana e al Governo della Repubblica di San Marino. Per questo la sede diplomatica della Santa Sede in Italia è chiamata Nunziatura Apostolica in Italia e nella Repubblica di San Marino. Il penultimo Nunzio Apostolico in ordine di serie, S.E. Mons. Adriano Bernardini (2011-2017), era un particolare e apprezzato conoscitore della storia di quel Paese. Anche se formato al Pontificio Seminario Maggiore Romano e ordinato presbitero per la Diocesi di Roma, era nativo del Montefeltro (Piandimeleto, frazione di Monastero). Originario del Montefeltro era anche un altro insigne diplomatico della Santa Sede, S.E. Mons. Pietro Sambi, che fu nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America. L’attuale Nunzio Apostolico è lo svizzero S.E. Mons. Emil Paul Tscherrig. Dal 2014 Vescovo della Diocesi di San Marino-Montefeltro è S.E. Mons. Andrea Turazzi.

I Vescovi di San Marino, seppur titolari della sede episcopale e avendo una residenza nel territorio dell’antica Repubblica, non vi risiedono stabilmente, ciò per motivi di natura politica legati alla particolarità del governo di quel Paese, dove a breve cadenza periodica sono eletti i due Capi di Stato, detti Capitani Reggenti. Le Loro Eccellenze Serenissime rimangono infatti in carica solo sei mesi. In un Paese così piccolo e con un simile sistema di governo il Vescovo, che sulla sua cattedra episcopale può rimanere anche venti o trent’anni, potrebbe assumere un ruolo di autorevolezza maggiore a quello dei periodici Capi di Stato, specie se avesse una spiccata personalità.

I sammarinesi sono profondamente fieri della loro antica Repubblica e non hanno mai gradito i lazzi di certi italiani della circostante confinante Romagna. Tutt’altro che rari gli incidenti diplomatici con l’Italia nel corso del tempo, per esempio quando in occasione della Festa delle Forze Armate una rivista satirica romagnola alluse all’aviazione sammarinese composta da quattro elicotterini telecomandati e alla sua flotta navale composta da dieci barchette a pila fatte girare nell’acqua di una vasca. Forse ignari, gli ironici geografi, che la Repubblica non ha sbocco alcuno sul mare e che San Marino potrebbe avere una flotta navale al pari della Svizzera o del Principato del Liechtenstein, ma anche di Paesi europei dall’estensione territoriale ben più grande sui quali nessuno ironizza per la mancanza di flotte navali: Austria, Ungheria, Slovacchia … Oppure quando le Forze Armate sammarinesi scattarono in massima allerta — cosa accaduta più di una volta — a causa di mezzi militari dell’Esercito Italiano che attraversarono il suo territorio. Episodio comprensibilmente vissuto come un’invasione, sino a suscitare le vibranti proteste di S.E. Antonella Mularoni ministro degli affari esteri. Perché con buona pace dei ridenti e gaudenti romagnoli circostanti e confinanti, i sammarinesi sono orgogliosi del loro Paese e della loro Repubblica, la più antica del mondo. Per questo meritano rispetto profondo, soprattutto profondo rispetto storico.

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COLLOQUIO CON ANDREA TURAZZI VESCOVO DELLA DIOCESI DI SAN MARINO-MONTEFELTRO

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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     S.E. Mons. Andrea Turazzi, Vescovo di          San Marino-Montefeltro

D. Eccellenza Reverendissima, lei è nato a Stellata di Bondeno (Ferrara) ordinato presbitero per la Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio (27.05.1972). È stato stimato dall’allora Arcivescovo di Ferrara-Comacchio Carlo Caffarra (1995-2003). Per quattro decenni ha vissuto a contatto col Popolo di Dio esercitando il sacro ministero sacerdotale come parroco, dedicandosi nel mentre alla formazione dei futuri sacerdoti come direttore spirituale del seminario e docente di teologia pastorale. È eletto alla sede vescovile di San Marino-Montefeltro dal Sommo Pontefice Francesco (30.11.2013) e consacrato vescovo dal Cardinale Carlo Caffarra (24.01.2014), Arcivescovo di Bologna (2003-2015). Possiamo cominciare chiedendole un suo ricordo personale di questo vescovo e teologo tornato alla Casa del Padre il 6 settembre 2017, ricordato oggi come uno tra i più grandi esperti sui temi del matrimonio, della famiglia e della procreazione umana?

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R. Ho avuto la fortuna di avere l’allora Don Carlo Caffarra come professore. Ricordo perfettamente la chiarezza e lo spessore delle sue lezioni. Rigorosissimo, ma straordinariamente accogliente. L’episcopato ferrarese del Cardinale Carlo Caffarra ha lasciato un’impronta in ciascuno di noi presbiteri, ma credo abbia segnato profondamente anche lui: ha aggiunto, alla robustezza del teologo di razza, la delicatezza del pastore (fortiter et soaviter). Conservo tanti ricordi personali, che custodisco gelosamente; due li condivido: le sue lacrime durante una pausa-caffè, in sede di Conferenza Episcopale Regionale, a causa del calo delle vocazioni; la sua gioia nel raccontarmi l’esperienza “spirituale” vissuta nel Conclave che elesse Papa Francesco. Non ho avuto alcun “dubbio” sull’attaccamento del Cardinale Carlo Caffarra alla persona del Santo Padre ― Papa Francesco ― e non solo al “papato”. Lo prova il fatto che quando taluni tentarono di porre il Cardinale Caffarra in conflitto con il Santo Padre sui temi della famiglia, lui non esitò a rispondere:

«Avrei avuto più piacere che si dicesse che l’Arcivescovo di Bologna ha una amante, piuttosto che si dicesse che ha un pensiero contrario a quello del Papa. Perché se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi, perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita dei fedeli. È una cosa che mi ha profondamente amareggiato perché è calunniosa, perché non solo il Papa non ha mai parlato su questo, ma quando ha parlato ha chiesto un dibattito. E il dibattito è vero se tutte le voci possono parlare. Io sono nato papista, sono vissuto da papista e papista voglio morire» [N.d.R. vedere video dell’intervista].

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D. Come Vescovo della Diocesi di San Marino-Montefeltro si è ritrovato di fronte a una campagna referendaria per la legalizzazione dell’aborto all’interno di un Paese che è la più piccola e antica repubblica del mondo. Da subito ha lasciato capire che per la Chiesa particolare da lei governata non era in gioco una questione politica ma una questione che toccava una corda molto sensibile della nostra fede: la vita umana, tale considerata da noi cattolici sin dal momento del concepimento. Certo, il tutto si è giocato sul terreno politico, quello del referendum, attraverso la libera espressione della volontà popolare. Ritiene che i favorevoli alla legalizzazione dell’aborto abbiano compreso che per il Vescovo non si trattava di una questione puramente politica ma di una delicata questione di coscienza? 

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R. Sono intervenuto da pastore. A quanto so i sammarinesi non hanno mai contestato le mie prese di posizione espresse nel mio intervento al Vicariato San Marino, in due omelie in Basilica in circostanze solenni (Corpus Domini e Solennità di San Marino), infine due comunicati stampa in prossimità del Referendum, apprezzati da molti per la chiarezza e il tono. Diverse voci del “cartello sì” hanno assunto evidenti toni ideologici, con slogan tipo: «Né Dio, né Chiesa, ma le donne decidono di sé…». Il “no” è stato sostenuto sostanzialmente da due formazioni: una di tipo laico, con motivazioni di ragione, di scienza e di antropologia; l’altra costituita dalla Consulta delle Aggregazioni ecclesiali (una decina). Ufficialmente i partiti hanno fatto appello alla libertà di coscienza. Ma diversi partiti (alcuni di governo della Repubblica) hanno dato pieno appoggio alla campagna per il “sì”.

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D. Secondo le statistiche ufficiali del 2019, su una popolazione di 33.860 abitanti i cattolici sammarinesi costituiscono il 97,2% della popolazione, formata da battezzati. Considerando che il 77,28% degli elettori ha votato a favore della legalizzazione dell’aborto, il risultato di questo referendum non è forse paradigma del sentire della società contemporanea? Dinanzi a questo quorum, quanti potrebbero essere i cattolici che dopo avere votato a favore della legge sull’aborto si sono poi recati alla Santa Messa domenicale all’uscita dalle urne elettorali, sentendosi con la coscienza in perfetto ordine? Se ciò fosse, non crede che saremmo di fronte a una scissione tra l’essere cattolici e mettere in pratica ciò che la nostra fede considera un bene mai e in alcun caso disponibile, la vita umana?

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R. Francamente non mi aspettavo un esito così clamorosamente sbilanciato. È evidente come anche a San Marino pesi il condizionamento della cultura dominante, la secolarizzazione e la scissione fra fede e vita: molti sono cristiani senza mai aver deciso di esserlo! Forse si poteva evitare questo Referendum con una mediazione fra le forze politiche. Tuttavia, al di là dell’esito, è stato occasione di un sussulto di consapevolezza e di responsabilità: per i cattolici di maggior coerenza nel testimoniare il Vangelo della vita e per tutti di sostenere una cultura e una politica favorevoli alla famiglia.

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D. Nell’edizione di lunedì 27 settembre il quotidiano dei Vescovi d’Italia, L’Avvenire, parla di molti nodi da sciogliere dopo il “si” della Repubblica di San Marino. Il giornale dei Vescovi mette in luce la mancata indicazione di un limite di tempo che potrebbe portare alla possibilità di abortire fino al nono mese, col rischio di creare dentro il territorio italiano un porto franco dell’aborto libero. Pensa che questo rischio possa tradursi in realtà?

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R. Mi auguro che la legge che verrà introdotta nella Repubblica di San Marino sia formulata in modo da tenere presente la sensibilità in favore della vita di tanti sammarinesi. Presso il Consiglio Grande e Generale (Parlamento) sono già state depositate istanze in questo senso. È da considerarsi una vera sconfitta la scarsa affluenza alle urne, ma questo dato dice anche il valore relativo dell’esito referendario. Lungi dall’immaginare un “aborto cattolico” — l’aborto è sempre e comunque un crimine — mi auguro che si arrivi ad una legge equilibrata, che riesca veramente a non lasciare indietro nessuno e non si limiti a recepire l’ideologia dello scarto. Il primo impegno consisterà nel sorvegliare strettamente l’evoluzione del dibattito politico in argomento, allo scopo di prevenire la fallimentare esperienza italiana e gli eccessi di certe legislazioni abortive europee, e di tenere viva la tradizione umanitaria e cristiana di San Marino. Il secondo impegno è “farsi prossimo”: salvare vite, aiutare le mamme, sostenere associazioni pro-life; non ultimo, l’impegno educativo verso giovani e adulti. Pertanto, ho motivi per sperare che non si crei un porto franco per l’aborto libero.

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D. Durante la campagna referendaria le avverse parti si sono confrontate in toni accesi anche sul cosiddetto “aborto selettivo” che consentirebbe di procedere alla soppressione dei bambini affetti da sindrome di Down, o ai bambini affetti da anomalie che non sono però incompatibili con una vita degna di essere vissuta. Le domandiamo: il Titano (N.d.R. è chiamato Monte Titano l’altura dove sorge l’antico insediamento della Serenissima Repubblica di San Marino), non potrebbe correre il rischio di mutarsi nell’antico Monte Taigeto, l’altura dalla quale gli spartani, secondo i racconti mitologici, gettavano giù i neonati deformi o giudicati troppo deboli per vivere e crescere secondo gli schemi estetici e fisici della cultura greca?

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R. Non credo che sia pertinente né credo che sia giusto paragonare i sammarinesi agli spartani. Occorre non identificare quel 77% di “sì” all’aborto con l’atteggiamento estremamente aggressivo e ideologico di alcuni gruppi¹. Il Referendum a San Marino è stato celebrato come Referendum propositivo per chiedere la depenalizzazione. Tuttavia, l’istanza prospetta anche l’eventualità di una pratica abortiva senza limitazioni. Tiene infatti conto solo del punto di vista della donna. Non viene considerato adeguatamente il diritto del nascituro. Non si guarda alla responsabilità della comunità. Ci sono tante possibilità di tutela della maternità nel nostro tempo, considerato il progresso scientifico, le disponibilità economiche, l’accresciuta sensibilità sociale. Non deve succedere che una donna interrompa volontariamente la gravidanza per motivi economici o per mancanza di aiuto e di tutela. Ora la parola passa al legislatore. Si auspica l’offerta di un quadro legislativo di vero aiuto alla donna, di tutela della vita e di accoglienza della obiezione di coscienza. Ci sarà certamente una legislazione diversa dall’attuale; verrà data una libertà che prima non era prevista. Spero non sia un incentivo alla prassi abortiva, ad una leggerezza nelle decisioni o — come ha detto recentemente Papa Francesco — «ad una bruttissima abitudine ad uccidere». 

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D. La condizione di decadenza nella quale versiamo a livello ecclesiale è evidente, essendo la Chiesa mondo nel mondo, come prova la dissociazione tra l’essere cattolici e il vivere e pensare cattolico che porta a una maggioranza del 77,28% a favore della legge sull’aborto. Ci conceda una domanda non facile da rivolgere a un vescovo: come pastori in cura d’anime e come teologi, quante gravi responsabilità abbiamo, di fronte a tutto questo? Di recente abbiamo avuto casi di sacerdoti italiani che si sono pubblicamente dichiarati a favore dell’eutanasia con gran risalto sui media nazionali. Certo, si tratta di pochi casi, ma la risonanza di questi pochi è destinata a creare scandalo e disorientamento nel Popolo di Dio, già fin troppo disorientato. Non è che abbiamo perduto la percezione della sacralità del Donum vitae nell’ambito stesso della formazione al sacerdozio ministeriale? Per questo le chiediamo: da dove possiamo ripartire?

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R. Ribadisco: non si può essere cattolici e negare i principi stessi del Cattolicesimo, come il diritto assoluto alla vita e la dignità umana del concepito, come ho avuto modo di sottolineare nella festa del Santo Patrono e Fondatore Marino, il 3 settembre scorso. Ci sono cattolici impegnati sul fronte sociale, sui diritti umani e sui grandi temi della ecologia. Alcuni altri accentuano l’attenzione alla salvaguardia dei valori etici non negoziabili; talvolta sembra che tra le due prospettive affiori un solco. Agli uni e agli altri ho sentito il dovere di ribadire come il Vangelo dell’amore di Dio per l’uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita siano un unico e indivisibile Vangelo. Offro anche un’altra considerazione da interpretare nel verso giusto. Stiamo dando molta attenzione, spendendo risorse e impegno, alla promozione umana. Non possiamo che apprezzare il lavoro, ad esempio, delle Caritas diocesane, la testimonianza del volontariato, i Programmi pastorali in favore delle urgenze e delle necessità della gente. Vorrei però altrettanto slancio per l’evangelizzazione. Vorrei più in evidenza il primato dell’annuncio di Gesù Cristo: essere speranza in un mondo ferito! Nei prossimi giorni stileremo nella nostra Diocesi una sorta di “tabella di marcia”:

– sostegno ai nostri fedeli nell’esperienza di una fede capace di interagire col mondo e suscitare speranze;

– accompagnamento delle persone in difficoltà, guida spirituale e catechesi appropriata;

– lavoro convergente degli Uffici pastorali sul tema della vita;

– sostenibilità di un Consultorio famigliare;

– celebrazione della Veglia per la Vita nascente e, come in Italia, della Giornata per la Vita.

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D. Rod Dreher scrisse il libro L’opzione Benedetto, da intendersi come la fuga di Benedetto da Norcia che osa separarsi dall’Impero oramai corrotto e sconvolto dai barbari invasori per poter ritrovare le proprie origini, le proprie radici e l’identità cristiana che oggi al mondo suona come una bestemmia impronunciabile». Pensa che noi cattolici, senza cessare di essere mondo nel mondo, ma anche avversi a certe logiche di questo mondo, dall’aborto all’eutanasia e per questo all’occorrenza odiati dal mondo (cfr. Gv 15, 18-21), finiremo col giungere a una nuova «opzione Benedetto» idonea alla nostra società contemporanea?

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R. Conosco il libro di Rod Dreher L’opzione Benedetto. Se ne è parlato a lungo anche tra noi. Abbiamo potuto apprezzare concretizzazioni interessanti e sicuramente positive. Non vorrei si indebolisse la vocazione del “lievito nella pasta”, la volontà di assumere e di “abitare” questo nostro tempo. Non possiamo cedere alla sindrome del sentirci assediati. Anche una cooperativa agricola “cattolica”, o una scuola “cattolica”, iniziative più che encomiabili, devono porsi in dialogo e offrire ispirazione a tutti.

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D. Abbiamo chiesto a un suo presbitero di dipingerci il proprio Vescovo, ha risposto così: «Il mio Vescovo è un credente di solida fede e un vero pastore. È sempre pronto a farsi in quattro per i suoi preti, che mai abbandonerebbe nella solitudine e nello scoramento della notte buia. È sempre presente, ed è molto geloso dei suoi preti, ben sapendo quanto Dio è geloso di tutti noi». Che effetto le fa sapere che uno dei suoi preti ci ha risposto così?

 

R. (Il Vescovo risponde con un sorriso)

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Dall’Isola di Patmos, 6 ottobre 2021

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¹ N.d.R. I Sanmarinesi votanti sono stati solo 14.558 pari al 41,11 degli aventi diritto (circa 35.400). I favorevoli sono stati circa 11.250 pari al 77,28% dei votanti mentre i contrari circa 3.308 pari al 22,72%. Quell’impressionante 77,28% rappresenta solo il 31,78% degli elettori, ennesima riprova che una minoranza agguerrita – in questo caso meno di un sanmarinese su tre – impone le sue scelte alla maggioranza assente o inerte per pigrizia, scarso senso di responsabilità, disinteresse.

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