In Piazza San Pietro un presepe disumano del tutto coerente con una società sempre più disumanizzata

 — gli specialisti ospiti de L’Isola di Patmos —

IN PIAZZA SAN PIETRO UN PRESEPE DISUMANO DEL TUTTO COERENTE CON UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ DISUMANIZZATA

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Questo presepe pare abbia voluto profetizzare ciò che rimane della nostra società, ormai priva di qualsiasi “forma umana” raggelata nella tecnologia, nel freddo egoismo, nell’assenza dell’affezione e nel totale sconvolgimento della famiglia che allo stato attuale risulta dispersa nell’etere. 

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Autore
Licia Oddo *

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Presepe 2020 – piazza della Papale Arcibasilica di San Pietro

In questo periodo di resilienza e restrizioni, la domanda è presto posta. Cosa ci si aspetta da un Natale così atipico il cui spirito della tradizione cristiana sembra esser stato intaccato dal torpore del distanziamento pandemico? Ci si chiede come la Chiesa reagisca e cosa progetta per attirare e coinvolgere i suoi fedeli al Mistero della Natività?

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La risposta arriva dalla tradizione plurisecolare vantata dalla maiolica di Castelli, piccola cittadina dell’Abruzzo, in provincia di Teramo, catalogata nel Museo eponimo, ubicato presso il Convento dei Frati Minori Osservanti del XVI sec. che è divenuta di interesse attuale per l’esposizione presepiale della Monumentale Greppia, in Vaticano. La fattura fu realizzata in un periodo di tempo compreso tra il 1965 e 1975 dai giovani allievi dell’Istituto d’arte F.A. Grue [1], che dedicarono l’attività didattica al tema natalizio, fino a imporsi sulla scena artistica dell’epoca, per la monumentalità dei personaggi ceramici di grandezza maggiore a quella naturale.

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La fin troppo libera e piuttosto bizzarra interpretazione nella rappresentazione dell’icona natalizia per antonomasia, che ispirò gli ideatori ed esecutori ceramisti, sembra avere sconvolto i simboli cristiani del presepe nell’aggregazione a questi ultimi di una commistione di elementi e personaggi radicalmente diversi, che interessarono l’intera umanità in quel decennio, quale lo “sbarco sulla luna”, talmente  estranei alla tradizionale rappresentazione cristiana dell’Avvento, per offrire una visione globale di quest’ultima prettamente anticonformista.

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Kroisos (Koùros di Anavyssos), 550-520 a.C. ca. Marmo, altezza 1,94 m. Atene, Museo Archeologico Nazionale.

Sebbene la tradizione ceramica castellana, sia perfettamente in linea con le vivaci cromie di tutte le maggiori maioliche italiane, pur tuttavia non basta da sola, a rendere altrettanto viva, intellegibile e accogliente l’intera istallazione ceramica “sacra” voluta quest’anno per celebrare il Natale in piazza San Pietro.

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Il gruppo scultoreo-ceramico realizzato seguendo una tipologia modulare ad anelli, che, sovrapposti, formano busti cilindrici, appare dichiaratamente rigido, immobile, freddo e inespressivo, talché la stessa volontà di coloro che ne hanno voluto elogiare la fattura, paragonandola all’arte antica greca, con maggiore riferimento all’architettura templare delle colonne doriche realizzate a rocchi, di certo, non la si può intendere positivamente, se paragonate a elementi del tutto inerti, privi di forma umana perché strutturali ed appartenenti appunto al campo dell’architettura, pertanto incapaci di trasmettere qualsiasi emozione che è insita nella gestualità umana. Se infatti sono proprio le figure umane a essere protagoniste, il termine di paragone dovrebbe casomai afferire al campo scultoreo e non di certo a quello architettonico. Ma anche qui l’esempio più calzante riguardante il mondo scultoreo greco non è altrettanto lodevole nella trasmissione della “Buona novella” Natalizia, carica di senso del calore umano e dei valori della famiglia.

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Nell’esecuzione tecnica, il periodo preso in esame potrebbe essere solo quello orientalizzante–arcaico (dal VII al VI a.C) del κοῦρος (Kouros) (2) di Anavyssos, località dell’Attica in Grecia, le cui caratteristiche peculiari sono, l’assoluta stasi o assenza di movimento, la rigidità, la posizione frontale, ma che trattandosi di sculture raffiguranti l’uomo, ovviamente, differiscono dalle ceramiche presepiali castellane, proprio perché quest’ultime sono prive di forma umana, quasi dei blocchi congelati privi di energia, e se di qualcosa in comune si può parlare, è relativa alle monumentali dimensioni. Dal punto di vista iconologico del messaggio simbolico, poi, la forzatura è ancora più evidente i κοῦροι (kouroi) forieri di imponenza e totalmente inespressivi erano depositari di una memoria commemorativa eroica.

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Il Koùros di Lentini è un’opera che risale al VI-V secolo a.C., viene storicamente collocata nel periodo tardo arcaico, 530-490 a.C. ed è conservato nel Museo Paolo Orsi di Siracusa.

A questo punto ci siamo sforzati di individuare delle peculiarità positive nei significati simbolici ben specifici in alcuni dei personaggi, prendendo in esame l’angelo, le cui ali volutamente spiegate a protezione della Sacra Famiglia, parrebbe avere la pretesa, oggi più che mai, di rappresentare l’agognata protezione invocata dall’intera umanità contro la terribile vicenda pandemica. Quest’ultimo sembrerebbe inneggiare, viste le dimensioni, all’apertura delle braccia coperte dal maestoso ed ampio mantello della monumentale Vergine della Misericordia di Piero della Francesca, a protezione dei suoi figli (cittadini), ma purtuttavia non riesce a trasmettere quella calorosa speranza, proprio a causa della sua rigida inespressività. E come potere esimersi ancora dalla visione totalmente sterile di un Gesù fanciullo, quasi mummificato, che non ha nulla a che vedere con la celebrazione della Natività. E così a modesto avviso della grande maggioranza degli addetti ai lavori e del pubblico, il gruppo ceramico “castellano”, al di là di una inesistente armoniosa, delicata e gestuale estetica, proprio nell’assenza della forma corporea, e della dinamicità, dei gesti affettuosi quali la genuflessione, un abbraccio,  una carezza, una semplice stretta di mano, lo stesso contatto colloquiale tra i personaggi, tipici della familiarità domestica, non trasmette certamente quel calore familiare, il sentimento di salvezza universale tipico della tradizione presepiale.

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Detto questo, quello che in questa breve analisi deve essere inteso e distinto più di ogni altra critica all’opera in sé e per sé, che nella sua sostanza è pur sempre un’opera d’arte, che piaccia o meno, frutto di una cultura e società che ne ha deputato la sua nascita;  è piuttosto la natura del messaggio di umiltà, carità e forza di spirito di chi non si arrende, che incarnano tutti i valori della famiglia cristiana, che dovrebbe cogliersi, per essere trasmesso al popolo, unico protagonista e destinatario della propaganda sacra, in occasione del Santo Natale.

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L’ardita scelta della Santa Sede che cade proprio su quest’opera inconsueta, a spezzare la tradizione, sembra appoggiare quella linea primitivistica seguita dagli inizi del pontificato di Francesco I, il quale, se ricordiamo bene, scelse quale logo della celebrazione dell’anno giubilare della Misericordia, l’opera raffigurante il Buon Pastore del Gesuita padre Marco I. Rupnik, in modo del tutto più che avanguardistico, ma che ha poco a che fare con la tradizione iconografica canonica [vedere QUI]. Se la scelta dell’opera a manifesto dell’anno giubilare cadde esclusivamente sulla genuinità del messaggio iconologico che sostituisce alla pecora smarrita l’uomo, caricando su di sé l’umanità, ad oggi nella volontà di incoraggiarla alla speranza nella trasmissione dei valori della famiglia, del calore umano, della letizia, vi è senza dubbio una certa reticenza ad accettare l’istallazione presepiale ceramica dall’aspetto prevalentemente totemico pagano quale baluardo della Cristianità.

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Il Koùros di Milo è una scultura in marmo databile al 540 a.C. circa e conservata nel Museo archeologico nazionale di Atene

È risaputo sin dall’antichità che la diffusione delle epidemie abbia sconvolto l’intero assetto societario, minando gli equilibri politici, economici, insinuando anche forti fragilità nella gestione religiosa dei paesi. La preferenza di Papa Francesco riposta sul presepe di Castelli, per molti risulta incomprensibile e ancor di più paradossale, specie se si pensa che il Vescovo di Roma abbia scelto proprio il nome di Francesco, per guidare la Chiesa, il Santo che per primo elaborò la composizione presepiale nota in tutto il mondo, come strumento catechetico e pedagogico per far comprendere a tutti sino ai più semplici il mistero e poi dogma della nascita di Gesù uomo e figlio di Dio.

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Ancora una volta è dunque l’arte a farsi interprete dell’identità storica, ma questa volta più che attirare al consueto giubilo sembra spaccare l’opinione pubblica tutta finanche a scandalizzarla. E il messaggio che forzatamente potrebbe cogliersi può essere con una certa difficoltà e con uno sguardo di benevolenza, un monito alla ricostruzione dei valori perduti, perché osservando l’opera ci si convince sempre più che al di là di ciò che la Chiesa e il Romano Pontefice abbiano voluto trasmetterci, anche se l’istallazione della Greppia monumentale, venne concepita oltre un quarantennio or sono, nella sua globalità, in realtà, pare abbia voluto profetizzare ciò che rimane della nostra società, ormai priva di qualsiasi “forma umana” raggelata nella tecnologia, nel freddo egoismo, nell’assenza dell’affezione e nel totale sconvolgimento della famiglia che allo stato attuale risulta dispersa nell’etere. 

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Siracusa, 23 dicembre 2020

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* Storico e critico d’arte. Già segnalatrice critica del Catalogo dell’arte moderna (C.A.M.) Editoriale Giorgio Mondadori – Cairo

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NOTE

[1] Fondato nel 1906 per volontà di due illustri castellani, Beniamino Olivieri e Felice Barnabei, allora rispettivamente Sindaco del paese e primo Direttore generale delle Belle Arti. Oggi è il Liceo artistico, ospitato in una struttura moderna costruita accanto all’antico ex Convento che è divenuto sede del Museo.

[2] Il κοῦρος è una scultura di grandi dimensioni che raffigura un giovane uomo nudo(si pensi per esempio ai celebri bronzi di Riace) in posizione stante e rappresenta, indifferentemente, una divinità o un eroe con destinazione devozionale o funebre.

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

I teologi internetici supercazzolari all’attacco sotto Natale: «I vaccini prodotti con feti abortiti. La Chiesa apre la strada al riconoscimento dell’aborto»

—  Attualità ecclesiale —

I TEOLOGI INTERNETICI SUPERCAZZOLARI ALL’ATTACCO SOTTO NATALE: «VACCINI PRODOTTI CON FETI ABORTITI. LA CHIESA APRE LA STRADA AL RICONOSCIMENTO DELL’ABORTO»

 

Se il teologo internetico laureato in teologia morale e bioetica all’università della paleoastronautica avesse letto il documento emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, anziché procedere alla tempestiva semina di supercazzole, avrebbe preso atto che la Chiesa non esprime né concede affatto questo, anzi dichiara il contrario e lo spiega con una chiarezza non passibile di alcun fraintendimento.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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L’ultimo libro dei Padri de L’Isola di Patmos, vedere QUI (in copertina: La ghigliottina dei social media, opera della pittrice romana Anna Boschini – Vitarte Studio)

Il documento della Congregazione per la dottrina della Fede appena uscito riguardo la liceità dell’uso di alcuni vaccini anticovid-19 ha generato un acceso dibattito sui social media, dove insieme a domande giuste, interrogativi, buona volontà di comprendere il testo, si sono mescolate anche considerazioni del tutto impertinenti con l’argomento trattato.

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Potevano mancare gli interventi dei teologi da bar, laureati all’università della paleoastronautica, che hanno sentenziato con ineffabile supercazzolismo che in questo modo si aprirebbe alla liceità dell’aborto in sé stesso? Nulla di più falso potevano diffondere, ma l’hanno fatto. E in questi giorni noi Padri de L’Isola di Patmos siamo stati subissati da messaggi contenenti, non tanto richieste di chiarimenti, che siamo sempre lieti di dare, perché ciò costituisce l’essenza stessa del nostro apostolato di sacerdoti e teologi, ma condanne senza appello dirette alla … «nuova Chiesa satanica» e «anticristica».

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Il documento emanato dalla Congregazione per la dottrina della fede è chiarissimo e riprende i documenti precedenti sullo stesso tema, pubblicati sotto i pontificati di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ma com’è noto non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, o per riprendere il concetto espresso nel nostro recente libro: non c’è peggior supercazzolaro di chi non vuole smettere di credersi un esperto in Bioetica e Scienze Sacre senza aver neanche letto una riga di quei documenti, essendosi limitato solo a saltare da un blog all’altro o attingendo sapienza dalla famosa accademia delle scienze di Facebook.

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Il tema dell’aborto è invece centrale per la nostra morale: non va assolutamente dimenticato né messo in soffitta. D’altronde, la paura di offendere le persone che hanno abortito in modo volontario, se non peggio quelle che ritengono di averlo fatto compiendo un’azione giusta e del tutto legittima, oggi sembra dominare anche l’importante opera di denuncia e condanna di questo atto terribile. Un atto che il regnante Pontefice ha bollato con parole e termini severi che mai San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avrebbero usato: «Abortire è come affittare un sicario per uccidere una persona» [cfr. Avvenire, 18.10.2018, QUI].

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Non si condanna la persona che ha abortito, da sempre accolta con grande delicatezza e amorevolezza da noi confessori, ma si condanna l’atto in sé stesso e tutte le dinamiche ideologiche e filosofiche che favoriscono l’aborto quale “diritto inalienabile”. Per questo ho accolto con molta gioia la recente pubblicazione del libro: Una difesa della vita senza compromessi – Per minare l’ideologia pro morte alle fondamenta [cfr. QUI] scritto dagli Universitari per la Vita, Fabio Fuiano, Chiara Chiessi e Florio Scifo, un testo dato alle stampe da giovani coraggiosi che da qualche anno si adoperano per combattere la cultura dello scarto, che promuove l’aborto e l’eutanasia.

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L’aborto è un atto in sé malvagio che va sempre condannato perché è la soppressione violenta di un innocente nel grembo della madre. Sì, anche se si ha paura a dirlo è un omicidio, il più grave di tutti gli omicidi. Semplice e logico il motivo: se tentiamo di uccidere un adulto, questi può cercare in qualche modo di reagire, potrebbe persino sfuggire alla morte o, nel tentativo di difendersi, uccidere lui l’aggressore che attenta alla sua vita, ma una creatura nel ventre della madre no, non può in alcun modo difendersi. Per questo l’atto è talmente grave che le persone che cooperano in maniera diretta e formale a questo atto cadono nella scomunica latae sententiaeEppure è proprio per queste persone che bisogna pregare molto, perché si convertano e comprendano il loro peccato. Chi ha più peccato, ha bisogno di una maggiore misericordia. Per questo la morale cattolica non condanna la persona, che va recuperata e a cui va mostrato l’amore di Dio, spiegando che l’atto abortivo, resta in sé del tutto e per tutto radicalmente malvagio.

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A questo vorrei aggiungere anche delle mie considerazioni. L’aborto, come l’eutanasia, hanno alle spalle una base ideologica ben salda: una cultura della morte, come la chiamava San Giovanni Paolo II, che chiamerò sinteticamente necrocultura. Giocando con le parole fino a svuotarne il loro significato e basandosi su evidenze a-scientifiche, la necrocultura ha messo le basi all’idea che l’aborto è un diritto, la cui negazione costituirebbe un affronto alla libertà della donna e della società. E qui apro un inciso, infatti continuo a non capire qual è la differenza fra una interruzione volontaria di gravidanza e un aborto volontario, che per molti oggi è una distinzione assolutamente accettabile (!?). Di fatto, queste parole indicano la stessa identica realtà: l’uccisione di un feto nel grembo della madre. La necrocultura ha perciò generato un sistema di omertà: se si prova a sfiorare l’argomento dell’aborto, dicendo a un abortista che non si è favorevoli, il più delle volte si è riempiti di insulti, senza che possa esserci un sano confronto. La necrocultura vuole imporre che se si parla di aborto, esso debba essere per forza considerato un diritto, altrimenti è lecito aggredire verbalmente chi non condivide questa idea. La necrocultura costruita su un’antropologia idealista e priva di fondamento col reale, pretendendo di liberare l’uomo dalle briglie della morale cattolica devozionale, ha poi di fatto generato un altro dogma indiscutibile che proclama che l’aborto è una libertà, un diritto, una conquista di civiltà inattaccabile.

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Credo che la necrocultura abbia in sé i germi della sua distruzione. Infatti, poggiandosi solo sui mass media, solo sulle idee personali dei suoi ideologi, fra qualche tempo crollerà dinanzi all’evidenza.

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Il Natale, in questo senso, è festa universale, anche perché sottolinea la bellezza e la sacralità della donna e della maternità: l’accoglienza di un bambino è scritta nelle corde biologiche della donna, che così diviene, nel suo essere madre, modello di vera accoglienza verso tutti. Così come una madre è stata Maria che accoglie la tenerezza del figlio, Gesù. E successivamente ha imparato da questo figlio l’accoglienza degli amici del figlio, discepoli, donne e apostoli. Così, una gravidanza, una maternità diviene culla e apertura per tutto il mondo: per i poveri, abbandonati, dimenticati, stigmatizzati.

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La necrocultura nega tutto questo e facendolo nega l’uomo intero in tutta la sua socialità e donazione al mondo.

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In questi giorni, quei cattolici che si acculturano su Internet, o «cattolici per hobby», come li chiamano invece i Padri Ivano Liguori e Ariel S. Levi di Gualdo, attingendo perle di saggezza dai guru dell’ignoranza e limitandosi alla lettura del titolo, o forse per meglio comprendere persino il sottotitolo dei giornali, non però più di questo, dovendo freneticamente saltare a spiluccare da un blog all’altro, hanno cominciato a inveire contro la «Chiesa apostatica» e «anticristica» che avrebbe dichiarato lecito l’uso di feti abortiti per la preparazione dei vaccini anti-covid, cosa questa che — affermano in preda al delirio — «aprirà a breve il riconoscimento dell’aborto da parte della Chiesa eretica». Se il teologo internetico laureato in teologia morale e bioetica all’università della paleoastronautica avesse letto il documento emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, anziché procedere alla tempestiva semina di supercazzole, avrebbe preso atto che la Chiesa non esprime né concede affatto questo, anzi dichiara l’esatto contrario e lo spiega con una chiarezza non passibile di alcun fraintendimento:

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«La ragione fondamentale per considerare moralmente lecito l’uso di questi vaccini è che il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell’aborto procurato da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è remota. Il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave: in questo caso, la diffusione pandemica del virus SARS-CoV-2 che causa il Covid-19. è perciò da ritenere che in tale caso si possano usare tutte le vaccinazioni riconosciute come clinicamente sicure ed efficaci con coscienza certa che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione formale all’aborto dal quale derivano le cellule con cui i vaccini sono stati prodotti. É da sottolineare tuttavia che l’utilizzo moralmente lecito di questi tipi di vaccini, per le particolari condizioni che lo rendono tale, non può costituire in sé una legittimazione, anche indiretta, della pratica dell’aborto, e presuppone la contrarietà a questa pratica da parte di coloro che vi fanno ricorso» [il documento ufficiale integrale della Santa Sede potere trovarlo QUI].

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Il Natale è la festa dell’Incarnazione, la vittoria sul peccato e sulla cultura dell’aborto e della morte, Il trionfo dell’uomo con Dio, questo è scritto tra le righe anche sul documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, che vi invitiamo a leggere, evitando di abbeverarvi alle pericolose supercazzole dei teologi internetici che operano presso la Accademia delle Scienze dei Social Media, alias: i pericolosi supercazzolari.

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Roma, 23 dicembre 2020

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Il blog personale di

Padre Gabriele

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LIBRI DI NATALE ― Due nuovi romanzi nella collana di narrativa de L’Isola di Patmos: «La nuova terra» e «Nonna non raccontava la favole»

— negozio librario delle Edizioni L’Isola di Patmos —

LIBRI DI NATALE ― DUE NUOVI ROMANZI NELLA COLLANA DI NARRATIVA DE L’ISOLA DI PATMOS: «LA NUOVA TERRA» E «NONNA NON RACCONTAVA LE FAVOLE» 

Alle porte del Natale le Edizioni L’Isola di Patmos offrono ai Lettori due pregevoli ed edificanti opere di narrativa di Emilio Biagini e Maria Antonietta Novara.

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Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

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Emilio Biagini (Genova 1941), già professore ordinario di geografia alla Facoltà di Lingue dell’Università di Cagliari, è autore di numerose opere di saggistica e oltre cento articoli scientifici. Ha trascorso lunghi periodi di studio negli Stati Uniti, in India, nel Sud Africa, in Gran Bretagna e in Irlanda. Ma la sua vocazione è sempre stata quella letteraria. Ha pubblicato tre romanzi: La luce (2006), Labirinto oscuro (2008), La pioggia di fuoco (2012, con la moglie Maria Antonietta coautrice), Il prato alto. Storia romanzata dell’Austria (2019-2020, pure con la moglie Maria Antonietta coautrice), due volumi di racconti L’uomo in ascolto (2008), Montallegro ed altri racconti (2013) e vari volumi di pièces teatrali satiriche.

Alle porte del Natale Le Edizioni L’Isola di Patmos offrono ai Lettori due pregevoli opere di narrativa.

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La Nuova terra, romanzo di Emilio Biagini, è un viaggio denso di fascino che inizia dal Sud Africa e prende forma con la narrazione magistrale della vita e della storia dei due personaggi chiave, muovendosi dall’antico Continente Africano sino al vecchio e non sempre accogliente Continente Europeo.

Tra queste righe il dramma dell’apartheid non è narrato da un saggista né da un socio-politologo, ma dalla vita vissuta e dalla fede di due figure destinate a lasciare nel Lettore un tenero segno indelebile.

… Al di là del tempo esiste la vera realtà, dove il ridicolo e maledetto principe di questo mondo, che tanto meglio riesce ad operare quanto più gli stolti credono che non esista, non ha più alcun potere. Poiché tutte le cose del passato non esistono più, dove inizia la nuova terra. Là tutte le lacrime sono asciugate e tutti i dubbi e le miserie cancellati per sempre.

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Nonna non raccontava le favole, romanzo di Maria Antonietta Novara Biagini, prende avvio da scenari di tardo Ottocento inizi Novecento per poi condurre il Lettore nella contemporaneità. L’Autrice, con linguaggio semplice e diretto, con capacità narrative avvincenti, ripercorre nella memoria un susseguirsi minuzioso ed articolato di quadri familiari vissuti nella vecchia Genova e nelle vicine località costiere, sino a farne cogliere le vive atmosfere, i suoi vecchi vicoli e i sentimenti della sua gente. Un secolo di ricordi, di fatti, di occasionali incontri, di circostanze liete e di episodi tragici che hanno riguardato nel corso degli anni i numerosi componenti della famiglia – gioie, sofferenze e dolori di cui la nonna è stata protagonista e testimone  –-  vicissitudini personali e familiari che risultano fortemente intrecciate con le vicende storiche italiane del XX secolo.

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Maria Antonietta Novara Biagini, genovese, dopo la maturità classica conseguita all’Istituto delle Suore dell’Assunzione si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza, senza giungere al conseguimento della laurea, preferendo occuparsi della sua famiglia, invece di abbandonarla in mano a “truppe mercenarie”. Questo le ha consentito di potersi dedicare a molti interessi culturali, viaggiando per varie parti del mondo e approfondendo al tempo stesso una formazione cattolica solida e controcorrente. È sposata col Prof. Emilio Biagini, autore di diverse pubblicazioni. Ha pubblicato il volume di racconti L’albero sacro (2010), insieme al marito il romanzo La pioggia di fuoco (2012) e un volume di Satire clericali (2014), formato da racconti e atti unici e illustrato dalla pittrice Elena Pongiglione [Copertina: olio su tela, opera della pittrice romana Anna Boschini – Vitarte Studio].

Una nonna, quella narrata dall’Autrice, che non raccontava le favole, come invece si potrebbe credere.

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Prossime pubblicazioni in uscita:

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narrativa:

IL CAMMINO DELLE TRE CHIAVI, Ariel S. Levi di Gualdo

saggistica:

ATTI E MISFATTI DEGLI APOSTATI, Ester Maria Ledda

 

 

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Lezione quasi certamente inutile per certi cattolici autodidatti sulla laicità dello Stato: il concetto di Diritto Naturale dei neoscolastici redivivi, oltre a non servire Dio e la verità, è in radicale conflitto con i due fondamenti della creazione dell’uomo: libertà e libero arbitrio

— Theologica —

LEZIONE QUASI CERTAMENTE INUTILE PER CERTI CATTOLICI AUTODIDATTI SULLA LAICITÀ DELLO STATO: IL CONCETTO DI DIRITTO NATURALE DEI NEOSCOLASTICI REDIVIVI, OLTRE A NON SERVIRE DIO E LA VERITÀ, È IN RADICALE CONFLITTO CON I DUE FONDAMENTI DELLA CREAZIONE DELL’UOMO, LIBERTÀ E LIBERO ARBITRIO

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Per noi uomini di fede, ragione e scienza è indubitabile che Dio ha instillato nel cuore dell’uomo il senso naturale del bene e del male, quindi i fondamenti di quelle leggi che in modo forse improprio, ma corretto, sono definiti come Legge Naturale. Il problema subentra al momento in cui si cerca di mutare la Legge Naturale o Legge Divina in Legge Positiva, in Leggi dello Stato che vincolano tutti i consociati. Perché a quel punto il peccato diventa reato, con conseguenze devastanti e assolutamente non auspicabili.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Gabriele

Nascere e rinascere in un Natale speciale, noi che ormai non siamo più abituati agli imprevisti della specialità

—  Attualità ecclesiale —

NASCERE E RINASCERE IN UN NATALE SPECIALE, NOI CHE ORMAI NON SIAMO PIÙ ABITUATI AGLI IMPREVISTI DELLA SPECIALITÀ  

Questo Natale è speciale perché non avremo il cenone come tutte gli altri anni. Con parenti e amici, relegati nelle varie zone colorate d’Italia. Allora proviamo a non dimenticare proprio questo: è Dio che dobbiamo mettere al centro. In Lui le distanze si assottigliano, quasi spariscono, in una comunione spirituale.  Il vero cenone che avremo quest’anno è il Bene per antonomasia, da non dimenticare per tutti i futuri cenoni, anche quando sarà terminata la pandemia.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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le vignette di Simone Togneri

Nel Vangelo dell’Evangelista Luca è scritto:

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«Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo».

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Proverò a entrare in questo santo giorno di Natale [cfr. mie riflessioni, QUI], per immaginare assieme a voi la scena della natività. Proviamo allora a metterci al posto di uno dei quei pastori. Potremo sentire il freddo gelido della notte israeliana, avere anche il fiatone per la corsa che abbiamo fatto, dopo essere stati avvertiti dagli Angeli di questa meraviglia. Se fossimo davvero lì osserveremo una scena tenerissima: un bambino, con suo papà e sua mamma. Con gli Angeli che cantano Gloria a Dio mentre questo bambino è coccolato dai genitori. Se fossimo lì davvero, ci renderemo conto di avere dinanzi a noi un miracolo. Si, perché nella notte di Natale, almeno per noi, sono avvenute due nascite. Sembra strano dire una cosa del genere, considerando che per noi cattolici non esiste la reincarnazione.

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Vediamo allora in che senso, c’è una doppia nascita. Ma per farlo proviamo a leggere le mirabili parole di San Leone Magno, l’uomo piccolo di statura, ma gigantesco nella tempra, tanto da fermare Attila alle porte di Roma. Così scriveva questo Santo Pontefice Magno in una delle sue lettere dogmatiche:

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«Il Figlio è coeterno con il Padre, […] Gesù Cristo è Dio da Dio, onnipotente dall’onnipotente, che è nato coeterno dall’eterno; […]. Il Figlio unigenito dell’eterno Padre, pure sempiterno, è nato ad opera dello Spirito Santo dalla Vergine Maria. Tale nascita, avvenuta nel tempo, nulla tolse alla nascita divina ed eterna (che ha dal Padre), niente gli ha aggiunto, ma è tutta diretta a rifar nuovo l’uomo, che era stato ingannato».

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Proviamo adesso a concentrarci su queste parole: Gesù nacque nell’eternità e nacque nel tempo. Scrive il teologo svizzero Hans Urs Von Balthasar: Egli, nell’Eternità, ricevette dal Padre la vita, il sapere, lo spirito, la parola, l’azione e la dottrina Per noi, piccoli testimoni della pagina evangelica, questa nascita eterna è del tutto oscura.

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Infatti lo stato di Eternità in cui sussiste l’unico Dio in tre Persone non coincide con il nostro essere radicati nel tempo. La nostra corporeità, insieme all’anima e allo spirito, detta e scandisce i momenti del nostro vivere, il nostro conoscere, intuire e anche essere felici e gioiosi. In questa divisione entra una suddivisione in secondi, minuti, ore, giorni, mesi, anni, secoli, centinai, millenni. Entriamo al mondo in un certo tempo e moriamo in un altro tempo. Questo è davvero particolare ma legato radicalmente alla nostra identità.

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Perciò davvero pochissimo sappiamo, donatoci dalla fede, della nascita eterna del Logos. Però proprio perché siamo temporanei, possiamo gustare invece la nascita nel tempo. Perché il Logos Cristo ha preso una natura umana e una carne umana. È entrato nel tempo, insieme a noi, in un momento ben preciso. Da questo dato dottrinale siamo consapevoli di una gioia grande. Nella sua Eternità, Grandezza e Maestosità Dio decise di nascere come un bambino piccolo e desideroso di cure. Perché innanzitutto voleva essere vicinissimo a noi. Dio quindi prende la natura umana, affinché possiamo avere una comunione piena con Lui. Gesù è stato vero Dio e vero uomo in una porzione di tempo insieme strettamente con noi.

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Secondo lo scrittore russo A. Checov:

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«Nei certificati di nascita è scritto dove e quando un uomo viene al mondo, ma non vi è specificato il motivo e lo scopo».

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Gesù invece è chiaro sin da subito: Lui nasce con lo scopo di abbracciarci e farsi vicino a noi. E, dopo questo evento, il Natale, ogni giorno anche gli uomini hanno uno scopo: trasmettere questo abbraccio, questa vicinanza affettuosa a tutti coloro che si sentono abbandonati e soli. Un abbraccio nella Verità: è questo quello che ci chiede di donare il Dio Bambino.

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Questo Natale è speciale perché non avremo il cenone come tutte gli altri anni. Con parenti e amici, relegati nelle varie zone colorate d’Italia. Allora proviamo a non dimenticare proprio questo: è Dio che dobbiamo mettere al centro. In Lui le distanze si assottigliano, quasi spariscono, in una comunione spirituale.  Il vero cenone che avremo quest’anno è il Bene per antonomasia, da non dimenticare per tutti i futuri cenoni, anche quando sarà terminata la pandemia. I cenoni esistono per generare comunione fra noi, ma innanzitutto per ricordare che è Dio che continua a farsi comunione col mondo. Rendiamo questa serata specialissima in un anno speciale: perché specialissimo è il Festeggiato!

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Buon cammino di Avvento verso il mistero del Natale.

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«Gesù dolce, Gesù amore» [Santa Caterina da Siena]

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Roma, 12 dicembre 2020

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Il blog personale di

Padre Gabriele

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Un triste canto di Natale tra le volanti dei Carabinieri: prospettive ed analisi dell’oggi

— attualità ecclesiale —

UN TRISTE CANTO DI NATALE TRA LE VOLANTI DEI CARABINIERI: PROSPETTIVE ED ANALISI NELL’OGGI

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Possiamo capire e forse caritatevolmente giustificare questo comportamento deferente degli ecclesiastici verso il governo, visto che da molto tempo c’è il rischio di vedere fantasmatizzato il sostentamento clero, che porterà alla chiusura impietosa di molte piccole diocesi e parrocchie, realizzando finalmente il progetto di una Chiesa povera, non per i poveri, ma di poveri. Quindi sintetizzando è meglio tenersi buono il governante di turno, anche se satanasso, finché ci permette di campare.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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L’ultimo capitolo presente nel libro La Chiesa e il coronavirus ― pubblicato da noi padri dell’Isola di Patmos ad ottobre di quest’anno ― si intitola così: A Christmas Carol: un canto tragico di Natale.

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Il riferimento fondamentale da cui ho tratto l’ispirazione è Charles Dickens, romanziere inglese di età vittoriana noto soprattutto per i suoi romanzi a carattere sociale che hanno il pregio di descrivere la società inglese con tutte le sue ipocrisie e contraddizioni, lontano dalla becera propaganda di regime che solitamente magnifica i successi della classe al potere, minimizzando invece le sue magagne.

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Nel romanzo A Christmas Carol Dickens presenta il protagonista, Ebenezer Scrooge, un vecchio spilorcio preoccupato della sua ricchezza in modo maniacale, tanto da arrivare a calpestare i diritti più sacri del suo umile contabile Bob Cratchit ― famiglia, fede, salute, lavoro ― ed avere una malcelata sopportazione per l’intera umanità.

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Neanche l’arrivo del Natale sembra intenerire il cuore di Ebenezer, anzi questa festività sembra acuire ancor di più l’insoddisfazione personale e la preoccupazione per un minore profitto, dato l’attenuarsi dei giorni proficui per il guadagno. Solo un intervento soprannaturale riuscirà a ribaltare le sorti e a ricondurre la vita del vecchio taccagno a più miti consigli, ottenendo giustizia là dove giustizia e pietà sono state violate e disprezzate e riportando un lume di umanità e comprensione nel vecchio peccatore.

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Tra le righe del romanzo, un lettore attento può intravedere bene l’essenza umana e psicologica del vecchio Scrooge: egli è un povero uomo ferito e infelice, è un invecchiato nel male come proferirebbe il profeta Daniele [cf. Dn 13].

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La sua passione per il denaro lo ha snaturato e pervertito, allontanandolo dai sentimenti più nobili dell’uomo quali la carità, la pietà, la solidarietà e l’empatia. Scrooge è ― al tempo di Dickens ― la rappresentazione di quel cinismo anti-umano moderno presente in molti ambiti della nostra società che, avanzando la pretesa del diritto a ogni costo, finisce per calpestare e negare i diritti più sacri del prossimo.

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Scelsi di ispirarmi a Dickens perché in ottobre dentro i sacri palazzi del potere mondano e religioso si accarezzava l’idea di un possibile nuovo lockdown natalizio. Un sodalizio tra trono e altare ben orientato che avrebbe assestato un colpo definitivo non solo all’intero paese ma soprattutto a quella fede cattolica che in Italia non ha più una identità definita ma che vive un dualismo di sentimentalismo pauperistico in salsa immigrazionista e di tradizionalismo retrodatato, salottiero e zitellesco.

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Chi, dunque, meglio di Dickens avrebbe potuto sintetizzare le malversazioni della società civile e religiosa nella quale stiamo vivendo, riproponendo con il romanzo Canto di Natale, lo spauracchio di uno spettro visitatore, non del passato, non del presente e neanche del futuro ma del confinamento dell’umano che disumanizza, in barba allo slogan andrà tutto bene?

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Con il contagio di Covid-19 del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Gualtiero Bassetti e del suo conseguente ricovero, i nostri pastori non hanno reputato essere più percorribile quella proposta di sospensione delle Messe in periodo natalizio in accordo con il Viminale, che il quotidiano il Messaggero  ― nell’edizione del 10 ottobre 2020 ― aveva prontamente sottolineato  [vedere articolo, QUI].

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Un passo azzardato certamente, che forse per non scavalcare il Cardinale presidente CEI ammalato non è stato più perseguito. Ma forse, con più probabilità, si è scelta la via del camaleontico trasformismo ecclesial-chic in cui le verità non sono mai oggettive ma funzionali e si capiscono a seconda dell’opportunità e del bisogno.

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Possiamo capire ― e forse caritatevolmente giustificare ― questo comportamento deferente degli ecclesiastici verso il governo, visto che da molto tempo c’è il rischio di vedere fantasmatizzato il sostentamento clero, che porterà alla chiusura impietosa di molte piccole diocesi e parrocchie, realizzando finalmente il progetto di una Chiesa povera, non per i poveri, ma fatta di poveri. Quindi sintetizzando è meglio tenersi buono il governante di turno, anche se satanasso, finché ci permette di campare.

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Questo discorso è più comprensibile oggi in cui, compiuto il giro di boa del tempo di Avvento con la solennità dell’Immacolata, si dibatte ancora sulla modalità di celebrare il Natale compatibilmente al coprifuoco del DCPM. Non mancano i suggerimenti alla prudenza, in cui le schiere degli osservanti, dei dissidenti e dei divergenti si contenderanno il campo di battaglia in questo Natale 2020.

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Comunque tutto è già preparato, per rispettare i DPCM si è optato per il modello fantozziano in cui il novello Conte Cobram ha già dato l’incaricato al maestro Canello di suonare in anticipo la mezzanotte del nuovo anno e a qualche maestro di cappella di Villa Nazareth di anticipare il Gloria in excelsis Deo che annuncia la nascita del Salvatore.

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Stiamo comunque tranquilli, così come abbiamo già potuto sperimentare con la ripresa post lockdown di giugno ci saranno coloro che, pur non celebrando il Natale dal 1980, si sentiranno gravemente defraudati e offesi per l’assenza della Santa Messa di Mezzanotte, alla quale non partecipano da alcuni decenni. Così come ci saranno coloro che dall’alto della loro maturità ecclesiale diranno che tutte queste cose sono delle convenzioni preconcette, che si può benissimo celebrare la nascita del Redentore dal proprio salotto e che in fondo al tempo dei pastori non esistevano registratori e Gopro e che quindi con tutta probabilità non c’è mai stato un Natale cristiano e una Vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide di nome Maria. Ma soprattutto non c’è mai stata una redenzione perché, al di sopra di tutto, c’è la coscienza che è la suprema lex a cui tutti debbono obbedire perché così conviene … fin quando conviene, ma soprattutto fino quando la libertà coscienza non esprime cose diverse o contrarie verso chi manipola le coscienze, in nome della libertà di coscienza, ovviamente!

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A tutti voi, i miei più sinceri auguri di buon Natale … dickensianamente parlando.

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.Laconi, 9 dicembre 2020

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L’insostenibile leggerezza dell’essere. Un articolo comico imperdibile su “La Nuova Bussola Quotidiana” circa la nascita di Gesù Cristo il 25 dicembre

— attualità ecclesiale —

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE. UN ARTICOLO COMICO IMPERDIBILE SU LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA CIRCA LA NASCITA DI GESÙ CRISTO IL 25 DICEMBRE

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In questo cammino di Avvento, i Padri de L’Isola di Patmos augurano di poter giungere al mistero di un Natale profondamente meditativo, in questo momento storico-sociale molto difficile, lasciando ad altri tutte le limitatezze che invece potrebbe comportare un natale politico-polemico. Il problema è che purtroppo – e non è la prima volta – La Nuova Bussola Quotidiana rischia di confondere il Santo Sepolcro di Cristo con il sepolcro di Giulio Andreotti, questo è il loro vero problema di fondo!

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa
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Dal Jesus Christ Superstar del 1973 eccoci giunti all’androgino Jesus Christ Photoshop del 2020, con occhio azzurro, labbra carnose sensuali, tratti femminei e via a seguire. Gesù Cristo era «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 44, 3), non il più effeminato tra i figli dell’uomo, come lo raffigurano oggi certi fideisti blasfemi e certe languide pinzochere esaltate.

Come accade ciclicamente, la nostra redazione è stata impegnata a lavorare i nuovi libri in uscita a giorni prima di Natale, per offrire ai nostri Lettori tre lavori di pregevole narrativa. Dopo un periodo di silenzio riprendiamo oggi la nostra piena attività pubblicistica partendo da qualche cosa di “leggero”, si fa per dire! Per seguire nei prossimi giorni con articoli di ben altra levatura, già redatti dai Padri de L’Isola di Patmos.

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Il fatto: un editorialista de La Nuova Bussola Quotidiana oggi si cimenta a spiegare che la data della nascita del Verbo di Dio fissata al 25 dicembre è reale [vedere articolo, QUI]. Purtroppo perdendo di vista che per noi cattolici, il dato storico unito al dato di fede, non è costituito da una “data tradizionale” ma dall’incarnazione del Verbo di Dio fatto Uomo: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» [Gv 1, 14].

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Aspettiamoci una seconda puntata nella quale si spiega, alla luce della tradizione popolare-iconografica, che Gesù era alto un metro e novanta, biondo con gli occhi azzurri e che sua madre, la sempre vergine Maria, aveva i tratti di una ragazza di Hannover, proprio come se fosse nata nell’estremo Nord dell’Europa. Ma soprattutto che all’età di appena 16 anni circa – tanti più o meno ne aveva al momento del parto – al suo fianco spicca un uomo, il veneratissimo Patriarca Giuseppe, che di anni ne aveva più o meno 80, come da secoli ci documenta l’iconografia e la tradizione popolare. Senza soprassedere poi su un altro dato storico inconfutabile: in quella zona dell’antica Giudea, quando Gesù Cristo nasceva dal cielo cadeva la neve, in uno scenario simile a quello che possiamo trovare in dicembre a Madonna di Campiglio o a Courmayeur. È infatti risaputo che i pastori giunsero sulle slitte trainate da cani di razza husky e che pochi giorni dopo i Re Magi, che erano dei noti ed esperti sciatori di fondo, giunsero appunto sciando presso la grotta della natività avvolta dalla neve. Che dire: nemmeno quella romanziera invasata di Maria Valtorta giunge a scrivere simili idiozie – che è tutto dire! – quando narra la reale presenza del bue e dell’asino nella grotta, con Gesù deposto dentro la mangiatoia sul fieno e sulla paglia. Insomma: provate a deporre un neonato sul fieno e sulla paglia, poi ne riparliamo a breve, di come finirà ridotta la carne di quella povera creatura neonata.

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La data fissata al 25 dicembre si lega in parte alla tradizione popolare in parte al fideismo. Da sempre sappiamo che il calendario che prende avvio dall’epoca dopo Cristo è sballato di diversi anni per vari errori di calcolo. Il dato innegabile sostenuto dalla storia è la nascita di Gesù Cristo, che nessuno può negare, perché è documentata ampiamente dalle fonti, come lo sono il suo processo e la sua condanna a morte, impresse nelle cronache ebraiche e romane. E in questo secondo caso sì, che abbiamo una data storica certa della sua passione e morte, perché il tutto coincide con Pesach, la Pasqua ebraica, ed è documentato dalle fonti storiche più autorevoli: i Santi Vangeli.

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La data esatta della nascita di Cristo Dio è del tutto irrilevante: quel bimbo è nato veramente ed è il Verbo di Dio fatto Uomo che è morto, risorto dai morti e asceso al cielo. Se la sua vita e la sua morte sono provate in modo certo dalla storia, la stessa prova certa non può essere ovviamente fornita per il gran mistero della sua risurrezione e ascensione al cielo, ce lo spiega coerentemente l’Autore della Lettera agli Ebrei: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11, 1-3).

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A queste spiegazioni, una persona tanto cara e ricca di lodevole fede mi risponde: «Io credo ciecamente a quanto i Santi stessi hanno ricevuto sulla vicenda da Gesù in persona e da Maria in persona, confermando anch’essi che questa data del 25 dicembre non è stata solo simbolica». Le ho risposto che se l’argomento è per un verso complesso dall’altra è semplice per quanto riguarda il discorso dei Santi, delle loro visioni o locuzioni, che ricordiamo non fanno parte del deposito della fede e soprattutto non vincolano i fedeli a una adesione di fede. Così, per meglio chiarire, ho portato l’esempio delle stimmate. Gli stimmatizzati ebbero le stimmate impresse al centro del palmo della mano, benché a Cristo i chiodi non furono piantati in quel punto ma sui polsi. E su questo avrebbe molto da dirci il nostro teologo cappuccino Ivano Liguori nella sua veste di francescano, dato che fu il Serafico Padre Francesco d’Assisi il primo a ricevere questo doloroso dono divino delle stimmate. Perché, dunque, sui palmi delle mani? Semplice, perché Dio è il sommo e divino pedagogo. Da secoli il crocifisso era raffigurato con i chiodi piantati nei palmi delle mani e Dio, donando le stimmate di Suo figlio ad alcune anime elette, si è attenuto a quella immagine conosciuta dal popolo dei fedeli. 

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… il Natale che stiamo rischiando nel 2020

Parlando seriamente tra noi, il nostro teologo domenicano Gabriele Giordano M. Scardocci faceva notare che esistono studi storici, di valenza ipotetico-speculativa, svolti però con rigore scientifico. A partire da alcuni antichi rotoli è stato studiato, nel corso degli anni Sessanta, che calcolando la classe di Abia in cui Zaccaria, marito di Elisabetta e padre di Giovanni il Battista, esercita e officia il culto, si potrebbe anche ipotizzare che Gesù Cristo è nato negli ultimi dieci giorni di dicembre. Però, contrariamente all’articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana, dove le cose si danno storicamente per certe, questi studiosi utilizzano un formulario ipotetico, affermando che a partire da questi dati potrebbe essere possibile ipotizzare questa data del 25 dicembre. Cosa questa ben più onesta sul piano scientifico [Cfr. The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls, in Scripta Hierosolymitana, vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199].

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In questo cammino di Avvento, i Padri de L’Isola di Patmos augurano di poter giungere al mistero di un Natale profondamente meditativo, in questo momento storico-sociale così difficile, lasciando ad altri tutte le limitatezze che invece potrebbe comportare un natale politico-polemico. Il problema è che purtroppo – e non è la prima volta – La Nuova Bussola Quotidiana rischia di confondere il Santo Sepolcro di Cristo con il sepolcro di Giulio Andreotti, questo è il loro vero problema di fondo!

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dall’Isola di Patmos, 9 dicembre 2020

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