Il Preposito Generale della Compagnia di Gesù, usa forse “roba” tagliata male? Le gravi menzogne del Gesuita Arturo Sosa

difendere il Santo Padre dai falsi amici

IL PREPOSITO GENERALE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ, USA FORSE “ROBA” TAGLIATA MALE? LE GRAVI MENZOGNE DEL GESUITA ARTURO SOSA

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A Roma, in Via dei Penitenzieri, all’angolo della Curia Generalizia dei Gesuiti si trova una bella caffetteria storica, con una gran collezione di vini e liquori pregiati. «Non vorrei che questo venezuelano» ― sbraitava Ariel S. Levi di Gualdo dopo avere letta l’intervista fatta al Preposito Generale della Compagnia di Gesù ― « abbia aperta la succursale del proprio ufficio presso questa pregevole enoteca ! ».

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Veleno d’aspide sotto le labbra

Sal 140,4

giovanni ariel - isola

Giovanni Cavalcoli, OP    Ariel S. Levi di Gualdo

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“Porgere l’altra guancia” vuol dire essere persone umanamente e spiritualmente superiori, non vuol certo dire essere codardi

 – Omelie al Vangelo –

PORGERE L’ALTRA GUANCIA VUOL DIRE ESSERE PERSONE UMANAMENTE E SPIRITUALMENTE SUPERIORI, NON VUOL CERTO DIRE ESSERE CODARDI

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Come leggere la frase del porgere l’altra guancia, posto che il Santo Vangelo non ci offre delle strade impossibili da seguire, ma delle strade possibili, scopo delle quali è di guidarci alla salvezza eterna? Il Catechismo della Chiesa Cattolica, affermando che esiste anche la guerra giusta e che «La legittima difesa è un dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui o del bene comune», è forse in contrasto con i precetti del Santo Vangelo?

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra tu pórgigli anche l’altra […]»

Mt 5, 38-48

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snoopy porgi l'alotra guancia

la saggezza di Snoopy

Questa pagina del Santo Vangelo del Beato Evangelista Matteo va compresa nella sua profondità, perché penetrando a fondo la Parola del Signore capiamo quel che il Verbo di Dio fatto uomo ha inteso trasmetterci. E ciò che Cristo trasmette non è un messaggio rivolto venti secoli fa a un gruppo di discepoli, o alle genti di quella terra e di quel periodo storico; Egli ci trasmette un messaggio vivo. Questo il motivo per il quale noi ci riferiamo al Santo Vangelo indicandolo come “parola viva”. E più che meramente formale, la differenza che corre tra il Santo Vangelo e la parola di Omero e di Virgilio, tra le rime dell’antica corte di Palermo di Federico II di Svevia, la parola e le rime dei toschi Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca, è una differenza tutta quanta sostanziale. Quelle di molti antichi autori sono parole morte che noi rendiamo vive attraverso il loro studio e la loro diffusione. Ma siamo noi a rendere vive queste parole finite che narrano di storie, vicende, società e uomini che appartengono a un passato morto e sepolto che rivive attraverso queste opere. Il Vangelo non ci parla del finito, ma dell’infinito, non è una parola chiusa che vive nella storia, ma una parola aperta che apre alla storia il nostro essere presente e il nostro divenire futuro. Questo perché il Santo Vangelo non è parola resa viva da noi, ma una parola che rende vivi noi. Ecco perché al termine della proclamazione del Santo Vangelo durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico della Messa, il presbìtero o il diacono concludono dicendo: «Parola del Signore».

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Come forse ricorderete, nel Santo Vangelo di poche settimane fa, Cristo Signore ci ricordava: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato?» [cf. Mt 5, 13-16]. E il sale è Cristo che dà sapore e senso alla nostra vita. E se noi perdiamo il sapore di Cristo, nessuno potrà più rendere questo sale salato. La Parola di Dio che dà vita a noi ci rende sale che dà sapore e che ci rende sale della terra.

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Cristo Signore, verso il finire del Vangelo del Beato Evangelista Marco, per chiarire l’essenza stessa della sua parola viva, afferma: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» [cf. Mc 24,35]. Questo per ricordarci che Egli è la parola viva che ci dà vita, è il sale che ci dà sapore e che per nostro tramite dà sapore al nostro essere ed esistere, accompagnandoci sino al giorno che Cristo Signore: «Tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine». E se noi non capiamo e non entriamo in quest’ordine di idee, ecco che quando dopo la proclamazione del Santo Vangelo recitiamo il Credo, corriamo il rischio di recitare una filastrocca imparata a memoria, anziché la nostra Professione di Fede; una filastrocca di cui rischiamo di non capire neppure il senso.

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In questo passo del Santo Vangelo, sono contenute delle espressioni che da una parte ci sorprendono, dall’altra tendiamo a interpretare come qualche cosa di non praticabile. Partiamo allora dalla frase che risulta difficile intendere: «Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra».

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Se noi entriamo nel falso ordine di idee che il Santo Vangelo ci propone strade e stili di vita non praticabili, a quel punto corriamo il serio rischio di ridurlo ad un insieme di racconti pieni di verità storiche e di alti valori etici, ma alla pari dell’Odissea e dell’Iliade, rendendolo in tal modo una “morta parola finita” e non una “viva parola infinita”.

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Con questa frase, Cristo Signore ci dice forse che dinanzi a un esercito che ci invade mettendo a rischio le nostre vite, dobbiamo correre incontro agli aggressori cantando pace e amore ? E come si concilia, l’invito a porgere l’altra guancia, col fatto che lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica ammette da sempre il ricorso alla guerra difensiva, se non v’è altro mezzo di difesa dalle ingiuste aggressioni? Vi ricordo infatti che nel testo del Catechismo, laddove si elencano le condizioni di una «legittima difesa con la forza militare», è chiaramente precisato: «Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune» [cf. n. 2309]. Prosegue il testo del Catechismo: «La legittima difesa è un dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui o del bene comune» [cf. n. 2321]. E qui vi prego di notare che la legittima difesa attraverso la guerra è indicata come «un dovere grave» da parte di chi «ha la responsabilità della vita altrui o del bene comune».

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Come leggere la frase del porgere l’altra guancia, posto che il Santo Vangelo non ci offre delle strade impossibili da seguire, bensì delle strade possibili, scopo delle quali è di guidarci alla salvezza eterna? La dottrina, il magistero e il Catechismo della Chiesa Cattolica, sono forse in palese contrasto con i precetti del Santo Vangelo, incluso l’invito a porgere l’altra guancia ?

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Vediamo qual è la successione delle parole del Signore Gesù che prima di invitare a porgere l’altra guancia afferma: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente». E dicendo «avete inteso», Cristo Signore si richiama a quella che era nota come la Legge del taglione racchiusa nel Libro dell’Esodo [21, 24]. Una legge che quando fu creata era utile poiché mirata a frenare la vendetta e ad evitare che le vendette tra le diverse tribù andassero avanti per generazioni, con un odio sanguinario trasmesso di padre in figlio. E dinanzi alla Legge del taglione, che mirava a questa azione positiva di contenimento, il Signore Gesù afferma: «Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra».

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Se in epoca primitiva la Legge del taglione cercava di porre freno al male, Gesù ci richiede invece uno spirito teso a superare rancori e conflitti. Non ci chiede di soggiacere impotenti al male, ma di lasciarlo cadere, facendo capire, a colui che compie il male, quanto il suo gesto sia inutile e non possa produrre niente.

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Certi avversari resi ciechi dalla cattiveria, attraverso i loro gesti violenti sfidano ed esigono ricevere reazioni, affinché il male produca male e la violenza altra violenza. Il credente non risponde piegando la testa dinanzi al prepotente e mostrando timorosa debolezza; agisce in modo superiore e sapiente, offrendo al malvagio un modo del tutto diverso di vedere le cose.

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E qui vi invito anche a riflettere sul fatto che Cristo Signore non parla di gravi percosse a suon di cazzotti sferrati a tutta forza, o di colpi di bastone o di aggressioni con le armi in uso all’epoca. Egli parla di uno schiaffo sulla guancia destra. E lo schiaffo, più che un gesto di violenza, era considerato ― all’epoca come tutt’oggi ― un gesto di offesa, un affronto. Sino ad epoche affatto remote, colpire con un guanto sul viso, o lanciare un guanto sul viso, era un gesto di attentato alla altrui dignità e onorabilità. Nell’epoca di Cristo Signore i guanti non erano in uso, ma il gesto dello schiaffo sulla guancia equivaleva alla sfida del guanto, alla quale si può rispondere in due modi: con un duello dal quale ne uscirà fuori un morto, o facendo un sorriso e voltando le spalle al provocatore con l’aria di chi lascia intendere: «Ma tu, pensi veramente che io sia davvero disposto a mettere a rischio la vita tua e la vita mia, a generare un grave lutto in una famiglia ed un sentimento di odio tra due diverse famiglie, quella dell’ucciso verso quella dell’uccisore, per un gesto al quale non conferisco affatto quella portata che vorrebbe mirare a privarmi del mio onore?». Il porgere la guancia sinistra a questa antica sfida del guanto, è una lezione e una intelligente risposta provocatoria per far capire all’aggressore che io, in quanto persona prudente e sapiente, sono consapevole che il male non porta mai ad alcun risultato, mentre la mancanza di controllo dell’orgoglio ferito, può invece portare a reazioni e azioni del tutto sproporzionate.

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Capita non di rado che persone distanti e ostili al mondo cristiano ci aggrediscano nel peggiore dei modi, attraverso violenza verbale, falsità diffuse sulla stampa, calunnie studiate ad arte e diffuse poi con diabolica malizia … e se qualcuno di noi osa reagire ― ad esempio anche con una semplice e legittima querela per diffamazione ―, con prontezza replicano citando una delle poche frasi evangeliche che conoscono male e che di conseguenza citano peggio: «Ah, ma voi dovete porgere l’altra guancia, come dice il Vangelo!».

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Vedete, esistono molti altri passi del Vangelo che a coloro che in vario modo ci aggrediscono fa comodo non conoscere o ignorare, per esempio il fatto che Cristo Signore stesso ricorre alla violenza fisica prendendo a colpi di frusta i mercanti nel cortile del Tempio di Gerusalemme [cf. Mc 11,15-19; Mt 21,12-17; Lc 19,45-48]. E che dire del linguaggio aggressivo e insultante che Cristo Signore rivolge a scribi, farisei e dottori della Legge? O devo forse spiegarvi quale offensiva portata abbia definire degli alti notabili come «razza di vipere»? [cf. Mt 23, 33]. Dire infatti a una persona «sei una vipera», è una offesa diretta a lui personalmente, ma dire a una persona che essa appartiene a una razza di vipere, vuol dire colpire non solo lui, ma il suo intero ceppo di appartenenza, familiare o religioso che sia. Come vedete, esistono anche questi passi nel Santo Vangelo, come altri nei quali il Signore Gesù ci ricorda: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada» [cf. Mt 10, 32], indicandoci in modo chiaro che la sequela Christi, il cammino dietro al Signore verso la salvezza, è anche una lotta sia con noi stessi sia con gli altri. Quella lotta alla quale il Beato Apostolo Paolo ci invita con precise parole: «Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo» [cf. Ef 6, 10-20].

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Dinanzi a uno schiaffo, dinanzi alla sfida del guanto, si agisce come ci insegna Cristo Signore, usando maggiore sapienza rispetto alla stoltezza dell’attaccabrighe che cerca violenza a tutti i costi. Ma davanti al mistero del male che mira a distruggerci, lì si deve non solo lottare, ma muovere proprio guerra. E se il pericoloso aggressore dice «… ma sul Vangelo è scritto che io ti posso aggredire e distruggere e che tu devi porgere l’altra guancia, mentre io esercito il mio “sacrosanto” diritto mirato a far prevalere il male», in tal caso bisogna rispondere: «Mi dispiace, ma tu il Vangelo non lo conosci, o forse lo hai letto male e, dopo averlo letto male, lo hai capito peggio».

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Il porgere l’altra guancia vuol dire mostrare superiorità umana e morale, sapienza e senso della misura; vuol dire dare una meritata lezione a chi, in cambio di una provocazione, esigerebbe ricevere come risposta una reazione sproporzionata. Il porgere l’altra guancia non vuol dire però cedere in alcun modo al male che intende sopraffare, perché Cristo, sulla croce, non è morto per essersi rifiutato di combattere contro il male, ma proprio perché “colpevole” di avere combattuto il male e lanciato l’invito a combattere il male, sino a divenire, proprio per questo, l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo [cf Gv 1,29].

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Dall’Isola di Patmos, 19 febbraio 2017

VII Domenica del Tempo Ordinario

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

“Amoris Laetitia” – Questa volta Andrea Grillo salta ancora più in alto: dal Cardinale Caffarra passa all’attacco del Cardinale Müller che avrebbe problemi di lettura e di comprensione dei documenti pontifici

–  disputationes theologicae –

«AMORIS LAETITIA »

QUESTA VOLTA ANDREA GRILLO SALTA ANCORA PIÙ IN ALTO: DAL CARDINALE CAFFARRA PASSA ALL’ATTACCO DEL CARDINALE MÜLLER CHE AVREBBE PROBLEMI DI LETTURA E DI COMPRENSIONE DEI DOCUMENTI PONTIFICI

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Quando alla fine degli anni Sessanta del Novecento ci fu la questione dei contraccettivi, Paolo VI permise e favorì un’ampia e lunga discussione previa. Ma poi, con la sua Enciclica Humanae vitae, si espresse con chiarezza e ricchezza di argomentazioni. Il documento di Papa Francesco Amoris Laetitia non dà una soluzione che brilli per chiarezza, cosa che più volte abbiamo espresso nei nostri articoli su L’Isola di Patmos. Eppure non è affatto  impossibile, con un’attenta esegesi, giungere a comprendere la mens del Papa: i divorziati risposati restano esclusi dalla Comunione eucaristica. L’unico punto di Amoris Laetitia, che potrebbe far pensare a un mutamento della legge, potrebbe essere la nota 351, che accenna ai sacramenti ai divorziati risposati …

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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l’intervista al Cardinale Gerhard Ludwig Müller, de Il Timone

La carente onestà intellettuale nella operazione di Grillo non sta tanto nel porre questioni dottrinali – su di un punto, come ho detto, sembra aver addirittura ragione –, ma la polemica dottrinale è piuttosto un pretesto, teso da una parte a screditare il ruolo del Prefetto  della Congregazione per la dottrina della fede, dall’altra a danneggiare proprio quel Papa del quale si atteggia a difensore, dando esca all’odio dei lefebvriani, e rafforzando la falsa immagine di un Papa modernista, con la conseguenza di dar gas ai modernisti aumentando lo sconcerto e lo scandalo dei buoni fedeli.

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Andrea Grillo onora la tua intelligenza

il teologo Andrea Grillo, foto tratta da un periodico delle Edizioni San Paolo [vedere QUI]

Ma qualunque cattolico con gli occhi aperti sa che non ha senso presentare il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede come contrario al Papa, quando questi ha istituzionalmente proprio in lui il principale collaboratore nell’ufficio principale del Successore di Pietro, che è quello di confermare i fratelli nella verità del Vangelo.

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I punti toccati da Grillo sono tre: primo, la questione dell’astinenza sessuale dei divorziati risposati, secondo, la questione dell’“analogia” paolina fra l’unione sposo-sposa e quella fra Cristo e Chiesa; terza, la disobbedienza di certi vescovi al dettato dell’Amoris Laetitia.

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17.02.2017   Giovanni Cavalcoli, OP  — QUESTA VOLTA ANDREA GRILLO SALTA ANCORA PIU IN ALTO: DAL CARDINALE CAFFARRA PASSA ALL’ATTACCO DEL CARDINALE MÜLLER CHE AVREBBE PROBLEMI DI LETTURA E DI COMPRENSIONE DEI TESTI PONTIFICI 

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Gatto e topo

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“Amoris laetitia”. Il Cardinale Francesco Coccopalmerio e la via domenicana. Un articolo di Andrea Tornielli sulle tesi portate avanti dal 2015 da Giovanni Cavalcoli e dall’Isola di Patmos durante il Sinodo sulla Famiglia

notizie dalla rete

«AMORIS LAETITIA. IL CARDINALE FRANCESCO COCCOPALMERIO E LA VIA DOMENICANA». UN ARTICOLO DI ANDREA TORNIELLI SULLE TESI PORTATE AVANTI DAL 2015 DA GIOVANNI CAVALCOLI E DALL’ISOLA DI PATMOS DURANTE IL SINODO SULLA FAMIGLIA

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«Le conclusioni a cui arriva il Presidente dei testi legislativi nel libro sul capitolo VIII dell’esortazione sono in linea con quanto espresso dal teologo Cavalcoli e dal cardinale Schönborn» [Andrea Tornielli]

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Autore Jorge A. Facio Lince

Autore
Jorge A. Facio Lince

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Andrea Tornielli

il vaticanista de La Stampa, Andrea Tornielli, coordinatore di Vatican Insider

I Padri de L’Isola di Patmos, Giovanni Cavalcoli e Ariel S. Levi di Gualdo, nel corso dell’anno 2015 hanno dissertato in loro diversi articoli su discorsi teologici e pastorali legati al Sinodo sulla famiglia, a conclusione del quale uscì l’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia.

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Il vaticanista Andrea Tornielli mette in risalto in un suo articolo [cf. QUI] che il documento pubblicato dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e firmato dal Cardinale Francesco Coccopalmerio, rispecchia quando i nostri due Padri de L’Isola di Patmos già scrivevano nei loro articoli circa due anni fa …

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L’articolo di Andrea Tornielli è leggibile cliccando sul logo sotto

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vatican insider logo

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NEL CORSO DELL’ANNO 2015, I PADRI DE L’ISOLA DI PATMOS HANNO SCRITTO VARI ARTICOLI TEOLOGICI E DI ATTUALITÀ PASTORALE SUL DIBATTITO DEI DIVORZIATI RISPOSATI, CHE NON È STATO AFFATTO “IL TEMA” DEL SINODO, MA SOLTANTO “UNO TRA I TANTI TEMI ” DEL SINODO, SEBBENE MUTATO DALLA STAMPA NELL’UNICO E SOLO TEMA. QUESTA CHE SEGUE LA RACCOLTA DEGLI ARTICOLI PUBBLICATI DA 2 SETTEMBRE 2015 AL 9 OTTOBRE 2016

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IL SINODO SULLA FAMIGLIA
UNA LETTURA CRITICA SULLA TRILOGIA DI ARTICOLI DI ANTONIO LIVI

Jorge A. Facio Lince – 2 settembre 2015

[…] Il ritenere che i divorziati risposati siano in uno «stato permanente di peccato grave» è un giudizio temerario, che non ha a che vedere con la dottrina della Chiesa. Al contrario, secondo la morale cattolica, qualunque peccato, per quanto grave, se il peccatore si pente, può essere perdonato, anche senza il Sacramento della penitenza, considerando che esistono mezzi ordinari e straordinari di salvezza; i primi sono i Sacramenti di istituzione divina dei quali la Chiesa è dispensatrice, i secondi sono le vie imperscrutabili di Dio, e per usare questi secondi mezzi, sia la grazia sia la misericordia di Dio non necessitano del permesso né degli epistemologi né dei filosofi, né ai teologi [per leggere tutto cliccare QUI]

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IL SANTO PADRE FRANCESCO ARRECA «UNA FERITA AL MATRIMONIO CRISTIANO»? SUVVIA, CERCHIAMO DI ESSERE SERI …

Ariel S. Levi di Gualdo – 14 settembre 2015

Durante le mie prediche nel deserto da anni vado dicendo che l’origine del problema è data dal fatto che il matrimonio sacramentale è concesso dai vescovi e dai loro preti con una leggerezza che grida vendetta al cospetto di Dio. Non sarebbe meglio prevenire, anziché cercare poi di curare in seguito ciò che non sempre è curabile? [per leggere tutto cliccare QUI]

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LA PROBLEMATICA PASTORALE DEI DIVORZIATI RISPOSATI

Giovanni Cavalcoli, OP – 13 ottobre 2015

In questo frangente così grave per la vita della Chiesa e della società, occorre evitare i due estremismi contrapposti, il primo, di una piccola ma mordace minoranza, dell’ultra tradizionalismo, col suo allarmismo catastrofista e il suo legalismo rigorista, che teme che il Papa possa allontanarsi dal Vangelo o dalla Tradizione, se non lo ha già fatto; e il secondo, ben più diffuso ed arrogante, quello dei modernisti, spiriti mondani, relativisti impenitenti, predicatori del buonismo misercordista, che vorrebbero strumentalizzare il Papa con false adulazioni [per leggere tutto cliccare QUI]

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«LA COMUNIONE AI RISPOSATI NON TOCCA LA DOTTRINA MA LA DISCIPLINA»

intervista di Andrea Tornielli a Giovanni Cavalcoli, OP – 16 ottobre 2015

Il vaticanista de La Stampa Andrea Tornielli pubblica oggi su Vatican Insider l’intervista fatta a uno dei Padri dell’Isola di Patmos. Rispondendo alle sue domande il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli chiarisce uno dei problemi oggetto di dibattito e di accesa polemica soprattutto al di fuori del Sinodo sulla Famiglia [per leggere tutto cliccare QUI]

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LA COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI: LECTIO MAGISTRALIS DI GIOVANNI CAVALCOLI A CORRADO GNERRE & C

Giovanni Cavalcoli, OP – 19 ottobre 2015

L’impressione che a volte il Papa non si attenga al dato rivelato trasmesso dalla Sacra Tradizione, è sempre un’impressione falsa, che deve farci comprendere che con simile atteggiamento mentale si finisce col cadere sotto il rimprovero del Signore, fatto ai farisei di non ascoltare la Parola del Dio eterno, che non passa e non muta, ma di farsi schiavi di caduche e vane “tradizioni di uomini” [per leggere tutto cliccare QUI]

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SUI DIVORZIATI RISPOSATI. CONTINUA LA DISCUSSIONE: REPLICA DI GIOVANNI CAVALCOLI ALLA RISPOSTA DI CORRADO GNERRE

Giovanni Cavalcoli, OP – 22 ottobre 2015

Viene oggi molto citato il n. 84 della Esortazione Apostolica Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, nel quale il Papa esprime la condizione della irregolarità dei divorziati risposati, in foro esterno o, come egli si e esprime, “oggettivamente”; ma il Santo Pontefice si guarda bene dal dire che essi sarebbero, soggettivamente o in foro interno, in un continuo stato di peccato mortale, perchè, questo, come ho già detto, sarebbe un giudizio temerario, che pretende scrutare l’intimo delle coscienze e le segrete operazioni della grazia. In secondo luogo, questo insegnamento del Santo Pontefice non va preso come fosse una dottrina di fede immutabile, ma solo come disposizione pastorale, come tale mutevole, per quanto di antichissima tradizione. Ma non si tratta di Sacra Tradizione, essa sola depositaria del dato rivelato, bensì solo di tradizione canonica. dagli anni nei quali questa Esortazione apostolica è stata scritta, la questione dei divorziati risposati si è alquanto estesa, complicata e aggravata, tanto che l’attuale Pontefice ha deciso di riprenderla in esame per vedere se mantenere l’attuale disciplina, oppure adottare soluzioni diverse dal passato [per leggere tutto cliccare QUI].

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CATTOLICI E SESSUOFOBIA: «LA VERGINITÀ DEGLI ERETICI È PIÙ IMPURA DELL’ADULTERIO»

Ariel S. Levi di Gualdo – 22 ottobre 2015

Certi cattolici cupi molto simili ai sadducei ed ai farisei, di fondo sono cresciuti con un’idea di Cristo morto ma non risorto, con un’idea della sessualità tutta quanta manichea; sono fissi su concetti di arido legalismo e intrisi di pelagianesimo, ed analogamente a Lutero hanno problemi seri sul concetto paolino della predestinazione, quindi sulla teologia della giustificazione che rischiano spesso di ridurre ad un’idea tutta quanta calvinista, seppure sotto forma di rigorismo morale cattolico [per leggere tutto cliccare QUI]

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I DIVORZIATI RISPOSATI E QUEI TEOLOGI CHE STRUMENTALIZZANO LA FAMILIARIS CONSORTIO DI SAN GIOVANNI PAOLO II

Giovanni Cavalcoli, OP – 23 ottobre 2015

La Familiaris consortio, appunto perché tocca solo il foro esterno, non sfiora neppure la questione in esame, caratteristica del foro interno, ossia della condizione o dello stato o del dinamismo interiore della volontà dei conviventi e lascia quindi aperta la porta alla legittimità della discussione in atto nel Sinodo, se, in certi casi gravi, ben precisati e circostanziati, con forti scusanti, i divorziati possano o non possono accedere ai Sacramenti [per leggere tutto cliccare QUI]

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DIVORZIATI RISPOSATI? LA PAROLA SPETTA ADESSO A PIETRO, SUL QUALE CRISTO HA EDIFICATO LA SUA CHIESA

Ariel S. Levi di Gualdo – 26 ottobre 2015

Dal discorso del Sommo Pontefice Francesco: « […] Mentre seguivo i lavori del Sinodo, mi sono chiesto: che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia? Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite. Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile. Nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa “moduli preconfezionati”, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi ». [per leggere tutto cliccare QUI]

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SUI “DIVORZIATI RISPOSATI “. L’EUCARISTIA, IL PECCATO E LA COSCIENZA. RISPOSTA A PADRE RICCARDO BARILE

Giovanni Cavalcoli, OP – 7 novembre 2015

Il noto liturgista domenicano Padre Riccardo Barile ha pubblicato il 29 ottobre scorso sulla rivista telematica La Nuova Bussola Quotidiana [cf. QUI] un articolo con questo stesso titolo, nel quale mi rivolge alcune critiche, alle quali rispondo di seguito. Le sue obiezioni sono un corsivo. Le mie risposte e i miei passi che egli cita sono in tondo [per leggere tutto cliccare QUI].

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DISPUTATIONES THEOLOGICAE – REPLICA DI GIOVANNI CAVALCOLI ALLA CRITICA DI ANTONIO LIVI

Giovanni Cavalcoli, OP – 2 novembre 2015

Ho detto e ripetuto in più occasioni che non sappiamo che cosa il Santo Padre deciderà e che dobbiamo essere disponibili sia al mantenimento della legge attuale che a qualche suo mutamento. Diciamo ai conservatori che la legge attuale non è intoccabile ed agli innovatori che il dogma non è mutevole. Come avviene nel mistero dell’Incarnazione, così avviene nella morale cristiana e della famiglia: dobbiamo calare l’eterno nel temporale, senza eternizzare il temporale e senza temporalizzare l’eterno [per leggere tutto cliccare QUI]

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SUI DIVORZIATI RISPOSATI. NUOVA NOTA DEI PADRI DELL’ISOLA DI PATMOS

Giovanni Cavalcoli e Ariel S. Levi di Gualdo – 4 novembre 2015

Il timore di alcuni, che se il Santo Padre dovesse concedere la Comunione ai divorziati risposati compirebbe un attentato all’indissolubilità del matrimonio, non ha alcun fondamento dogmatico; ed in questo modo viene confusa la legge civile con la legge ecclesiastica [per leggere tutto cliccare QUI]

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ASINI IN CATTEDRA E ACCUSE DI ERESIA: UNO SPACCATO DI CERTI NOSTRI CENSORI

Ariel S. Levi di Gualdo – 5 novembre 2015

Più Vescovi di varie diocesi italiane, in camera caritatis mi hanno confidato di avere serie difficoltà a dare incarico agli insegnanti di religione, motivando le loro difficoltà con frasi di questo genere: «Abbiamo un tale campionario da non sapere dove pescare, in un mare nel quale i pesci risultano spesso uno peggio dell’altro» [per leggere tutto cliccare QUI]

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ANCORA SUI “DIVORZIATI RISPOSATI”, IL TERZO ROUND CON ANTONIO LIVI

Giovanni Cavalcoli, OP – 23 novembre 2015

La Chiesa non dice da nessuna parte che queste persone siano costantemente prive della grazia di Dio, ossia in peccato mortale. Anzi, già il permesso attuale che esse hanno di fare la Comunione spirituale, suppone che esse possano essere in grazia, giacchè, come si potrebbe pensare di fare la Comunione spirituale in uno stato di peccato mortale? [per leggere tutto cliccare QUI]

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AMORIS LÆTITIA, IL DOCUMENTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO SUL SINODO DELLA FAMIGLIA

Giovanni Cavalcoli, OP – 17 aprile 2016

Questa esortazione ribadisce le verità fondamentali di ragione e di fede, che riguardano il matrimonio e la famiglia, ne delinea le caratteristiche, le finalità e le proprietà così come le ha volute il Creatore, il Quale, mediante la missione e l’opera di Cristo, ha concesso alla Chiesa e alla società civile di legiferare con più precisione in materia, a seconda dei tempi e dei luoghi, tenendo conto della fragilità e peccaminosità umana conseguente al peccato originale, al fine di assicurare il più possibile alla famiglia il massimo dell’esercizio delle virtù, soprattutto della carità, che sboccia nella laetitia amoris [per leggere tutto cliccare QUI]

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AMORIS LÆTITIA, LA “TEOLOGIA DELL’ASSEGNO IN BIANCO”: IL POTERE DELLE CHIAVI NON È SINDACABILE, SALVO CADERE IN ERESIA

Ariel S. Levi di Gualdo – 22 aprile 2016

Con il «tu es Petrus» Cristo ha firmato al proprio legittimo vicario istituito sulla terra un assegno in bianco. Si è limitato solo a firmarlo con il proprio nome e cognome, che sull’assegno risulta: Verbum Domini. E su questo assegno, dopo avervi impressa la firma, ci ha scritta sopra solamente la data di emissione, non vi ha scritta invece alcuna data di scadenza; ma soprattutto non vi ha scritto alcun importo, l’importo lo ha lasciato tutto quanto a Pietro ed ai suoi successori, perché presso la banca di emissione vi è una copertura illimitata [per leggere tutto cliccare QUI]

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AMORIS LÆTITIA. SIATE CASTI, PERÒ PAGATE LE TASSE, PERCHÉ IL PAGAMENTO DELLE TASSE E UN VERO DOGMA DI FEDE

Ariel S. Levi di Gualdo – 25 aprile 2016

È facile e comodo entrare nelle camere da letto altrui col dito puntato a sentenziare come nuovo dogma di fede «purché vivano come fratello e sorella». Ma voi, ipocriti di sempre, che «filtrate il moscerino» nelle camere da letto altrui e poi «vi ingoiate il cammello» [cf. Mt 23,24] siete pronti ad accettare, fare vostro e diffondere come indiscutibile dogma di fede: «Date a Cesare quel che è di Cesare», quindi pagare le tasse senza fiatare, ma soprattutto senza azzardarvi a dire che sono alte e che non sono giuste? [per leggere tutto cliccare QUI]

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AMORIS LÆTITIA. IL VESCOVO ATHANASIUS SCHNEIDER ED I SUOI GROSSOLANI EQUIVOCI 

Jorge A. Facio Lince – 26 aprile 2016

La Riflessione del Vescovo ausiliare di Astana non contiene al suo interno argomentazioni nuove anzi, essa sintetizza il diffuso “non cogliere” e “non voler capire” quei sostanziali elementi oggettivi quali legge divina e legge canonica, stato di irregolarità e stato di peccato … [per leggere tutto cliccare QUI].

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AMORIS LÆTITIA. IL FONDAMENTO DELLA INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO

Giovani Cavalcoli, OP – 4 maggio 2016

La nullità del matrimonio quasi sempre emerge in modo drammatico dopo un certo tempo, più o meno lungo, possono passare anche anni ed esserci di mezzo dei figli, anche se ci è sposati in chiesa, e si è trattato di un matrimonio celebrato con grande solennità: tappeto rosso dall’ingresso della chiesa fino all’altare riccamente addobbato, mazzi di fiori esotici, lungo tutti i banchi della chiesa, fotografi e cine-operatori, folla entusiasta e commossa di gente della buona società, abbondante offerta al parroco. Eppure si è trattato di una semplice messa in scena. Nonostante la solenne Messa cantata e solenne benedizione, la grazia può esser scesa, ma non certo la grazia del matrimonio, dato che mancava la materia adatta. Il povero parroco, attorniato da concelebranti, si è preso, come dicono i romani, una bella buggeratura [o detta in romanesco: s’è pijato ‘na sola] [per leggere tutto cliccare QUI]

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AMORIS LÆTITIA. «LA CASTITÀ DEGLI ERETICI È PIÙ IMPURA DELL’ADULTERIO». QUEL GRANDE PIFFERAIO MAGICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO HA PORTATO ALLO SCOPERTO I TOPI E LA LORO “TEOLOGIA DELLA MUTANDA

Ariel S. Levi di Gualdo e Jorge A. Facio Lince – 11 maggio 2016

La morale cattolica – a meno che non si voglia cadere nel calvinismo più cupo e nel puritanesimo più furibondo – per essere tale, deve interamente strutturarsi sulla carità; perché la morale cattolica non è una clava ferrata, ma una via verso il percorso di salvezza. Ed a colpi di spranga sulle ginocchia o sui denti non è mai stato redento nessuno, inclusi coloro che questi moralisti d’assalto chiamano con sprezzo «concubini» e «adulteri» [per leggere tutto cliccare QUI]

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AMORIS LÆTITIA. CONCUPISCENZA E MATRIMONIO. IL PENSIERO DELL’APOSTOLO PAOLO

Giovanni Cavalcoli, OP – 11 maggio 2016

In San Paolo è evidente che per lui il rapporto uomo-donna corrisponde al rapporto superiore-inferiore [I Cor 11, 7-9; 14,34; I Tm 2, 11-14]. Ma queste sono idee sue. La dottrina invece del marito «capo della moglie» [Ef 5, 22-33] è un’altra cosa. Mentre infatti sul tema generale “uomo-donna” sentiamo Paolo col suo misoginismo rabbinico, nella dottrina del rapporto marito-moglie risplende certamente la bellezza della Parola di Dio, che non passa e che è stata confermata ed approfondita dal Concilio, che è giunto ad affermare che «la loro unione costituisce la prima forma di comunione delle persone» [per leggere tutto cliccare QUI]

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IL N. 84 DELLA FAMILIARIS CONSORTIO È PIÙ IMPORTANTE DEL PROLOGO DEL VANGELO DI GIOVANNI CHE NARRA IL MISTERO DELLA INCARNAZIONE DEL VERBO DI DIO ?

Ariel S. Levi di Gualdo – 9 ottobre 2016

Ciò che in fondo si chiede a certe persone è lo spirito di umana e cristiana coerenza: o forse credono davvero di poter attaccare da una parte l’intero Magistero della Chiesa degli ultimi cinquant’anni, ma al tempo stesso sostenere che il n. 84 della Familiaris Consortio, scritto da un Pontefice conciliare, presente come Vescovo al concilio e poi attuatore del concilio come Successore di Pietro, sia intoccabile, in quanto più importante e più dogmatico di quanto possa esserlo l’intero Prologo del Vangelo di Giovanni ? [per leggere tutto cliccare QUI]

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POSTILLA

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… alla prova dei fatti viene da dire: i Padri de L’Isola di Patmos lo avevano detto. E lo hanno detto anche tra una bastonata e l’altra, perché si sono procacciati le ire dei tradizionalisti rigoristi e dei progressisti lassisti. Mentre loro se ne stavano nel mezzo, alla ricerca di un equilibrio, a prendere bastonate da tradizionalisti rigoristi e da progressisti lassisti, tonificati a lode e gloria di Dio!

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Jorge A. Facio Lince – segretario editoriale

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Teologia della speranza: «Dopo il Sinodo il Papa tornerà a indossare le scarpette rosse?»

TEOLOGIA DELLA SPERANZA: «DOPO IL SINODO IL PAPA TORNERÀ A INDOSSARE LE SCARPETTE ROSSE?». RILEGGENDO OGGI QUELLO CHE TRE ANNI FA SCRIVEVA IL PADRE ARIEL …

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[…] il Santo Padre Francesco può dunque piacere o non piacere, cosa del tutto legittima, ma per divina volontà e per divina istituzione rimane il clavigero, oggetto e soggetto come tale della nostra fede e della nostra speranza: «Tu sei Pietro», quindi della nostra autentica e inesauribile devozione per il mistero che egli incarna.

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Autore Jorge A. Facio Lince

Autore
Jorge A. Facio Lince

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Tre anni fa, Ariel S. Levi di Gualdo pubblicava un articolo nel quale parlava con notevole anticipo delle vicende odierne nelle quali, a quanto si sta delineando all’orizzonte, sembrano risorgere dalle ceneri vecchi veleni mescolati a veleni nuovi, il tutto secondo tragici copioni già vissuti tra il 2012 e il 2013 dal Santo Padre Benedetto XVI, per non tornare ancora indietro, nella turbolenta stagione del Beato Paolo VI durante gli anni Settanta del Novecento.
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Purtroppo sembra che oggi, per il Santo Padre Francesco, si stiano confezionando di nuovo le scarpette rosse, ma per ciò che esse significano: il martirio di San Pietro che con i piedi sanguinanti fu condotto sul Colle Vaticano per essere crocifisso a testa all’ingiù.
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Per quanto restio, il Padre Ariel ha dovuto cedere al democratico imperativo dei suoi collaboratori di redazione che desideravano pubblicare di nuovo questo suo vecchio articolo. Uno spirito restio basato su un principio da lui spesso enunciato: «Quando io ipotizzo certe cose o esprimo che in un futuro più o meno vicino si potrebbero verificare certe situazioni, non desidero mai avere ragione, anzi prego e spero sempre di avere torto, ed avere così il grande piacere di smentire me stesso e ammettere che avevo sbagliato nel fare certe analisi».
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La Madonna “molliccia” e “pacioccona” del piccolo Padre Livio Fanzaga e il grande cuore cattolico di Antonio Socci che invita alla preghiera per il Sommo Pontefice

lettere dei lettori 2

Rispondono i Padri dell’Isola di Patmos

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LA MADONNA MOLLICCIA E PACIOCCONA DEL PICCOLO PADRE LIVIO FANZAGA E IL GRANDE CUORE CATTOLICO DI ANTONIO SOCCI CHE INVITA ALLA PREGHIERA PER IL SOMMO PONTEFICE

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In questa rubrica lettere dei lettori, Padre Giovanni Cavalcoli risponde spiegando il motivo del suo licenziamento da Radio Maria, avvenuto sotto questo pontificato misericordioso nel quale si stanno verificando epurazioni degne dei vecchi regimi sovietici; Padre Ariel S. Levi di Gualdo elogia invece con affetto e stima quel “maledetto toscano” di Antonio Socci.

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Caro Padre Giovanni Cavalcoli,

ci farebbe piacere se lei stesso, che è stato protagonista della spiacevole vicenda di Radio Maria, dalla quale è stato poi espulso per delle affermazioni che in verità non avrebbe fatto, ci narrasse come i fatti si sono svolti.

Redazione del blog Cogitare Humanum Est [Ndr. cf. QUI]

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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PDF  rubrica dei lettori formato stampa

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Livio Fanzaga

il presbìtero Livio Fanzaga negli studi di Radio Maria

Io iniziai a collaborare con la emittente Radio Maria nel 1993 e non era mai accaduto alcun incidente, anzi, godevo della stima di Padre Livio Fanzaga, che si era fatto entusiasta diffusore del mio libro L’inferno esiste. La verità negata [Fede & Cultura, 2010].

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Da alcuni anni stavo conducendo un corso per catechisti e quella domenica, spiegando il motivo e lo scopo del battesimo, avevo detto che esso serve a togliere la colpa e il castigo del peccato originale. Così, per fare un esempio, ricordai che i terremoti potevano esser considerati una conseguenza del peccato originale e un richiamo di Dio alla conversione dai peccati.

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Nella mia catechesi, il tutto era inquadrato nel mistero del peccato originale, a causa del quale non solo l’uomo perde la sua originaria perfezione, divenendo da angelica creatura immortale creatura mortale, ma anche la stessa natura del creato è alterata da questo peccato, divenendo ostile all’uomo e manifestando questa sua ostilità attraverso maremoti, terremoti, grandi eruzioni vulcaniche; od attraverso il cambio degli assetti geologici della terra stessa, come il mare che si ritira generando zone desertiche, od il mare che avanza e sommerge zone abitate e zone coltivabili, inducendo i sopravvissuti a emigrare altrove, a combattere con le carestie e con la fame. Insomma, quella calamità naturali descritte sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento.

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Tutto questo, in teologia, è da sempre collegato al peccato originale, che ha toccato sia l’uomo sia la natura, ossia l’intero creato, alterando e quindi corrompendo l’equilibrio perfetto creato in origine da Dio.

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Nel corso dei secoli, la misericordia di Dio si è servita anche di questi eventi per la salvezza dell’uomo. Per esempio: quando la popolazione europea fu decimata dalla grande peste nera del 1347, le popolazioni, all’epoca sempre cristiane nella loro totalità, interpretarono quell’evento come un monito di Dio per il richiamo alla loro conversione. E se guardiamo al solo aspetto architettonico, da una parte vediamo grandi opere incompiute antecedenti al 1374 — a tal proposito mi viene a mente tra le tante la grande chiesa di San Petronio a Bologna —, dall’altra parte abbiamo, nei decenni immediatamente successivi, la costruzione di splendidi stabili di culto che rappresentavano la nuova dedicazione a Dio dell’uomo attraverso la fede, manifestata non solo con le opere d’arte, ma anche attraverso le grandi produzioni filosofiche, letterarie e teologiche che seguirono, od anche attraverso la nascita di tante nuove forme di vita religiosa consacrata.

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In questo senso, le mie, espresse in quella trasmissione radio, erano parole che richiamavano alla mente la giustizia divina, ma che però, nel contempo, suscitano nel cristiano la pace nell’animo, perché il credente vede nelle sventure non solo il segno di un Dio giusto, ma anche misericordioso; n’è prova storica il fatto che dopo certi eventi catastrofici, ci sono sempre state espressioni di grande rinascita, e questo nessuno lo può ragionevolmente negare, perché è scritto nei nostri monumenti tutt’oggi visibili.

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Queste parole, ispirate alla più comune tradizione cristiana, suscitarono contro Radio Maria, ma in particolare contro di me, un immediato intervento sdegnato da parte di diversi prelati, che basarono i propri commenti “a caldo” su quanto era stato scritto e riportato dai giornali, anziché su quanto io avevo veramente detto nell’articolato contesto di una catechesi sul peccato originale, la sintesi della quale era già tutta racchiusa in un mio articolo pubblicato un anno prima sulla pagina di Theologia de L’Isola di Patmos: Dio castiga e usa misericordia [vedere QUI], che non suscitò scandalo alcuno [N.d.R. abbiamo verificato nei dettagli delle statistiche che dal 18.11.2015 alla data di oggi, questo articolo è stato aperto e letto per un totale di 71.203 volte].

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Le accuse che mi sono state rivolte ― a parte le calunnie diffamanti per un teologo conosciuto da decenni come fedele servitore della Chiesa ― sono tutte basate perlopiù su princìpi ereticali, per cui sono assolutamente nulle ed anzi meritevoli di essere esse stesse oggetto di severa condanna. A tal proposito rimando agli articoli di Ariel S. Levi di Gualdo, che in quei giorni di polemica — dopo che i miei Superiori mi chiesero in via “cautelare” di non intervenire né di pubblicare più scritti per il momento — intervenne sulla nostra Isola di Patmos con dei resoconti precisi e dettagliati, mettendo le cose in chiaro e indicando i pensieri apertamente ereticali espressi da alcuni vescovi, e purtroppo anche da qualche alto dignitario della Santa Sede [cf. QUI, QUI].

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Per esempio, vi fu chi mi accusò di partire da un «dio pre-cristiano», contrario alla misericordia. Ma affermando questo, il prelato mio accusatore, mostrò in tal modo di essere influenzato da Marcione, eretico del II secolo e padre della cosiddetta eresia marcionita, il quale sosteneva che, mentre il Dio dell’Antico Testamento era un Dio cattivo, che castiga, il Dio del nuovo è il Dio buono, che è solo misericordia e non castiga.

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Un altro Vescovo mi accusò d’avere un «dio paganissimo», nella presupposizione che il Dio che permette i terremoti non sia il Dio biblico, ma quello pagano. Cosa del tutto falsa, giacché la Bibbia insegna chiarissimamente che anche i terremoti sono moniti della misericordia divina. Basti considerare l’Apocalisse o gli annunci escatologici del Vangelo.

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L’Evangelista Luca riporta precise parole pronunciate da Gesù che risponde ai suoi discepoli dicendo:

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«Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è prossimo”; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine». Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo [cf. Lc 21, 8-11].

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Con la sua notoria verve ironica, Ariel S. Levi di Gualdo, in quei giorni ironizzò:

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«Sicuramente, Cristo Signore, era proprio un “dio pre-cristiano”, perché una cosa resta fuori da ogni possibile discussione: Cristo, non era cristiano!».

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Possiamo forse dar torto a questo mio confratello sacerdote e teologo, che con una battuta spiritosa solo all’apparenza, sintentizzo un’ovvia verità teologica ?

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Se in quel momento io avessi avuto dinanzi quel Vescovo, gli avrei chiesto in che modo, ma soprattutto quale genere di risposta egli avrebbe dato, dinanzi al dramma di una creatura innocente di due anni morente in un reparto di oncologia pediatrica, consumata da un cancro inguaribile. Forse, questo Vescovo, una risposta non ce l’ha, io invece si, e non è certo una risposta di Giovanni Cavalcoli, ma della fede cattolica. Ebbene, premesso anzitutto che quella creatura innocente non è certo colpevole del cancro che la sta consumando, giacché nei progetti di Dio, noi, non siamo stati creati per essere assaliti dal cancro e infine dalla morte, la mia risposta di fede, di conseguenza la mia risposta teologica, è che il cancro e la morte, sono conseguenze del peccato originale che ha corrotto la natura e che ha consegnato alla discendente umanità una natura imperfetta, corrotta e mortale.

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Ma volendo c’è di peggio ancora. Se a questo Vescovo qualcuno avesse chiesto: «Perché Dio permette che una creatura innocente muoia consumata da un cancro a soli due anni, mentre fior di malfattori, che trascorrono i giorni della loro vita a fare il peggior male al prossimo ed a compiacersi del male che fanno, arrivano a vivere fino a novant’anni, morendo infine senza neppure essersi mai ammalati e senza avere sofferto per alcun genere di infermità? Noi uomini di fede, risposta a questi quesiti, l’abbiamo da sempre, perché il tutto ha la sua risposta e ragione all’interno di quel mistero che è il peccato originale. 

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Un altro Vescovo, di recente nomina, mi accusò di dire delle «idiozie» e delle «sciocchezze», di «nominare il nome il di Dio invano» e di avere un «concetto puerile di Dio». Tutte queste accuse stolte e offensive rivolte a me, accademico pontificio, che insegno teologia tomista da quarant’anni, mi sento sinceramente di respingerle tutte ai vari mittenti, come feci da subito, mentre per tutta risposta i miei accusatori rincaravano la dose dicendo: «Ecco, nega anche di presentare le sue scuse!». Sinceramente, mi domandai ieri e mi domando ancor oggi: come può, un teologo, scusarsi per la dottrina cattolica ?

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Padre Livio mi ha accusato di aver offeso la misericordia della Madonna, giacché, affermando che Dio castiga, l’ho implicitamente concepita come donna crudele, associata a un Dio crudele. Qui, il povero Padre Livio, ha fatto un improvviso vergognoso voltafaccia, interrompendo pavidamente la sua coraggiosa linea pastorale, nella quale, nei suoi precedenti libri, mostrava giustamente Maria in lotta contro il Drago e rinnegando il mio libro sull’inferno.

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Ecco dunque all’improvviso venir fuori una Madonna molliccia e pacioccona, new look, aggiornata al più becero e pericoloso misericordismo e buonismo. Ma per Padre Livio non sarà sufficiente buttare a mare Giovanni Cavalcoli, come già in passato ha fatto con il Prof. Roberto de Mattei [cf. QUI], piuttosto dovrebbe capire che contro certi famelici nemici insaziabili che oggi ci circondano da tutti i lati e che da tempo sono penetrati all’interno della nostra casa, non si deve cedere, si deve combattere, ma non con una Madonna paciona ed imbelle, ma con Colei che ha vinto Satana e tutte le eresie.

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A vicenda grazie a Dio conclusa, ci si impongono alcune riflessioni. Nei giorni seguenti gli attacchi subìti mi sono giunti migliaia di messaggi di comprensione, lode e solidarietà, anche dall’estero, da parte di buoni semplici fedeli. Molti teologi laici hanno preso le mie difese su diversi siti cattolici. Invece nessun vescovo s’è fatto vivo, su 250 che ne abbiamo in Italia. L’unico che mi ha appoggiato è stato S.E. Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno.  Questo fenomeno come si interpreta, come si spiega, che significa?

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Direi tre cose. Prima, un’evidente presenza dello Spirito Santo nel popolo di Dio più che nei pastori. Seconda, una crisi di fede diffusa tra i pastori. Terza, questi buoni laici difensori della fede hanno certamente alle spalle dei buoni preti e dei buoni vescovi, che però restano nell’ombra, non si espongono. E questo non va bene. Siamo in guerra e bisogna combattere. Abbiamo le armi per vincere, occorre uscire allo scoperto e combattere valorosamente. Non è dignitoso fare i cecchini. Il nemico deve abbassare la cresta. Ma perchè ciò possa avvenire, bisogna che mostriamo la nostra forza. Se ci mostriamo timidi e cedevoli, come per esempio un Padre Livio, il nemico ne approfitta.

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Bisogna che i preti e i vescovi che stanno alle spalle dei laici escano allo scoperto con coraggio. Non devono più dire ai laici: «Vai avanti tu, perché sai … io non posso mica compromettermi! Però ti proteggerò nell’ombra». No. Vescovi e preti devono scendere in campo per animare i combattenti. Il pastore dev’essere alla testa del gregge. Anche perchè dobbiamo contarci, sapere quanti siamo e chi siamo, dobbiamo sapere gli uni degli altri. Se stiamo nascosti, gli uni non sanno degli altri; questo diminuisce la forza, e ci impedisce di organizzarci e di avviare un’azione comune.

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Occorre in particolare liberare il Papa dal codazzo di cortigiani che gli sta attorno, che si fingono servitori della Chiesa e che invece la distruggono, che si autonominano collaboratori del Papa e invece lo adulano, lo ingannano e lo circuiscono, e probabilmente anche lo minacciano. Essi gli fanno apparire nemici i suoi veri fedeli, mentre essi si fingono fedeli e gli sono invece nemici.

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In questa situazione confusa, occorre più che mai contare sul Papa nella lotta al modernismo, benchè egli a volte sembri sposarne le apparenze. Occorre invece più che mai distinguere nel Papa la guida alla vittoria, dai suoi difetti umani, dei quali non si deve tener conto, se egli non riesce a correggersene, perchè ciò potrebbe farci perdere di vista la funzione di guida del Papa.

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Quindi, non solo il contenuto di quanto ho detto, ma anche l’opportunità di averlo detto, come ho fatto notare sopra, contrariamente a quanto è apparso a qualcuno, intendeva essere motivo di cristiano conforto, proprio per le povere vittime del terremoto.

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Ciò di cui mi rendo conto, oggi più che mai, è di quanto sia difficile per molti recepire il lessico cristiano, a volte per gli ecclesiastici stessi. Pertanto, parlando di certi temi, non bisogna mai dare per scontato niente, indugiando persino in spiegazioni che potrebbero apparire ovvie, mossi in tal senso dalla consapevolezza che tra gli ascoltatori, non solo possono esservi coloro che non sono disposti ad ascoltare, ma anche dei soggetti che in modo del tutto voluto, oserei dire diabolico, spesso fraintendono volutamente per poi seminare zizzania.

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Quanto mi è successo dimostra come, se da una parte stiamo vivendo una diffusa crisi di fede, tuttavia lo Spirito Santo non manca mai di farsi sentire anche nei momenti più bui perchè sopportiamo la sofferenza, alimentiamo la speranza e siamo forti nel compimento del bene.

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Riprendendo il mio pieno e attivo lavoro su L’Isola di Patmos, colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno pregato per me e chiedo a tutti loro anche una preghiera per il mio amatissimo Ordine dei Frati Predicatori di San Domenico di Guzmán, perché mai io cesserò, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, di essere grato a Dio per avermi voluto a suo servizio come sacerdote e teologo domenicano, e sino alla fine della mia vita, a qualsiasi costo e costi quel che costi, porterò avanti la mia missione con l’ausilio della Beata Vergine Maria del Rosario.

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Varazze, 12 febbraio 2017

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IL GRANDE CUORE CATTOLICO DI ANTONIO SOCCI CHE INVITA ALLA PREGHIERA PER IL SOMMO PONTEFICE

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Caro Padre Ariel S. Levi di Gualdo.

Tempo fa lei confutò il libro di Antonio Socci, Non è Francesco”, con un suo lungo articolo. Vorrei sapere che cosa pensa dell’ultimo articolo pubblicato da Socci sul suo blog Lo Straniero [Ndr. cf. QUI].

Mattia Vizzini

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antonio socci lettere a mia figlia

la più bella immagine di Antonio Socci: sua figlia Caterina, una “figlia condivisa” nella paternità cristiana da tutti noi che abbiamo pregato e che preghiamo per lei [vedere QUI]

Ho letto con piacere l’articolo bello e toccante di Antonio Socci [cf. QUI], commentato poco dopo da Roberto de Mattei sull’agenzia cattolica Corrispondenza Romana con l’equilibrio asciutto e asettico dello studioso che analizza un fatto e lo commenta, com’è nello stile di questo insigne storico della Chiesa [cf. QUI].

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Non so se Antonio Socci abbia riflettuto su alcuni tiri che in passato gli ho indirizzato, a partire dal mio saggio breve a confutazione del suo libro Non è Francesco [cf. QUI]. Se però c’è una cosa che ricordo molto bene — e qui vale il principio scripta maneant — è che proprio muovendogli delle critiche ho sempre messo in luce due diversi elementi, uno oggettivo e uno soggettivo. Il dato oggettivo: Antonio Socci è un autentico credente, un devoto cattolico figlio della Chiesa di Cristo. Il dato soggettivo: ad Antonio Socci voglio bene e verso di lui ho sempre nutrito stima, senza mai cessare di considerarlo un giornalista e un commentatore di indubitabile talento.

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Ma veniamo adesso al “fenomeno Socci”, la cui fenomenicità è legata anzitutto al fatto che egli appartiene ad una “razza maledetta da Dio e dagli uomini”, ossia i toscani, gente che io conosco bene per mio stesso ceppo di nascita. Non che voglia gareggiare in “spirito maledetto”, ma di certo sono più “maledetto io” di Antonio Socci, perché mentre lui è un toscano di indubbia purezza, io sono invece un “meticcio”. Toscana da generazioni è la mia famiglia materna, perché la mia famiglia paterna è di ceppo romano. E così, alla “cattiveria toscana”, sufficiente ad andare in Purgatorio sino alla parusia, aggiungo quello spirito romano che all’occorrenza fa di me una via di mezzo tra Boccaccio e Pasquino, sebbene io non vada in giro per l’Urbe Quirite ad affiggere manifesti scritti in romanesco su er papa

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Per capire Antonio Socci anche come giornalista di talento, bisogna entrare nella toscanità, semmai facendo richiamo ad alcuni personaggi che nel mondo del giornalismo hanno lasciato un segno storico, forse anche in virtù del loro carattere di toscani, ossia di “gente maledetta da Dio e dagli uomini”.

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In Antonio Socci si rispecchia quella che fu la coerenza e il coraggio di Indro Montanelli, ed al tempo stesso il carattere sanguigno e intelligentemente impulsivo di Oriana Fallaci, che proprio quando giocava a fare l’impulsiva, aveva in verità studiato con prudenza e saggezza anche i sospiri alterati che poi fuoriuscivano dalla sua bocca o dalla sua penna. E chi come il sottoscritto ha conosciuto nella propria giovinezza questi due personaggi — non solo per la loro fama ed i loro scritti, ma anche di persona —, non esita a percepire che Antonio Socci è a suo modo una sintesi di questi due geniacci amabili e talentati, ma tutt’altro che facili da trattare.

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Il 29 gennaio inviai un messaggio ai responsabili di varie riviste telematiche, blog e siti cattolici, incluso Antonio Socci, ai quali scrissi:

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«La cosa peggiore che in certe circostanze noi possiamo fare, è quella di rimanere nel nostro cosiddetto orticello. Possiamo anche litigare e attaccarci vicendevolmente su certe tematiche ecclesiali e pastorali, ma dinanzi a casi di questo genere, ogni cosa deve passare in terz’ordine perché la difesa della dottrina e della fede passa avanti a tutto, compresi attriti personali, simpatie o antipatie, modi diversi di pensare e via dicendo. Se infatti i soldati in guerra si mettono a litigare tra di loro anziché combattere, inutile dire quel che accadrebbe …»

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Quali erano «i fatti di questo genere» ai quali alludevo in quella email ? Il fatto era uno: gli attacchi intollerabili rivolti da un teologastro palesemente eretico, o in ogni caso non cattolico, tale alla prova dei fatti è Andrea Grillo, che più volte aveva attaccato il Cardinale Carlo Caffarra, considerato un maestro della morale cattolica di fama mondiale anche dagli stessi studiosi che non la pensano come lui, ma che con debita onestà intellettuale ne riconoscono da sempre l’indubbio valore.

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A difesa del Cardinale Carlo Caffarra, ed a confutazione delle stoltezze di Andrea Grillo, su L’Isola di Patmos era stato pubblicato un testo di indubbio spessore teologico [cf. QUI], che in quel messaggio privato mettevo a disposizione dei vari siti e blog cattolici, affinché quella difesa potessero farla propria, mostrando in tal modo, ai nostri sempre più potenti avversari, che all’occorrenza i veri cattolici fedeli alla dottrina e al Magistero della Chiesa sono uniti tra di loro.

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Figurarsi, questi cattoliconi neppure mi risposero. E ciò per il semplice fatto che ― come già scrivevo e lamentavo due anni fa ―, questi sedicenti cattolici, in verità sono solo dei rissosi, autoreferenziali e spesso anche tremendi narcisisti che tendono a parlarsi addosso, rinchiusi nel proprio ghetto o comunque delimitati nel loro psicotico orticello. Come teologo e come pastore in cura d’anime ho tentato più volte di dir loro, in varie occasioni e senza alcun esito, che di fronte a certi grandi temi della fede bisogna mostrare unità, anziché far ridere a giusta ragione i nostri nemici palesandoci come un gruppo di membra sparse per la foresta, all’interno della quale ci lanciamo semmai anche le frecce gli uni contro gli altri.

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A nulla è però servito l’invito rivolto a questi soggetti sparsi che adesso sbraitano adesso si piangono addosso, ma che soprattutto tanto si piacciono quanto si parlano addosso. Inutile il mio invito a formare tramite le varie riviste, siti e blog una “Lega Santa”, memori della sapiente esortazione paolina: «Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!» [Gal 5, 15].

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A questi meschini che spaziano tra il ghetto e l’orticello autoreferenziale circondato di filo spinato, oggi presi a stracciarsi le vesti persino su quelli che fino a ieri erano i lefebvriani loro beniamini, ai quali hanno cominciato a lanciare accuse d’alto tradimento per le loro trattative in corso con la Santa Sede, mi verrebbe da chiedere: pensate che oggi riusciremmo a vincere una nuova Battaglia di Lepanto al grido di «Ave Maria!»? Perchè con una sbandata armata Brancaleone di litigiosi come voi, i musulmani ci sconfiggerebbero sommergendoci con una risata, mentre i vostri vari gruppuscoli sarebbero presi a litigare tra di loro sul fatto che l’Ave Maria deve essere recitata in latino, a recto tono, con quaranta candelieri accesi e con le stoffe dei paramenti liturgici la cui fabbricazione deve essere antecedente al 20 settembre 1870, data della presa di Roma che segnò la caduta dello Stato Pontificio. Perchè questo è il grottesco teatrino al quale purtroppo siamo ridotti: litigare sulla irrigazione delle margherite del giardino che rischiano di appassire per il calore sviluppato dalle fiamme che stanno bruciando tutta quanta la casa.

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Ahimè sono miseramente rimbalzato su un muro di gomma, senza riuscire a far capire neppure l’ovvio: il male che oggi ammorba la Chiesa, per imperare deve anzitutto dividere, ed in questa opera di divisione, noi rendiamo agli accoliti del Maligno splendido servizio dando ad essi risultato di successo garantito e con il loro minimo sforzo.

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Solo Antonio Socci pare aver riflettuto su certe mie parole. E sia chiaro: è una mia pura supposizione basata sul fatto che il suo ultimo scritto testè riportato sposa tutte le istanze che inutilmente cerco di portare avanti da due anni, nel tentativo disperato e a tratti purtroppo inutile di togliere dalle mani l’innaffiatoio della bambola Barbie a coloro che stanno perdendo del tempo prezioso per innaffiare le margherite, spiegando in modo altrettanto inutile che bisogna spegnere quanto prima l’incendio che sta bruciando tutta quanta la casa.

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Adesso cercherò di delineare la differenza che corre tra due autentici credenti e uomini di fede come Antonio Socci e Roberto de Mattei, rispetto alla pletora di autoreferenziali che sui ghetti chiusi e sulle divisioni trovano la propria ragione di essere ed esistere. Ma prima di delineare certe differenze è necessario un chiarimento: perché, ad Antonio Socci e a Roberto de Mattei, in alcune circostanze ho riservato un trattamento duro, mentre ad altri soggetti li ho trattati sommergendoli con sarcastiche prese di giro [cf. QUI]? Per un fatto semplice: Antonio Socci e Roberto de Mattei sono due persone che vivono e che soffrono intimamente la Chiesa Cattolica, con la quale hanno un autentico rapporto figlio-madre. Gli altri, invece, sono perlopiù ex politicanti senza successo, variamente falliti o trombati, capaci ad esprimersi solo con la litigiosità dei consiglieri comunali dei paesi di provincia, che non essendo riusciti a sfondare neppure come consiglieri di circoscrizione, hanno trovato nella Chiesa Cattolica un luogo di sfogo per le loro psicopatologie. Detto questo faccio notare che dalle colonne de L’Isola di Patmos, l’insigne studioso veramente cattolico Roberto de Mattei è stato da me appoggiato e difeso più volte in tutti i grandi temi della fede e della dottrina [tra i vari scritti vedere QUI].

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Perché ho preso assieme due persone così diverse come Antonio Socci e Roberto de Mattei? Esattamente per questo: perché sono molto diversi ma alla fine simili attraverso l’unità nel mistero della fede.

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Roberto de Mattei, romano di nascita ma discendente da una famiglia dell’antica aristocrazia siciliana, possiede la naturale aplomb del perfetto nobiluomo, è persona sempre molto misurata, soprattutto quando si arrabbia, tanto che non è facile neppure capire quand’è arrabbiato. Antonio Socci, toscano da generazioni, nasce in una famiglia operaia della provincia di Siena, figlio di un minatore di profondi sentimenti cristiani, militante nella prima Democrazia Cristiana che fu. Uomo sul quale ― il suo babbo minatore ―, Antonio Socci ha scritto più volte parole toccanti legate soprattutto ai sentimenti e alla saggezza del suo amato genitore. Antonio Socci è un figlio sanguigno delle genti dell’antica Etruria e quando si arrabbia, la sua rabbia la manifesta in tutti i modi, ivi incluso il ricorso alla teatralità dei toscani, che riescono non di rado a essere eclatanti nelle loro espressioni iperboliche. Penso da sempre che certi toscani siano riusciti a far ridere persino Dio e la Beata Vergine Maria con le loro bestemmie, perché a volte sono talmente colorite, elaborate e fantasiose ― ma soprattutto dette senza la benché minima intenzione di offendere Dio e la Madonna ―, che mi riesce difficile immaginare qualcuno di questi popolani buzzurri all’inferno nel girone dantesco dei bestemmiatori, posto che per bestemmiare veramente occorre la cosciente, ferma e diabolica volontà di offendere Dio e la Beata Vergine Maria.

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Per Antonio Socci, il Romano Pontefice, altro non era quindi che il suo amato babbo fatta somma perfezione cristologica e apostolica. Antonio Socci ha venerato il proprio genitore come degno pater familias, come uomo culturalmente semplice, ma dotato di quella innata sapienza derivante dalla cultura di quel sensus fidei che condusse Santa Caterina da Siena, illetterata e analfabeta, nell’empireo dei dottori della Chiesa. Perché questo per ogni buon cristiano è il Romano Pontefice: il supremo padre della Familia Christi.   

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Non intendo certo psicanalizzare il caro Antonio Socci, tanto più in un pubblico scritto, tutt’altro: intendo giustificare lui e molti altri devoti figli fedeli della Chiesa che sempre più spesso giungono ai nostri confessionali con dei quesiti non facili da risolvere, legati alle non poche e infelici espressioni del Regnante Pontefice, il quale più viene esaltato da tutti i peggiori nemici della Chiesa, più genera lo smarrimento nelle membra vive dei fedeli che compongono il Corpo di Cristo che è la Chiesa [rimando al mio precedente articolo, QUI].

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Antonio Socci, come molti di noi, incluso chi scrive, è stato benedetto da Dio con la grazia di un padre premuroso, saggio, dotato di paterna autorità e autorevolezza, capace come tale a essere credibile e preziosa guida per i figli.

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Tutte queste caratteristiche, possiamo riconoscerle nell’uomo Jorge Mario Bergoglio? Esso rispecchia, quelle che sono le caratteristiche del padre premuroso, saggio, dotato di paterna autorità e autorevolezza, capace come tale a essere credibile e preziosa guida per i figli? Ometto di rispondere, limitandomi a ribadire quanto risposi nei miei dettagliati commenti storico-teologici ad Antonio Socci a proposito del sul libro Non è Francesco [cf. QUI]. E detta in estrema sintesi la risposta fu questa: un cattivo padre, non cessa per questo di essere il legittimo padre.

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Il problema del “cattivo padre”, lo viviamo giorno dietro giorno, soprattutto a causa dei pericolosi cortigiani e dei perniciosi ruffiani di cui costui s’è circondato, agendo con tutta la pericolosità tipica delle persone poco intelligenti e altrettanto poco preparate sul piano filosofico, storico, teologico e giuridico, ma che pur malgrado ritengono di essere scaltre, o di riuscire a gestire e controllare tutto, senza neppure rendersi invece conto di essere gestiti e controllati, spesso anche da quanto di peggio possa esistere.

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In Antonio Socci, come in molti altri fedeli e devoti figli della Chiesa, doveva prima esplodere il disagio, anche attraverso quella rabbia che fece scrivere alla sanguigna Oriana Fallaci il libro intitolato La rabbia e l’orgoglio, che non fu affatto una espressione di rabbia, malgrado il titolo, ma la rappresentazione e la narrazione di una rabbia elaborata. Altrettanto Antonio Socci, scrivendo il suo Non è Francesco, ha prima tirato fuori e poi elaborata la propria rabbia, peraltro del tutto comprensibile e sotto molti aspetti anche condivisibile sia sul piano umano che su quello cristiano.

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Non credo che Antonio Socci oggi scriverebbe di nuovo quel libro, che però è stato prezioso per lui e anche per noi; e ritengo altresì che in un futuro, vicino o lontano, non abbia proprio alcun bisogno di dover ricorrere a smentire se stesso, perché quel libro è stato un momento di preziosa elaborazione della sua vita di autentico cattolico, che come tale non richiede e non necessita proprio di alcuna postuma smentita.

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Nel vero figlio fedele di Santa Madre Chiesa aperto all’ascolto, come dicevo poc’anzi prevale per dono e mistero di grazia il sensus fidei, che invece purtroppo non prevale nei rabbiosi fini a se stessi, nei litigiosi e nei narcisisti patologici richiamati in precedenza, ai quali se è tolta la lite e la divisione, è tolto proprio il loro senso di essere e di esistere. E costoro sono coloro che, come dicevo poco addietro, nella Lepanto di oggi si farebbero sconfiggere sommersi da una grassa risata da parte dei musulmani, mentre anzichè combattere sono presi a litigare tra di loro sui più formali e inutili cavilli delle rubriche liturgiche, dicendosi gli uni con gli altri: «la mia è la Messa di sempre », con gli altri che replicano … «Si, però la mia è la Messa di sempre, ma quella di sempre che come tale è molto sempre di più !».

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Antonio Socci ha capito, come molti di noi, che in questo momento storico abbiamo a che fare con un pater familias che sta esponendo la Santa Sposa di Cristo al meretricio sotto i lampioni dei marciapiedi; che bastona le pecore del proprio ovile e che dopo averle gonfiate di bòtte corre gioioso a dire a tutte le pecore smarrite che hanno fatto bene a smarrirsi e che soprattutto devono rimanere smarrite. O forse non è stato sotto questo Augusto Pontificato, che l’eresiarca Lutero, per le peggiori grinfie teutoniche calate da subito sul Successore di Pietro, è finito col divenire persino un «riformatore» e un animo tenero «animato da buone intenzioni» ?

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Antonio Socci, sin da bambino, ha imparato a essere un buon figlio degno di un buon padre; e come lui, questo, lo hanno imparato e vissuto anche molti di noi.

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Il figlio, specie un figlio adulto e maturo, deve però avere anche la capacità ad accettare la realtà di un cattivo padre, senza mai scegliere la strada più facile, quella assolutamente non praticabile che porta a dire: non è mio padre … non è il vero padre!

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L’esistenza del cattivo padre è una drammatica realtà, come lo è quella dei cattivi figli. Ma una cosa che in ogni caso non può essere negata, è la paternità.

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Come pastore in cura d’anime posso dire in coscienza una cosa: ho conosciuto, dentro e fuori dai confessionali, persone in cammino anche verso gli ottant’anni che sono stati figli di pessimi padri, dei quali ricordavano a una a una tutte le cattive azioni: la mancanza di cura per la famiglia, le percosse date alla madre, il maltrattamento dei figli. Eppure, diversi di questi figli, pur dinanzi al ricordo doloroso e disastroso di certi padri tutt’altro che modello, trovandosi ormai in cammino verso la fine della loro vita, sono riusciti a dire a me, loro confessore, alcune parole fondamentali per l’acquisto della pace interiore con sè stessi: «A suo modo, mio padre, mi ha lasciato comunque anche qualche cosa di buono. Una cosa è certa: è il padre che la vita mi ha dato, mai potrei negare di essere suo figlio, anche se avrei desiderato avere molto di meglio, rispetto a un padre tutto sommato disastroso com’è stato lui».

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Assieme ad Antonio Socci non cesseremo mai di pregare per il Regnante Pontefice, che con autentica devozione filiale ricordiamo ogni giorno nel canone della Santa Messa, con l’aggiunta di una particolare intenzione di preghiera: affinché la grazia di Dio protegga sempre Pietro e il ministero petrino sul quale si fonda il mistero della Chiesa, dalle imprudenze e dalle limitatezze dall’uomo Jorge Mario Bergoglio. Siamo infatti consapevoli che l’uomo Jorge Mario Bergoglio passerà, ma il ministero di Pietro sul quale si fonda il mistero della Chiesa, rimarrà sino al ritorno di Cristo alla fine dei tempi. E, molto misericordiosamente, quando Cristo Signore «tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti», non dirà affatto: “Avanti tutti, che tutti siete salvi!”. Cristo Sommo Giudice separerà il grano dalla gramigna; e la gramigna sarà legata in fasci e bruciata all’Inferno, mentre il buon grano sarà riposto nel Paradiso per tutta l’eternità [cf. Mt 13, 24-30]. Questa è infatti la misericordia di Dio, non certo secondo le opinabili opinioni teologiche, ma secondo il deposito della fede Cattolica.

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Dall’Isola di Patmos, 12 febbraio 2017

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