Amoris laetitia, il documento del Santo Padre Francesco sul Sinodo della famiglia
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AMORIS LÆTITIA, IL DOCUMENTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO SUL SINODO DELLA FAMIGLIA
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Questa esortazione ribadisce le verità fondamentali di ragione e di fede, che riguardano il matrimonio e la famiglia, ne delinea le caratteristiche, le finalità e le proprietà così come le ha volute il Creatore, il Quale, mediante la missione e l’opera di Cristo, ha concesso alla Chiesa e alla società civile di legiferare con più precisione in materia, a seconda dei tempi e dei luoghi, tenendo conto della fragilità e peccaminosità umana conseguente al peccato originale, al fine di assicurare il più possibile alla famiglia il massimo dell’esercizio delle virtù, soprattutto della carità, che sboccia nella laetitia amoris.
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Cari Lettori.
vorremmo introdurvi nell’antico meccanismo speculativo delle dissertazioni teologiche, che non sono fatte di «io penso», «io dico», perché la teologia non è ideologica ricerca delle ragioni del proprio io, ma umile ricerca e annuncio degli arcani misteri di Dio. Questo il motivo per il quale è stato richiesto a Padre Giovanni Cavalcoli un articolo in cui evidenziare tutti gli aspetti positivi dell’Esortazione post-sinodale; e il nostro Padre anziano dell’Isola di Patmos ha provveduto in tal senso. Il tutto per offrire un quadro variegato attraverso più scritti redatti da sacerdoti e teologi diversi, introducendo i lettori in quelle che sono le dissertazioni teologiche riassumibili a loro modo con questo esempio: una volta, in ambito speculativo, a me fu chiesto di redigere uno studio nel quale porre in risalto tutti gli “aspetti positivi” del pensiero di Lutero; e ciò mi fu chiesto sapendo quanto fossi avverso al suo pensiero. A un altro mio confratello, che considerava invece con molta morbidezza questo eresiarca, fu chiesto uno studio nel quale porre in luce tutti gli aspetti negativi dello stesso Lutero. Questi preziosi esercizi, che avevano come scopo di salvare i teologi dalla ideologia e dall’egocentrismo, oggi sono caduti in disuso, coi risultati spesso prodotti al presente da non pochi teologi chiusi nella difesa del proprio iocentrismo sostituito da tempo al Diocentrismo.
Ariel S. Levi di Gualdo
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L’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia di Papa Francesco è una summa dottrinale e pastorale della famiglia cristiana, una sintesi ricca, completa e ben ordinata dell’attuale pensiero della Chiesa sull’argomento. Essa ribadisce le verità fondamentali di ragione e di fede, che riguardano il matrimonio e la famiglia, ne delinea le caratteristiche, le finalità e le proprietà così come le ha volute il Creatore, il Quale, mediante la missione e l’opera di Cristo, ha concesso alla Chiesa e alla società civile di legiferare con più precisione in materia, a seconda dei tempi e dei luoghi, tenendo conto della fragilità e peccaminosità umana conseguente al peccato originale, al fine di assicurare il più possibile alla famiglia il massimo dell’esercizio delle virtù, soprattutto della carità, che sboccia nella laetitia amoris.
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Il Papa mette altresì a confronto la vera e sana concezione della famiglia con certe idee, abitudini e pratiche aberranti e malsane, che contrastano col piano del Creatore, la giusta concezione dell’uomo e della donna, la retta ragion pratica, il progetto di Cristo, le leggi della Chiesa, il bene della società civile, il progresso umano e la stessa vera felicità della coppia, impedendo la laetitia amoris. Tuttavia, prima di entrare a trattare dei temi morali, pastorali, psicologici, educativi, culturali, ecclesiali, civili, giuridici e spirituali, che toccano la famiglia, il Papa ha la felice idea di prendere l’abbrivio da molto lontano, ossia dai fondamenti assoluti, inviolabili ed immutabili, metafisici, teologici ed antropologici di tutta la trattazione, senza dei quali le mancherebbero le ragioni di fondo, la consistenza teoretica e l’orientamento essenziale.
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Il Sommo Pontefice infatti sa benissimo che, per scoprire e mettere in luce le cause profonde dei mali, che oggi affliggono la famiglia, per porvi rimedio e per correggere le idee sbagliate e i cattivi comportamenti ed abitudini, che la corrompono e la distruggono, è urgentemente necessario recuperare la concezione realistica della conoscenza [1], per così poter andare con sicurezza ed oggettività alle radici della visione stessa della realtà, della concezione dell’uomo, di Dio e del creato, così come ci viene insegnato dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione ecclesiale e dalla sana filosofia.
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All’inizio del documento, il Santo Padre ci avverte solennemente con le seguenti parole, quasi a darci la chiave di accesso e il criterio per apprenderne il giusto senso e allontanare qualunque strumentalizzazione: «Non cadiamo nel peccato di pretendere di sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono. Al tempo stesso, siamo chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e rispettarla come è stata creata» (n.56).
In poche, dense righe, da meditare a lungo e far fruttare, abbiamo una sintesi di metafisica, di teologia, di antropologia, di gnoseologia e di morale. Il Papa infatti ricorda quello che è stato il peccato originale e che è il peccato dell’ateismo e del panteismo contemporanei: pretendere di sostituirci al Creatore. O l’uomo che si fa Dio e si identifica con Lui o l’uomo che nega Dio e si mette al suo posto. Disgrazia gravissima nell’uno come nell’altro caso.
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In tal caso, l’uomo non ammette un essere, un reale come presupposto del suo pensiero, una realtà presupposta, che lo preceda, realtà, che quindi non ha creato lui, ma l’ha creata Dio. Non ammette questo, per non ammettere un Dio creatore, trascendente, Che ha creato anche l’uomo. No. L’uomo pretende che l’essere si identifichi col suo pensiero e sia quindi sia effetto del suo pensiero, rubando a Dio la sua prerogativa, per la quale in Lui e solo in Lui, Essere e Pensiero sussistenti, il reale è causato e voluto dall’ideale, nel caso, dal Logos divino.
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Dunque, ci spiega il Papa, l’uomo che si ritiene “onnipotente”, non si considera creatura, ma come creatore di se stesso. Non riceve da nessun Dio alcun dono, perché fa tutto da sé, basta a se stesso, decide tutto lui, anche i termini della natura umana, che non è un dato fisso, oggettivo, universale e immutabile, stabilito da Dio, ma che invece egli può plasmare e mutare soggettivamente come vuole. E quindi sta a lui stabilire la legge morale. Non ha alcun Dio da ringraziare, o al quale chiedere aiuto o perdono o misericordia, giacché egli, essendo legge a se stesso, non deve render conto a nessuno, ma è in grado di risolvere da sé tutti i suoi problemi.
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Le conseguenze in morale di questi errori, in particolare nel campo dell’antropologia sessuale, sono chiare. La distinzione uomo-donna non è intoccabile, né è stabilita da Dio, ma è un semplice dato di fatto contingente, che non esclude, ma anzi ammette la possibilità di forme diverse di sessualità, creata dall’uomo. Ecco la teoria del gender.
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Il Papa invece ricorda che la legge morale naturale è stabilita da Dio ed è quindi inviolabile. Nella fattispecie del matrimonio, esso è di per sé un valore naturale, elevato da Cristo alla dignità di sacramento. La Chiesa e lo Stato, ciascuno nel suo ordine, hanno facoltà, diritto e dovere di legiferare, disciplinare e regolare in materia, ma sempre in applicazione delle leggi divine. Queste sono immutabili, mentre le leggi umane, sia della Chiesa che dello Stato, possono mutare.
Il Papa giunge a precisare la natura della guida morale e pastorale delle azioni umane, che non può accontentarsi dell’astrattezza della legge o della norma, ma suppone una lettura attenta delle circostanze, della varietà dei casi e delle situazioni, così da poter determinare od ordinare, con prudenza, giustizia e carità, l’atto particolare o concreto da compiere.
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Tra i molti temi trattati, desidero fermarmi su due questioni, che ormai da molti anni stanno polarizzando l’attenzione della Chiesa, dei vescovi, dei moralisti, delle famiglie e dello stesso mondo laico: la prima, se sia opportuno o meno che la Chiesa conceda la Comunione eucaristica ai divorziati risposati. E la seconda, il giudizio morale da dare alle unioni stabili di persone omosessuali. Il Santo Padre, ai nn. 243 e 298, parla delle condizioni umane e morali delle coppie del primo caso, ma non entra nella questione. Il che vuol dire evidentemente che egli conferma le disposizioni di San Giovanni Paolo II contenute al n. 84 dell’enciclica Familiaris consortio.
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Il Papa ha preferito insistere, in quei numeri ed altri, sia nel presentare modalità, forme e circostanze diverse di quelle coppie, sia nel dare indicazioni ai pastori, vescovi e sacerdoti, e alle stesse famiglie regolari, sul modo di aiutare ed accompagnare con saggio discernimento queste coppie, in un cammino di conversione, penitenza e crescita morale, dedicandosi alle opere buone ed all’educazione dei figli, nel servizio alla Chiesa e alla società, sforzandosi di vivere in grazia di Dio, precisando che, benché non scomunicate, non sono in piena comunione con la Chiesa.
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Il Papa precisa che queste coppie, benché collocate in uno stato di vita irregolare, possono tuttavia e devono mantenersi in grazia e ricevere da Dio il perdono dei peccati, benché ciò non avvenga mediante il sacramento della penitenza, che a loro non è concesso, ma semplicemente grazie alla presenza efficace e diretta della misericordia di Dio.
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Egli quindi risponde alla difficoltà sollevata da coloro che sostengono che, trovandosi essi in uno stato di vita che spinge al peccato, non possono essere in grazia. Uno stato di vita, spiega il Papa, può essere pericoloso, ma questo non vuol dire che chi vive in esso non possa essere in grazia e, d’altra parte, proprio la spinta al peccato fa sì che la colpa diminuisca, giacché nessuno è tenuto a compiere un atto che supera le proprie forze.
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La norma che proibisce ai divorziati risposati di accedere alla Santa Comunione, è una norma che dipende dal potere delle chiavi, ossia è una legge ecclesiastica, che non discende dalla legge divina in modo univoco, necessario e senza alternative, come fosse una deduzione sillogistica, quasicchè, come credono alcuni, un’eventuale modifica, abolizione o mitigazione dell’attuale disciplina introdotte un domani dal Papa, recassero pregiudizio od offesa alla legge divina e alla dignità cristiana del matrimonio. Al contrario, tutto ciò rientra nelle facoltà del Sommo Pontefice come supremo Pastore della Chiesa. Se non ha ritenuto di dover far ciò, lasciando immutata la legge di San Giovanni Paolo II, vuol dire che ha avuto delle buone ragioni per farlo, e noi, da buoni cattolici, accogliamo docilmente e fiduciosamente le decisioni del Vicario di Cristo.
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Passiamo adesso alla seconda questione. Dice il Santo Padre:
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251. Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso [278].
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292. Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società. Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo. I Padri sinodali hanno affermato che la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio [314].
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Qui non ci sono commenti da fare, tanto il testo è chiaro. Quello che possiamo auspicare è che tra società civile e Chiesa possa sorgere, in questa delicata materia, una fruttuosa collaborazione ed accettazione reciproche, fra il punto di vista dello Stato e quello espresso qui dai Padri sinodali col consenso del Papa.
Lo Stato, da una parte, deve rendersi conto del suo dovere, nel suo stesso interesse, di impedire l’aggravarsi di questo fenomeno sociale, che, all’evidenza più palmare, porterebbe, a lungo andare, non dico all’estinzione della Chiesa, alla quale Cristo ha promesso l’eternità, ma a danni gravissimi al consorzio umano e al buon ordine dello Stato.
Quanto alla Chiesa, dal canto suo, è oggi più che mai chiamata ad annunciare il Vangelo della famiglia, non come il residuo di un passato da conservare per forza, o un modello di vita monocromo e monolitico da imporre a tutti, e neppure come una unione contingente, lasciata al capriccio dei singoli, ma come libera e creativa comunità d’amore, che, nella società e nella Chiesa, opera per il bene di entrambi in amoris laetitia.
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[1] Vedi il mio studio La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’Evangelii gaudium di Papa Francesco, in Pontificia Accademia Theologica, 2014/2, pp. 287-316 [testo, QUI]
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Il prof. Spaemann risponde:
“Il vero problema, però, è un’influente corrente di teologia morale, già presente tra i gesuiti nel secolo XVII, che sostiene una mera etica situazionale. Le citazioni di Tommaso d’Aquino prodotte dal papa nella “Amoris lætitia” sembrano sostenere questo indirizzo di pensiero. Qui, però, si trascura il fatto che Tommaso d’Aquino conosce atti oggettivamente peccaminosi, per i quali non ammette alcuna eccezione legata alle situazioni. Tra queste rientrano anche le condotte sessuali disordinate. Come già aveva fatto negli anni Cinquanta con il gesuita Karl Rahner, in un suo intervento che contiene tutti gli argomenti essenziali, ancor oggi validi, Giovanni Paolo II ha ricusato l’etica della situazione e l’ha condannata nella sua enciclica “Veritatis splendor”.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/04/28/spaemann-e-il-caos-eretto-a-principio-con-un-tratto-di-penna/
Detto in altre parole: fare attenzione a chi è più realista del re. Ovvero per quale risultato giocano coloro che sono schierati nel “cerchio bergogliano”?
Se si banalizza la colpa, come hanno fatto molti “esegeti” del papa, si finisce per banalizzare il colpevole e per togliere bellezza alla misericordia. E le lacrime di Maddalena?
http://www.tempi.it/giornali-bergogliani-non-hanno-affatto-capito-il-bisogno-di-noi-peccatori#.Vx9U8TCLTIV
La norma che vieta la Comunione ai divorziati e riposati è IMMUTABILE e NESSUNO la può cambiare come anche il Padre Scalese ha dimostrato citando un documento del Pontifico Consiglio del 2000
Nell’esercizio della libertà dei figli di Dio, gli autori hanno espresso pareri, sollevato domande o avanzato ipotesi. Questo il motivo per il quale abbiamo arricchito L’Isola di Patmos con vari pensieri, sensibilità e pareri.
Lei tenta invece, come di sua consolidata prassi, di mettere le persone le une contro le altre strumentalizzando gli scritti altrui, già lo fece in passato per più e più volte.
Come però può vedere, le abbiamo dato spazio, non essendo nostro costume censurare, sempre nel riconosciuto esercizio della libertà dei figli di Dio.
Vorrei sapere una cosa: se è vero che l’adulterio è un peccato grave, se è vero che per ricevere l’eucarestia bisogna essere in grazia di Dio altrimenti si commette un sacrilegio, e se è vero che la Chiesa non ha il potere di giudicare in che stato sia la singola coscienza di fronte a Dio (per cui non può sapere con certezza se una persona si trova o no in grazia di Dio), come può un divorziato risposato accedere alla S. Eucarestia? Un divorziato risposato che non vive castamente commette adulterio,ovvero un peccato che è intrinsecamente malvagio al di là della responsabilità della coscienza che solo Dio può giudicare. Dunque se è vero che nessuno può sapere davvero se il singolo divorziato risposato sia o meno in grazia di Dio, la Chiesa se la sente di rischiare di dare da mangiare e da bere ai propri figli la loro condanna? Credo che la Chiesa, sospendendo il giudizio su ciò che solo Dio può giudicare, debba condurre gli uomini alla salvezza guidandoli sulla via della santità e difendendoli dal peccato. Come potrebbe allora permettere ad una persona che commette adulterio di accostarsi al Santissimo Sacramento?
Chiedo scusa per il doppio commento, ma leggo che più avanti Padre Cavalcoli scrive, nel suo commento del 18 aprile 2016 alle 21:58:
“La novità sul tema, semmai, è data dalla nota 351, dove è chiaro che il Papa, parlando al condizionale, non enuncia una nuova legge, ma fa presente la sua facoltà, in forza del potere delle chiavi, di mutare legge, ove un domani lo ritenesse bene, conveniente od opportuno.”
Appunto: se c’è davvero una novità sul tema, allora prima la norma era considerata immutabile, come si può ora insegnare che è mutabile?
Se la norma fosse derubricata da immutabile a mutabile, già solo questo fatto in sè (a prescindere che vi sia o non vi sia stato mutamento) introdurebbe un principio di contraddizione nel Magistero che sarebbe dirompente.
Caro Claudio,
Alla nota 351 il Papa accenna alla possibilità o all’eventualità che i divorziati risposati ricevano i sacramenti. Tuttavia, queste parole non vanno interpretate come se il Papa muti la legge stabilita da Santo Pontefice Giovanni Paolo II al n.84 della Familiaris consortio. Se avesse voluto farlo, e in forza del potere delle chiavi, avrebbe potuto farlo, non si sarebbe espresso al condizionale, perché una legge non viene espressa in questa forma, ma all’indicativo o all’imperativo.
Avrebbe detto qualcosa del genere: “Abrogo il divieto voluto da San Giovanni Paolo II e concedo i sacramenti ai divorziati risposati ”. Invece, da come si esprime per tutto il corso di Amoris laetitia e come ce lo ha fatto capire, per incarico del Papa, il Card. Schönborn nel suo commento ad Amoris laetitia, il Pontefice presuppone continuamente la legge di San Giovanni Paolo II e semplicemente ci dà nuove indicazioni pastorali su come interpretarla ed applicarla meglio.
La legge divina e la legge naturale sono immutabili e oggetto del Magistero infalllibile della Chiesa. Invece, la legge canonica, che è emanazione del potere pontificio giurisdizionale, il cosiddetto “potere delle chiavi”, per mandato di Cristo stesso a Pietro [“pasci i miei agnelli”, Gv 21,15], non è garantito dall’infallibilità, anche se, in linea di principio, va accolto con riverente ossequio ed obbedito.
Esso riguarda la legislazione canonica, la disciplina ed amministrazione dei sacramenti e il governo pastorale della Chiesa, in applicazione delle leggi divine e della legge naturale, a seconda dei bisogni e delle opportunità dei luoghi, dei tempi, delle situazioni, delle persone e delle circostanze. In questo campo le leggi non sono immutabili, ma il Papa può mutarle o abrogarle o emanarne di nuove.
Stando così le cose, nessun Papa si sognerà mai di dire che “non è peccato grave qualcosa che naturaliter è peccato grave”, come per esempio l’adulterio o il divorzio, perché qui il potere delle chiavi non c’entra per niente, ma entra in gioco le legge naturale, che non dipende dal Papa, ma dal Creatore.
Se invece si tratta, per esempio, di stabilire, a seconda delle situazioni e dei casi, chi può fare o non fare la Comunione, a che età, con quale frequenza, a quali condizioni, come e dove e simili circostanze, queste cose sono di competenza del Papa. E la questione dei divorziati risposati rientra in questa competenza, dove un Papa può cambiare quello che ha fatto uno precedente, oppure egli stesso può mutare delle direttive da lui stesso emanate.
Ora, l’esclusione dei divorziati risposati dalla Comunione certamente discende dalla legge divina del Matrimonio e dell’Eucaristia. Ma non è detto che anche la concessione della Comunione ai divorziati risposati, in certi casi e in certe situazioni, alla luce di differenti considerazioni, non possa essere un modo diverso di rispettare gli stessi valori divini. E’ a ciò che il Papa accenna con la nota 351.
Egregio Padre Cavalcoli, le chiedo gentilmente di indicare quando e in che contesto il Magistero ha definito mutabile, sebbene non ancora mutata, la norma in questione.
Io sapevo – ma io sono un semplice laico fedele, un discente, ben lieto di correggermi dinanzi all’evidenza – che la Chiesa ha sempre insegnato che la norma è immodificabile, perché sia di diritto divino sia di diritto naturale (es. catechismo n. 1650 “La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo…”, n. 2384 “Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale…” ).
Il potere delle chiavi ha limiti oggettivi, non può dire che non è peccato grave qualcosa che naturaliter è peccato grave. Il Vicario di Cristo non può contraddire Cristo e neppure può cambiare la natura umana.
Il punto è fondamentale, perché tocca un problema di principio. Se la Chiesa muta qualcosa che era immutabile, la sua credibilità cola a picco: qualsiasi cosa dica oggi, ci sarebbe sempre il dubbio che domani o tra un secolo possa rimangiarselo. E allora che voce di Dio è?
La prego di fare chiarezza su questo punto perché ne va della credibilità della fede cattolica.
Grazie
Grazie ai Padri dell’Isola di Patmos e alla redazione per questo momento di riflessione comune su Amoris laetitia, oramai (fin troppo) sulla bocca di tutti.
La lettura di questo bell’articolo di Padre Cavalcoli, seguita dalla lettura dei commenti precedenti il mio, mi ha però fatto sorgere alcune domande. Nel n. 84 di Familiaris Consortio infatti leggo:
“La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”.
Circa quest’ultimo motivo pastorale a mio dire si è proceduto con AL ad un rimodellamento di un nuovo “pregiudizio” pastorale, come se l’accesso alla comunione non fosse più cagione di scandalo per il fedele ne di errore circa l’indissolubilità dell’unico matrimonio, e ci può stare come scelta. Sul primo motivo del n. 84 di FC invece non ho risposta e non riesco a trovarne in questo scritto del Padre Cavalcoli OP. Se davvero Papa Francesco non ha voluto cambiare “la norma” dunque necessariamente egli deve pensare (in AL, non sull’aereo son d’accordo!) che “il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”. Questo da un lato significa che non possono avere l’assoluzione nonostante vivano da fratello e sorella (o ci provino)? Dunque come possono accedere alla Comunione se non hanno assoluzione, devono procedere per grazia ulteriore che può agire anche in situzioni prossime al peccato (e in effetti chi non è molto e spesso “prossimo al peccato” in questo periodo storico…) e comunque sono in uno stato che contraddice l’Eucarestia stessa?
A me pare che logicamente almeno questa idea debba essere variata, almeno implicitamente. Cosa che – mi insegnate – Pietro può fare, non discuto. Però la domanda resta: è variata questa idea? Cioè io posso insegnare (non solo pensare in foro interno) che una seconda unione possa essere considerata in modo diverso rispetto ad essere situazione prossima al peccato da condannare prudenzialmente in foro esterno?
Aggiungo: mi è stato fatto notare su Croce-via un possibile mio misunderstanding. Lo scritto di Padre Cavalcoli semplicemente dichiarebbe che AL non permette in nessun modo la comunione, questo perché in effetti tutto si basa su una nota marginale (351) che dice tutto e nulla a seconda dei lettori (quanta verità nel vostro denunciare il “clericalese” dell’Esortazione). Comprendo quindi le argomentazioni sopra riportate di Fabrizio, non perché l’intervista in aereo valga più di AL, ma perché nella prassi (che Padre Scalese ricorda non essere più ortoprassi) molti, già prima dell’intervista volante, la pensano come Monsignor Carrara di Bergamo…
Grazie ancora per il vostro servizio a noi fedeli e alla nostra Chiesa.
Mauro
Caro Mauro.
Forse, o almeno in gran parte, il Padre Giovanni Cavalcoli ha risposto a molti dei suoi quesiti, nella risposta data sopra a Fabrizio e pubblicata poco prima che ci giungesse questo suo commento.
Grazie della pubblicazione!
In effetti Padre Cavalcoli risponde per gran parte delle mie domande. Rimane aperta una questione che mi sembrava di sollevare: dando per scontato che con AL non ha variato la prassi voluta dai precedessori, in caso il Papa voglia con altro atto estendere/cambiare la modalità di comunicarsi, come è possibile per un divorziato risposato accostarvisi se esso non può avere l’assoluzione completa? Sbaglio a pensarlo perché in realtà l’assoluzione in sede di confessione è possibile? Ma come è possibile se chi si confessa dichiara di non voler cambiare il suo stato risposato che viene classicamente categorizzato come “adulterio”? E se non è possibile, come può prendere alla leggere la comunione? E’ possibile “scusarlo” mediante il ricorso all’ignoranza volontaria? Ma allora che cammino è un cammino che prevede di far restare la persona nell’ignoranza dottrinale così che non si configuri il peccato mortale in mancanza della piena consapevolezza? Sono forse troppo legalistico?
Scusate la confusione… sarò ottimista, ma forse questo scritto ha il potere di chiarire molte cose dottrinali per molti sempre rimaste sfocate, in me in primis.
Stante l’attuale norma dell’esclusione dei divorziati risposati dai sacramenti, essi possono avere l’assoluzione completa dai loro peccati confessandosi direttamente a Dio senza passare attraverso il Sacramento della confessione.
Per perdonare il divorziato risposato tutte le volte che pecca, Dio gli chiede che gli esprima la sua volontà di abbandonare il suo stato di divorziato risposato. Senonché, però, esistono dei casi di divorziati risposati, i quali, per seri motivi, non possono, sul momento, come ha fatto osservare il Papa [n.298], abbandonare il loro stato irregolare. In questi casi, siccome nessuno è tenuto all’impossibile, Dio si accontenta della buona intenzione, anche se il divorziato risposato non ha la possibilità di realizzarla.
Il sacerdote o l’educatore o il formatore deve istruire il divorziato risposato sul fatto che il suo stato è l’effetto di un peccato di adulterio [n.291, 292] e che, per conseguenza, tale stato è molto pericoloso per la sua anima, perché induce facilmente al peccato mortale, anche se, come dice il Papa [nn.301-303], possono esserci delle attenuanti. Ad ogni modo, il divorziato risposato va stimolato al pentimento [n.300] e alla conversione [n.297], in modo che, per quanto è possibile, dandosi alle opere buone (n.299), possa mantenersi in grazia [n.297, 299].
Vorrei chiedere un chiarimento a questa frase:
«La norma che proibisce ai divorziati risposati di accedere alla Santa Comunione, è una norma che dipende dal potere delle chiavi, ossia è una legge ecclesiastica, che non discende dalla legge divina in modo univoco, necessario e senza alternative, come fosse una deduzione sillogistica, quasicchè, come credono alcuni, un’eventuale modifica, abolizione o mitigazione dell’attuale disciplina introdotte un domani dal Papa, recassero pregiudizio od offesa alla legge divina e alla dignità cristiana del matrimonio. ” non è forse in contrasto con quanto è scritto nella Familiaris Consortio, al numero 84: “La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia»?
Le due affermazioni mi sembrano in contrasto: da un lato si dice che la prassi di cui si parla non discende dalla legge divina, dall’altro che è fondata sulla Sacra Scrittura. Potete aiutarmi a capire meglio?
Grazie di una vostra gentile risposta!
Francesco
Quanto mai opportuna la premessa di Don Ariel per comprendere l’ottima riflessione di p. Cavalcoli su vari passaggi positivi dell’esortazione A L, dai più scarsamente considerati, rispetto al tema focale dell’ammissione ai sacramenti delle “coppie irregolari”.
Dopo la “sorprendente per alcuni, scontata per altri” risposta fornita in aereo dal Papa, forse serve una nuova messa a punto in particolare sul controverso capitolo 8, “illogico e incoerente” riguardo alla forma legis e alcuni pensano “erroneo” nella dottrina.
Il Papa, in evidente impaccio come colto di sorpresa, forse perché stanco, ha invitato a leggere il testo letterale dell’A L, integrato dalla nota in calce ed anche “la presentazione fatta” dal card. Schoenborn, dopo averne citato titoli e credenziali., quasi trincerandosene dietro le sue ali protettive. Troppo complicato e contorto,
La Chiesa non dovrebbe parlare il linguaggio dei semplici e dei piccoli, seguendo la parola e l’esempio di Gesù? In buona sostanza, cosa rimane fermo e cosa cambia nelle regole che deve osservare il buon cristiano?
Cari Fabrizio ed Ettore.
Rispondo con piacere ai vostri commenti e quesiti.
riguardo alla questione dei sacramenti ai divorziati risposati, sia quanto il Papa ha detto ai giornalisti in aereo, sia il commento del Card. Schönborn, va interpretato alla luce del testo della Amoris Laetitia, in particolare il cap.VIII, testo dal quale, come ho già detto nel mio commento apparso su questo sito, appare evidente che il Papa non muta quanto San Giovanni Paolo II ha disposto al n. 84 della Familiaris consortio.
Infatti, se il Papa avesse voluto cambiare, lo avrebbe fatto capire, enunciando una legge diversa da quella stabilita da Giovanni Paolo II, cosa che non ha fatto.
Il fatto stesso che egli non entri nell’argomento, è chiaro segno che suppone valida la norma stabilita dalla Familiaris consortio.
La novità sul tema, semmai, è data dalla nota 351, dove è chiaro che il Papa, parlando al condizionale, non enuncia una nuova legge, ma fa presente la sua facoltà, in forza del potere delle chiavi, di mutare legge, ove un domani lo ritenesse bene, conveniente od opportuno.
Cari Padre Cavalcoli e Padre Ariel, intanto ringrazio per la pazienza.
In sintesi, se ho capito bene: state dicendo che l’autorevolezza del Papa mentre scrive AL è diversa da quella del Papa mentre rilascia l’intervista in aereo, anche se sta commentando quel documento? È quel che capisco dall’esempio di “san” Tonino Bello. Quindi, dal momento che il Papa non dice “bianco” in AL, il fatto che lo stesso Papa lo dica in aereo non completa in nessun senso il contenuto del documento?
Grazie.
Caro Fabrizio.
Come ti ha già accennato, Padre Ariel, con l’esempio di Mons. Bello, certamente chiarisce che l’autorevolezza del Papa nell’intervista è inferiore a quella dell’Amoris laetitia. Però il Papa, per una retta interpretazione, cita la presentazione del Card. Schönborn.
Il Papa, alla domanda del giornalista che gli chiede se con l’Amoris laetitia è cambiato qualcosa, dice «potrei di sì», rimandando alla presentazione del Cardinale, senza tuttavia ignorare la nota 351, dalla quale si evince con evidenza che il Papa nella questione dei divorziati risposati, fa riferimento al potere delle chiavi, per il quale il Papa ha la facoltà di legiferare e disciplinare l’amministrazione dei sacramenti e, nella fattispecie, il sacramento dell’Eucaristia, ossia di fissare, a seconda dei tempi, dei luoghi e delle persone, le condizioni canoniche per potere ricevere l’Eucaristia.
Facciamo qualche esempio. Chi conosce la storia della liturgia, sa che la Comunione ai bambini fu voluta da San Pio X. All’epoca di Santa Teresa d’Avila, nel sec. XVI, la Comunione non si poteva ricevere più spesso di ogni quindici giorni. La possibilità della donna di distribuire la Comunione è un’innovazione dalla riforma voluta dal Concilio Vaticano II. La possibilità di far la Comunione due volte in un medesimo giorno è un’innovazione introdotta dalla Chiesa da appena qualche decennio.
Il Papa viene quindi a dire, sia alla nota 351, che nella risposta al giornalista, che un domani, se vuole o lo ritiene bene od opportuno o conveniente, può mutare la norma fissata dal n.84 della Familiars consortio.
Direi dunque che il Papa nell’intervista non dà un vera e propria spiegazione, ma, come ho detto, rimanda sia al suo testo che al Card. Schönborn.
“Il Papa precisa che queste coppie, benché collocate in uno stato di vita irregolare, […]”
Cari Padri di Patmos, mi sembra che purtroppo questo contributo è arrivato un po’ fuori tempo: infatti il Santo Padre, in aereo, ha chiarito che le disposizioni sui sacramenti sono effettivamente cambiate e ha indicato di far riferimento al discorso del card. Schoembern per capire il senso della AL: il quale, mi pare, tra le altre cose ha anche detto che non è più il caso di far distinzioni tra “coppie regolari” e “coppie irregolari”…
Caro Fabrizio.
Alcuni di noi sono sacerdoti da “cinque papi“, altri da “due papi“.
Abbiamo acquisito prezioso insegnamento dal magistero di tutti i Sommi Pontefici.
Nel corso di questo ultimo pontificato, abbiamo però imparato più che mai a non prendere per buono ciò che dicono o che riportano i giornalisti, specie in materia di dottrina e di fede.
Esaminando in modo approfondito il testo di questa esortazione, non appare sancito il cambiamento di alcuna dottrina. E se non è sancito da un documento firmato dal Santo Padre, non può esserlo certo per la risposta riportata da un giornalista.
La invitiamo pertanto a non leggersi sunti o presunte dichiarazioni riportate a destra ed a sinistra, le quali non fanno testo e meno che mai dottrina, ma piuttosto, come abbiamo fatto pazientemente noi, a leggere tutto quanto il documento, incluse alcune centinaia di note.
Temiamo infatti che questo documento corra il rischio di essere troppo commentato e troppo poco letto.
Scusate, ma non sono “alcuni giornalisti”: è riportato dal comunicato ufficiale della Sala Stampa Vaticana.
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/04/16/0275/00626.html
Quanto al documento, lo sto leggendo. Intanto ho letto i punti controversi, e sono più di uno: non sto a ripeterli perché sono stati già riportati e commentati praticamente ovunque. In questo articolo non sono stati analizzati. Che altre parti del documento siano ok non li annulla. Mons. Livi, d’altronde, su La Nuova BQ ha parlato di evidenti contraddizioni presenti nel testo. “Troppo complicato e contorto” dice giustamente il signor Ettore.
Caro Fabrizio.
Il Padre Ariel, nel suo articolo, ha sollevato il problema del linguaggio, inteso non come stile, ma come mezzo e strumento di efficace comunicazione, senza entrare nel merito delle questioni strettamente dottrinali, che sono tutte quante da vedere, proprio perché il testo, almeno alla prima lettura, non è molto chiaro; o come dice giustamente Antonio Livi «troppo complicato e contorto».
Il barbabita Giovanni Scalese, ha sollevato tutta una serie di domande; il domenicano Giovanni Cavalcoli, ha cercato di individuare e indicare gli elementi positivi dai quali partire per cominciare a “districare” il cosiddetto filo della matassa di un testo indubbiamente lungo e molto articolato.
che l’intervista a cui lei si riferisce sia riportata da un comunicato della Sala Stampa Vaticana, nulla conta.
La Sala Stampa della Santa Sede è preposta a riportare e dare resoconto su incontri, discorsi ufficiali, risposte date, saluti formali e saluti informali del Santo Padre, appuntamenti in agenda ecc.. Ma la Sala Stampa, nell’adempiere a questo suo compito, non svolge ad alcun titolo le funzioni della Congregazione per la dottrina della fede, che, su mandato del Sommo Pontefice, interviene, per esempio, con un documento di chiarificazione o con delle precise indicazioni.
Se non si riescono a fare queste ovvie distinzioni, si rischia di cadere (ma questo non è il caso suo) nell’opinionismo selvaggio di molti blogger che sentenziano su questioni di enorme portata e gravità sulla base del “Tizio ha detto”, “Caio ha scritto”, “Sempronio ha riferito” …
E questa nostra è un’Isola abitata da sacerdoti e teologi, non la cuccia di un cagnolino più o meno goliardico.
Il punto non è “Caio ha detto”. Il fatto è che “Papa Francesco ha detto”. C’è anche il video, chiarissimo (dal minuto 17:30 in poi):
https://www.youtube.com/watch?v=FCpruhfRX80
Sono le sue testuali parole, non i commenti più o meno fantasiosi di chicchessia.
Detto questo, non vedo l’ora che la CDF, o chi mi insegnerete ha autorità di precisare e spiegare meglio, intervenga, e che lo faccia al più presto. Ma non si può far finta di ignorare che Francesco ha detto chiaramente “Sì, la disciplina è cambiata”. E ha detto di far riferimento all’intervista di Schoembern per conoscere dettagliatamente il modo corretto di interpretare la AL.
Caro Fabrizio.
Lei sa benissimo che una volta, i Sommi Pontefici, parlavano solo attraverso discorsi ufficiali o attraverso locuzioni scritte contenute in testi altrettanto ufficiali, molto raramente parlavano a braccio e quando lo facevano erano misuratissimi. Ma soprattutto non parlavano con i giornalisti. Mai s’era visto prima d’oggi un Pontefice intervistato dai giornalisti a questo modo e con questa frequenza, con tutto ciò che ne consegue, anche e soprattutto di male, vale a dire di distorto.
Le ribadisco che a me non interessa cosa il Sommo Pontefice abbia detto rispondendo ad un giornalista, «dal minuto 17,30 in poi».
Ciò premesso le rispondo ancora – spero – in modo chiaro e dottrinalmente logico: se parlando a braccio, il Santo Padre, dice che Tonino Bello è un santo vescovo, io che cosa devo fare? Beh, in fondo l’ha detto il Sommo Pontefice parlando dal minuto 12,51 rispondendo ad una giornalista. Lì c’è la sua faccia, la sua voce … insomma c’è il documento, quindi se ne può desumere che il Sommo Pontefice ha canonizzato seduta stante il Bello durante un viaggio di ritorno da Palma de Majorca mentre era intento a rispondere ai giornalisti.
Ebbene, se il giorno dopo, un gruppetto di fedeli, nella chiesa dove io celebro la Santa Messa, portasse una statua di Tonino Bello per collocarla in una cappella laterale, giacché il Sommo Pontefice, rispondendo a una giornalista, ha detto che era un santo vescovo, io fracasserei la statua in testa agli improvvidi fedeli, poi direi loro: «E adesso prendete ramazza e sacco, raccogliete i pezzi e portateli pure al Santo Padre».
E gli intimerei appresso: «fino a quando non ci sarà stata una canonizzazione, per me, Tonino Bello, non sarà mai un santo né un modello di eroiche virtù, a prescindere da ciò che il Sommo Pontefice può avere detto e risposto ad una giornalista mentre era in viaggio di ritorno da Palma de Majorca».