Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Sui cosiddetti “cattolici tradizionali” e sulla “messa tradizionale” [con nota postuma inserita il 27.03.2015]

SUI COSIDDETTI CATTOLICI TRADIZIONALI  E SULLA MESSA TRADIZIONALE

Volersi fermare al 1962 e voler bloccare tutto a prima del Concilio, come se esso non fosse avvenuto o avesse portato la Chiesa fuori strada, non è un vero essere tradizionali, non è fedeltà coerente e saldezza nella verità, ma un congelare un organismo vivente, è impedire il cammino della Chiesa, è ostinata arretratezza e presuntuosa disobbedienza alla Chiesa che avanza nella storia, è un inganno del demonio che conduce alla perdizione.


Giovanni Cavalcoli OP

Giovanni Cavalcoli OP

 

 

Con una nota postuma inserita in fondo dall’autore il 27.03.2015

 

 

cattolici tradizionali

un gruppo di “cattolici tradizionali”

Sta entrando nell’uso un’espressione che a ben guardare crea difficoltà ed appare equivoca, per non dire che è errata e pericolosa: cattolici “tradizionali”, espressione in apparenza innocua, forse anche bella. Essa può sembrare anche giusta, opportuna e appropriata, evidentemente dotata, per coloro che la usano per se stessi e la diffondono, di un senso positivo, quasi a dire: i cattolici fedeli alla Sacra Tradizione.

Un’espressione apparentemente chiarificatrice ma che in realtà, come cercherò di dimostrare, crea confusione e può, al di là delle buone intenzioni, aprire uno spiraglio al lefevrismo. Per questo, in fin dei conti, credo che sia meglio non usarla o quanto meno non usarla nel senso che spiegherò.

Al riguardo propongo le seguenti osservazioni.

Pio X

il Santo Pontefice Pio X

Prima. L’essere tradizionale, come già insegnava San Pio X, è una caratteristica del cattolico come tale, in quanto la dottrina della fede sorge dalla confluenza della Sacra Scrittura con la Sacra Tradizione. Entra nella definizione dell’essere cattolico. Per questo, il parlare di cattolico tradizionale non è che una tautologia, dire lo stesso dello stesso, è come dire che il cavallo è il cavallo. O tutt’al più è un’enunciazione del principio di identità, noto anche ai bambini. Bella scoperta!

L’essere tradizionale entra nell’essenza stessa dell’essere cattolico, così come l’appartenere alla razza equina appartiene all’essenza del cavallo. In tal senso un cattolico che non sia tradizionale, non è un cattolico. Così come un cavallo che non sia equino non è un cavallo. Pertanto, chi si qualifica come cattolico tradizionale, sembra dire: “Noi sì, che siamo i veri cattolici! Noi soli lo siamo!”. Il cattolico non tradizionale, quindi, non può essere un buon cattolico.

Non ha senso, quindi — commento io — aggiungere al termine “cattolico” l’aggettivo “tradizionale”, perchè questo attributo è già implicito nel concetto di cattolico, così come non avrebbe senso o sarebbe un’aggiunta inutile parlare di un cavallo equino.

Paolo VI 2

il Beato Pontefice Paolo VI

Così pure: perché chiamare Messa “tradizionale” solo la Messa vetus ordo? [QUI, QUI, QUI, ecc..] Anche quella novus ordo è la Messa tradizionale, è la “Messa di sempre”. Il Concilio non ha affatto cambiato la sostanza della Messa; ma ha solo apportato delle modifiche accidentali e contingenti, e come ha sostituto le modalità di prima, così un domani le presenti potranno essere sostitute da altre, senza che per questo la Messa venga mutata nella sua essenza.

Non sa distinguere questa gente miope la sostanza dagli accidenti [cf. nostri precedenti articoli QUI, QUI]? La riforma liturgica ha semplicemente introdotto un nuovo rito, un nuovo modo contingente di celebrare la stessa ed identica Messa istituita da Nostro Signore Gesù Cristo. Forse che Gesù Cristo ha celebrato l’Eucaristia secondo il … vetus ordo?

Seconda. Il parlare di cattolici tradizionali sembra alludere al fatto che esistano cattolici non tradizionali, il che poi sarebbe cattolicesimo nuovo o moderno. Ma, stando al loro ragionamento, nel tal caso questo cattolico sarebbe un falso cattolico, perchè non è “tradizionale”.

In realtà bisogna precisare che non ci è proibito l’aggettivo “tradizionale” applicato alla vita dello spirito, andando per analogia a come ci esprimiamo nel campo materiale, come per esempio in quello dell’arte o dell’alimentazione. Così, per esempio, sono apprezzati certi canti tradizionali o certi cibi tradizionali, senza che ciò implichi disprezzo per i canti e i cibi moderni. Ognuno è libero di scegliere.

cibi romagnoli

cibi tradizionali romagnoli

Nessun ristoratore che propaganda cibi tradizionali invita a non comprare cibi moderni. Eppure questi cattolici “tradizionali”, per una specie di disprezzo indiscriminato nei confronti della modernità, sembrano avere questo disprezzo nei confronti dei cattolici che vogliono essere moderni [vedere QUI, QUI, QUI, ecc..]; ed esser moderni — sia chiaro — non vuol dire affatto esser “modernisti”, anzi tutt’altro.

Nella Chiesa non c’è nulla di male che alcuni abbiano più simpatia per la tradizione ed altri invece per il rinnovamento e per il progresso, a patto che tutti stiano nell’ambito dell’ortodossia. Ma allora non conviene usare per chi ama in special modo la tradizione, il termine “tradizionale”, che fa apparire i progressisti, ossia chi ama il progresso, come falsi cattolici, contrari alla Tradizione e modernisti. Progredire è un dovere; essere modernisti è un’eresia.

Tomas Tyn 2

Il Servo di Dio Tomas Tyn,

Meglio sarebbe mantenere il termine “tradizionalista” da tempo largamente usato, dandogli in senso positivo e legittimo come sopra. Io stesso ho scritto un libro sul Servo di Dio Tomas Tyn col sottotitolo di “Tradizionalista postconciliare” [1], alludendo al fatto che esiste un sano tradizionalismo il quale contrariamente al tradizionalismo lefevriano, accoglie lo sviluppo della Tradizione operato dal Concilio e dai Papi del post-concilio, rifiutando nettamente di vedere una contraddizione del magistero conciliare rispetto a quello del pre-concilio.

ariel vetus ordo

Uno dei Padri dell’Isola di Patmos, autore di articoli critici verso il lefebvrismo e le correnti anti-conciliariste, una volta a settimana celebra col vetus ordo missae, contribuendo alla conservazione del Messale di San Pio V secondo le direttive del motu proprio di Benedetto XVI

Terza. Ma quello che desta preoccupazione è che coloro che hanno messo in giro questa espressione e si considerano con vanto cattolici tradizionali, esprimono delle idee che si avvicinano pericolosamente al lefevrismo, in quanto respingono come anti-tradizionali le dottrine del Concilio Vaticano II e quelle dei Papi seguenti, ritenendo che il vero cattolicesimo, fedele alla Tradizione, sia solo quel tipo di cattolicesimo, in quelle forme particolari – per esempio il rito tridentino della Messa -, che esisteva prima del Concilio.

Quarta. Il vero cattolico tradizionale è quello del post-concilio. Ogni vero cattolico, come ho detto, è certamente per essenza tradizionale, ma lo è — e ciò non sembri contraddizione — anche il progressista, come lo fu per esempio il Maritain (non il modernista che è un eretico), ma nel senso dello sviluppo operato dal Concilio e dal postconcilio. Infatti un sano progresso, quale quello promosso dal Concilio, non è altro che uno sviluppo e una migliore conoscenza del dato immutabile della Tradizione.

 

Giovanni Cavalcoli breviario

un altro dei Padri dell’Isola di Patmos che per la liturgia delle ore usa il breviario latino

Questo è il vero rispetto della Tradizione. Volersi fermare al 1962 e voler bloccare tutto a prima del Concilio, come se esso non fosse avvenuto o avesse portato la Chiesa fuori strada, non è un vero essere tradizionali, non è fedeltà coerente e saldezza nella verità, ma un congelare un organismo vivente, è impedire il cammino della Chiesa, è ostinata arretratezza e presuntuosa disobbedienza alla Chiesa che avanza nella storia, è un inganno del demonio che conduce alla perdizione.

Varazze, 24 marzo 2015

[1] Tomas Tyn, un tradizionalista postconciliare, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2007.

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NOTA POSTUMA DEL 27.03.2015  SULLA SOSTANZA DELLA SANTA MESSA

 

 

Secondo lei, rabbino Ariel, per un Cattolico che voglia restare fedele alla retta Dottrina si dovrebbe stare ad ascoltare le “elucubrazioni mentali” di due [censurato] Ariel&Cavalcoli che si mettono a discettare sul nulla distinguendo, per esempio sostanza e accidenti nella Tradizione e nalla Sacra Liturgia, oppure non sarebbe molto più edificante restando con certezza fedeli alla Sana Dottrina Cattolica leggere, per esempio, un brano di un Mistico e grande Sacerdote quale Don Divo Barsotti sul sito Chiesa&Postconcilio, il quale sconfessa le “elucubrazioni mentali” del duo [censurato] Ariel&Cavalcoli su quelli che questi chiamano gli “accidenti esterni”? Penso che a qualsiasi Cattolico che gli sia rimasto il lume della ragione non avrebbe dubbi cosa rispondere.

[Commento postato da Gianluigi Bazzorini il 25.03.2015]

 

 

Luigi Bazzorini è un nostro lettore dai toni fortemente critici. Nell’ultimo suo intervento nel blog ha superato però i limiti della decenza, per cui abbiamo deciso di non pubblicarlo, non perchè esso ci insulta, essendo noi ormai stimati dai buoni cattolici, ma proprio per la salvaguardia del suo onore che sarebbe alquanto compromesso, se certi suoi interventi insultanti fossero pubblicati.
Reteniamo invece di utilità ai lettori trattare, con la seguente nota, la questione da lui sollevata: la distinzione fra sostanza e accidenti è fondamentale non solo in filosofia e nel comune buon senso, ma anche in campo teologico e nello stesso dogma, come per esempio abbiamo nel dogma della transustanziazione.
La sostanza di una persona, per esempio, è la persona stessa nella sua identità, Paolo è sempre Paolo dalla nascita alla morte.
Gli accidenti, invece, almeno quelli contengenti, mutano. Paolo è sempre Paolo, anche se non ha quel dato accidente. Essi riguardano cose che ora ci sono ora non ci sono, ossia ciò per cui Paolo muta: il peso, l’altezza, gli umori, i suoi luoghi di residenza, il grado della sua istruzione, gli abiti che porta, i suoi rapporti sociali, il denaro di cui dispone, ora sano ora malato, ora sveglio ora dormiente, ecc ..

Così similmente la Santa Messa ha una costituzione fondamentale, mancando la quale non è valida; ha un’essenza  immutabile istituita da Nostro Signore Gesù Cristo, ed una forma rituale, convenzionale, gestuale, cerimoniale o rubricistica esteriore ed  accidentale, le modalità o espressioni del rito, che Cristo ha rimesso al potere della Chiesa onde disciplinare le forme accidentali o cerimoniali dei sacramenti.

Per esempio: l’altare volto o non volto verso il popolo, la presenza o meno della balaustra, il Canone Eucaristico ad alta o bassa a voce, le letture fatte o non fatte da una donna, nominare poche o molte volte il sacrificio e gli angeli, poche o molte genuflessioni, la Comunione in bocca o in mano, la lingua latina o italiana, ecc.. sono accidenti esterni che non intaccano la sostanza.

Così, per quanto riguarda la Santa Messa come tale, la sua essenza o sostanza fu istituita una volta per tutte da Cristo, per cui la Chiesa non ha nessun potere di mutarla, ma la conserva immutata nei secoli con l’assistenza dello Spirito Santo.

Sarebbe eretico pensare che la Chiesa possa mutare la sostanza di un sacramento. Essa può mutare invece certi accidenti. Infatti, per quanto riguarda il cerimoniale o il rituale, esso può essere modificato ad arbitrio della Chiesa, secondo le necessità o le opportunità. Qui la Chiesa può emanare leggi o diposizioni anche discutibili e rivedibili. Si può inventare il nuovo o tornare all’antico. Un conto è quindi la dottrina dei sacramenti in sé e di per sé immutabile; e un conto è la pastorale dei sacramenti, in sé di per sé mutevole.

Così il vetus ordo e il novus ordo missae, in quanto modalità contingenti di celebrare la Santa Messa, la lasciano intatta la sostanza di fede e toccano solo l’aspetto accidentale e mutabile.

Il Concilio Vaticano II ha stabilito il novus ordo missae. Domani un altro Concilio  potrà cambiare ancora questi aspetti accidentali e non sostanziali. L’esistenza del novus ordo non proibisce in dovute circostanze l’uso del vetus ordo missae. Si tratta sempre della Messa. Chi può, è libero di scegliere. L’importante è che la Messa sia valida, lecita e celebrata dignitosamente, nel ripetto delle regole e del rispettivo rito. Sarebbe dunque un errore credere che la sostanza della Messa sia conservata solo nel vetus ordo o che viceversa il vetus ordo missae sia da proibire.

L’importante è che tutti ci sentiamo una cosa sola attorno al mysterium fidei, sia che preferiamo il novus ordo, sia che preferiamo il vetus ordo missae.  

Giovanni Cavalcoli, OP

Varazze, 27 marzo 2015