L’elogio dell’eresia di Paolo Pasqualucci
L’ELOGIO DELL’ERESIA DI PAOLO PASQUALUCCI
[…] adempiendo giornalmente alle mie funzioni sacramentali ho l’indegno onore di annunciare il Verbo di Dio all’assemblea dei fedeli, proclamando il quale non dico mai – e come me non lo dicono i miei Venerabili Fratelli Sacerdoti, inclusi gli epistemologi — « Dal Iota Unum secondo Romano », né il Popolo di Dio risponde: « Lode a te Amerio ».
Il testo del Prof. Paolo Pasqualucci al quale è stata data la risposta che sotto segue è leggibile QUI
Carissimo figliolo.
La professorite cronica è una malattia dalla quale spesso non si riesce a guarire e non di rado può portare a sprofondare in parte nella tuttologia cosmica in parte nel delirio di onnipotenza. Per questo comincio subito col dirle che qualora lei avesse visto il kolossal cinematografico I Dieci Comandamenti con la splendida interpretazione di Charlton Heston nel ruolo del Patriarca Mosè e di Yul Brynner nel ruolo del faraone egizio [vedere QUI], ciò non la autorizza a sentirsi un esperto in scienze bibliche né a dispensare una sapienza che mostra di non avere nel merito specifico dei temi che ha presunto di trattare nel suo articolo oggetto di questa mia risposta, al di là delle sue intenzioni interiori che io non posso leggere né giudicare. Stando però a ciò ch’ella scrive ed esprime pubblicamente — non ultimo attraverso ampi copia e incolla fatti su testi di autentica fantascienza canonistica tratti dagli scritti diffusi dai circoli lefebvriani — devo prendere atto che dalle sue righe non traspaiono né buone intenzioni né autentici sentimenti cattolici.
Per il mandato a me conferito dalla Santa Chiesa di Cristo sono stato chiamato attraverso il sacerdozio ministeriale all’esercizio della paternità universale sui Christi fideles che il Signore Gesù ha affidato a Pietro e agli Apostoli comandando loro di pascere il suo gregge [cf. Gv 21, 15-17]. Noi presbiteri siamo i diretti collaboratori degli Apostoli depositari della pienezza del sacerdozio i quali hanno trasferito su di noi parte delle loro potestà sacramentali, docenti e di governo; ed in piena comunione e devota obbedienza ai nostri vescovi siamo chiamati all’esercizio del sacro ministero secondo il nostro grado sacramentale.
Esercitando il sacro ministero ed i poteri sacramentali e docenti ad esso correlati per il servizio alla Chiesa Cattolica e al Popolo di Dio, nei miei scritti parto sempre citando il Santo Vangelo; al contrario di lei che chiamando in causa anche la Signora Maria Guarini che ha ospitato il suo scritto nel proprio blog, parte invece all’attacco dirompente citando avanti a tutto l’opera Iota Unum di Romano Amerio.
Ritengo doveroso informarla che nell’adempiere ogni giorno alle mie funzioni sacramentali ho l’indegno onore di annunciare il Verbo di Dio all’assemblea dei fedeli, proclamando il quale non dico mai — e come me non lo dicono i miei Venerabili Fratelli Sacerdoti, inclusi gli epistemologi — «Dal Iota Unum secondo Romano», né il Popolo di Dio risponde: «Lode a te Amerio». All’assemblea riunita per la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, prima che il sacerdote acclami il Santo Vangelo, uno o più lettori proclamano letture e salmi tratti dai Libri della Rivelazione. Posso assicurarle che in nessuna chiesa si legge il Denzinger durante l’azione liturgica, né i trattati narcisistici dell’estetica filosofica in cui si proclama che «la bellezza ci salverà», perché è stato il sangue dell’Agnello Immolato che ha lavato il peccato del mondo [cf Gv 1, 29], non la bellezza di certi filosofi ameriani intrisi di una estetica estetizzante che ha quasi il sapore della gnosi, oltre ad una languorosa carenza di virilità spirituale.
Tutte cose che la prego di riferire anche alla Signora chiamata in causa nel suo scritto da lei, non da me che ho già detto ad essa in coscienza, per il suo sommo bene e per la salvezza della sua anima, ciò che ero tenuto a dirle [vedere QUI]; perché per quanto ella possa piccarsi di essere una che s’intende non solo di liturgia ma addirittura della sola, autentica e vera liturgia cattolica, resta pacifico che non è certo questa Gentildonna a celebrare i sacri misteri nella nostra Santa Chiesa ordinata su precisi ruoli, all’interno della quale ciascuno dovrebbe stare al proprio posto ed adempiere a quanto gli è concesso adempiere nella economia della salvezza. Infatti, nei tempi paradisiaci dei quali questa come altre Gentildonne della vera “Traditio” piangono lacrime di nostalgia — per esempio sotto l’augusto pontificato del Santo Pontefice Pio X — non solo, non sarebbe mai stato a loro permesso di parlare di teologia o di liturgia, ma non sarebbe stato neppure a loro permesso di cantare nel coro parrocchiale. Ammonisce infatti San Paolo Apostolo:
«Come in tutte le Chiese dei santi, le donne tacciano nell’assemblea, perché non è loro permesso di parlare. Obbediscano invece, come dice la legge. Se desiderano apprendere qualcosa, interroghino a casa i propri mariti, poiché è sconveniente per una donna parlare nell’adunanza» [I Cor 14, 33-35].
L’Apostolo non è un misogino, sia chiaro, egli intende solo ammonire ricordando alle Guarini dell’epoca il loro preciso ruolo nell’economia della salvezza, il tutto in una situazione sociale — quella dell’antica città di Corinto — nella quale le donne cercavano di predominare e dettare legge anche a vescovi, presbiteri e diaconi, investiti per grazia divina di un ruolo non concesso alle donne, incluse quelle più o meno pie, più o meno esperte in liturgia e in teologia. Evitino pertanto certe Gentildonne e Gentiluomini di sbraitare “Traditio, Traditio! ” e prendere poi dalla Tradizione Apostolica e dalla storia della Chiesa solo ed esclusivamente quello che fa a loro comodo, trattando infine la dignità sacerdotale letteralmente a pesci in faccia per opera di laici “cattolici” che come lei, Chiarissimo Professore, mostrano sì vere carenze, ma non sulla teologia, ch’è cosa parecchio profonda e seria, bensì sul Catechismo della Chiesa Cattolica, ch’è cosa altrettanto profonda e seria, il tutto con buona pace per i suoi ampi copia e incolla di fantascienza canonistica tratti dagli scritti dei circoli lefebvriani.
Respingo le accuse a me rivolte di «carenze filosofico-teologiche» non perché indignato, meno che mai perché da esse ferito, ma per il sacro rispetto che nutro verso il Vescovo che mi ha consacrato sacerdote e per il suo successore all’obbedienza del quale sono oggi filialmente sottomesso, posto che il primo non avrebbe mai consacrato sacerdote un adulto ignorante, il secondo non lo avrebbe mai lasciato proferire impunemente errori, specie considerando che i miei scritti sono letti da migliaia di lettori e non di rado tradotti anche in lingue diverse dall’originale italiano. Nel respingere certi addebiti ingiusti e privi di fondatezza non intendo quindi difendere la dignità mia — cosa che ripeto non m’interessa fare — ma quella del Vescovo che mi ha consacrato sacerdote e quella del Vescovo alla cui obbedienza sono oggi sottomesso.
Ribadisco per questo che né il mio Vescovo — che come Sommo Maestro di Dottrina ha giurisdizione su di me, quindi precisi doveri di correzione e di richiamo nei miei confronti — né la Congregazione per la Dottrina della Fede sposerebbero mai questa accusa a me rivolta, che ripeto mi lascia del tutto indifferente. Se darmi però dell’ignorante lacunoso può allietare il microcosmo dei vostri cupi farisei e dei vostri pelagiani tristi, in tal caso faccia pure, sempre ammesso che lei trovi qualche cattolico disposto a prestarle ascolto al di fuori del vostro ghetto auto-referenziale, oltre il quale e fuori dal quale c’è il mistero della Chiesa con il suo Popolo in cammino, che lungi dal vivere immobile, o dal saltare come le rane sempre nella medesima pozzanghera d’acqua rafferma, abita in Cristo e procede ben oltre i vostri delimitati e limitanti recinti fatti di mille sofismi e di virgole soppesate in modo parossistico.
Il fatto che lei, o chi ha ispirato la sostanza del suo scritto, proclami su un celebre blog la pagliuzza delle mie annunciate ma non provate «carenze filosofico-teologiche», non dovrebbe in alcun modo esentare il suo ghost writer dal vedere la trave che Lei&Compagni portate conficcata nell’occhio, per esempio le sue effettive carenze teologiche, ecclesiologiche e canoniche che non sono mie mere opinioni ma dati racchiusi nei suoi scritti sconcertanti e mistificanti, perché strutturati principalmente su estrapolazioni operate in modo selvaggio dai contesti complessi e articolati dei pregressi documenti del Magistero antecendenti al “tremebondo” Concilio Vaticano II, o da brandelli de-contestualizzati tratti dalla letteratura degli antichi Padri della Chiesa di cui lei tende a fare maldestri collage per produrre effetto su quei semplici che — al contrario di me e di altri miei confratelli teologi — non hanno potuto dedicare anni della propria vita a studiare i testi patristici nella loro articolata interezza e negli originali greci e latini. Tutto questo la unisce in triste sodalizio a coloro che errano perché spinti dagli impulsi di quella superbia che impedisce loro di accettare un dato dogmatico elementare: la custodia della fede è affidata alla Santa Chiesa di Cristo che venera nella figura del Successore del Principe degli Apostoli l’espressione vivente del suo supremo custode e garante essendo lui chiamato a confermare i fratelli nella fede [Lc 22, 31-32]. È pertanto con severa amorevolezza pastorale e dottrinale che la ammonisco dicendole: chi è contro Pietro non è contro Jorge Mario Bergoglio, come crede lei e come credono i suoi sodali in pubblica e fiera eresia, ma è contro Cristo di cui Pietro, roccia edificante della Chiesa [cf. Mt 16, 18-19], svolge per sua divina volontà e mandato funzione vicaria: «Chi non è con me è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» [Mt 12, 30].
Per sereno imperativo di coscienza sono tenuto a dirle che i suoi scritti sono un autentico ricettacolo di eresie, ed in breve le spiego perché: da anni lei rigetta pubblicamente in essi il magistero dell’ultimo mezzo secolo di storia ecclesiale, pone in discussione la autorevolezza di un Concilio Ecumenico di cui rigetta le dottrine, il tutto con gravi e inaccettabili accuse di errore e di deviazione dalla Traditio catholica puntualmente rivolte a tutti i pontefici succedutisi sulla Cattedra di Pietro dal 1958 a oggi. Accuse, queste sue, rivolte con particolare durezza nei suoi numerosi articoli proprio a quei Sommi Pontefici che sono stati canonizzati o beatificati dalla Santa Chiesa di Cristo: San Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI, San Giovanni Paolo II.
Riponga quindi nello scaffale certe teorie discutibili del vostro “divinizzato” Romano Amerio, così talentato e intelligente ma così cupo e privo di fiduciosa speranza, al quale riconoscete una “infallibilità” non riconosciuta invece ad un’intera assise ecumenica; e specie in questa Quaresima prenda in mano i quattro Vangeli, perché quelli e solo quelli sono Parola di Dio, non il Iota Unum di questo grande e talentato filosofo che ha prodotto anche non pochi danni quando ha principiato ad usare il proprio metro filosofico per fare il teologo e l’ecclesiologo che di fatto non è.
In spirito di fede, speranza e carità non cesserò di pregare con sacerdotale paternità affinché lei e la Signora Maria Guarini possiate correggervi da questi gravi errori che con vostra grande responsabilità diffondete quali false verità tra i credenti; errori che vi rendono chiusi all’ascolto e alle azioni della grazia di Dio; errori venefici nei quali vi state confermando gli uni con gli altri e che vi spingono in modo diabolico a considerare la Santa Chiesa di Cristo come la prima, la peggiore e la più grande nemica della vostra distorta ed erronea idea di fede e di Traditio catholica, sino a considerare e presentare il Successore di Pietro, supremo pastore e garante del depositum fidei, come un “distruttore” e un “falsificatore” delle verità di fede; e tutto questo fa di voi dei pericolosi eretici in quanto diffusori di velenosi errori tra il Popolo di Dio.
Questo agire è in parte stoltezza in parte aberrazione, specie per lei che nella sua veste di filosofo del diritto presume di riuscire a muoversi in modo agevole sul terreno di complesse e delicate dinamiche teologiche e di altrettante complesse e delicate discipline canoniche, che nei concreti fatti mostra però coi suoi pubblici scritti di non conoscere né bene né a fondo. Prendere poi per buone le “ragioni” dei lefebvriani che tentano di giocare su cavilli bizantini campati in aria e mirati soprattutto ad alterare la solare verità dei fatti e di come i fatti si sono palesemente svolti, sappia che può solo condurla sul baratro di quel farisaismo di cui questi soggetti sono naturali eredi. Quando infatti i farisei non poterono contestare al Signore Gesù il dato di fatto che aveva guarito dinanzi a numerosi testimoni un uomo cieco dalla nascita, volendolo comunque attaccare alterarono a tal punto la realtà sino ad accusarlo di avere compiuto un miracolo di sabato, giorno nel quale è proibito lavorare, quindi compiere persino miracoli [Gv 9, 16].
Vi affido quindi di nuovo alla misericordia di Dio con una preghiera speciale allo Spirito Santo in questa IV domenica di Quaresima.
Ariel S. Levi di Gualdo – presbitero
Dall’Isola di Patmos, 15 marzo 2015 – Domenica Laetare
Veni Creator Spiritus
Veni, creátor Spíritus,
mentes tuórum vísita,
imple supérna grátia,
quæ tu creásti péctora.
Qui díceris Paráclitus,
altíssimi donum Dei,
fons vivus, ignis, cáritas,
et spiritális únctio.
Tu septifórmis múnere,
dígitus patérnæ déxteræ,
tu rite promíssum Patris,
sermóne ditans gúttura.
Accénde lumen sensibus,
infúnde amórem córdibus,
infírma nostri córporis
virtúte firmans pérpeti.
Hostem repéllas lóngius
pacémque dones prótinus;
ductóre sic te prǽvio
vitémus omne nóxium.
Per Te sciámus da Patrem
noscámus atque Fílium,
teque utriúsque Spíritum
credámus omni témpore.
Deo Patri sit glória,
et Fílio, qui a mórtuis
surréxit, ac Paráclito,
in sæculórum sǽcula.