La questione dell’eresia e degli eretici, ieri e oggi
LA QUESTIONE DELL’ERESIA E DEGLI ERETICI, IERI E OGGI
Qualunque fedele ben saldo nella fede, sensibile al bene delle anime, bene informato del caso, può pronunciare, con prudenza e dopo attento esame, la nota di eresia a carico di un altro fedele; può anche denunciarlo, se crede e se ciò può servire al bene dell’eretico e a quello dei fedeli […]
Un termine delicato ma importante del linguaggio cristiano, da usare con prudenza, nelle dovute circostanze e con cognizione di causa, è quello di “eresia”, la quale consiste in generale nella scelta (àiresis, αἵρεσις) di una proposizione falsa nel campo della dottrina della fede o nella soppressione o negazione o dubbio volontari di qualche verità di fede. Ora, siccome la fede è verità, l’eresia è una proposizione falsa contro la dottrina della fede. L’eretico non accoglie con vera fede (fides qua) tutto quanto (fides quae) la Chiesa, a vari livelli di autorità, ci dà a credere come è contenuto nel deposito della divina Rivelazione, le cui fonti sono la Scrittura e la Tradizione. Egli invece fa una cernita arbitraria; ossia, ritenendosi magari direttamente illuminato da Dio, sceglie soggettivisticamente tra i contenuti della fede solo quelli che gli piacciono o gli fanno comodo o trova conformi alla sua ragione. Il che denota la mancanza di una vera fede, anche se il soggetto accetta gli altri contenuti, perchè chi crede, accoglie con fiducia tutto quello che l’autorità gli rivela. Viceversa, è precisamente quando si tratta di dati univoci od omogenei alla ragione, che la ragione ha il diritto e il dovere di fare un vaglio in base ai suoi princìpi e al suo metodo e di assumere solo ciò che è conforme a ragione e può essere intuìto o dimostrato dalla ragione. Invece le verità di fede non contrastano con la ragione, ma le sono però superiori, in quanto verità divine, cosicchè, se può esservi armonia tra ragione e fede, dato che l’una e l’altra si fondano in Dio, tale armonia non consente alla ragione di rendersi evidenti quelle verità, che restano certissime, ma per lei misteriose e trascendenti.
Questa incongruenza dell’intelletto dell’eretico con la verità e quindi la sua nozione falsa, che peraltro a lui appare vera, può essere cosciente e intenzionale, oppure può essere inconsapevole e involontaria. Nel primo caso si dà una colpa grave, perchè sopprime o falsifica la fede sotto l’angolo di quella proposizione. E poichè ogni verità di fede è necessaria alla salvezza, un’eresia compromette la salvezza, anche se si tratta di una sola proposizione, così come basta un solo peccato mortale per togliere la grazia. Così similmente in un organismo, qualunque corruzione o disfunzione di un organo vitale, anche se gli altri restano sani, provoca la morte del soggetto.
Nel secondo caso il soggetto non sa di essere nell’errore, per cui non ne ha colpa. Supponendo che egli ami la verità, se viene illuminato, facilmente si corregge. Invece l’eretico volontario, siccome è attaccato al suo errore, anche se confutato, persiste nel restargli attaccato in quanto preferisce il suo giudizio a quello della Chiesa, che lo avverte della sua eresia, che egli continua a professare non per amore della verità, ma perchè gli fa comodo o per superbia o per altri interessi estranei all’amore per la verità.
L’eretico non è semplicemente chi nega una verità di fede o un dogma, ma è il cattolico che tradisce la fede passando all’eresia. Per questo, quei soggetti, come per esempio i protestanti, che nascono in un ambiente protestante e ricevono un’educazione protestante, benchè nelle loro dottrine siano contenute oggettivamente delle eresie, non possono propriamente essere denominati “eretici”, ma, secondo l’espressione coniata da San Giovanni XXIII, ed entrata nell’uso, sono “fratelli separati“, Essi, come insegna il Concilio, appartengono alla Chiesa, ma senza essere in piena comunione, per cui la Unitatis Redintegratio auspica che essi un giorno entrino nella Chiesa cattolica [vedere QUI].
L’eresia si oppone alla verità rivelata o di fede, sia essa la Parola di Dio, sia il dogma o sia la dottrina della Chiesa. Essa dubita del vero e sospetta il falso; scambia il vero col falso e il falso col vero; l’apparenza con la verità e la verità con l’apparenza; relativizza l’assoluto ed assolutezza il relativo; rende mutevole l’immutabile ed immutabile il mutevole; confonde ciò che è distinto; oppone ciò che è unito; prende la parte per il tutto (“ideologia”) e il tutto per la parte.
Il Nuovo Testamento, pur ritenendo inevitabili le eresie a causa della debolezza e della malizia umana [I Cor 11,19], considera le eresie come “dottrine diaboliche” [I Tm 4,1] e mette in guardia contro gli eretici [Tt 3,10]. L’eretico «rifiuta di volgersi alla verità per dare ascolto alle favole» [II Tm 4,4]. È un “anticristo” che si separa dalla comunità cristiana [I Gv 2,19]. L’eresia è una sapienza “terrena, carnale, diabolica” [Gc 3,15]. San Giovanni è severo contro gli eretici: occorre star lontani da loro: «chi va oltre e non si attiene alla dottrina di Cristo, non ricevetelo in casa e non salutatelo; poichè chi lo saluta, partecipa delle sue opere perverse» [II Gv 11].
La Chiesa sin dagli inizi, nei decreti dei Papi e dei Concili, dopo un opportuno avvertimento all’eretico, se questi non si correggeva, si è sempre premurata di segnalare gli eretici alla comunità ed eventualmente di punirli, affinchè stesse in guardia ed evitasse il loro errore. Un provvedimento disciplinare canonico è la scomunica, il cosiddetto anàthema sit, la quale ha il compito di chiarire che l’eretico, a causa della sua eresia, non può essere considerato come membro di quella comunità, che è fondata su quella verità che egli rifiuta. Tuttavia la Chiesa, anche nel caso degli eretici, non sempre ricorre alla scomunica, ma possiede anche altri mezzi e modi per stimolare ed indurre il peccatore al pentimento e ad abbandonare il suo errore.
Mentre tuttavia una scomunica può essere tolta, quando la Chiesa condanna un’eresia, come è dimostrato dalla storia stessa [vedere QUI], non ritira mai la sua sentenza [vedere QUI, QUI], perchè è da ritenersi che la Chiesa sia infallibile in questo tipo di giudizi, che toccano, sia pur sub contrario, la dottrina della fede.
Nel diritto canonico l’eresia si configura come un crimine o un delitto, che quindi può essere punito dietro regolare processo, avviato a seguito di denuncia sporta alla competente autorità giudiziaria ecclesiale, da quella episcopale a quella romana. Oggi i processi per eresia sono molto rari. I pastori preferiscono interventi meno formalizzati e più morbidi o duttili, a seconda dei casi, promovendo le buone qualità dell’eretico e mirando più che alla punizione, alla correzione. Questo stile più evangelico e più rispettoso della persona dell’eretico e fiducioso nelle capacità di autodifesa di un popolo di Dio dovutamente informato in quelle verità che sono negate dall’eretico, trae origine dalla riforma pastorale e canonica promossa dal Concilio Vaticano II, il quale, pur condannando gravi errori del mondo moderno, non pronuncia mai la parola “eresia” preferendo espressioni equivalenti. E neppure esistono i tradizionali canoni contro gli eretici.
L’eresia nel senso più forte è la negazione di un dogma solennemente ed esplicitamente definito [dottrina ex cathedra]. Ma siccome il Magistero della Chiesa insegna infallibilmente le verità di fede o connesse alla fede anche a due livelli o modalità inferiori di autorevolezza, come per esempio è avvenuto per le dottrine del Concilio Vaticano II [vedere mi precedente articolo QUI], chi non accettasse queste dottrine di autorità inferiore, certamente non peccherebbe contro la fede divina e quindi non potrebbe essere considerato propriamente eretico; e tuttavia il suo errore potrebbe essere qualificato come “prossimo all’eresia” (haeresi proximum), in odore di eresia (haeresim sapiens) o quanto meno disobbediente al Magistero autentico della Chiesa: offensivo delle pie orecchie (piis auribus infensum).
Qualunque fedele ben saldo nella fede, sensibile al bene delle anime, bene informato del caso, può pronunciare, con prudenza e dopo attento esame, la nota di eresia a carico di un altro fedele; può anche denunciarlo, se crede e se ciò può servire al bene dell’eretico e a quello dei fedeli, al Vescovo o alla Congregazione per la Dottrina della Fede [vedere nostro precedente articolo QUI]. Non è quindi necessario considerare eresie o eretici solo quelle dottrine o coloro che sono stati esplicitamente condannati dalla Chiesa. Certo, di queste eresie si può avere assoluta certezza e il condannarle da parte nostra può dare gran forza al nostro giudizio. Ma nessuno ci impedisce, anzi l’amor Christi che urget nos, ci spinge a prender nota delle eresie che sono in circolazione, e sono parecchie, per vedere che cosa si può fare per porvi rimedio.
Indubbiamente il vaglio e il discernimento delle eresie non è facile. Occorre avere un grande amore per la verità ed essere animati da una grande carità: occorre essere ben preparati nella dottrina cattolica e saper interpretare i detti e gli scritti degli altri. Occorre sforzarsi di interpretare in bene, a meno che l’errore non sia evidente. Occorre sempre però, in linea di principio, mettere in conto di potersi sbagliare nell’interpretare o nel giudicare: o troppo severi o troppo miti. Una proposizione che appare ereticale ut littera sonat, ossia secondo il significato oggettivo, proprio e coerente delle parole, potrebbe non essere eretica nelle intenzioni e nel significato inteso dall’autore, che non si è espresso bene o con proprietà di linguaggio, ma intendeva dire un’altra cosa che, a conti fatti, è ortodossa.
La Chiesa condanna sempre, quando lo fa, un’eresia ut littera sonat, ossia nel significato letterale, in quanto oggettivamente reca danno ai fedeli e suscita adepti, magari senza fare il nome dell’autore, per non affrontare la questione a volte spinosa di cosa intendeva dire esattamente l’autore, ma la cosa da un punto di vista pastorale non interessa. L’importante è che i fedeli vengano preservati dall’errore e sappiano qual è la verità opposta.
La Chiesa fa il nome dell’autore, quando si tratta di una dottrina sua propria o intende censurare l’esponente principale o l’iniziatore di un movimento ereticale o quando gli aderenti di tale movimento eventualmente sono astuti nel declinare o nascondere la loro responsabilità. Oggi però la Chiesa evita spesso di fare il nome, onde impedire un’esagerata opposizione all’eretico, che ne misconoscerebbe le qualità, che possono essere anche grandi e benefiche per altri versi.
Oggi però soprattutto — si veda per esempio il caso del Beato Antonio Rosmini — la Chiesa, valendosi di più progrediti metodi e mezzi dell’ermeneutica, come per esempio il metodo della contestualizzazione, della storicizzazione, o della varietà dei linguaggi e dei modi espressivi o la stessa psicologia dell’autore, cerca di mettere in luce eventuali buone intenzioni o buona fede dell’autore, così da scagionarlo almeno dall’eresia “formale”, ossia colpevole e da ammettere solo un'”eresia materiale”, inconscia ed involontaria, che salva l’innocenza dell’autore.
Non si può ammettere invece che la Chiesa si sbagli nell’interpretare il pensiero di un autore, sì da condannarlo erroneamente per eresia. L’dea quindi di certi falsi ecumenisti, secondo la quale il Concilio di Trento non avrebbe capito Lutero è assolutamente falsa e il tentativo di presentarlo come cattolico incompreso è pure causa assolutamente persa, dopo cinque secoli di studi dottissimi ed numerosi interventi del Magistero a suo riguardo.
L’ecumenismo voluto dal Concilio è certo una benedizione e un dono dello Spirito Santo, in quanto accordo tra cattolici e protestanti nelle verità che sono rimaste comuni; ma non facciamone il cavallo di Troia per far entrare le eresie di Lutero all’interno della Chiesa, chè questa non sarebbe più opera dello Spirito Santo, ma del demonio. E ne abbiamo già la prova dalla confusione creata dai modernisti, i quali, come già osservava San Pio X nella Pascendi dominici gregis, sono allievi dei protestanti [vedere nostri articoli precedenti QUI, QUI]. Semmai, sono questi falsi ecumenisti, che non hanno capito nè Lutero nè il Concilio di Trento. Ma essi stanno recando un grave danno, in quanto impediscono che oggi l’autorità ci ricordi le eresie di Lutero. Ma se circolano come circolano le eresie luterane, sotto mentite spoglie, senza che l’autorità intervenga, ciò non toglie che esse restino eresie; tuttavia non si può escludere che in certi casi il mancato intervento dell’autorità sia motivato da ragioni valide, come per esempio l’opportunità o l’evitare un male maggiore e però anche da motivi meno nobili, come la negligenza o il rispetto umano.
Considerando i contenuti ereticali o supposti tali o para-ereticali, occorre stabilire l’entità o la portata o il peso dell’errore, a quale grado di autorità della Chiesa esso si oppone, di quanto si allontana dalla verità, il danno che esso provoca, quelle che tradizionalmente si chiamano le “note teologiche”. Il supposto errore si oppone a un dogma o solo a una dottrina della Chiesa o solo a un’opinione teologica? Una volta accertata l’entità dell’errore, occorre innanzitutto tentare di persuadere l’eretico a tu per tu, come prescrive il Vangelo. La denuncia pubblica dell’errore va fatta solo se l’eretico rifiuta la correzione e se la sua eresia seduce molti. Per una piccola fiammata possono bastare due secchi d’acqua. Ma per un incendio, bisogna chiamare i pompieri. Per questo Cristo dice che, se il fratello non ascolta nel colloquio privato o nel trattare la cosa tra due o tre, occorre avvertire la Chiesa [cf. Lc 17, 1-4; Mt 18, 15-17].
L’eresia non è una semplice opinione contraria che non scalfisce l’unità della fede, ma essa invece corrompe la fede. Guai a trattare da eretico chi semplicemente ha un’opinione contraria o diversa! Ma anche guai a lasciar correre eresie che mandano in perdizione le anime sotto pretesto della libertà di pensiero o di pluralismo teologico! Certezza teologica e certezza di fede sono due cose ben diverse. Oggi si tende a ridurre tutto ad opinione, anche le certezze di fede: per questo, se qualcuno cade nell’eresia, si pensa semplicemente che abbia un’opinione diversa. Non si dà peso al fatto che un certo modernismo e un certo tradizionalismo retrivo sono eresie. Oppure avviene il contrario: chi la pensa diversamente da me è un eretico. Occorre recuperare i criteri oggettivi per le valutazioni e non lasciarsi trasportare dai pregiudizi, dall’emotività e dalla faziosità. Altrimenti, che cattolici, che “universali” siamo, se ognuno vuol tirare il sacro nome di cattolico dalla sua parte?
Occorre distinguere l’errore in campo teologico o esegetico dall’eresia. Il teologo e l’esegeta si occupano certo della dottrina della fede o della Chiesa, ma mediante la loro scienza, la quale certamente è fondata su princìpi di fede e sui dogmi; ma la teologia e l’esegesi costruiscono il loro sapere mettendo in opera e avvalendosi di mezzi e metodi cognitivi elaborati dalla ragione.
Ciò comporta il fatto che la ragione, essendo fallibile, può sbagliare in due modi: o all’interno del suo stesso procedere, e allora abbiamo l’errore; oppure in quanto la ragione interpreta la verità di fede, il dato biblico o dogmatico, e allora abbiamo l’eresia. Se per esempio un esegeta si sbaglia nell’ubicare una città o nell’interpretare la natura di uno strumento musicale dell’Antico Testamento, senza che ciò entri nel merito della dottrina della fede, questo è un semplice errore esegetico. Se invece dovesse affermare che gli angerli nella Sacra Scrittura sono meri personaggi simbolici e fantastici, è chiaro che cadrebbe nell’eresia.
E così pure, se un teologo preferisse dividere l’ente in ente finito ed ente infinito piuttosto che in ente per essenza ed ente per partecipazione, ciò non comprometterebbe la dottrina della fede. Ma se dovesse risolvere la persona umana nella relazione, metterebbe in pericolo il dogma della Santissima Trinità, per il quale solo la Persona divina è relazione sussistente. E se non cade nell’eresia formalmente e direttamente, vi cade indirettamente e per conseguenza (propositio haeresi proxima).
L’eresia propriamente è una tesi ribelle alla dottrina della Chiesa interprete infallibile della Parola di Dio. Ma esiste un errore contro la fede ancora più grave, il massimo grado dell’errore: la bestemmia, che è l’insulto verbale alla stessa Parola di Dio, ossia a Dio, a Cristo e alla sua dottrina, con l’attribuzione a Dio o a Cristo di epiteti o attributi sprezzanti, offensivi e ingiuriosi. Alla bestemmia, nella prassi, specie liturgica e sacramentale, corrisponde il sacrilegio o l’empietà.
Si danno dunque quattro gradi di autorità nella dottrina della fede e per corrispettivo di ribellione alla verità di fede: il grado massimo è la Parola di Dio, alla quale si oppone la bestemmia. Al di sotto della Parola di Dio, che esce dalla stessa bocca di Cristo, vi sono poi gli insegnamenti della Chiesa: il grado più elevato è il dogma definit (ex cathedra), oggetto del Magistero straordinario (Papa e Concili) e di solenne definizione (de fide credenda).
Sotto il dogma c’è la dottrina prossima alla fede, oggetto del Magistero semplice ed ordinario (il Papa con i vescovi sparsi nel mondo); contiene le verità logicamente connesse, dedotte o presupposte, al dogma (de fide tenenda). A questo grado si oppone la dottrina prossima all’eresia. Al grado più basso abbiamo il semplice Magistero autentico, che tratta sempre di fede, ma di ciò che la Chiesa deduce o ricava dalla sua stessa dottrina. E quindi anch’esso è infallibile, però ad esso si deve il religioso ossequio della volontà. L’errore contrario è la disobbedienza al Magistero della Chiesa.
Chi oggi si occupa o s’interessa di eresie, chi cerca di individuarle e correggerle, chi esprime giudizi su di esse, chi formula accuse, rilievi o note di eresia; al limite il solo parlare seriamente di eresie che non siano quelle dei primi secoli, è spesso malvisto soprattutto negli ambienti modernisti. Si vede subito in lui con una certa ironia o con fastidio il cacciatore di streghe, il cerbero inesorabile, l’aggressore dei mulini a vento, un patetico residuo del passato, l’ansioso inseguitore di fantasmi, l’avanzo dell’Inquisizione, la mente rigida incapace di elasticità o duttilità, la mente ristretta di chi vede il nemico nel diverso, il tradizionalista retrogrado, il presuntuoso intollerante e senza misericordia, chiuso nelle proprie idee superate, invidioso di chi ha successo, il pedante che cerca il pelo nell’uovo, il fariseo che pretende di giudicare gli altri, colui che mira a dominare le coscienze, l’aspirante vescovo tosatore del gregge.
In nome di un malinteso ecumenismo, di una falsa libertà religiosa, e di un dialogo a tutto campo, abbiamo perduto la coscienza dell’universalità oggettiva della verità come bene vitale comune. Siamo ancora sensibili, grazie a Dio, alla sofisticazione dei cibi, al pericolo delle epidemie, alla falsificazione della moneta, giustamente tutti assieme cerchiamo di rimediare a questi mali, consapevoli della loro oggettività. Quando invece si tratta di idee, di dottrine, di contenuti intellegibili, di verità di ragione o di fede, ecco comparire il mostro piacevole del soggettivismo e del relativismo e quindi il menefreghismo per i pericoli nostri e degli altri.
Quanta consapevolezza invece aveva la cristianità medioevale del danno arrecato a tutti dall’eresia. Non per nulla si parlava di “peste ereticale”. E San Tommaso non esitava appunto a paragonare la falsificazione della fede alla falsificazione della moneta. Quale senso del peso delle realtà spirituali nel bene come nel male! Quale viva percezione dell’importanza della fede nella nostra vita! Quale coscienza della fede come bene comune! Si parla molto di verità e di fede. E ciò va senz’altro bene. Ma si parla poco o non si sa parlare nel dovuto modo di eresia. Non ci siamo ancora liberati dai fantasmi del passato, che pesano su questa fatidica parola. Alcuni forse vorrebbero toglierla dal vocabolario; ma è sbagliato. La Chiesa la usa ancora e la userà sempre. Si tratta di imparare o reimparare ad usarla. Anzi è del tutto auspicabile che la Chiesa organizzi dei centri di ricerca, di raccolta di dati, e di cura delle eresie, così come in campo medico esistono poderose organizzazioni e strutture che studiano e risolvono in équipe e scientificamente i problemi della salute.
Perchè mai notiamo i più lusinghieri progressi, con la presenza di personale altamente specializzato, nel campo della cura della salute fisica, per cui esistono tante strutture, tanta serietà e competenza, mentre nel campo della vita spirituale e in particolare dei problemi riguardanti la verità e le sue contraffazioni sembra regnare l’indifferenza, il dilettantismo, l’arretratezza e il pressapochismo? Non solo alla Santa Sede e nelle grandi istituzioni accademiche, ma in ogni diocesi, in ogni parrocchia, in ogni istituto religioso, in ogni centro culturale laico cattolico dovrebbero esistere uffici e servizi ben forniti, per aiutare i fedeli nel discernimento e a difendersi o a difendere gli altri dal veleno dell’eresia. È giunto il momento di parlare dell’eresia con serietà, con serenità, con oggettività, con senso di responsabilità, con pastoralità, in un clima di carità e di servizio fraterno, senza ironie, senza ansietà e senza isterismi, un po’ come il medico parla dell’influenza o del vaccino contro il morbillo.
Certo l’eresia è una cosa seria, ma appunto perchè tale, occorre riprendere a parlarne con serietà, calma e cognizione di causa, senza lasciarla in mano alle sette o agli estremisti, che ne squalificano e distorcono il significato, se ne servono per divorarsi tra di loro e per affermare una meschina dominazione sulla coscienza degli altri. Operare contro l’eresia per la vittoria della verità e quindi per la salvezza delle anime, non è cosa da poco.
Occorre un forte equipaggiamento non solo culturale, ma anche spirituale, perchè, oltre a dover lottare contro l’ignoranza, la malizia e la dabbenaggine umane, si tratta di far fronte anche alle insidie del padre della menzogna; dal che torna assai consigliabile, se non necessario, ricorrere all’intercessione di Maria Santissima, vincitrice di tutte le eresie.
Varazze, 6 marzo 2015