Quel canuto pagliaccio di Eugenio Scalfari continua ad offendere il Sommo Pontefice, mentre la Santa Sede continua a tacere, anziché smentire

Padre Giovanni

— difendiamo il Santo Padre dai falsi amici  —

QUEL CANUTO PAGLIACCIO DI EUGENIO SCALFARI CONTINUA AD OFFENDERE IL SOMMO PONTEFICE, MENTRE LA SANTA SEDE CONTINUA A TACERE, ANZICHÉ SMENTIRE

 

È nostro sacro dovere difendere il Successore di Pietro, al quale è richiesto di essere maestro di sapienza e di prudenza. Noi possiamo anche smascherare i giochi di Scalfari, ma non possiamo omettere di prendere atto che il Santo Padre si manifesta a volte imprudente. Se non ammettessimo questo, un esercito di fedeli smarriti, feriti e addolorati, ci porrebbe questo quesito al quale non sarebbe facile rispondere: ammesso che Scalfari affermi e scriva scempiaggini attribuite al Santo Padre, chi è che lo riceve e che ci parla, se non il Santo Padre stesso? E dopo che Scalfari ha fatto certe sparate, come mai, i competenti organi informativi della Santa Sede, non lo smentiscono? E rispondere a un simile quesito, non è purtroppo facile.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Dio prende i sapienti per mezzo della loro astuzia

I Cor 3,19

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Giovanni Cavalcoli non è vegetariano, è solo paziente …

La escalation di chi le spara più grosse, pare proprio non avere fine. Il Demonio, che nel corso della storia mostra notevole inventiva nel sempre reiterato e sempre vano tentativo di distruggere la Chiesa di Cristo, a cominciare dal papato, che è la pietra su cui Cristo ha voluto che essa poggi [cf. Mt 16, 13-20], sta suggerendo ai suoi strumenti umani riguardo al pontificato di Papa Francesco, una nuova, subdola ed efficace tattica, per screditare ed abbattere il papato. Questa tattica sottile è ispirata ad un metodo che finora, il Maligno, non aveva mai adottato; una tecnica raffinatissima quanto paradossale, che non è più quella tradizionale della denigrazione, ossia di attaccare il Papa in nome della modernità e del progresso. Non è più quella di accusare il Sommo Pontefice di opporsi alle riforme e alla libertà, indicandolo come persona chiusa alle voci profetiche, o come reazionario baluardo della conservazione e della peggiore arretratezza, rappresentante delle classi dominanti e di un Dio proibizionista e legalista, oltre che terrorizzante suscitatore di sensi di colpa. Tutte accuse, queste, che furono diversamente ma similmente rivolte, in periodi storici molto turbolenti, sia al Beato Pontefice Pio IX sia al Santo Pontefice Pio X.

Nulla di tutto questo, nel nostro presente che è un autentico brulicare di abili e smaccati adulatori, falsi ammiratori e finti collaboratori che sorgono come funghi dovunque. Questi personaggi, falsamente interpretando l’insegnamento del Papa, vorrebbero darci ad intendere che egli è modernista o, come loro dicono, «progressista», intendendo ovviamente il progresso alla loro maniera, non certo in quella accezione improntata sulla più profonda e cristologica ecclesiologia che portò il Beato Paolo VI a donarci la Enciclica Populorum progressio [cf. testo QUI].

Tra tutti gli adulatori, il più famoso, il più geniale, il maggior falsario e provocatore, è certamente Eugenio Scalfari, del quale vogliamo commentare un paio di uscite formidabili, una risalente al 2 agosto e una al 9 ottobre. La prima delle due uscite ― quella di agosto ―, è indicata ironicamente da Francesco Agnoli sul quotidiana La Verità come un’uscita formidabile, di portata storica: «Il solito Scalfari si serve di Bergoglio per mostrare una chiesa fallita». Le cose, però, non stanno esattamente così [cf. QUI].

L’operazione è più diabolicamente sottile: Scalfari si finge ammiratore del Papa e quindi affetta di non volere affatto distruggere la Chiesa, ma si fa entusiasta portavoce e interprete ― lui, ateo ― di come oggi il Papa «rivoluzionario», intende la Chiesa. Egli infatti vorrebbe farci credere che il Papa propone un nuovo modello di Chiesa, che in realtà, se vi facciamo attenzione, è quella falsa Chiesa buonista, secolarizzata, relativista, polpettona, voltagabbana e politicizzata, progettata e profetizzata dalla massoneria già dal XVIII secolo e dai modernisti ritardatari, come società filantropica e a-dogmatica, tale da entrare, come membro malleabile, nella federazione internazionale delle religioni sotto la presidenza della comunità internazionale. Quello che fu già il sogno di Leibniz e della società segreta dei Rosa Croce nel XVII secolo, che poi è il sogno di tutti gli gnostici.

A questo episodio citato da Francesco Agnoli possiamo aggiungerne un nuovo recentissimo riportato dal Sismografo del 9 ottobre scorso e preso da Repubblica. Le parole di Scalfari sono le seguenti:

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«Papa Francesco … ha abolito i luoghi dove dopo la morte le anime dovrebbero andare: Inferno, Purgatorio, Paradiso […] Tutte le anime sono dotate della Grazia e quindi nascono perfettamente innocenti e tali restano a meno che non imbocchino la via del male. Se ne sono consapevoli e non si pentono neppure al momento della morte, sono condannate. Papa Francesco ― lo ripeto ― ha abolito i luoghi di eterna residenza nell’ Aldilà delle anime. La tesi da lui sostenuta è che le anime dominate dal male e non pentite cessino di esistere mentre quelle che si sono riscattate dal male saranno assunte nella beatitudine contemplando Dio. Questa è la tesi di Francesco» [testo, QUI].

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Queste cose che Scalfari attribuisce al Papa sono false, farebbero del Papa un eretico e sono solo pure, purissime invenzioni di quell’incredibile sfrontato che è Eugenio Scalfari. Che i malvagi al momento della morte cessino di esistere e non vadano all’inferno non è un’idea del Papa, ma un’eresia di Edward Schillbeeckx [1].  E per dar prova di ciò, se ce ne fosse bisogno, basterà citare queste parole dette del Pontefice ai mafiosi, che riprendono un severo monito già rivolto dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II [cf. video QUI] ai membri delle aggregazioni mafiose:

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«Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. È quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi» [cf. QUI].

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Ed inoltre badiamo a queste altre parole dell’Apostolo Giovanni che prosegue ancora: «Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco» [cf. Ap 20, 14]. Si tratta di quelli dannati. Il Papa ha voluto soffermarsi proprio su questa frase dell’Apocalisse: «Questa è la  seconda morte, lo stagno di fuoco» [cf. supra]. In realtà, ha spiegato, «la dannazione eterna non è una sala di tortura, questa è una descrizione di questa seconda morte: è una morte». E «quelli che non saranno ricevuti nel regno di Dio — ha spiegato — è perché non si sono avvicinati al Signore: sono quelli che sono sempre andati per la loro strada, allontanandosi dal Signore e passano davanti al Signore e si allontanano da soli». Perciò «la dannazione eterna è questo allontanarsi continuamente da Dio, è il dolore più grande: un cuore insoddisfatto, un cuore che è stato fatto per trovare Dio ma per la superbia, per essere stato troppo sicuro di se stesso, si è allontanato da Dio» [cf. QUI].

Altra cosa nella quale Scalfari mostra un’ignoranza crassa della dottrina cristiana, è quando si chiede:

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«A chi si deve l’esistenza del Demonio? È una potenza contraria a Dio, oppure è Dio stesso in una veste volutamente opposta a quella naturale? La religione cattolico-cristiana distingue ovviamente tra il bene e il male, ma non affronta l’origine del male: è Dio stesso ad averlo creato nel momento in cui riconosceva alle sue creature umane il diritto al libero arbitrio?» [cf. QUI]

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Ci potremmo limitare a rispondere a queste parole sorprendenti rimandando al Catechismo della Chiesa Cattolica. Tuttavia, diamo una breve risposta. Come insegna il Concilio Lateranense IV del 1215, «il diavolo e gli altri demòni sono stati indubbiamente creati da Dio buoni, ma essi da se stessi si sono resi malvagi» [Denz. 800]. Quanto all’origine del male, la Bibbia insegna con chiarezza che essa va attribuita alla malvagità di Satana: «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono» [Sap 2,24].

Dio ha donato alle sue creature, angeli e uomini, il libero arbitrio; ma il cattivo uso di questo non è colpa di Dio, ma della creatura. Gli uomini non nascono innocenti, ma con la macchia del peccato originale, che viene tolta dal Battesimo. La nuova tattica dei nemici del papato si è veramente raffinata. Vediamo più nel dettaglio l’astuzia dell’operazione diabolica di questi adulatori, che ha dell’incredibile, se non avesse riscontro nei fatti. Essa, che per adesso ― finché dura ―, funziona, consiste nel fatto che i tradizionali nemici della Chiesa: protestanti, massoni, liberali, epicurei, atei, positivisti, relativisti, idealisti, panteisti, gnostici, comunisti, un tempo accaniti nemici, aperti e dichiarati della Chiesa, oggi hanno fatto, in un grandioso patto tacito, una specie di spudorato voltafaccia. Con incredibile faccia tosta, spesso sotto gli occhi di vescovi reticenti, si sono infiltrati nella Chiesa nelle vesti di modernisti e rahneriani e, dall’interno stesso della Chiesa, atteggiandosi a punte avanzate del progressismo, sono passati dalle accuse roventi ai Papi del passato alla lode sperticata di quello di oggi, lode evidentemente interessata, ad usum delphini, storcendo a loro favore alcuni discorsi del Papa, che non sempre brilla per chiarezza e che, onestamente, dobbiamo riconoscere pure che non sono a volte poco ambigui. Il tutto per supportare le loro menzogne, tacendo sulle grandi tematiche della fede e della morale alle quali loro palesemente contrari, quindi prendendo disonestamente, ciò su cui il Papa tace, come una negazione o come un rifiuto formale da parte sua. Dunque, una truffa di proporzioni epocali gigantesche, facendo apparire il Papa, con sogghigno di compiacimento, come fosse uno di loro. In tal modo ― fàteci caso ― la Chiesa oggi non ha più nemici esterni, perché d’improvviso piace al mondo. I nemici sono ormai tutti interni e sono: o mascherati, come i modernisti, oppure aperti, come i lefebvriani.

I modernisti, che fino a Benedetto XVI attaccavano il papato, ora ne fanno le lodi. Ma sono rimasti modernisti; e per questo credono e fanno credere che il Papa sia uno di loro. Ma ― per chi non lo sapesse ― il modernismo è un’eresia e non è possibile che un Papa sia consapevolmente eretico.

Come però si suol dire, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. Per questo, il loro gioco, non può non lasciar filtrare delle crepe; e di queste la più evidente è la sparata di Scalfari ― che subito vedremo ―, sparata che, fra tutte quelle degli adulatori, è la più grossa, la più sfrontata e la più pacchiana, ma anche la più geniale, la quale come tale, mentre denota una mente indubbiamente acuta, scopre all’evidenza la sporcizia e la disonestà del gioco.  È una pugnalata che ferisce a fondo. Ma possiamo guarirne. «Bisogna studiare la cosa a fondo», come dice Scalfari. Ed ha ragione. Ma non con i suoi criteri. Verrebbe da lanciargli una maledizione. E invece dobbiamo restare calmi ed esaminare a fondo la questione.

Ma qual è questa sparata? È la seguente. Il Papa, afferma Scalfari quattro anni fa 

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«[…] è rivoluzionario per tanti aspetti del suo sia pur breve pontificato, ma soprattutto su un punto fondamentale: di fatto ha abolito il peccato. Un Papa che abbia modificato la Chiesa, anzi la gerarchia della Chiesa, su una questione di questa radicalità, non si era mai visto, almeno dal terzo secolo in poi della storia del cristianesimo e lo ha fatto operando contemporaneamente sulla teologia, sulla dottrina, sulla liturgia, sull’organizzazione. Soprattutto sulla teologia […] Questa è la rivoluzione di Francesco e questa va esaminata a fondo, specie dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, dove l’abolizione del peccato è la parte più sconvolgente di tutto quel recentissimo documento» [articolo, QUI].

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Questa sparata di Scalfari richiede una adeguata analisi psicologico-morale, perché con indubbia, anche se maliziosa acutezza di vista, va a toccare o, potremmo dire, a pizzicare, sia pur con grossolana brutalità, ma anche con una certa franchezza, seppure alla rovescia, proprio quello che a noi pare il nodo centrale della predicazione del Papa, non abbastanza chiaro su questo punto, ed evoca, quale apprendista stregone, un fantasma della cattiva coscienza del buonismo contemporaneo: la questione del peccato.

Se Scalfari non fosse quell’intellettualmente disonesto che è, Dio gli avrebbe dato le capacità di essere un consigliere intellettuale del Papa. Forse ― se non sono ingenuo io ― bisognerebbe leggere il suo messaggio alla rovescia o in negativo, come a dire: “Francesco, parlaci del peccato!”. Certo, che, prese ut sonant, le parole di Scalfari sono obbiettivamente un terribile insulto e una calunnia al magistero del Papa ― anche se Scalfari crede di fargli una lode ―, e alla stessa dottrina cattolica. Si tratta forse di una boutade? La cosa è troppo seria per scherzare. Una sparata per farsi della pubblicità? È possibile, ma Scalfari non paga un prezzo troppo alto per la sua reputazione? Un ateo non ha forse niente da perdere? No, anch’egli ha una coscienza, con la quale deve rispondere a Dio. E per questo voglio prenderlo sul serio e rispondere brevemente, benché il tema richiederebbe addirittura un libro.

Anzitutto la domanda di rigore: ma il Papa che fa? Si accorge di tutto questo? Per la verità, purtroppo, non dà segni in tal senso. Né lui né chi per lui interviene a correggere le cattive interpretazioni. Come mai? Non riesce a tener dietro a tutte? Le snobba? Ha paura delle reazioni? Non viene informato? Difficile rispondere. Che le approvi, quando si tratta di eresie, è impensabile. Il minimo che si possa dire è che la situazione è anormale, mai verificatasi in tali dimensioni e frequenza con Papi precedenti.

Scalfari, approfittando del silenzio del Papa e della benevolenza di questi nei suoi confronti, alza il tiro. Ma quanto potrà durare questa orribile buffonata? Questo affronto alla dignità pontificia? È la cosa che turba di più. Occorre indubbiamente interpretare il fenomeno in modo da salvaguardare la dignità magisteriale del Papa, e non dar spazio ai lefebvriani che lo accusano di essere eretico. Che dire, dunque?

Vediamo allora quali sono le responsabilità dall’una e dall’altra parte. La colpa di questo enorme equivoco e di questo terribile inghippo sta, secondo me, da entrambe le parti. Sembra un gioco a rimpiattino o degli specchi, se la situazione non fosse tragica e non ci andassero di mezzo le anime. Il Papa è pastoralmente avventato e imprudente, si presta al gioco, sembra spinto da un certo opportunismo, e i modernisti, che sono dei mascalzoni, ne approfittano spudoratamente. Il Papa è manovrato e ad un tempo si lascia manovrare. Crede di essere avveduto, ma gli la fanno senza che se ne accorga. Occorre aiutare il Papa  a liberarsi dai modernisti.

Così la tesi degli adulatori del papato palingenetico, sbandierata con entusiasmo e abbondanza di mezzi ai quattro venti a milioni di ingenui e gongolanti fedeli, è che, dopo secoli e millenni, abbiamo finalmente la svolta epocale di un Papa «rivoluzionario» (Scalfari), il Papa del Dio che non castiga, ma che perdona tutti (Rahner), il Papa dei poveri, dei lavoratori, degli sfruttati e degli immigrati, promotore della libertà dei popoli (Maduro), leader della sinistra internazionale (Castro, Gutiérrez, Maradiaga), anzi il Papa che finalmente ha introdotto la libertà nella Chiesa (Bianchi), Papa della misericordia e della tenerezza (Ronchi, Cantalamessa), della riconciliazione ecumenica (Kasper, Küng), del dialogo fra le “fedi” e della Chiesa “spontanea” e “rilassata” (Radcliffe), il Papa del primato della coscienza (Sosa), della modernità (Grillo), della tolleranza e della tenerezza (Paglia), il Papa della fratellanza universale, anche con i massoni (Ravasi) e i musulmani, il Papa dell’accoglienza (Galantino) e del Concilio (La Valle), Papa della «svolta profetica» (prossimo convegno di Assisi) e delle svolte epocali (Melloni).

È interessante che nessuno loda mai il Papa nel suo compito fondamentale e primario, che è quello di essere maestro della fede ed oppugnatore delle eresie. Forse si scoprirebbe qualche altarino, che metterebbe in imbarazzo gli ammiratori. Come fa Scalfari a dire un’enormità del genere? È possibile che egli parta da un concetto sbagliato del peccato. Ma non ci sembra il caso di esaminare negli scritti di Scalfari che cosa egli intende per ”peccato”. Credo che qui sia sufficiente ricordare che cosa è veramente il peccato, secondo la morale cattolica e quindi secondo il pensiero del Papa, che ne è il Maestro.

Ma che cosa è il peccato? Diciamo dunque che il peccato è un atto umano libero, col quale il soggetto coscientemente e volontariamente fa ciò che è male, ossia ciò che è proibito dalla legge divina, la quale è partecipata dalla ragion pratica [2]. L’infrazione alla legge umana è il delitto o crimine. La messa in pratica del comando divino ordina l’atto umano al conseguimento del fine ultimo dell’agire umano, che è Dio, sommo bene dell’uomo. L’agire umano è relativo ad una pluralità di fini, fondati sulla natura umana e gerarchizzati fra di loro, al vertice dei quali c’è Dio. La volontà, in certi suoi atti, può dirigersi direttamente a Dio. Ma anche se l’atto umano persegue un fine intermedio, per essere un atto moralmente buono, occorre che comunque l’agente ordini almeno implicitamente a Dio il fine intermedio. Il peccato sorge quando la volontà o respinge Dio direttamente oppure, anziché orientarsi a Dio come fine ultimo, sia pur per il tramite di un fine intermedio, sceglie come fine ultimo un fine intermedio [conversio ad bonum commutabile] respingendo implicitamente Dio [aversio a Deo]. Il peccato lascia la coscienza e la volontà in uno stato di turbamento o inquietudine, che è detto “colpa”. Essa può essere tolta mediante lo sconto o espiazione della pena, nel caso del delitto, mentre, se si tratta di peccato, che provoca la perdita della grazia divina, il peccato è rimesso, ossia annullato, e la colpa  è tolta dal perdono divino, che ridona la grazia, a condizione del pentimento e della penitenza del peccatore. La colpa si attenua o manca del tutto nei casi in cui il soggetto agisce o per ignoranza o per debolezza o perché sopraffatto dalle passioni. Se la coscienza erra in buona fede, il soggetto compie, con tale coscienza, un’azione oggettivamente cattiva, ma resta innocente, almeno davanti a Dio.

La nozione del peccato è una nozione fondamentale, intuitiva, spontanea ed inestirpabile della coscienza giuridica, morale naturale e cristiana. Essa entra nel deposito della divina rivelazione, custodito ed interpretato dal Sommo Pontefice. Per questo, il solo immaginare che il Papa possa «abolire» la nozione del peccato o il peccato stesso, è un’idea blasfema, assolutamente e gravemente offensiva del magistero pontificio.

Bisogna precisare che la volontà umana, nella vita presente, non può non opporsi al male né può evitare il peccato. Tutto sta a vedere che cosa intendiamo per “male” e per “peccato”. Questo avviene pertanto anche nel buonista, con la differenza, rispetto all’uomo giusto, che questi si riconosce peccatore e lotta contro il peccato, e dispone di una regola per la pratica della giustizia e della severità, per la quale egli tiene a freno i suoi peccati e si oppone ai peccati altrui con una giusta severità. Il buonista, invece, privo di questa regola di giustizia e ingannato appunto dall’errore buonista, che non riconosce l’esistenza del peccato, se qualcuno gli si oppone citando l’esistenza del peccato e l’esigenza che sia punito, si imbestialisce e lo aggredisce o se gli si presenta l’occasione di dover far giustizia, non disponendo di un retto criterio di giudizio, si sfoga nella violenza e nella prepotenza. Così la falsa misericordia si trasforma nella crudeltà.

Credere che tutti i problemi morali si possano risolvere semplicemente con la buona volontà, in un continuo progresso ― le “magnifiche sorti e progressive”, sulle quali ironizzava Giacomo Leopardi ―, senza il soccorso della grazia e di un’adeguata disciplina ascetica, è l’illusione tragica, tipica delle morali razionaliste, come il liberalismo e la massoneria. Ma d’altra parte, la fiducia nella divina misericordia non dispensa dalla lotta contro il peccato e dal dovere di obbedire alla legge, che punisce i malfattori. Infatti, la coercizione e l’uso della forza con giustizia e moderazione, al momento opportuno, sono necessari per frenare i malvagi ed hanno una funzione educativa.

Quella concezione buonista del peccato che porta alla negazione del peccato si trova in certo modo nell’attuale tendenza buonista, per la quale tutti in fondo sono buoni e benintenzionati. In questa visione c’è un panteismo e quindi un ateismo latente: il soggetto ritiene di essere buono, perché in fondo egli è Dio. Cattivi, semmai, sono gli altri, che non riconoscono la mia idea che tutti sono buoni. Non esistono pertanto “conseguenze” del peccato originale. Peccare e soffrire rientra nella natura umana. La morte è naturale. Se la natura è ostile, Dio non c’entra. È la natura che è fatta così. Tutti si salvano. Chi fa il male lo fa o per ignoranza o per fragilità. Il peccato sembra un male per il singolo, ma in realtà rientra nell’ordine generale dell’universo. Alcuni arrivano a dire che, dato che tutto è Dio, tutto è bene. Il peccato non è un vero male, ma è un’imperfezione. Il peccato è solo un incidente di percorso nel cammino dell’evoluzione. Tutti sono scusati e chi fa il male non dev’essere punito, né corretto, né minacciato, ma dev’essere lasciato libero e tollerato. Non possiamo giudicare gli altri con criteri esterni alla loro coscienza, perché ciò sarebbe un’imposizione. Infatti, ciò che è male per noi può essere bene per gli altri. Occorre pertanto mettersi dal loro punto di vista. Non esistono regole o leggi universali e immutabili, ma solo norme particolari e situazioni concrete. Ognuno è libero di comportarsi secondo la sua coscienza. Dio perdona sempre e non castiga. Non esiste male di colpa, ma solo di pena. I sensi di colpa non sono segni che si ha peccato, ma sono semplici patologie da curare con la psicanalisi. Non esistono persone malvagie, ma tutti sono in grazia e si salvano. All’inferno non c’è nessuno. La delinquenza si spiega con predisposizioni psichiche (Lombroso) o influssi ambientali (Rousseau) o condizioni economiche di classe (Marx) o inclinazioni sessuali (Freud).

Analizzando il problema della verità nascosta nell’errore, viene spontaneo offrire un suggerimento al Santo Padre. D’altra parte osserviamo che le grandi aberrazioni della mente umana, come è per esempio ciò che  Scalfari attribuisce al Papa, non sono mai così false da non nascondere una punta di verità e non sono mai così assurde, da non ricevere una qualche spiegazione, soprattutto se partorite da una mente raffinata e genialmente maligna ― da un’intelligente stoltezza, si potrebbe dire paradossalmente ― come quella di Scalfari. Chiediamoci allora come può essergli venuta in mente quell’idea balzana? Su quali basi o fatti? Partendo da che cosa? Riteniamo che in qualche modo essa possa essere messa in rapporto con un difetto della predicazione del Papa in tema di peccato. Senza essere un buonista, il Papa è pericolosamente vicino alle idee dei buonisti. Nella sua ansia di essere accanto a tutti, di accogliere tutti e di andare verso tutti, soprattutto gli “scartati”, i poveri, gli oppressi, i sofferenti, proiettato com’è verso le “periferie”, egli è, come si diceva un tempo, “troppo di manica larga”. Egli, invece di moderare la tendenza buonista già presente nel Concilio Vaticano II, per un moderato recupero di disciplina, regolarità, osservanza, austerità e severità, del quale da tempo la Chiesa sente il bisogno nell’educazione, nella formazione del clero, come nella pastorale, nel governo delle anime, della Chiesa e della società, il Papa, dicevo, come suol dire, è “troppo buono”, permissivo e accondiscendente, col rischio poi di uscire in atteggiamenti duri con chi non li merita, secondo quel meccanismo che ho illustrato prima.

Il Santo Padre è troppo severo verso i lefevriani, troppo indulgente verso i modernisti. Fa bene a riconoscere i punti in comune con i luterani, ma dovrebbe anche correggere i loro errori. Fa bene a riconoscere il monoteismo nel Corano, ma dovrebbe anche esortare i musulmani a convertirsi a Cristo. Fa bene a riconoscere nel comunismo un’istanza di giustizia sociale; ma dovrebbe anche condannarne il materialismo ateo; fa bene ad esortare ad accogliere gli immigrati, ma dovrebbe anche invitare alla vigilanza contro terroristi, i parassiti ed i sabotatori; fa bene a coltivare il dialogo inter-religioso, ma dovrebbe anche ricordare che il cristianesimo cattolico è la suprema delle religioni, l’unica senza errori; chiami pure la Bonino «grande italiana», ma sia più chiaro nella condanna dell’aborto; fa bene ad esortare gli omosessuali a volersi bene, ma condanni con forza la sodomia; la pace non si ottiene solo col dialogo, ma anche con l’uso moderato della forza; le famiglie irregolari non sono solo famiglie “ferite”, ma ce ne sono anche di quelle che feriscono, corrotte e scandalose.

Non basta annunciare le verità del Vangelo che piacciono al mondo, ma bisogna annunciare anche quelle che dispiacciono. Il Papa dice che non gli vanno gli adulatori: ebbene, allora, se li tolga di mezzo sostituendoli con collaboratori competenti, leali e sinceri. Questo sarebbe veramente un Papa rivoluzionario, un Papa mai prima visto, un Papa delle riforme. In tal modo il Papa toglierà ogni appiglio alle sciocchezze di Scalfari e dei suoi “simili”.

È nostro sacro dovere difendere il Successore di Pietro, al quale è richiesto di essere maestro di sapienza e di prudenza. Noi possiamo anche smascherare i giochi di Scalfari, ma non possiamo omettere di prendere atto che il Santo Padre si manifesta a volte imprudente. Se non ammettessimo questo, un esercito di fedeli smarriti, feriti e addolorati, ci porrebbero questo quesito al quale non sarebbe facile rispondere: ammesso che Scalfari affermi e scriva scempiaggini attribuite al Santo Padre, chi è che lo riceve e ci parla, se non il Santo Padre stesso? E dopo che Scalfari ha fatto certe sparate, come mai, i competenti organi informativi della Santa Sede, non lo smentiscono?

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Varazze, 13 ottobre 2017

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[1] Egli sostiene questa tesi in Umanità. La storia di Dio, Queriniana, Brescia 1992, p.183.

[2] San Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.91, a.2.

 

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