Il Santo Padre Francesco «eretico» e «apostata». E se fosse un provvidenziale “pifferaio magico”?

Rispondono i Padri de L’Isola di Patmos

IL SANTO PADRE FRANCESCO «ERETICO» E «APOSTATA». E SE FOSSE UN PROVVIDENZIALE PIFFERAIO MAGICO ?

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Non si ha memoria storica di un Sommo Pontefice che come quello regnante sia stato bollato come “eretico” e “apostata” da un numero di cattolici affatto irrilevante e non riconducibili ai soli ambiti degli “integralisti”. Pertanto riteniamo che questo nuovo fenomeno meriti una chiara e onesta risposta sul piano teologico ed ecclesiologico, fornita qui di seguito dai Padri de L’Isola di Patmos in due loro diversi scritti dedicati al delicato tema.

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Capisco bene i Vostri limiti di manovra, dire tuttavia che “il Santo Padre si trova in una «gabbia» nella quale è stato messo da alcuni oscuri personaggi che lo circondano e dalla quale purtroppo non è facile uscire …», è francamente poco credibile, considerata la personalità del Santo Padre, che ha oramai al suo fianco chi egli ha voluto. Gli altri sono emarginati. O sbaglio?

Licio Zuliani

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I Reverendi Padri di questa isola che sostengono questa teoria [Ndr. «il Santo Padre si trova in una “gabbia” nella quale è stato messo da alcuni oscuri personaggi che lo circondano e dalla quale purtroppo non è facile uscire»], non sanno di aggravare ulteriormente la situazione. Rendono un cattivo servigio che va a discapito della salvezza delle anime. Il dottore privato sta demolendo tutto. Che scandalo la visita sulla tomba del don Milan, addirittura vorrebbe emularlo invitando i sacerdoti a fare lo stesso. Dal 2013 abbiamo una tale quantità di elementi oggettivi (scritti, omelie, discorsi, video) per definirlo un apostata […]. Cari Padri di quest’Isola, abbiate la carità di dire per intero la verità è in gioco la salvezza delle anime di cui voi risponderete dinanzi al tribunale di Dio. Nessuno può essere convinto che il sole sia un granello di sale.

Aquila

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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il compianto Lucio Battisti [Rieti 1943 – Milano 1998], uno dei “mostri sacri” della storia della musica pop italiana, autore del brano Confusione. Per ascoltare cliccare sopra l’immagine

Il problema del Santo Padre Francesco è un problema sostanzialmente morale, cioè è il problema della sua condotta morale e della sua pastorale, non della sua dottrina di Vicario di Cristo. Su questo punto dobbiamo ascoltarlo da buoni cattolici e non fare come i lefebvriani e i luterani, che lo accusano di eresia. È questo, in sostanza, quello che il Padre Ariel ricorda nella sua risposta secca e decisa.

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Il problema del Santo Padre, a comune avviso dei Padri de L’Isola di Patmos, che a questo tema dedicano due diverse risposte, è proprio quello di non avere una forte personalità, ma di essere una persona influenzabile, salvo ad assumere a volte atteggiamenti autoritari, che però colpiscono i deboli e lasciano prosperare i forti.

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Il Santo Padre si trova a doversi misurare con un ambiente modernista molto potente, che è quello che ha spinto il Sommo Pontefice Benedetto XVI a fare atto di rinuncia. Il Papa è accerchiato, circonvenuto e adulato da falsi amici e traditori. La Chiesa ha il nemico in casa, ormai giunto ai più alti posti: pensiamo al caso del Cardinale Gianfranco Ravasi, per il quale i massoni sono nostri «cari fratelli» [cf. QUI, QUI] o del Cardinale Walter Kasper, per il quale il dogma è mutevole, o del Preposito generale della Compagnia di Gesù Arturo Sosa [cf. QUI], per il quale non sappiamo che cosa abbia insegnato Cristo, dato che a quel tempo non esistevano i registratori [cf. QUI], o dell’Arcivescovo Vincenzo Paglia, devoto di Pannella o di Bianchi, per il quale l’omosessualità è un dono di Dio.

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Alberto Melloni è invece convinto che ormai il sacerdozio è finito e che il Papa è alla pari del Patriarca di Costantinopoli [cf. QUI]. I modernisti sono penetrati nelle Facoltà Pontificie, nella Curia Romana e nella stessa Segreteria di Stato. Il Demonio bussa all’ingresso dell’Ospizio Santa Marta travestito da immigrato musulmano. Il Papa è costretto a scegliere i collaboratori tra quelli che di fatto si trova ad avere attorno. Deve fare buon viso a cattivo gioco.

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I modernisti giocano perfidamente la carta della forte capacità che il Papa ha di contatto umano e di comprensione umana, ed avendo in mano i grandi mass-media, diffondono la falsa immagine di un Papa simpaticone, populista e rivoluzionario, “leader della sinistra internazionale” contro Donald Trump, dipinto come odiatore dei poveri immigrati e servo del capitalismo americano, celando alla gente la sua identità di Vicario di Cristo e presentandolo come un modernista o un nuovo Che Guevara. La storia sembra veramente retrocessa al 1968 ed oggi si ha l’impressione di vivere, all’interno della Chiesa, a inizi anni Settanta del Novecento.

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In questa difficilissima situazione di emergenza, sotto questo assalto di forze diaboliche mai successo nella storia della Chiesa, il Papa deve barcamenarsi, deve fare attenzione ad ogni passo che fa, deve in qualche modo adattarsi alla situazione proprio per proteggere il suo ruolo di Romano Pontefice.

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I modernisti infatti hanno capito e favoriscono nel Papa il suo eccessivo affetto per la gente, organizzando delle adunate popolari, circa le quali ci si può chiedere cosa vale questo successo, ossia se esso nasce da una retta interpretazione del ruolo del Papa o forse piuttosto dalla sua semplice carica di umanità. Queste folle, che cosa vedono nel Papa? Il messaggero del Vangelo o il grande conduttore di entusiasmanti spettacoli di folla? Questo dubbio successo, secondo noi, rende il Papa influenzabile e cedevole alla formidabile, danarosa ed astuta pressione modernista.

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Questa incresciosa situazione si trascina sin dai tempi di Paolo VI ed oggi è ancora peggio. Il fatto è pertanto che il Papa non ha i mezzi per difendersi e per difendere la Chiesa dai modernisti. Il Papa deve fare, come si suol dire, buon viso a cattivo gioco. Per questo non ci sentiamo assolutamente di accusare il Papa di favorire gli eretici. E se accusandoci di «non dire tutto», alcuni vorrebbero che noi dicessimo che il Papa è eretico, o peggio ancora apostata, ebbene cavatevelo pure dalla testa, perché ciò ci sarebbe impossibile sia come sacerdoti sia come teologi. Oltre al fatto che dire ciò ― ossia accusare il Pontefice regnante di “eresia” o “apostasia” ―, non sarebbe «dire tutto», come sollecita un nostro Lettore, ma dire invece il falso.

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Nessun problema invece ad affermare che a nostro parere il Santo Padre sia cedevole è troppo accondiscendente, o troppo buono, come si suol dire, mosso dal desiderio di non causare alla Chiesa ulteriori sofferenze e non farle patire nuovi scandali. Se infatti egli rivelasse apertamente le trame di modernisti, accadrebbe nella Chiesa uno scompiglio maggiore di quello che avvenne nel 1943 in Italia con la caduta del Fascismo.

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In tale evenienza drammatica, il Papa potrebbe essere processato e deposto e i modernisti potrebbero eleggere un antipapa, Giovanni XXIV, dietro illuminata proposta di Gianfranco Ravasi e Walter Kasper, offesissimi, nonché di Alberto Melloni e di Andrea Grillo. I lefebvriani, per reazione a questo affronto intollerabile, potrebbero a loro volta eleggere, dietro suggerimento di Antonio Socci, Don Alessandro Minutella e degli Ecc.mi Monsignori Bernard Fallay e Richard Williamson, un altro antipapa, Pio XIII, del loro partito. Così si avrebbero tre Papi, senza contare il quarto, Benedetto XVI, sempre che sia ancora vivo. Frattanto, il deposto Francesco I, beneficiando di un indulto speciale, potrebbe dedicarsi a tempo pieno all’assistenza agli immigrati sull’isola di Lampedusa. Certo, il tutto può sembrare fanta-ecclesiologia, ma non ci siamo poi tanto lontani.

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Pertanto, i fedeli, per non scandalizzarsi del Papa e mancargli del dovuto rispetto come a Vicario di Cristo, devono fare questa lettura di quello che sta succedendo: occorre combattere i modernisti e difendere il Papa, perché se in qualsiasi modo viene attaccato il Papa, come spiega Padre Ariel nel suo commento di risposta che segue: si scardina la pietra che regge l’intera costruzione, con conseguenze non poi così difficili da immaginare …

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da L’Isola di Patmos, 26 giugno 2017

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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un vecchio 45 giri del complesso I Camaleonti: Non c’è niente di nuovo, una canzone che oggi sarebbe adatta da suonare e cantare in diverse chiese cattedrali, al posto dell’inno Ecce sacerdos magnus.  Per ascoltare cliccare sopra l’immagine

I Padri de L’Isola di Patmos sono coscienti della situazione ecclesiale ed ecclesiastica attuale e per questo si guardano dall’andare a scardinare la pietra sulla quale Cristo ha edificata la sua Chiesa [cf. Mt 13,16-20], perché sono uomini di fede. Non c’è infatti cosa peggiore che distruggere la casa sulla base del “perché io penso”, “perché io sento”

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I misteri della fede non si fondano sul “io penso”, “io sento”… due presupposti che danno vita ad una “fede” emotiva, immatura e infantile, priva peraltro di una prospettiva fondamentale legata all’azione di grazia dello Spirito Santo che alla fine trasformò, uno spocchioso debole e pauroso come Pietro, in un martire e testimone della fede.

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Se il Pontefice regnante è «apostata», come afferma un nostro Lettore, allo stesso Lettore va ricordato che Pietro, scelto e voluto da Cristo in persona, era molto peggiore di Francesco I. Anche perché Pietro, atto di apostasia dalla fede nel Verbo di Dio incarnato la fece sul serio. Invece, Francesco I, non ha mai rinnegato pubblicamente Cristo e dinanzi al pericolo non s’è dato alla fuga. Pietro invece non solo lo rinnegò pubblicamente, ma lo fece giurando il falso e imprecando: «Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”» [Mt 26,69-75].

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Noi non abbiamo mai negati i difetti, le carenze teologiche e la pastorale ambigua e confusa del Santo Padre Francesco, come fanno invece certi pavidi ecclesiastici in carriera, improvvisatisi oggi tutti quanti poveri&profughi. Non abbiamo mai negato i suoi difetti nella stessa misura in cui crediamo nello Spirito Santo «che è Signore e da la vita e procede dal Padre e dal Figlio» [cf. Simbolo di fede], inviato da Cristo alla Chiesa nascente nel giorno di Pentecoste. Pertanto non escludiamo che una persona limitata e ambigua come mostra d’esserlo il Pontefice regnante possa, anche alla fine della sua vita, come accaduto con Pietro, mutarsi in un grande confessore e difensore della fede.

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Di questa prospettiva molti sono purtroppo privi, semplicemente perché non hanno fede nelle azioni di grazia, perché la loro fede si gioca tutta sui clik del “mi piace”, “non mi piace”, perché vivono la Chiesa come un fenomeno socio-politico utile come valvola di sfogo per litigare nel microcosmo del loro cortile, laddove esiste solo nero e bianco, buoni e cattivi, dove si sentenzia “è così e basta“, ma non perché lo stabiliscono i dati oggettivi o le somme verità della fede, ma perché lo stabilisce il “io penso”, “io sento”, che finisce con l’essere il solo vero e oggettivo, il nuovo tragico dogma dell’essere e dell’esistere di molti uomini immersi nel mondo dell’iocentrismo e della auto-referenzialità. La fede è però altra cosa: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» [Eb 11, 1-7].

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Mai cesseremo di rendere grazie al Santo Padre Francesco per avere portato allo scoperto un esercito così fitto e numeroso di cristiani la cui “fede”, di fatto, si basava sul niente. Infatti, al primo colpo di vento sono caduti, urlando in modo concitato ed emotivo «eresia!», «apostasia!», ed ogni altro genere di rabbia verso la Cattedra di Pietro. Ma soprattutto lo ringraziamo per avere portato allo scoperto soggetti di gran lunga più pericolosi, vale a dire tutte quelle frange di cardinali, vescovi e sacerdoti, oltre ad un esercito di teologi eretici in cattedra da alcuni decenni, che sotto i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno a lungo lavorato con “ammirevole” pazienza nel nascondimento, dietro le quinte, giocando finché hanno potuto al trasformismo dettato da palesi mire di carriera, il tutto secondo la tecnica tanto acuta quanto pericolosa dei modernisti, che non mancano né di progettualità né di pazienza.

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Nessun problema, da parte mia, a fornire a tal proposito esempi. Figurarsi se io, come esorta a fare lo stesso Sommo Pontefice [vedere QUI], ho paura a «denunciare con nomi e cognomi». Semmai il problema è che il Santo Padre, al di là delle sue parole pronunciate nei predicozzi mattutini, i denunciati con nome e cognome se li tieni tutti attorno come edera avvolta attorno alla Cattedra di Pietro, mentre i pochi che hanno osato denunciare il covo dei serpenti attorno al sacro soglio, sono finiti come sono finiti, a lode e gloria di Dio. Pertanto, il Sommo Pontefice, oltre a essere limitato è purtroppo anche incoerente, perché mostra che tra il suo predicare a colpi di slogan a effetto per la gioia della stampa laicista, ed il suo agire concreto, non c’è corrispondenza.

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All’esortazione racchiusa in questo ennesimo predicozzo mattutino, rispondo offrendo quindi alla Santità di Nostro Signore Gesù Cristo l’Augusto Pontefice felicemente regnante, un nome di alto lignaggio che può valere per molti altri: il Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia e oggi Presidente della Conferenza Episcopale Italiana …

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 il Cardinale Bassetti, è riuscito ad andare avanti con quella “furbizia contadina” che induce a dire al padrone ciò che esso desidera sentirsi dire, sino a convincersi che quel semplice colono agisce come un servo davvero fedele nel migliore interesse del padrone e della proprietà. Adesso vedremo in che modo egli ha portata avanti la propria scalata, visto che al Successore di Pietro pare piacciano tanto le «denunce» corredate di «nomi e cognomi» — oltre che di fatti, naturalmente —, alle quali egli ci esorta nei suoi predicozzi mattutini.

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Gualtiero Bassetti, entrato nelle grazie del Cardinale Silvano Piovanelli, Arcivescovo metropolita di Firenze, è favorito infine nella sua promozione episcopale. Egli non è mai stato un’aquila teologica né uomo di profonda cultura, cosa che non costituisce in sé e di per sé alcun problema, anzi tutt’altro, conosciamo infatti bene i danni immani recati sotto il pontificato dell’ultimo Giovanni Paolo II dalle infauste infornate di vescovi professori. Va quindi precisato che oggi, il Popolo di Dio e noi stessi ministri in sacris veneriamo dei santi che erano persone di una limitatezza teologica e culturale a volte desolante, ma ciò non ha pregiudicato l’eroicità delle loro virtù, sino a essere canonizzati e proclamati modelli di santità per gli stessi sacerdoti, a partire dal nostro patrono, che con buona pace del Sommo Pontefice e del Cardinale Bassetti, rimane il Santo Curato d’Ars Giovanni Maria Vianney. Pur malgrado, pochi giorni fa, si è assistita alla elevazione del Priore di Barbiana Don Lorenzo Milani a sublime modello di prete per opera della Santità di Nostro Signore Gesù Cristo l’Augusto Pontefice felicemente regnante, al quale l’Enzo Bianchi e l’Alberto Melloni di turno hanno detto in modo diretto o indiretto le due parole magiche dinanzi alle quali Francesco I giunge persino a perdere la ragione, ma soprattutto ogni spirito obbiettivo: «un vero prete dei poveri … un prete degli ultimi … un prete di frontiera sperduto nelle periferie esistenziali …», ed il gioco è stato fatto, a lode dell’eretico di Bose e del politicante non meno eretico della Scuola di Bologna.

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Il futuro vescovo cardinale e presidente della C.E.I Gualtiero Bassetti, con certi santi condivide sicuramente la mediocrità e la limitatezza, non però la eroicità delle virtù e la santità. Ed a parte una giovanile “nomina d’ufficio” a vice-parroco, di fatto ha trascorso tutta la sua vita sacerdotale precedente l’episcopato tra i meandri della curia fiorentina: assistente presso il seminario, poi rettore del seminario minore, poi rettore del seminario maggiore, poi pro-vicario generale … Nel 1994 è nominato vescovo di una piccola ma antica diocesi della Maremma toscana, Massa Marittima, eretta nel V secolo in un angolo di quella splendida terra etrusca e retta dal proto-vescovo Cerbone; una Chiesa particolare nella quale egli, ragionevolmente, avrebbe dovuto raggiungere i suoi 75 anni d’età.

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Sappiamo però bene, ma soprattutto abbiamo sperimentato più volte amaramente sulla nostra pelle sacerdotale, sia nella nostra veste di sottoposti sia nella nostra veste di vittime, che mentre gli uomini di Dio tremano se chiamati a certi incarichi, giacché più son dotati di sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio, più si sentono inadeguati, al loro contrario i mediocri che tendono a essere ammantati di esteriore umiltà e sopra i quali i doni dello Spirito Santo rimbalzano all’indietro come palle di gomma su di un muro di cemento, dentro sé stessi non sono mai contenti di quanto di immeritato hanno ottenuto, per questo cercano di supplire a tutti i loro demeriti aspirando ad ottenere sempre di più. Ecco allora che con tutta la fedeltà tipica dello sposo amorevole e devoto, Gualtiero Bassetti lascia solo dopo quattro anni, nel 1998, la diocesi di Massa Marittima, per divenire vescovo della Diocesi di Arezzo, che per estensione territoriale e numero di presbiteri è la seconda diocesi più grande della Toscana. Ovviamente — ci mancherebbe altro! —, questi soggetti sono adusi rivolgersi dalla loro cattedra episcopale al clero ed ai fedeli con la lacrima da teatro d’arte drammatica all’occhio, pronunciando la fatidica frase che … «mio malgrado, diletti figli e figlie amatissime, il Santo Padre mi ha comandato, ed io ubbidisco» …

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… ma anche una sposa come la Chiesa di Arezzo non era all’altezza di cotanto marito, proprio come quei mariti vicini ai sessant’anni che una volta ben piazzatisi nella società come professionisti o imprenditori e fatto un certo gruzzolo di soldi, per prima cosa lasciano la moglie a dibattersi con i problemi della sua menopausa e si prendono come fidanzata una ragazza di 25 anni che potrebbe essere loro figlia, la quale si unisce a loro per amore, solo ed esclusivamente per profonda passione d’amore. In questo caso, lo sposo devoto Gualtiero Bassetti, lascia la sposa aretina per divenire Arcivescovo metropolita di Perugia. E, per la seconda volta, ripete la rappresentazione d’arte drammatica di rito, con l’annuncio dato dalla cattedra episcopale di Arezzo: «mio malgrado, il Santo Padre mi ha comandato, ed io ubbidisco».

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È veramente insolito che nel corso dell’ultimo ventennio, dinanzi a questi comandi dati dal Santo Padre, che semmai non conosceva neppure l’esistenza, il nome e l’ubicazione geografica di certe piccole e medie diocesi d’Italia, ma che pur malgrado comandava e manco a dirsi offriva per la terza volta allo sposo una sposa più “ricca” e “bella” … mai, dico mai, uno solo di questi “mariti fedifraghi” che abbia risposto: «Beatissimo Padre, ho già cambiato ben due spose, pertanto vi supplico: lasciatemi sposo della mia sposa. Non assegnatemi per la terza volta ad una nuova e più grande diocesi». Nessuno sposo fedele ha invece agito a questo modo, in un episcopato che pare favorevole al divorzio e alle seconde e terze nozze con spose più allettanti. Comprensibile il motivo: perché tutti sono di rigore degli indefessi obbedienti quando si tratta di passare da una piccola a una media diocesi, poi da una media diocesi a una grande sede storica che beneficia del pallio metropolitano. Insomma, se un ometto, in prime nozze, ha avuto il colpo di grazia di sposare la figlia di un barone di provincia, poi in seconde nozze la figlia di un conte di città, può essere forse così sciocco da non accettare di lasciare la seconda per prendersi come terza moglie la figlia di un principe che vive nella capitale? In fondo, nei cammini pastorali della fede — perché qui è di pura fede che si tratta, intendiamoci! —, bisogna da una parte puntare sempre più in alto, dall’altra puntare al duc in altum, ossia prendere il largo, ce lo insegna Cristo stesso nel Vangelo della pesca miracolosa, anzi lo comanda proprio Egli stesso a Pietro: «Prendi il largo» [Lc 5,1-11]. Resta però un dubbio: Cristo Signore, a Pietro, lo fece capo dei pescatori di uomini, o capo di un gruppo di pescatori di mogli sempre più altolocate?

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Per inciso sia chiaro, è legittimo, anzi a volte auspicabile che a certe grandi sedi metropolitane siano assegnati dei vescovi che hanno già maturata esperienza pastorale, cosa che in rari casi avveniva anche in passato, quando pure un vescovo, una volta eletto a una sede, era inamovibile sino alla morte. Ma si tratta, appunto, di casi molto rari. Per esempio, in Italia, dove abbiamo oltre duecento diocesi, le grandi sedi che potrebbero richiedere un vescovo con esperienza pastorale già maturata, saranno più o meno dieci: Palermo, Napoli, Firenze, Bologna, Genova, Milano, Torino … E qui faccio nuovamente notare che mentre la Diocesi di Arezzo, più grande ed estesa dell’Arcidiocesi umbra, ha 245 parrocchie e un presbiterio formato da 270 sacerdoti tra secolari e regolari, l’Arcidiocesi di Perugia ha 155 parrocchie e  un clero composto da 190 sacerdoti, tra secolari e regolari. Però, quello di Perugia, è un arcivescovo metropolita, mentre quella di Arezzo, sebbene diocesi di maggiori proporzioni come parrocchie, clero ed estensione territoriale, è una diocesi suffraganea della sede metropolitana di Firenze. E proprio in quel di Firenze, città che al futuro cardinale iper-bergogliano ha dato i natali, dinanzi a certe figure si è soliti motteggiare: «Eh, ti conosco, mascherina …». 

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Il Cardinale Gualtiero Bassetti è un paradigma per un motivo che adesso illustro sul finire: sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, tutti ricordano questo personaggio, a Massa Marittima prima e ad Arezzo in seguito, come un pubblico difensore della famiglia e dei valori non negoziabili. Sotto il pontificato di Benedetto XVI, tutti lo ricordano a Perugia come un pubblico difensore della ortodossia teologica e della buona liturgia. Sotto il pontificato di Francesco I, tutti lo stiamo vedendo, nel suo nuovo ruolo di Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, come un uomo tutto poveri, profughi e jus soli. Ecco, mi domandavo se per caso, i grandi padri del Diritto Romano, oltre al jus soli, non abbiamo anche coniato l’istituto giuridico del … jus sòla.

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Forse, quella lingua biforcuta di Pietro l’Aretino, dinanzi al quale Giovanni Boccaccio era pressoché una “timida educanda”, avrebbe esordito con qualche sonetto più o meno a questo modo … « perlomeno le baldracche cambian clienti, ma eziandio restan sempre se stesse, allo contrario d’altri, che mutan invece vezzi e forme secondo le diverse esigenze di lor novi clienti ».

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Come capite, stiamo parlando di persone non solo prive di coerenza, ma prive di comune senso del ridicolo, convinte che il Popolo di Dio sia formato di poveri beoti incapaci di cogliere, capire e analizzare. Non c’è problema, perché capiranno, volenti o nolenti, vuoi per obbligo vuoi in modo forzato, quando giungendo un giorno parati a festa nella piazza della loro chiesa cattedrale si sentiranno strillare da una turba inferocita: «buffoni, buffoni!». E da questa eventualità tutt’altro che fantascientifica e remota, oggi io vi dico — o se mi permettete “vi profeto” — che non siamo affatto lontani. E siccome, di questo, sono in cuor loro consapevoli anche diversi episcopetti e cardinaletti, potete ben capire come mai, dinanzi a questioni morali e sociali di inaudita gravità, hanno piegato il capo e calato il silenzio sul matrimonio tra coppie omosessuali, sugli ennesimi colpi dati al poco che resta della famiglia, sulle forme ideologiche violente di un laicismo sempre più aggressivo verso ogni sentimento cristiano, sulla dittatura del gender, sulle azioni da polizia repressiva della gaystapo e via dicendo, perché da una parte non hanno il virile coraggio, dall’altra vivono col terrore di perdere il loro potere sociale ed economico, che presto però perderanno, perché il conto alla rovescia è iniziato sin dagli inizi di questo nuovo millennio, ed oggi siamo ormai agli sgoccioli degli ultimi grani di sabbia della clessidra. Vogliamo capirla o no, che a breve, in Europa saremo messi fuorilegge, mentre il miope episcopato italiano si scalda in seno la pericolosa serpe islamica che domani metterà le nostre teste nei campanili al posto dei batacchi delle campane? È che le teste saranno le nostre, non quelle di Gualtiero Bassetti e di Nunzio Galantino, loro saranno frattanto emigrati in Svizzera, dove seguiteranno a parlare di accoglienza sulla nostra pelle e sul nostro sangue, seguitando a garantire che l’Islam è una religione di pace.

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O pensate che l’episcopato italiano si sia prostituito sino a lisciare il pelo a quel demonio incarnato di Marco Pannella per pura carità cristiana? Suvvia, mica siamo bambini! Se hanno chinato il capo dinanzi al padre delle leggi sull’aborto, sulle unioni civili, sul matrimonio gay, nonché ideologo indefesso della cultura omosessualista, del gender, dell’eutanasia, delle sperimentazioni genetiche, degli uteri in affitto … è stato solo per un semplice motivo: con un Pontefice che da una parte ha dato inizio al proprio pontificato invocando una Chiesa povera per i poveri [cf. QUI], una forte crisi economica in corso, ed al contempo una caduta libera in corso della credibilità del clero, vessato da scandali morali ed economici senza precedenti, in siffatta situazione all’indemoniato Marco Pannella sarebbe bastato solo mezzo fischio per segnare un trionfo elettorale senza precedenti chiamando alle urne gli italiani per un referendum popolare sulla abolizione del tributo dell’Otto per Mille alla Chiesa Cattolica; ed i primi a votare a favore sarebbero stati molti cattolici. Proprio così … l’episcopato italiano si è svenduto come Esaù svendette la primogenitura per un piatto di lenticchie [Gen 12,50] …

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… e per la prima volta, attorno alla Cattedra di Pietro, si sono visti volteggiare degli accoliti di Satana come Marco Pannella ed Emma Bonino, colei che tutt’oggi chiama l’aborto «grande conquista sociale degna di un Paese civile», mentre il Pontefice che sogna una Chiesa povera per i poveri, non esitava ad accoglierla ripetutamente — cosa invece più volte negata a quattro pii cardinali —, ed a definirla «una grande d’Italia», assieme al comunista ateo e anticlericale Giorgio Napolitano [cf. QUI]. E qui facciamo notare per inciso che il grande ateo e comunista italiano Giorgio Napolitano, rivolse nel suo discorso ufficiale queste parole al Romano Pontefice:

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«Ci ha colpito l’assenza di ogni dogmatismo, la presa di distanze da “posizioni non sfiorate da un margine di incertezza”, il richiamo a quel “lasciare spazio al dubbio” proprio delle “grandi guide del popolo di Dio”» [testo del discorso, QUI].

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Che tradotto vuol dire: finalmente, un Pontefice che non parla dei dogmi della fede, o del fatto che certi temi non sono negoziabili da parte della morale cattolica, come per esempio il valore e la tutela della vita umana sin dal momento del concepimento e via dicendo. Segue poi un discorso improntato sul relativismo, l’antropocentrismo e via dicendo, dietro al quale non è difficile individuare, per noi addetti ai lavori, la mano di certi teologi, o meglio di qualche nota scuola teologica italiana, i cui fondatori frequentarono fin troppo la politica ed il palazzi politici …

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Ah, la Chiesa povera per i poveri! Speriamo che domani la gente non ci prenda a colpi di spranga per la strada, quando tra non molto scapperanno fuori i raggiri di vari preti trafficoni che dalla sera alla mattina hanno messo in piedi centri di accoglienza per “profughi”, gestendo da una parte grosse somme di danaro e dall’altra donando qualche appartamento agli amati nipoti. Cosa accadrà, per la mancanza di vigilanza delle nostre «guide cieche» [cf. Mt 23,16], quando saranno denunciate svariate Onlus fondate da preti per i più disparati scopi benefici, sociali e assistenziali, ivi inclusa persino una benemerita associazione per la lotta contro la pedofilia, ed il tutto specie nel Meridione d’Italia, quando si scoprirà che queste “pie fondazioni” non hanno mai presentato un bilancio, che ricevono finanziamenti generosi da vari enti statali ed europei, pur avendo dei consigli d’associazione “segretissimi” formati tutti quanti da fratelli, sorelle, nipoti e cugini, nessuno dei quali ha semmai un lavoro, ma vivono come suol dirsi alla grande sul gran mercato della “carità”? E cosa accadrà quando si scoprirà che grazie ai “profughi”, diverse strutture della Caritas, soprattutto da Napoli in giù, lungi dal beneficiare al novanta per cento di volontari gratis et amor Dei, hanno risolto certi problemi di disoccupazione, o più facilmente di carente voglia di lavoro, garantendo uno stipendio a fratelli, sorelle, nipoti, cugini, amici e … persino “fidanzati” di certi preti? 

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Torniamo quindi ai vescovi ed ai cardinali del nostro discorso in questione, che forse è meglio …

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Anche il Cardinale Giuseppe Betori, attuale Arcivescovo metropolita di Firenze, è stato sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, a partire da quand’era Segretario generale della C.E.I. sotto la presidenza del Cardinale Camillo Ruini, un difensore della famiglia e dei valori non negoziabili; in seguito, come vescovo diocesano e come cardinale, sotto il pontificato di Benedetto XVI è stato un difensore della ortodossia teologica e della buona liturgia. La differenza che però corre tra il Cardinale Giuseppe Betori e il Cardinale Gualtiero Bassetti, è che il primo, memore di ciò che pensavano sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI, ed ancor prima di loro Paolo VI e Giovanni XXIII, s’è ben guardato dal beatificare Don Lorenzo Milani, anzi ha dichiarato «per me non è santo» [cf. QUI, QUI], ed in tal modo è rimasto in coscienza se stesso dinanzi al mondo e alla storia. Tutt’altra pasta il Cardinale Gualtiero Bassetti, che cambiata non natura, ma cambiato semplicemente cliente, si è immediatamente adeguato dichiarando «per me è santo», mostrando in tal modo il proprio sé stesso nella miracolosa evoluzione dei tempi [cf. QUI, vedere video QUI], il cosiddetto … jus sòla.

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In conclusione ribadisco che al Santo Padre Francesco noi dobbiamo profonda gratitudine, perché come il pifferaio magico di Hamelin ha portato allo scoperto tutti questi topi; e qui permettetemi di dirvi che, questa analisi, non l’ho fatta adesso, ma quattro anni fa, dopo appena tre mesi di pontificato [vedere QUI]. E noi, dopo l’opera straordinaria del pifferaio magico, i topi li condurremo tutti a gettarsi nelle acque del fiume. Perché domani, queste persone paralizzate nel potere presente, certe che questo presente è una sorta di motore immobile che non passerà mai, prive come tali di una prospettiva escatologica futura perché paralizzate nel tutto e subito, nell’immediato, non potranno più in alcun modo riciclarsi sul carro del nuovo condottiero, cosa di cui dovremo rendere profonde grazie al Sommo Pontefice Francesco I, per sempre. In caso contrario, dinanzi a qualsiasi tentativo di gattopardesco riciclaggio clericale, per noi sarà un cosiddetto gioco da ragazzi, ricordare a tutti costoro come hanno vissuto e con quale piaggeria hanno agito sotto questo pontificato, pur di ottenere cariche ecclesiastiche e benefici d’ogni genere al merito dei poveri, dei profughi e delle periferie esistenziali. Infine sarà nostra cristiana missione “tagliar loro le teste”, a partire da quella del Cardinale Gualtiero Bassetti, uno dei diversi ai quali, casomai fosse stata eretta nell’Urbe, avrebbero dovuto dare come titolo cardinalizio quello della Chiesa di Santa Maria del Camaleonte. Perché costui, domani, come prova ampiamente la sua vita vissuta, al minimo cambio di vento non esiterebbe a presentarsi in pubblico con sette metri di cappa magna ed a dichiarare che i crociati salvarono intere popolazioni dagli attacchi dei musulmani e che pertanto vanno venerati come autentici difensori della fede. Ma soprattutto, al primo cambio di vento, non esiterebbe a dichiarare che andrebbero ripristinati i sani e santi metodi della vecchia inquisizione per procedere ad ardere al rogo Enzo Bianchi e Alberto Melloni.

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Che la Chiesa fosse santa e meretrice, questo lo afferma il Santo vescovo e dottore Ambrogio, ma dicendo ciò in un proprio sermone [casta meretrix, in Lucam III, 23], egli si rifaceva alla letteratura dell’Antico Testamento ed in particolare all’episodio della prostituta di Rahab che aiutò a Gerico gli israeliti come una «meretrice casta», che «molti amanti frequentano per le attrattive dell’amore ma senza la contaminazione della colpa». In modo contrario, personaggi come Gualtiero Bassetti e affini, hanno mutata invece la Chiesa in una baldracca che va dove tira il vento; e questo è tutt’altra cosa, rispetto al casto meretricio. O per dirla con il Reverendo Prof. Joseph Ratzinger, ciò vuol dire mutare la Santa Chiesa di Cristo «in una struttura di peccato» [cf. Introduzione al Cristianesimo, ed 1968], con buona pace del pretesto dei poveri, dei profughi, delle periferie esistenziali e dei tanti preti improvvisatisi oggi di strada, di frontiera e di periferia, per seguire con tutti gli stereotipi da Repubblica delle Banane sudamericana degli anni Settanta oggi in gran voga, sui quali molti stanno facendo folgoranti e dannose carriere ecclesiastiche, senza che l’Augusto Inquilino di Santa Marta si renda conto dei danni che sta favorendo, ma soprattutto di ciò di cui in futuro dovrà rispondere a Cristo, che gli ha affidata la propria Santa Sposa, non una ideale e idealizzata villas de las miseria

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Nonostante tutto questo, noi crediamo con fede profonda e certa che quello del Sommo Pontefice Francesco I, per opera di grazia dello Spirito Santo, finirà con l’essere e col risultare a posteriori un pontificato che come pochi altri avrà reso grande servizio e grande bene alla Chiesa di Cristo per il suo futuro.

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Nel maggio 2016, quando ancora nessuno poteva immaginare certi eventi presenti, per sincera onestà intellettuale reputai opportuno indirizzare queste parole al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Angelo Bagnasco, verso il quale fui durissimo nel 2013 in occasione del funerale porcino del presbìtero Andrea Gallo:

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«Eminentissimo Padre Cardinale, non passerà molto tempo che noi, con la morte nel cuore e le lacrime agli occhi risogneremo i tempi recenti nei quali avevamo come punto di riferimento e modelli di equilibrio pastorale uomini straordinari come lei. Domani noi vivremo nel vostro ricordo e sentiremo in modo drammatico la vostra mancanza. E quelli che, come il sottoscritto, in alcuni momenti vi hanno trattati con severità, si pentiranno − ma se è per questo io sono già pentito – d’esser stati severi con voi e renderanno la vostra vecchiaia meno sofferente venendovi a baciare la mano e dicendovi con profonda devozione che in verità voi eravate degli autentici Padri della Chiesa; e ve lo diremo sinceri e convinti dopo avere provato il peggio del peggio che sulla nostra pelle di presbìteri fedeli alla Santa Chiesa di Cristo e alla sua dottrina si sta ormai preparando» [l’intero articolo è leggibile QUI].

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Io non sono mai saltato sul carro del vincitore, basti dire che ho vissuto anni di formazione sacerdotale a Roma e poi altri anni a seguire di sacerdozio nella Diocesi del Sommo Pontefice, senza mai avere visto una sola volta da vicino né Giovanni Paolo II né Benedetto XVI né Francesco I. Anche perché non ho mai cercato di avvicinarli, persino quando più e più volte ho prestato servizio liturgico ai pontificali di Benedetto XVI. E perché mai avrei dovuto? Menziono tutti i giorni il Sommo Pontefice nel canone della Santa Messa, cosa questa che basta a loro e basta a me. Semmai, io mi avvicino a coloro che dal gran carro sono scesi, cessando alla loro discesa di essere delle stelle, ed oggi nessuno li cerca, forse nemmeno li ricorda, a partire dai giornalisti che li inseguivano come segugi. A quelli io sono da sempre vicino, nella loro solitudine e nel loro cammino; ed è lì che nascono le più belle relazioni, quando il rapporto tra colui che avvicina e colui che si lascia avvicinare, è caratterizzato dalla totale mancanza di qualsiasi genere di interesse, non certo dalla speranza di finire in una terna per una nomina episcopale.

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Ciò premesso concludo: su queste parole scritte oltre un anno fa al Cardinale Angelo Bagnasco, c’è forse qualcuno che oggi intende darmi torto, sia dinanzi al nuovo episcopato italiano, sia dinanzi alla nuova presidenza della C.E.I, che mi suona tanto come la nuova presidenza del jus sòla  sul carro del gran carnevale di Rio de Janeiro?

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da L’Isola di Patmos, 26 giugno 2017

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Cari Lettori,

L’Isola di Patmos è ripiena di Spirito ma non vive di solo spirito, ed il mantenimento del sito che ospita questo osservatorio, questa rivista, ha dei costi, tra l’altro in aumento. Noi siamo sempre andati avanti grazie alle vostre offerte, di cui vi ringraziamo. La verità ve la offriamo gratis di tutto cuore ed a nostro totale “rischio e pericolo”, però ricordate che lavorarla, confezionarla e diffonderla, purtroppo costa.

Dio ve ne renda merito.

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I porno-teologi del galantiniano Avvenire: una profanazione sacrilega dell’Eucaristia di Padre Ermes Ronchi

— bollettino di guerra: è in corso una guerra contro la fede? —

I PORNO-TEOLOGI DEL GALANTINIANO AVVENIRE : UNA PROFANAZIONE SACRILEGA DELL’EUCARISTIA DI PADRE ERMES RONCHI SUL GIORNALE DEI VESCOVI ITALIANI.

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… bisogna delineare la differenza sostanziale e formale che corre tra due “benemerite” riviste erotiche come Playboy e Penthouse, ed il galantiniano Avvenire : le prime due, sono delle riviste erotiche, mentre il secondo ― il galantiniano Avvenire ―, tramite questo articolo di Ermes Ronchi è “consacrato” in tutto e per tutto come quotidiano porno nel senso etimologico del termine.

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Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P. – Ariel S. Levi di Gualdo

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«Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo; ma è difficile. Hic opus, hic labor»

Don Ernesto Buonaiuti [Roma 1881 – Roma 1946]

 

 

 

L’articolo del porno-teologo Ermes Ronchi su Avvenire [vedere QUI ]

Sull’ineffabile Avvenire galantiniano del 15 giugno è apparso un commento al Vangelo della Solennità del Corpo e del Sangue del Signore [cf. Gv 6,51-58], in cui si afferma e si scrive candidamente che in questa liturgia «non adoriamo il Corpo e il Sangue del Signore» e che non è esatto affermare che «celebriamo Cristo che si dona, corpo spezzato e sangue versato» [vedere articolo, QUI] .

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Seguendo la logica filosofico-teologico-pedagogica «non pigliateli sul serio, pigliateli per il culo», campagna pastorale lanciata tempo fa da L’Isola di Patmos [cf. QUI], questa volta tocca al porno-teologo Ermes Ronchi O.S.M, autore di questo commento sull’organo della Conferenza Episcopale Italiana e personaggio del quale già ci siamo occupati quando fu invitato a sparare raffiche di eresie a tutta la curia romana per la predicazione dei pii esercizi spirituali [vedere precedente articolo, QUI]. Dinanzi a quella predicazione a parlare non furono i commenti dei convenuti ma le immagini delle loro facce: il Cardinale Gianfranco Ravasi era ritratto in foto sorridente, distante alcuni metri dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Cardinale Gerhard Ludwig Müller, impietrito e sbiancato in volto come uno ch’è in procinto d’accasciarsi a terra colto da un colpo apoplettico. Inutile dire che se al posto del Cardinale Müller fosse stato presente un suo predecessore come il Cardinale Alfredo Ottaviani, prima sarebbero partite le legnate, poi, direttamente nel cortile della casa di esercizi spirituali che si trova in quel di Ariccia e che è gestita dai membri della Compagnia delle Indie, già Compagnia di Gesù, sarebbe stato issato un rogo. Se ci pensate bene sarebbe stato un gesto salutare di giubilo misericordioso, una espressione della più perfetta carità cristiana che avvolge con tutto l’amore del fuoco che arde il corpo dell’eretico, purificandone l’anima. Certo, oggi è difficile parlare di arrosti salvifici in un mondo nel quale sono in continuo aumento i fedeli della “chiesa dei vegetariani ” e della “chiesa dei vegani ”, pertanto chiudiamo il discorso per non recare offesa ai membri di questi altri culti religiosi oggi sempre più diffusi e anche agguerriti.   

l’attrice Kim Basinger su una castigatissima copertina di Playboy

Dinanzi alla parola «porno» poc’anzi richiamata, qualcuno potrebbe pensare a due riviste come Playboy e Penthouse, che però non sono pornografiche. Infatti, questi due mensili sono catalogati tra le riviste erotiche, che come sappiamo si differenziano parecchio in sostanza e forma da quelle porno. Una cosa è infatti ἔρως [eros], cosa ben diversa è invece πόρνη [pòrne]. Detto questo i nostri Lettori non si lascino sviare per i rivoli delle varie tangenti, perché noi intendiamo rimanere sulla più squisita autostrada etimologica del πόρνη, che per intendersi è la precisa e diritta autostrada greca, sia sul piano lessicale che su quello etimologico.

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Al termine greco πόρνηια, da cui derivano i lemmi porno e pornografia, noi diamo l’originario significato filosofico per così dire autostradale, poi trasposto nel lessico sia evangelico che in quello dell’Apocalisse del Beato Apostolo Giovanni. Il termine πόρνη [pòrne], che è sinonimo indicativo anche di prostituta ― in nobile romanesco mignotta ―, è presente nella letteratura apocalittica [Ap 17:1], ed è citato per ben quaranta volte nell’Antico Testamento.

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il porno-quotidiano Avvenire ed i suoi mostri in prima pagina pel gaudio di tutte le Sinistre del mondo. Potrebbe infatti, il politicamente corretto quotidiano dei Vescovi italiani, prendersela con gli eretici?

Detto questo va delineata la differenza sostanziale e formale che corre tra due “benemerite” riviste erotiche come Playboy e Penthouse, ed il galantiniano Avvenire : le prime due, sono delle riviste erotiche, mentre il secondo ― il galantiniano Avvenire ―, tramite questo articolo di Ermes Ronchi è “consacrato” in tutto e per tutto come quotidiano porno nel senso etimologico del termine.

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Fece ricorso al termine di porno-teologia l’insigne filosofo tomista e teologo Padre Cornelio Fabro, che nel lontano 1973 apostrofò così i porno-teologi :

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«Chi pretende di avanzare tagliando i ponti con il passato non avanza, ma precipita nel vuoto, non incontra l’uomo storico in cammino verso il futuro della salvezza, ma viene risucchiato dai gorghi del tempo senza speranza». 

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il porno-quotidiano Avvenire ed i suoi mostri in prima pagina pel gaudio di tutte le Sinistre del mondo. Potrebbe infatti, il politicamente corretto quotidiano dei Vescovi italiani, prendersela con gli eretici?

L’articolo di Ermes Ronchi, prima di essere eretico è sacrilego, o come sin qui spiegato è porno-teologico. Infatti, per costui, nell’Eucaristia non si tratta di adorare ma di mangiare, perché in caso contrario disprezzeremmo il dono che Cristo ci fa: «che dono è quello che nessuno accoglie? Che regalo è se ti offro qualcosa e tu non lo gradisci e lo abbandoni in un angolo?».

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Ebbene, secondo Ermes Ronchi, lasciare Gesù nel tabernacolo, vuol forse dire disprezzarLo e «lasciarLo in un angolo»? Perché seguendo le sue parole è presto detto che non si tratta di guardare al tabernacolo e alla pisside «con ciò che contiene», ma si tratta solo di mangiare. Inutile ricordare che questi sono i presupposti fondanti attraverso i quali Giovanni Calvino distrusse il mistero della presenza reale di Cristo nella Santissima Eucaristia, riducendola ad un banchetto, ad un solo mangiare tra fratelli, che ricordava simbolicamente la presenza di Cristo nel mondo.

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Prosegue Ermes Ronchi: «Nel Vangelo della Messa, Gesù non sta parlando del sacramento dell’Eucaristia, ma del sacramento della sua esistenza, che diventa mio pane quando la prendo come misura, energia, seme, lievito della mia umanità […]. Mangiare e bere la vita di Cristo non si limita alle celebrazioni liturgiche, ma si dissemina sul grande altare del pianeta, nella “messa del mondo”» [Teilhard de Chardin]».

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il porno-quotidiano Avvenire ed i suoi mostri in prima pagina pel gaudio di tutte le Sinistre del mondo. Potrebbe infatti, il politicamente corretto quotidiano dei Vescovi italiani, prendersela con gli eretici?

Osserviamo che nel Vangelo Gesù ci invita a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane unito a me e io a lui» [cf. Gv 6, 51-58]. E detto questo ricordiamo che nell’Ultima Cena, Cristo Dio prese il pane e disse «questo è il mio corpo»; e preso il vino, disse: «Questo è il mio sangue» [cf. Mt 26; Mc 14; Lc 22; I Cor 11]. l’Eucaristia è pertanto il sacramento del corpo e del sangue del Signore, ed è falso affermare che nel Vangelo della Messa Cristo non stia parlando dell’Eucaristia. È falso anche affermare che l’Eucaristia non sia il sacramento dell’esistenza del Signore, giacché al contrario essa contiene tutto Cristo: corpo, sangue, anima e divinità, basti leggere neppure i grandi trattati di dogmatica sacramentaria, né le stupende encicliche dedicate alla Santissima Eucaristia dai Sommi Pontefici del Novecento, ma solo il Catechismo della Chiesa Cattolica, che forse Ermes Ronchi non conosce, o se lo conosce, lo capovolge male [cf. CCC 1322-1405]. E siccome l’Eucaristia contiene per concomitanza la divinità di Cristo che dev’essere adorato come nostro Dio, è falso negare che nella liturgia della Messa «non adoriamo il Corpo e il Sangue del Signore» …

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… ciò equivale a dire con giochi di fatua semantica poetica — ed i misteri della fede non sono poesia —, che Dio non è realmente presente nell’Eucaristia, il che è eresia. Infine c’è da notare che il «pianeta» non è affatto l’altare del sacrificio di Cristo e quindi della Messa. Sul «pianeta» non si celebra alcuna liturgia. Il luogo nel quale si celebra la liturgia, di norma non è il «mondo», ma è un luogo e un edificio sacro, è il tempio. Perché mai vengono costruite le chiese? Per tenerci che cosa? Si deve dire dunque che l’altare sul quale si è consumato il sacrificio di Cristo, l’altare sul quale Cristo Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza ha celebrato la sua Messa, il sacrificio liturgico, grazie al quale abbiamo l’Eucaristia, non è genericamente il «mondo», ma è la croce, capisci Ronchi ― oh, marrucine asini  ― la croce!

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Dunque l’altare della Messa non è «il mondo», ma l’altare è il simbolo della croce e sull’altare il sacerdote, pronunciando le parole della consacrazione del pane e del vino, rinnova in modo incruento il sacrificio di Cristo, che è il fondamento e la ragion d’essere del sacramento dell’Eucaristia.

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Il mondo è la creazione che è salvata e redenta dal sacrificio della croce che si perpetua nella Messa. L’altare è il luogo del sacro, dove il sacer-dote celebra il sacri-ficio e confeziona [conficit] il sacra-mento. Il mondo è la profanità [pane], che viene purificata, consacrata ed innalzata al sacro [corpo di Cristo], ma non è di per sé sacro.

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È vero che grazie all’Eucaristia Cristo viene in me, Dio è in me. Tuttavia, se nell’Eucaristia non c’è Dio, diversamente la si potrebbe e dovrebbe adorare? Come fa Dio a venire in me per il tramite dell’Eucaristia? Allora, delle due cose una: o l’Eucaristia contiene Dio per concomitanza, ed allora vale e ha senso l’adorazione eucaristica; oppure Dio non c’è nell’Eucaristia, ma .. «Dio è egualmente in me». Ma che Dio è, questo Dio che è «ugualmente in me»? È presto detto: non è il Dio cristiano, ma ha tutta l’aria di essere il Dio panteistico dell’immanentismo hegeliano. Dunque un falso Dio, un idolo.

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il porno-quotidiano Avvenire ed i suoi mostri in prima pagina pel gaudio di tutte le Sinistre del mondo. Potrebbe infatti, il politicamente corretto quotidiano dei Vescovi italiani, prendersela con gli eretici?

Ci vuole una bella dose di fantasia o di ignoranza teologica o di empietà o di spudoratezza o di confusione mentale o come meglio la vogliamo chiamare, per collezionare un tale cumulo di errori e di eresie in così poche righe su di un tema così fondamentale della fede come il mistero eucaristico, per di più su di un quotidiano cattolico controllato dai vescovi italiani, i quali evidentemente non hanno fatto caso ad Ermes Ronchi, occupati in più importanti impegni pastorali, a partire da S.E. Mons. Nunzio Galantino loro segretario generale, da una parte impegnato ad affermare che Dio non castigò le città di Sodoma e Gomorra [cf. QUI], dall’altra a definire «paganesimo senza limiti» l’affermazione legata alla teologia del peccato originale [cf. QUI]. Tutto questo dinanzi ad una generale incuranza: se c’è davvero un problema «senza limiti», è purtroppo la palese ignoranza dottrinale manifestata da certi soggetti con le loro improvvide e infauste dichiarazioni. E dopo che qualcuno osò scuotere con una orrenda “bestemmia” il mondo galantiniano misericordista, molliccio, buonista ed ecologista, affermando che «Dio castiga e usa misericordia» [cf. QUI], lo scandalo prodotto fu tanto e tale che poco dopo si videro alcuni membri dell’episcopato italiano muoversi in mutande tra una dichiarazione concitata e l’altra, dopo che si furono stracciati di dosso le vesti come il Sommo Sacerdote nel Tempio di Gerusalemme [cf. Mt 27,56-68; Mc 14,53-55]. Pare che in quei giorni, la sartoria ecclesiastica romana del nostro amico Ety Cicioni in Borgo Santo Spirito, fece affari d’oro, nel rifare corredi interi a diversi vescovi [cf. QUI], con i Padri de L’Isola di Patmos che riscuotevano gioiosi percentuali sottobanco per avergli procurato svariati clienti di riguardo.

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Noi non pretendiamo che S.E. Mons. Nunzio Galantino faccia scrivere su Avvenire che lo scritto di Ermes Ronchi è di un «paganesimo senza limiti», anche perché di prassi, i ladri della fede, quando si mettono in coppia agiscono di solito a questo modo: uno ruba e l’altro gli regge il sacco. Sicuramente, i nostri Lettori, dinanzi a queste evidenze capiranno meglio ancora il senso del lancio della nostra accorata e disperata campagna … «non pigliateli sul serio, pigliateli per il culo» [cf. QUI]. Cos’altro ci resta da fare, dinanzi ad eresie sul mistero eucaristico pubblicate dal giornale dei Vescovi italiani e quindi diffuse a mezzo stampa col marchio C.E.I, le cui iniziali, purtroppo, come tutti ben sappiamo non indicano affatto i tarocchi China Export, ma la Conferenza Episcopale, che di questi tempi, in quanto a tarocchi …

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da L’Isola di Patmos, 25 giugno 2017

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e daije: famose ‘na cultura teologgica !

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Lettera del Cardinale Carlo Caffarra al Sommo Pontefice: «Mossi dalla nostra coscienza …».

LETTERA DEL CARDINALE CARLO CAFFARRA AL SOMMO PONTEFICE: « MOSSI DALLA NOSTRA COSCIENZA … »

Riproduciamo la lettera che il Cardinale Carlo Caffarra ha inviato nel mese di aprile al Sommo Pontefice e che a distanza di due mesi è stata resa pubblica. Il teologo Carlo Caffarra è riconosciuto come il più autorevole esperto sui temi legati alla famiglia ed alla vita. Il Santo Pontefice Giovanni Paolo II lo considerava un proprio punto di riferimento e più volte si è avvalso della sua collaborazione per la redazione di importanti atti di magistero. Anche il Sommo Pontefice Francesco I nutre verso di lui stima, non ultimo per la sua fedeltà al Successore di Pietro, ma purtroppo, il Santo Padre si trova in una “gabbia” nella quale è stato messo da alcuni oscuri personaggi che lo circondano e dalla quale purtroppo non è facile uscire …

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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il Sommo Pontefice Francesco I ed il Cardinale Carlo Caffarra

La recente lettera del Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo emerito di Bologna, ha molto toccato il Padre Giovanni Cavalcoli e me, non a livello emotivo, ma nella più profonda dimensione spirituale, oltre che sul piano teologico e pastorale. Entrambi stimiamo profondamente il Cardinale Carlo Caffarra e conoscendolo sappiamo quanto sia un autentico uomo di Dio, un autentico modello di fede, un teologo di altissima levatura.

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Di questi tempi c’è poco da sorridere, ma con una espressione di devoto affetto, ci viene da dire al Cardinale: «Padre Cardinale, il giorno in cui come noi tutti, ella risponderà del proprio operato dinanzi a Dio, forse dovrà rispondere per alcuni pensieri, per alcune parole, per alcune opere … ma non per le omissioni! E forse — sebbene nessuno di noi possa interpretare e tanto più in anticipo il giudizio di Dio —, ci piace sperare che questa sua virile, pastorale e lodevole fuga dalle compiacenti omissioni, comporterà da parte del Supremo Giudice il pieno perdono per avere eventualmente peccato come noi tutti in pensieri, parole e opere. Infatti, la fuga da quelle omissioni nelle quali non solo gran parte dell’episcopato è caduto, ma sulle quali esso ha proprio improntato il proprio pavido agire ed operare pastorale, è da parte sua un atto di autentico eroismo per il quale Cristo sposo della Chiesa le renderà ampio merito». 

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il Cardinale Carlo Caffarra durante la Santa Messa

Il pubblico parlare del Cardinale Carlo Caffarra è tutt’altra cosa rispetto al parlare di coloro che nei chiusi salotti alto prelatizi lanciano fuochi e saette sul dire e non dire del Santo Padre, sulla confusione nella quale il Successore di Pietro ci ha fatti scivolare con certe sue espressioni ambigue. Il parlare del Cardinale Carlo Caffarra è mosso da gratuito amore eroico verso la Chiesa di Cristo, mentre il pettegolare salottiero di certi prelati e curiali è dovuto solo ad un livore che nasce principalmente da carriere e cariche non concesse. Infatti, se ad alcuni di essi il Santo Padre Francesco avesse imposta la agognata berretta cardinalizia, oggi costoro sosterrebbero che Amoris laetitia è il più grande documento del magistero pontificio degli ultimi cinquecento anni e che un Sommo Pontefice come Francesco I non lo si vedeva dai tempi in cui il Verbo di Dio Incarnato camminava sopra le acque dei laghi dell’antica Palestina. 

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il Cardinale Carlo Caffarra

In uomini di Dio come Carlo Caffarra, vediamo quella luce della nostra cristologica speranza futura dinanzi alla quale esprimiamo con fede più che mai: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Invece, dinanzi ai politicanti in carriera, che sono a monte i responsabili della situazione sempre più insostenibile nella quale versiamo, non possiamo che dire: «Preserva la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica» dai danni immani ad essa recata dai difensori dei valori “politici” non negoziabili, che all’epoca in cui il vento tirava per altro verso, si vedevano già cardinali al merito della difesa dei valori “politici” non negoziabili. Personaggi il cui vivere e agire è stata una vita di schiavitù interamente condizionata dal desiderio di conseguire una grande sede arcivescovile ed una berretta cardinalizia; vescovi che nella migliore delle ipotesi hanno lasciato diocesi allo sfacelo composte oggi da preti divisi e litigiosi; vescovi che con i propri preti si sono palesati dotati di una paternità più o meno equiparabile a quella di un cocomero; vescovi che dinanzi a Dio e alla storia saranno giudicati come i responsabili ed i padri partorienti del pessimo episcopato odierno, nato proprio per meccanismi reattivi — tutto sommato anche comprensibili —, fatti scaturire nell’episcopato italiano dai soggetti devastanti che li hanno preceduti ieri …

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il Cardinale Carlo Caffarra durante una conferenza

… è vero, oggi abbiamo un episcopato formato purtroppo da numerosi elementi intrisi delle peggiori eresie moderniste, però, cercando persino nella tragedia un possibile “risvolto positivo”, possiamo perlomeno dire che non abbiamo più quei vescovi politiconi che mentre i loro preti in crisi abbandonavano il sacerdozio, loro erano a Montecitorio a parlare con Gianni Letta per vedere se anche lui, con una parola buona, poteva favorire il loro trasferimento alla sede arcivescovile di Milano o al Patriarcato di Venezia. E dovendo scegliere tra i vescovi che andavano e venivano dai salotti dei peggiori politici pluri-inquisiti e quelli che oggi, forse per conformismo o per convenienza, parlano in modo ossessivo solo di profughi, ahimè, sarei costretto per cristiana onestà intellettuale a scegliere questi secondi, a partire dal santegidino S.E. Mons. Matteo Maria Zuppi e dall’enfant prodige della scuola di Bologna S.E. Mons. Corrado Lorefice, baciando all’uno e all’altro dieci volte la mano. E ad ogni bacio di mano cercherei di cancellare dalla recente memoria il nefasto ricordo dei loro predecessori difensori “politici” dei valori non negoziabili, che dinanzi ai festini orgiastici di Silvio Berlusconi non si facevano scrupolo a dichiarare che … «un primo ministro non si giudica dalla sua vita privata, ma dai suoi atti di governo», aggiungendo a reprimenda verso molti italiani che osarono persino rimanere indignati per certi festini a luci rosse, che «L’indignazione non è un sentimento cristiano». E oggi questi vescovi, pensionati e come suol dirsi bellamente trombati, sono coloro che più di tutti strepitano come leoni da salotto sulla Amoris laetitia ed i divorziati risposati, mentre Silvio Berlusconi, che andava giudicato «non dalla sua vita privata ma dai suoi atti di governo», oggi ha ottant’anni e come terza compagna una ragazza appena trentenne, si è dichiarato favorevole a tutte le legislazioni più anticristiane, ed è più o meno patetico come lo erano e lo sono certi vescovi difensori “politici” dei valori non negoziabili, dietro ai quali speravano solo in una porpora cardinalizia, grazie a Dio mai giunta, mentre il loro beniamino, Berlusconi, come un albero lo abbiamo riconosciuto tutti quanti dai frutti che ha dato …

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C’è per caso qualche vergine vilipesa che intende lamentarsi perché oggi abbiamo un episcopato italiano che reattivamente, ed anche comprensibilmente, è per la gran parte tutto sbilanciato a sinistra? 

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da L’Isola di Patmos, 20 giugno 2017 

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Autore
Carlo Card. Caffarra

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Beatissimo Padre,

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è con una certa trepidazione che mi rivolgo alla Santità Vostra, durante questi giorni del tempo pasquale. Lo faccio a nome degli Em.mi Cardinali: Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Joachim Meisner, e mio personale.

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Desideriamo innanzi tutto rinnovare la nostra assoluta dedizione ed il nostro amore incondizionato alla Cattedra di Pietro e per la Vostra augusta persona, nella quale riconosciamo il Successore di Pietro ed il Vicario di Gesù: il «dolce Cristo in terra», come amava dire Santa Caterina da Siena. Non ci appartiene minimamente la posizione di chi considera vacante la Sede di Pietro, né di chi vuole attribuire anche ad altri l’indivisibile responsabilità del munus petrino. Siamo mossi solamente dalla coscienza della responsabilità grave proveniente dal munus cardinalizio: essere consiglieri del Successore di Pietro nel suo sovrano ministero. E del Sacramento dell’Episcopato, che «ci ha posti come vescovi a pascere la Chiesa, che Egli si è acquistata col suo sangue» [At 20, 28].

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Il 19 settembre 2016 abbiamo consegnato alla Santità Vostra e alla Congregazione della Dottrina della Fede cinque dubia, [Ndr. cf. QUI] chiedendoLe di dirimere incertezze e fare chiarezza su alcuni punti dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris Laetitia.

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Non avendo ricevuto alcuna risposta da Vostra Santità, siamo giunti alla decisione di chiederLe, rispettosamente ed umilmente, Udienza, assieme se così piacerà alla Santità Vostra. Alleghiamo, come è prassi, un Foglio di Udienza in cui   esponiamo i due punti sui quali desideriamo intrattenerci con Lei.

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      Beatissimo Padre,

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    è trascorso ormai un anno dalla pubblicazione di Amoris Laetitia. In questo periodo sono state pubblicamente date interpretazioni di alcuni passi obiettivamente ambigui dell’Esortazione post-sinodale, non divergenti dal, ma contrarie al permanente Magistero della Chiesa. Nonostante che il Prefetto della Dottrina della Fede abbia più volte dichiarato che la dottrina della Chiesa non è cambiata, sono apparse numerose dichiarazioni di singoli Vescovi, di Cardinali, e perfino di Conferenze Episcopali, che approvano ciò che il Magistero della Chiesa non ha mai approvato. Non solo l’accesso alla Santa Eucarestia di coloro che oggettivamente e pubblicamente vivono in una situazione di peccato grave, ed intendono rimanervi, ma anche una concezione della coscienza morale contraria alla Tradizione della Chiesa. E così sta accadendo ― oh quanto è doloroso constatarlo! ― che ciò che è peccato in Polonia è bene in Germania, ciò che è proibito nell’Arcidiocesi di Filadelfia è lecito a Malta. E così via. Viene alla mente l’amara constatazione di B. Pascal: “Giustizia al di qua dei Pirenei, ingiustizia al di là; giustizia sulla riva sinistra del fiume, ingiustizia sulla riva destra”.

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     Numerosi laici competenti, profondamente amanti della Chiesa e solidamente leali verso la Sede Apostolica, si sono rivolti ai loro Pastori e alla Santità Vostra, per essere confermati nella Santa Dottrina riguardante i tre sacramenti del Matrimonio, della Confessione e dell’Eucarestia. E proprio in questi giorni, a Roma, sei laici provenienti da ogni Continente hanno proposto un Seminario di studio assai frequentato, dal significativo titolo: «Fare chiarezza».

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     Di fronte a questa grave situazione, nella quale molte comunità cristiane si stanno dividendo, sentiamo il peso della nostra responsabilità, e la nostra coscienza ci spinge a chiedere umilmente e rispettosamente Udienza.

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     Voglia la Santità Vostra ricordarsi di noi nelle Sue preghiere, come noi La assicuriamo che faremo nelle nostre. E chiediamo il dono della Sua Benedizione Apostolica.

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Carlo Card. Caffarra

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Roma, 25 aprile 2017
Festa di San Marco Evangelista

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FOGLIO D’UDIENZA

1. Richiesta di chiarificazione dei cinque punti indicati dai “dubia”; ragioni di tale richiesta.

2. Situazione di confusione e smarrimento, soprattutto nei pastori d’anime, in primis i parroci.

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Supplica al Sommo Pontefice: «Santità, non andate a rendere omaggio al cattivo maestro Lorenzo Milani»

— gli amici de L’Isola di Patmos scrivono … 

SUPPLICA AL SOMMO PONTEFICE: «SANTITÀ, NON ANDATE A RENDERE OMAGGIO AL CATTIVO MAESTRO LORENZO MILANI» 

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Passino i vescovi mediocri e quelli ruffiani, i quali rappresentano un fenomeno grave e deprimente, perché una visita privata promossa a Barbiana dall’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori e da Michele Gesualdi, allievo del Milani e Presidente della Fondazione intestata al Priore di Barbiana, potrebbe mutarsi in una vera e propria “beatificazione” di questo cattivo maestro, con conseguenze politiche, sociali e pastorali ancora peggiori.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa

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video-messaggio del Sommo Pontefice Francesco I su don Lorenzo Milani – per aprire il video cliccare sopra l’immagine

L’Isola di Patmos non è solo una rivista telematica, ma anche strumento attraverso il quale due sacerdoti e teologi esercitano il loro sacro ministero, fatto soprattutto di tante relazioni pubbliche e private, di tanti dubbi presentati e risolti, di tante richieste spirituali evase, di tanti quesiti teologici e dottrinari chiariti. Questa, dietro le righe e oltre le righe, è L’Isola di Patmos, inclusa anzitutto l’assistenza spirituale e la vicinanza offerta a non pochi sacerdoti che si trovano in difficoltà di vario genere.

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Tra i nostri numerosi Lettori, in quest’Isola sempre più frequentata che marcia da tempo su una media di un milione di visite al mese, vi è un fiorentino, Pier Luigi Tossani. Tossani è un fedele cattolico che interessandosi, sia pure da non professionista o specialista, di religione, cultura, politica e società, ha realizzato una ricerca sulla figura del priore di Barbiana, la sua personalità e i frutti della sua attività pastorale. Il nostro Lettore ci ha inviato il frutto del suo lavoro, unito alla supplica da lui inviata lo scorso mercoledì 14 giugno 2017 per posta elettronica al Santo Padre Francesco, tramite la Segreteria di Stato Vaticana, nella quale egli chiede al Pontefice di non andare in visita a Barbiana, martedì 20 giugno prossimo, a pregare sulla tomba di don Lorenzo Milani. Il Sommo Pontefice darebbe evidentemente in tal modo il suo inequivocabile avallo e la sua approvazione ad una figura di sacerdote e di educatore «drammaticamente negativa», come rivelano le stesse parole del priore di Barbiana, puntualmente citate da Tossani nella supplica. La supplica è rivolta, oltre che al Romano Pontefice, anche a tre Cardinali che sono, a vario titolo, coinvolti nella vicenda milaniana.

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Mi sono consultato col Padre Giovanni Cavalcoli e il giovane filosofo e teologo Jorge Facio Lince, giungendo tutti e tre alla medesima conclusione: nessuno di noi conosce a fondo la figura di don Lorenzo Milani. La nostra è una conoscenza perlopiù superficiale.

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Alberto Melloni alla presentazione dell’opera su don Lorenzo Milani – per aprire il video cliccare sull’immagine

La ricerca di Pier Luigi Tossani ci ha colpiti, perché svolta anzitutto con molta serietà. Si tratta infatti di uno studio che non mira a denigrare una figura controversa, quanto piuttosto a far luce su di essa; soprattutto a scindere il vero dal verosimile, la realtà dall’alone di leggenda creato attorno a quel sacerdote ed educatore. Tossani, nell’analizzare la figura milaniana, distingue con cristiana e caritatevole cura l’errore da segnalare al popolo, dall’errante da correggere, da richiamare allo stato di grazia e quindi  da perdonare.

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Dopo avere premessa e ammessa la mia non conoscenza, esprimo un pensiero in forma dubitativa, che in breve vi riassumo: iniziai le scuole medie inferiori tra il 1974 ed il 1975. Ricordo sempre che una delle prime letture che l’insegnante d’italiano ci propose fu proprio quella delle Lettere di don Lorenzo Milani. Si trattava di un’insegnante uscita poco prima dalla stagione del vietato vietare e della immaginazione al potere, che manifestava il proprio anticlericalismo viscerale col ricorso a grossolani falsi storici, trasmettendo leggende nere sulla Chiesa Cattolica anziché dati storici oggettivi. Però era una che amava oltre misura la figura di don Lorenzo Milani. In seguito seppi anni dopo che questa insegnante era stata, ed era ai tempi del suo insegnamento, una militante nelle file di Lotta Continua.

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La figura di don Lorenzo Milani mi fu riproposta nella terza classe della scuole medie, dove fu persino oggetto di esame. Poi ancora dopo al liceo classico.

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Un recente evento decicato pochi giorni fa, il 7 giugno, a don Lorenzo Milani, promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, al centro la nota e coltissima ministro dell’istruzione dell’attuale governo …- per aprire il video clicca sull’immagine

Per la terza volta ripeto — a costo d’esser prolisso —, che non ho mai approfondita la conoscenza di questa figura che non suscitò mai il mio particolare interesse, però una cosa la ricordo bene: gli insegnanti che proponevano don Lorenzo Milani come vessillo, erano tutti militanti nell’allora Partito Comunista Italiano, se non nelle frange più estreme della sinistra radicale; e don Lorenzo Milani lo proponevano in modo più o meno subdolo come bandiera contro il «potere ecclesiastico» e contro il sistema detto all’epoca «catto-fascista». 

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Portando come esempio me stesso — ma solo perché in questo discorso non potrei fare diversamente —, domando ai nostri Lettori: quante volte, su queste colonne, come prima altrove, compreso un libro che a suo tempo ebbe una certa eco e diffusione, ho scritto e parlato senza veli e senza mezzi termini della decadenza morale, dottrinale e spirituale del clero? Quante, ed in quali toni duri, ho indicato i difetti della Chiesa visibile? E detto questo vi domando: come mai, i nemici della Chiesa di ieri e di oggi, non mi hanno mai usato come loro bandiera? Permettetemi quindi di dare quella risposta che in molti già conoscete: perché certe critiche basate su dati oggettivi, nascono dal mio amore per la Chiesa di Cristo e dalla consapevolezza che io sono sacerdote in eterno; mai io accetterei di diventare un lupo solitario all’interno della Chiesa circondato da un codazzo di adulanti intellettuali o sedicenti tali della Sinistra, che inneggiano a me come ad un «prete di rottura», come ad un «prete contro-tendenza», ad un «prete fuori dal coro». Oggi vanno invece di moda i «preti di strada», ed i «preti di periferia», ma la solfa è sempre la stessa: giunge da una parte don Luigi Ciotti per lo show di una delle sue Messe socio-politiche, ed accorre subito festante e sculettante Niki Vendola con i suoi al seguito ad applaudire il «prete di base». Perché, il Vendola ed i suoi, non vengono ad applaudire me, che pure, col clero e la Chiesa gerarchica, sono stato spesso di una severità pesantissima? … Perché sanno benissimo che li inviterei a pentirsi anzitutto dei loro peccati, a partire da quello di sodomia. E con questo è presto detto perché questa gente ha bisogno dei vari don Luigi Ciotti che citano con la lacrima all’occhio quel “grande profeta” del Milani indicandolo come «prete di base» …

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… ecco i modelli di preti che avevano sempre pronta sulle labbra la citazione di don Lorenzo Milani da loro considerato un profeta: don Andrea Gallo in chiesa, al termine della Santa Messa, che come canto finale canta un inno della resistenza comunista sventolando un fazzoletto rosso – per aprire il video cliccare sull’immagine

I fricchettoni della Sinistra radical-chic, hanno bisogno degli Andrea Gallo, dei Paolo Farinella e dei Vitaliano Della Sala, ma non di un Ariel S. Levi di Gualdo, il quale non farebbe mai il loro gioco, anzi smaschererebbe i loro giochi, casomai qualcuno avesse la dabbenaggine — che però non hanno — di invitarmi a dibattere con certa gente a una diretta televisiva. Infatti, i Massoni, hanno bisogno delle parole untuose di un Gianfranco Ravasi [cf. QUI], hanno bisogno di un Alberto Melloni e di una Marinella Perroni che vadano ad un simposio organizzato dal Grande Oriente d’Italia in falso e pretestuoso onore del Santo Padre Francesco [cf. QUI, QUIQUI pag. 6], non hanno bisogno di un Ariel S. Levi di Gualdo che direbbe loro in faccia che la Massoneria è esoterismo pagano nonché negazione di quei princìpi di libertà, uguaglianza e fraternità di cui essi si riempono la bocca al solo scopo di infinocchiare gli allocchi, inclusi i danarosi per un verso, ed i bramosi di brillanti carriere professionali, cliniche e accademiche, seguiti da un esercito di frammassoni che aspirano a lucrare maggiori convenienze commerciali, imprenditoriali e politiche. E con questo ho detto in breve che io — che pure parlo delle immoralità diffuse nel clero e delle derive della Chiesa visibile —, non sono un donciottesco «prete di rottura» al quale inneggiare, perché sono un prete pronto a “rompere la testa” a chiunque tentasse di spaccare la comunione della Chiesa o di rendere la Chiesa di Cristo altro da quella che essa è.

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l’insolito e imbarazzante caso dell’eletto vescovo ausiliare di Palermo, altro grande estimatore della pedagogia di don Lorenzo Milani, che rinuncia alla nomina dichiarandosi colpito da «calunnie del tutto infondate». A maggior ragione, se davvero le accuse erano infondate e calunniose, non avrebbe mai dovuto rinunciare all’incarico – per aprire il video cliccare sull’immagine

Alberto Melloni ha già fatto fin troppi danni, presentandosi direttamente o per interposta persona alla Domus Sactae Marthae con le liste dei nuovi vescovi da nominare, ed all’uscita sua è entrato un altro soggetto non meno dannoso con altrettanta lista: Andrea Riccardi. Gli esiti dei vescovi melloniani si stanno però vedendo già a breve distanza dalle loro nomine, a partire dall’Arcivescovo di Palermo che di recente, in questo mondo senza memoria fatto di notizie che passano il giorno dopo, si era scelto come proprio vescovo ausiliare un soggetto talmente discusso che da svariate parti d’Italia, dopo l’ufficializzazione della sua nomina ed il decreto pontificio firmato dal Sommo Pontefice, giunsero alla Santa Sede segnalazioni accompagnate da stupore per quella scelta. E così fu prima richiesto un diplomatico «supplemento d’indagine» [cf. QUI], poi, un mese e mezzo dopo, il neo eletto ausiliare scriveva — in modo del tutto spontaneo, s’intende! —, la propria rinuncia alla nomina episcopale. Nel mentre, la sua benemerita Provincia Cappuccina, si stracciava addolorata le vesti, con i frati suoi membri nel ruolo delle vergini vestali addolorate per quanto patito dal loro povero confratello. Ma nel fare questo hanno sbagliato, perché se il loro confratello elevato alla dignità episcopale era immacolato, non avrebbe mai dovuto rinunciare alla nomina. Facendolo ha corso il rischio di dare a intendere lui stesso che forse così immacolato non era, sempre con buona pace delle vergini vestali cappuccine della Provincia di Sicilia [cf. QUI], probabilmente ignare che presso la Santa Sede le segnalazioni più gravi sull’eletto vescovo ausiliare di Palermo, giunsero proprio da non pochi Frati Minori Cappuccini, da religiosi di altre famiglie religiose e da svariate religiose che lamentavano i suoi discutibili metodi psicologici. E dinanzi a questo siamo costretti a dare ragione ai vecchi anticlericali dell’Ottocento, quando dalle colonne dei giornali anticlericali parlavano e ironizzavano sulla proverbiale ingenuità dei Frati Francescani …

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Alberto Melloni, colui che vede le «ingiustizie» solo secondo la sua convenienza ideologica e politica – per aprire il video cliccare sopra l’immagine

Tra queste righe abbiamo dipinto uno tra i figli episcopali più illustri del Melloni e della sua Scuola di Bologna, che è la scuola dei conferenzieri dei salotti politici della Sinistra e delle sale da convegno extra lusso con alloggi negli hotel a cinque stelle presso i quali parlano della «Chiesa povera per i poveri» e della «rivoluzione epocale di Francesco». Abbiamo dipinto un Melloni pauperista-ideologico, che osa parlare di «ingiustizia sanata» — quella recata a don Lorenzo Milani —, dal gran cuore misericordioso del Santo Padre Francesco. Ora, viene da chiedersi: ha il Melloni la più pallida idea delle sofferenze e delle ingiustizie recate a non pochi sacerdoti, a partire da quel fermo dissenziente dal pensiero di Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo, i fondatori della Scuola di Bologna, che è stato il Venerabile Padre Divo Barsotti, il quale trascorse tutti i primi anni del proprio ministero sacerdotale a casa dei propri genitori, senza alcun incarico pastorale affidatogli dal Vescovo della Diocesi, quella di San Miniato? Almeno, a don Lorenzo Milani, dopo i danni da lui fatti in una parrocchia fiorentina, dettero la chiesa parrocchiale di Barbiana, ma a quel santo uomo di Dio di don Divo Barsotti, non dettero nemmeno quella! Perché, il Melloni, non invoca che sia ripristinata la giustizia per i torti sofferti da questo autentico uomo di Dio? Semplice la risposta: perché il Padre Divo Barsotti non era uno che si lasciava strumentalizzare né dall’allora grande e potente Partito Comunista Italiano, né da quei pacifondisti degli anni Settanta che con le spranghe di ferro in mano gridavano «fate l’amore non fate la guerra», «mettete i fiori nei vostri cannoni» e via dicendo a seguire. Il tutto a riprova di quanto il Melloni sia una figura di dubbia onestà intellettuale, sembrando egli misurare le ingiustizie con metro diverso, a seconda della tendenza politica delle vittime, vere o presunte che siano. E che soggetti come Melloni, esercitino persino influenze sul Sommo Pontefice, è cosa gravissima che non può che inquietarci …

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un altro grande citatore di don Lorenzo Milani: don Luigi Ciotti, durante il “comizio” tenuto al “funerale porcino” di don Andrea Gallo in una chiesa ridotta ad un teatrino sacrilego di comunisti radicali, scalmanati dei centri sociali, transessuali, travestiti, abortisti, eutanasisti, ideologi del gender e via dicendo … per aprire il video cliccare sull’immagine

… ma siccome le pezze sono peggiori degli strappi, dopo quest’infelice sortita del Primate di Sicilia, figlio prediletto della Scuola di Bologna, che per la scelta di un vescovo ausiliare ha messo in imbarazzo la Santa Sede, oltre ai vescovi siciliani che hanno approvata la proposta di quel candidato, ecco che l’episcopato siciliano ha cercato in questi giorni di rifarsi la verginità dinanzi al Pontefice felicemente regnante con un gattopardesco tentativo di lusinga: la concessione della Comunione ai divorziati risposati previo discernimento accurato [cf. QUI, QUI]. Che equivale a dire: “Santità, non pensate male, perché noi, mitici figli del Gattopardo, proprio per questo siamo ancor più avanguardisti dello stesso episcopato tedesco!”…

… basta pertanto sbirciare, come abbiamo fatto, sotto la tovaglia in apparenza linda dell’altarino, per vedere la crosta di grasso che c’è  sotto e capire che tutto questo, se non fosse tragico, sarebbe davvero comico. Com’è tragico il fatto che, mentre il Melloni va e viene, direttamente o indirettamente dalla Domus Sanctae Marthae, ha il tempo, nella circostanza della “consegna” a tutte le scuole italiane della lettura di don Lorenzo Milani da parte della Ministra alla Pubblica Istruzione Valeria Fedeli, di gettare fango, in un velenoso discorso, sulla memoria del grande Arcivescovo di Firenze Ermenegildo Florit, già ordinario diocesano del priore di Barbiana. E qui correggo amichevolmente Tossani: il discorso di Melloni [il cui testo è riportato integralmente QUI da La Repubblica], non verrà pronunziato martedì prossimo a Barbiana, alla presenza del Sommo Pontefice, ma è già stato tenuto nella circostanza della solenne “consegna” di don Lorenzo Milani da parte del Ministro Fedeli alla scuola italiana. È quello l’evento a cui si riferisce La Repubblica, non la visita del Santo Padre a Barbiana. La sostanza del discorso, peraltro, non cambia di una virgola.

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Certo, pensavamo — sbagliando! —, che anche alla piaggeria gattopardesca vi fosse un limite, ma per l’appunto ci eravamo sbagliati, perché in realtà c’è sempre chi crede — proprio come i vescovi siciliani portati poc’anzi come paradigma —, che il mondo sia fatto di persone completamente incapaci di capire, discernere e  analizzare i motivi reali che muovono certi eventi, certe tovaglie messe sugli altarini, ed infine certe colossali leccate di … quel che voi sapete [chi volesse approfondire legga questo mio precedente articolo, QUI].

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un altro grande citatore di don Lorenzo Milani, il presbitero genovese Paolo Farinella, che sul palco di una tribuna politica si presenta dicendo … «di professione faccio il prete», poi comincia il suo comizio …  – per aprire il video cliccare sopra l’immagine

Passino i vescovi mediocri e quelli ruffiani, i quali rappresentano un fenomeno grave e deprimente, perché temo che le conseguenze sociali, politiche e soprattutto pastorali di una visita privata del Romano Pontefice promossa a Barbiana dal Cardinale Giuseppe Betori e da Michele Gesualdi, come si è detto allievo del priore e Presidente della Fondazione don Milani, traducendosi in una vera e propria “beatificazione” di questo cattivo maestro, potrebbero essere molto peggiori.

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Facciamo dunque voti affinché la supplica del nostro amico fiorentino venga accolta, che il Sommo Pontefice Francesco I e l’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori – la supplica è infatti stata rivolta anche a lui! – non vadano martedì prossimo a Barbiana e che essi vogliano censurare severamente Melloni — come Tossani ha richiesto —, per le infamanti accuse da lui lanciate al Cardinale Ermenegildo Florit, descritto come un’assetato di potere e spietato vessatore del “profeta” don Milani [vedere articolo di Alberto Melloni, QUI], mentre invece ancora oggi, questo Arcivescovo di Firenze di benedetta memoria, è ricordato come un autentico uomo di Dio da numerosi fedeli della Chiesa fiorentina.

Vi invito e vi lascio alla lettura della supplica al Sommo Pontefice firmata da Pier Luigi Tossani, invitandovi a leggere anche l’esaustivo dossier, anch’esso inviato al Sommo Pontefice e ai tre Cardinali, nel quale egli approfondisce in dettaglio le ragioni delle sue richieste, senza alcuna prevenzione nei riguardi di don Lorenzo Milani, per il quale invochiamo che Dio possa avere avuto pietà della sua anima, come ebbe a dire il Beato Paolo VI apprendendo della sua morte: «Speriamo bene!…». Ma anche in questo sta il cuore del problema: Paolo VI e Giovanni Paolo II li abbiamo beatificati e canonizzati, però non li abbiamo ascoltati …

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Facendo quindi nostra una felice espressione chiarificatrice di Marcello Veneziani, riteniamo di poter dire con lui che don Lorenzo Milani «non è un maestro cattivo, ma un cattivo maestro» [cf. QUI].

 

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da L’Isola di Patmos, 17 giugno 2017

Festa del Corpus Domini

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A quanti volessero approfondire il tema, rimandiamo a una pubblicazione del 1977 di un insigne teologo domenicano:

TITO S. CENTI, OP – «INCONTRI E SCONTRI CON DON LORENZO MILANI» [ed. Civiltà Brescia, 1977]

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Pier Luigi Tossani

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Beatissimo Padre,

Eminenze Reverendissime,

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Autore
Pier Luigi Tossani

è noto che, nell’ambito delle celebrazioni per il cinquantenario della morte di don Lorenzo Milani, è previsto che martedì 20 giugno prossimo Sua Santità Papa Francesco si rechi a Barbiana, in forma privata, a pregare sulla tomba del priore.

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A fronte di tal evento, il sottoscritto Vi trasmette un articolato dossier dal quale risultano molteplici caratteristiche del pensiero, dell’insegnamento e delle opere del priore di Barbiana, che inducono a ritenere non opportuna tale visita. Nello specifico, si evince dalle stesse parole del priore, anche nei suoi scritti più noti, che: 

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1. Don Milani, lungi dall’essere quel «ribelle obbediente» alla Chiesa, come viene correntemente definito, viveva invece in uno stato di permanente ammutinamento verso di essa [cf. capp. 1, 3, 6, 10 del dossier allegato], al punto, per esempio, da descrivere il suo superiore l’Arcivescovo Ermenegildo Florit, in una lettera indirizzata al suo allievo Francesco Gesualdi, come «un deficiente indemoniato».

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2. Il priore si rivela sostenitore della violenza rivoluzionaria di stampo giacobino [cf. capp. 3 e 4 del dossier allegato]. Ad esempio, egli infatti scrive nella famosa Lettera a Gianni : «Ma domani, quando i contadini impugneranno il forcone e sommergeranno nel sangue insieme a tanto male anche grandi valori di bene accumulati dalle famiglie universitarie nelle loro menti e nelle loro specializzazioni, ricordati quel giorno di non fare ingiustizie nella valutazione storica di quegli avvenimenti. Ricordati di non piangere il danno della Chiesa e della scienza, del pensiero o dell’arte per lo scempio di tante teste di pensatori e di scienziati e di poeti e di sacerdoti».

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3. Il priore è anche sostenitore della lotta di classe di stampo marxista-leninista [ancora capp. 3 e 4 del dossier allegato]. Si veda, ad esempio, quando egli scrive nella Lettera ai cappellani militari toscani : «…E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi».  

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4. Don Milani sostiene esplicitamente lo spargimento del sangue dei nemici del popolo, come si legge nel cap. 4 del dossier allegato, quando nella Lettera a Ettore Bernabei egli scrive: «…Per il bene dei poveri. Perché si facciano strada senza che scorra il sangue. E se anche il sangue dovesse scorrere un’altra volta, perché almeno non scorra invano per loro come è stato finora tutte le volte».

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In ultimo, don Milani manifesta anche pulsioni omosessuali e pedofile [vedi al cap. 5 del dossier allegato], quando in una lettera a Giorgio Pecorini egli scrive:

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«Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani piú che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)». e che «… E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?».

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Il sottoscritto argomenta in dettaglio nel dossier allegato che:

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– L’insieme degli aspetti disturbati della psiche del priore ha ovviamente influenzato il suo progetto educativo [vedi al cap. 2 del dossier allegato], attribuendo ad esso un carattere ideologico e classista, che ne ha pregiudicato gravemente il livello nella qualità e nei contenuti. Ciò si è risolto in un danno, paradossalmente proprio nei confronti di quei poveri e di quegli ultimi che egli diceva di aver a cuore e voler aiutare, vale a dire in prima istanza i suoi allievi. Secondariamente verso tutti coloro, docenti e discenti, che si sono ispirati al suo esempio educativo. Si evince infatti dal dossier, ancora al capitolo 2, che anche tutta la scuola italiana è stata largamente contaminata in modo negativo dal portato milaniano, che come si sa ha avuto moltissimi estimatori e promotori.

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– L’infelice eredità milaniana, oltre ad aver avuto ripercussioni negative nel tessuto sociale e religioso, in particolare in quello fiorentino [vedi al capitolo 9 del dossier allegato], si è altresì tradotta in esperienze negative che ad essa si sono esplicitamente richiamate, come quella del Forteto [Ndr. QUI, QUI]e quella del cappellano della Comunità fiorentina delle Piagge, don Alessandro Santoro [vedi al cap. 8 del dossier allegato]  [Ndr. QUI, QUI]

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Il sottoscritto coglie la presente circostanza per segnalare a Sua Santità e alle Loro Eminenze la possibile alternativa al pensiero milaniano classista e rivoluzionario, come anche al pensiero del Servo di Dio Giorgio La Pira (questione appena accennata nel dossier allegato alla presente, nei capitoli 7 e 9), purtroppo politicamente caratterizzato da statalismo, assistenzialismo e dall’adesione pratica ai meccanismi perversi della società dei consumi. Tale alternativa, illustrata nel cap. 7 del dossier allegato, consiste nell’idea della Società partecipativa secondo la Dottrina sociale, elaborata a suo tempo dallo studioso lombardo Pier Luigi Zampetti, già nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali da San Giovanni Paolo II.

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Da ultimo, il prof. Alberto Melloni, segretario della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, è stato incaricato di un discorso da tenere martedì prossimo 20 giugno a Barbiana, alla presenza di Sua Santità Papa Francesco. In tale discorso, già reso pubblico sulla stampa, Melloni, sostenitore del priore, attacca con veemenza il Cardinal Ermenegildo Florit, già Arcivescovo di Firenze e superiore di don Milani, dipingendolo come un sadico vessatore, assetato di potere. Per cui, secondo Melloni, che nel suo discorso ribadisce su Florit le medesime parole don Milani, bene fece il priore a qualificarlo nei termini di “un deficiente indemoniato” [vedi al cap. 11 del dossier allegato]. La realtà dei fatti è invece che ovviamente – insulti di Melloni a parte – su don Milani, sia l’Arcivescovo Florit che il suo predecessore, il Venerabile Cardinal Elia Dalla Costa, avevano visto giusto. Il sottoscritto ne parla nel dossier allegato alla presente, al capitolo 1.

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Alle luce di tutto quanto sopra esposto ed ampiamente approfondito nel dossier allegato, il sottoscritto rivolge dunque a Sua Santità e alle Loro Eminenze la seguente

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S u p p l i c a

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– A Sua Santità Papa Francesco, umilmente chiede di voler verificare il Suo giudizio sulla figura di don Milani e, qualora trovasse fondati gli argomenti nel dossier allegato alla presente, di non andare a Barbiana a rendere omaggio alla memoria di quello che l’esame dei fatti indica inequivocabilmente come un cattivo maestro. Se ciò dovesse avvenire, se la la figura di don Milani dovesse essere ancora presentata come esempio al popolo dalla massima autorità della Chiesa cattolica, è evidente che le conseguenze sarebbero assai gravi, e si protrarrebbero per molti anni.

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A Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, il sottoscritto porge umilmente la medesima istanza: se gli argomenti del dossier fossero per lui convincenti, a pro del bene del popolo, chiede di non andare a Barbiana, di voler dismettere la diffusione dell’infelice lezione milaniana, e, il sottoscritto si permette nella circostanza, anche di quella lapiriana. Per il bene del popolo vi sarebbe, semmai, da promuovere il ricco insegnamento sociale ispirato ai princìpi di sussidiarietà e di partecipazione, espresso dal Servo di Dio don Luigi Sturzo e da Pier Luigi Zampetti. Il sottoscritto supplica infine Mons. Giuseppe Betori affinché voglia anche provvedere al popolo delle Piagge, che ha già troppo sofferto in passato, e ancora sta soffrendo.

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– Al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Sua Eminenza il Cardinale Gerhard Ludwig Müller. Dalla vicenda della rivalutazione della figura milaniana, si evince che essa ha preso le mosse da un parere favorevole della Congregazione per la Dottrina della Fede, circa la riabilitazione del libro di don Milani Esperienze Pastorali. Per quell’opera, al tempo di quegli eventi vi fu una comunicazione data dalla Congregazione all’Arcivescovo di Firenze, Elia Dalla Costa, nella quale si suggeriva di ritirare dal commercio il libro, e di non ristamparlo o tradurlo. Oggi risulta che per la Congregazione «le circostanze sono mutate e pertanto quell’intervento non ha più ragione di sussistere». Alla luce di quanto è esposto al capitolo 6 del dossier allegato, il sottoscritto supplica quindi umilmente  il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, di voler verificare, e se del caso revocare, la Sua positiva valutazione.

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A Sua Eminenza il Cardinale Gualtiero Bassetti, recentemente nominato alla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, noto estimatore di don Milani e di La Pira. Il sottoscritto coglie questa inusuale occasione per rivolgere umilmente anche a Lui la medesima supplica rivolta al Cardinale Betori, per la dismissione della diffusione della lezione milaniana e di quella lapiriana. promuovendo semmai in loro vece, per il bene del popolo, l’insegnamento sociale espresso da Sturzo e da Zampetti.

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Infine, a tutti e quattro gli autorevoli destinatari, il sottoscritto rivolge umilmente un’ultima supplica per un’immediata e severa censura nei confronti del prof. Alberto Melloni, che ha così indegnamente infangato la memoria del nostro fu Arcivescovo di Firenze Ermenegildo Florit.

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Il sottoscritto, per trasparenza, informa le SS.VV. che il dossier in PDF allegato, che viene spedito oggi per posta elettronica e per raccomandata celere, è l’anteprima di quello che verrà pubblicato domani sul sito web La filosofia della TAV, da lui gestito, e parimenti informa che del dossier medesimo e della supplica a Loro rivolta sarà data notizia ai media in una conferenza stampa che si terrà domani 15 giugno a Firenze, alle ore 11.30, presso il Gran Caffè Giubbe Rosse in piazza della Repubblica.

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Firenze, 14 giugno 2017

Pier Luigi Tossani

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Per aprire il dossier su don Lorenzo Milani cliccare sotto:

QUI

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il terremoto come “teofania” e … la “supercazzola” dell’esegeta biblico Padre Giulio Michelini …

 — bollettino di guerra: è in corso una guerra contro la fede? —

IL TERREMOTO COME TEOFANIA E … LA «SUPERCAZZOLA» DELL’ESEGETA BIBLICO PADRE GIULIO MICHELINI

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Chi interpreta il concetto e il dato di fede «Dio castiga e usa misericordia», come una espressione che denota «un giudizio di un paganesimo senza limiti», mostra di essere persona appartenente ad un’altra religione, o comunque ad un pensiero diverso da quello cattolico, oltre che immerso in pensieri “preistorici”. In caso contrario, si corre purtroppo il rischio di cercare risposta nelle supercazzole: «Supercazzola prematurata? Blindo come fosse antani, sbiricuda tapioca» [cf. Amici miei, II atto, 1982].

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Autori
Giovanni Cavalcoli O.P. – Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa

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Cari Padri,

sono un sacerdote della Diocesi di Milano impegnato al momento in studi biblici. Durante una lezione di pochi giorni fa, è emerso il tema dei “castighi di Dio” […] Il docente ci ha invitati a leggere un articolo del biblista francescano Giulio Michelini, che vi giro con la presente. A me, questo articolo non convince, ma forse sbaglio io, per questo domando un vostro parere.

don Emanuele (Milano)

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Premessa minore alla risposta:

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Supercazzola, definizione dal vocabolario italiano: «Parola o frase senza senso, pronunciata con serietà per sbalordire e confondere l’interlocutore».

Dizionario Zingarelli, 2016

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le supercazzole di Ugo Tognazzi, nel ruolo del mitico Conte Mascetti, al cimitero di San Miniato al Monte in Firenze – per aprire il video cliccare sopra l’immagine.

Ugo Tognazzi dette vita con altri mostri sacri del cinema italiano alla trilogia Amici miei, nella quale fu coniata l’espressione «supercazzola», oggi divenuta lemma letterario, come in precedenza lo divenne «il gattopardo» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, tanto che gattopardo è ormai inserito nel vocabolario della lingua italiana e vari altri internazionali come sinonimo di trasformismo. Il lemma «supercazzola», che dal 2016 è stato inserito nel vocabolario della lingua italiana [vedere QUI, QUI], è un termine che indica invece una «Parola o frase senza senso, pronunciata con serietà per sbalordire e confondere l’interlocutore».

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Chiarito il significato letterario di «supercazzola» secondo il vocabolario della lingua italiana, procediamo adesso alla disamina dell’articolo del teologo francescano Padre Giulio Michelini, pubblicato in Avvenire del 9 novembre 2016 e così titolato: «Matteo e il racconto del sisma. Nel Vangelo il terremoto è teofania, non un castigo». Rispondiamo volentieri al quesito a noi rivolto da un giovane sacerdote ambrosiano che ci domanda lumi a tal proposito; e lo facciamo rimandando anzitutto i Lettori al testo integrale dell’articolo del dotto francescano, a noi proposto a distanza di sette mesi dalla sua pubblicazione [vedere QUI].

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Leggendo questo testo ci si accorge che l’Autore non sa né che cosa è una teofania, né che cos’è il castigo divino. Infatti, la osservazione di fondo da fare a Padre Giulio Michelini è che il castigo divino è una teofania e la teofania può essere il castigo divino, perché in caso contrario si rischia di cadere nelle espressioni senza senso di Ugo Tognazzi nella veste del mitico Conte Mascetti: «Supercazzola prematurata? Blindo come fosse antani, sbiricuda tapioca … » [vedere video riportato sopra].

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“Teofania”, infatti, non significa altro che “manifestazione” o “apparizione” di Dio. Naturalmente nella vita presente Dio non appare immediatamente nella sua intima essenza, «faccia a faccia» [I Cor 13,12], cosa che potrà avvenire solo nella visione beatifica del Paradiso. E tuttavia, come risulta dalle narrazioni bibliche, Dio può apparire ed appare in vari modi indirettamente, velatamente, «come in enigma» [ibid.], tramite immagini, simboli, visioni, creature e fenomeni naturali, che possono raccogliersi sostanzialmente in due categorie: a volte Dio appare in modo gratificante, incoraggiante e consolante, sì da mostrare la sua tenerezza, la sua dolcezza e la sua misericordia; a volte invece ci mostra un volto adirato e severo, benché sempre paterno, mandando sventure e sofferenze, per provare e rafforzare la nostra virtù, farci pentire dei nostri peccati ed esortarci alla conversione. Egli appare in modo terribile e spaventoso soprattutto ai peccatori e ai suoi nemici.

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In questo secondo caso abbiamo il castigo, che però dobbiamo intendere come correzione, ed accettare come espiazione per noi o per gli altri, sull’esempio di Cristo, sì che, se abbiamo da soffrire da innocenti per amore di Cristo, la prova si trasforma in «perfetta letizia» [Gc 1,2]. Solo ai dannati Dio appare come nemico irreconciliabile, non però per colpa di Dio, ma per colpa loro, perché fino alla fine della loro vita hanno rifiutato l’offerta della misericordia divina.

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I passi del Vangelo citati da Padre Giulio Michelini possono essere espressioni plastiche ed enfatiche per manifestare e significare la forza e il potere di Dio in eventi eccezionali. In tal senso conveniamo che in certi luoghi dei Vangeli un terremoto non significa necessariamente castigo, ma appunto è una teofania della potenza divina che segnala e sottolinea l’importanza di certi eventi della storia della salvezza.

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In altri luoghi della Scrittura, invece, il significato punitivo del terremoto è evidente [Ap 6,12; 8,5; 11,13.19; 16,18]. Del resto, come troviamo nel racconto racchiuso nel Libro della Genesi, dove si narra del castigo per il peccato originale, l’ostilità della natura è conseguenza di questo peccato [Gen 3,18]. Non è infatti pensabile l’esistenza di terremoti nel Paradiso terrestre.

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Se è vero che, come insegna la Scrittura, il peccato produce sofferenza e morte, non è difficile riconoscere come i danni che ci vengono dalla natura, senza escludere le trascuratezze, l’incuria e le improvvidenze dell’uomo, abbiano un legame col peccato originale ed anche, come indica la Bibbia, con i nostri stessi peccati, anche se è vero che un terremoto che colpisce intere popolazioni, può coinvolgere anche e soprattutto molti innocenti. Ma è appunto anche per questo fatto che la fede cristiana ha una risposta consolante, e cioè che questi innocenti ― ché poi nessuno di noi è mai perfettamente innocente ― hanno la possibilità di unirsi alla croce redentiva di Cristo.

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In tal modo la saggezza del cristiano sta nel vedere la presenza di Dio in tutto ciò che gli accade. Certamente, il termine “teofania” conviene soprattutto alle manifestazioni divine che danno gioia; eppure il cristiano sa vedere una teofania nel senso suddetto anche nei momenti della sventura, del dolore e della disgrazia. Anzi, sta proprio qui il cosiddetto asso nella manica del cristiano.

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Ogni uomo di buon senso, se non è uno stolto ateo, sa vedere Dio nelle cose che gli vanno bene. Il difficile è saper vedere un Dio di giustizia e di misericordia quando le cose vanno male. Saper vedere Dio, come diceva Lutero, «sub contraria specie». Saper capire il mistero del Crocifisso, «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» [I Cor 1,23]. Saper vedere la suprema bellezza sotto l’apparenza dello sfacelo, la vita sotto la sembianza del morente, la salvezza sotto l’apparenza del condannato, la beatitudine sotto le apparenze del disperato; perché anche e soprattutto in questi elementi, si manifesta la vera e solida fede in Dio Padre creatore del Cielo e della terra, nel Verbo Incarnato Suo Figlio unigenito, nello Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio.

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Il cristiano che è scampato ad un terremoto, che cosa fa? Cosa pensa? Come reagisce? Quali idee, quali sentimenti dovrebbero ispirargli il prete o il vescovo? Non certo prendersela con un Dio crudele o impotente, col destino o con la natura matrigna, come ha fatto il poeta Giacomo Leopardi; non certo restarsene fatalisticamente intontito e muto davanti a un fatto che appare assurdo e incomprensibile; non basta a tranquillizzarlo, come farebbero Lucrezio o Spinoza, il pensiero delle “leggi della natura”; non impreca contro il Ministero dell’Ambiente o contro i geologi, non protesta per il ritardo dei soccorsi, ma ringrazia Dio di essere scampato; si ricorda del peccato originale e chiede a Dio misericordia; prega per le vittime, si dà a consolare i sofferenti, collabora all’opera di soccorso e, scosso dal forte richiamo di Dio, si pente dei propri peccati, aumenta i buoni propositi ed offre la sua sofferenza per la conversione dei peccatori.

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La novità del Cristianesimo rispetto all’antica religio greco-romana, è stata proprio quella di portare il pensare e il sentire umano al di fuori da una visione irascibile-punitiva degli dèi, guidando verso la visione preventiva e correttiva di un Padre amorevole e misericordioso, «lento all’ira e grande nell’amore» [Sal 102] che si prende cura della creazione e dell’uomo creato a propria immagine e somiglianza. Pertanto, chi interpreta il concetto ed il dato di fede «Dio castiga e usa misericordia» [cf. Tb 13,2], come un’espressione che denota «un giudizio di un paganesimo senza limiti» [cf. QUI], mostra di essere persona appartenente ad un’altra religione, o comunque ad un pensiero diverso da quello cattolico, oltre che immerso in pensieri “preistorici”. E qui, purtroppo, anziché cercare risposta e via per il nostro cammino nei misteri rivelati della fede, si corre purtroppo il rischio di cercare risposta nelle supercazzole: «Supercazzola prematurata? Blindo come fosse antani, sbiricuda tapioca …» [cf. Amici miei, II atto, 1982, cf. QUI].

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

[video] il mistero dell’immortalità dell’anima: la salvezza, la giustizia divina e l’inferno

–  i nostri video –

IL MISTERO DELL’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA: LA SALVEZZA, LA GIUSTIZIA DIVINA E L’INFERNO

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Un viaggio nel cuore di uno dei più grandi misteri dell’uomo e dell’umanità: Dio ci vuole tutti salvi, ma non tutti si salveranno, ciò non per volere di Dio, ma per la libera volontà dell’uomo.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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due sacerdoti e due teologi a servizio dei loro numerosissimi lettori, lungo il tunnel della vita, a riflettere sul mistero dell’immortalità dell’anima … [nella foto di spalle: Giovanni Cavalcoli, OP e Ariel S. Levi di Gualdo]

Come da tempo avevamo promesso ai nostri Lettori, L’Isola di Patmos vi offrirà una serie di video-lezioni del teologo domenicano Giovanni Cavalcoli.

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In questo primo video, girato nel mese di maggio presso lo splendido convento ligure di Varazze, il Padre Giovanni affronta il grande tema dell’immortalità dell’anima in rapporto al mistero della salvezza. Dio Padre desidera che tutti gli uomini possano essere salvi, ed a tutti offre mezzi, strumenti e vie di salvezza. Dio ha desiderato a tal punto la nostra salvezza da inviare a noi il proprio Figlio Unigenito, il Verbo di Dio incarnato.

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È necessario però ricordare, in quest’epoca di buonismi e di falsi misericordismi, che la salvezza è offerta a tutti, ma che non tutti gli uomini saranno salvi. Dio, che ci ha creati liberi e dotati di libero arbitrio, rispetterà fino in fondo questa libertà dell’uomo; libero di scegliere di camminare verso l’eterna beatitudine, o libero di scegliere di camminare verso le fiamme dell’Inferno [segue il video …]

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Per aprire il video cliccare sotto

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Canale You Tube de L’Isola di Patmos

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Canale cattolico GloriaTv

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Preti trendy? Non pigliateli sul serio, pigliateli per il culo, è un atto estremo di perfetta carità cristiana. E adesso vi spiego cos’è davvero volgare …

PRETI TRENDY ? NON PIGLIATELI SUL SERIO, PIGLIATELI PER IL CULO, È UN ATTO ESTREMO DI PERFETTA CARITÀ CRISTIANA. E ADESSO VI SPIEGO COS’È DAVVERO VOLGARE …

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Oggi, dinanzi a certi preti, per un verso, non ci resta che piangere, per altro verso, non ci resta che prenderli per il culo, perché posta la questione in questi termini, la presa di culo risulterà l’atto estremo, più perfetto e amorevole della carità cristiana, ve lo dice un pretaccio scurrile, che resta intimamente troppo preoccupato di non ingoiare il cammello dell’eresia [cf. Mt 23,24], per preoccuparsi dell’innocuo moscerino di una salutare parolaccia.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa 

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Caro Padre Ariel,

non sono un vecchio nostalgico, ho appena compito 24 anni, e alla mia età le dico che oggi un prete come don Camillo, nato dalla fantasia del mio conterraneo emiliano Giovannino Guareschi, riempirebbe le chiese, specie di giovani. Mentre i preti in abiti casual, tutti ecologia, pace e amore, venite immigrati che c’è posto per tutti e via cantando a seguire, le chiese le hanno vuotate. Dentro le chiese oggi sono rimasti quelli che vent’anni li avevano nel 1970, oggi sono in cammino per i settanta, ma sono sempre lì, a strimpellare con le chitarrine. Sa che le dico, forse il mio linguaggio sarà volgare e gliene chiedo perdono, ma i don Camillo di una volta erano uomini con le palle che ispiravano rispetto anche in quelli che non credevano. Oggi tanti preti trendy fanno proprio venir voglia di prenderli per il culo, specie da parte di chi crede ancora, perché a un prete si può perdonare tutto, ma non che sia diventato prete perché totalmente privo di palle […]

Edoardo M. (Modena)

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… i modi all’occorrenza garbati e persuasivi di Don Camillo …

Il giovane lettore modenese di cui ho riportato la prima parte della sua lettera, è stato l’ispiratore di questo nuovo articolo nel quale, tirato per i bordi della mia veste, torno ad affrontare il problema dell’abito del prete, sebbene inteso, come sarà spiegato avanti, in senso filosofico, teologico, mistico e morale. Di questo argomento mi sono già occupato in uno scritto pubblicato lo scorso anno, ponendo in rapporto i preti che nella culla storica del Cristianesimo si mimetizzano in abiti civili, mentre i musulmani ostentano tutti i segni della loro appartenenza tribale e religiosa, in un’Europa ormai ex cristiana divenuta loro facile terra di conquista [vedere precedente articolo QUI]. Spontanea sorge quindi la domanda: perché ritornare su quest’argomento? Ma soprattutto: come mai, dinanzi a fatti ben più gravi, come l’Europa ex cristiana al totale collasso, parlare di “quisquilie” come l’abito del prete? Forse in tal modo non si corre il rischio di preoccuparsi delle margherite che appassiscono per il calore prodotto dal fuoco, mentre la casa avvolta interamente dalle fiamme sta bruciando? In una situazione ecclesiale come la nostra, che sotto molti aspetti non ha dei precedenti storici, non vi sono forse cose ben più gravi a cui pensare? [vedere mio precedente articolo QUI]. Un esempio di cosa ben più grave è costituto dai non pochi preti che quando salgono all’altare mostrano in modo palese di non credere in ciò che fanno, dopo avere dimenticato che nel giorno della loro sacra ordinazione diaconale hanno ricevuto il Santo Vangelo con queste precise parole:

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«Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni».

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Ricevendo poi la consacrazione sacerdotale, il presbìtero inginocchiato dinanzi al Vescovo ha ricevuto il calice e la patena che conterranno il Corpo e il Sangue vivo di Cristo Dio; e li ha ricevuti con delle precise parole che dovrebbe ricordare per tutta la vita. E se un giorno il prete fosse anche colpito da demenza senile o da morbo di Alzheimer, al punto da non trovare neppure la porta del gabinetto nel corridoio di casa sua, in ogni caso, pur non ricordando la propria data di nascita ed il proprio stesso nome, ricorderà comunque queste parole:

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«Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai. Conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore».

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come eravamo: due contadini si inginocchiano al passaggio del parroco che porta la Santissima Eucaristia a un ammalato

Dinanzi a preti sempre più mal formati, o peggio deformati per anni dentro quei devastanti pretifici ai quali ormai sono stati ridotti i seminari, è il caso di aprire il discorso su un elemento apparentemente marginale come l’abito del prete, quando molti presbìteri, celebrando il Sacrificio Eucaristico, dimostrano di non credere che sotto le specie del pane e del vino, dopo la transustanziazione [1], Cristo Signore è veramente e realmente presente, tutto intero, in anima, corpo e divinità? E quando si riferiscono alla Santissima Eucaristia, questo genere di preti che convenzionalmente abbiamo definito preti trendy, di tutto parlano fuorché del Sacrificio vivo e santo, che è loro pessima abitudine chiamare invece in vario altro modo: banchetto d’amore, mensa gioiosa, cena dei fratelli, festa della gioia … insomma: Giovanni Calvino allo stato puro !

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… in effetti, Cristo Dio, dopo averci donato il mistero del Suo Corpo e del Suo Sangue [2], dopo avere sudato nel Getsemani [3], dopo essere stato tradito [4], poi abbandonato dai suoi discepoli [5]ingiustamente processato, insultato, fustigato e coronato di spine [6], è giunto infine sino al Calvario con un pesante legno caricato sulle spalle cantando una di quelle canzoncine demenzial-pop che le nostre povere orecchie devono udire all’interno di molte chiese …

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«Scatenate la gioia, oggi qui si fa festa, dai, cantate con noi, qui la festa siamo noi» [vedere QUI].

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come eravamo: un sacerdote che porta la Santissima Eucaristia a un ammalato, accompagnato da un bimbo che lo precede portando un lume acceso e l’acquasanta

… con il prete parato col colore viola dei tempi penitenziali forti che batte le mani con aria beota e che rassicura tutti circa il fatto che lui, nel «banchetto della gioia», quella che oggi non si chiama più sacra liturgia del memoriale vivo e santo, tanto meno Sacrificio Eucaristico, al centro mette proprio loro: quattro giovani sfigati che se fossero belli e aitanti non scatenerebbero la gioia ballando davanti all’altare, ma si darebbero ai bagordi in tutt’altri luoghi, per esempio ballando sui cubi delle discoteche. 

E chi pensasse che centro della sacra liturgia, culmen et fons della vita cristiana, è Cristo col sacrificio incruento della croce che si rinnova, sbaglia. E oltre a sbagliare è vecchio e anacronista; e oltre a esser vecchio e anacronista è un «dogmatico ottuso», un «tridentino pre-conciliare», un «ossessionato dalla dottrina» …

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Inutile ricordare che dogma e dogmatico non sono parolacce scurrili, anche se oggi ridotte a tal rango, perché i dogmi – a partire dai dogmi cristologici e trinitari –, sono le colonne che reggono l’impianto della fede e dell’intero Mistero della Rivelazione [7]. Il termine tridentino, o Concilio di Trento, oggi usato come i figli di papà usavano nel Sessantotto il termine «fascista» e «borghese», non è nulla di sconveniente, perché senza il grande Concilio di Trento, celebrato in un momento storico di grande crisi e decadenza morale e politico-sociale della Chiesa, non sarebbe stato neppure pensabile, cinque secoli dopo, il Concilio Vaticano II, preceduto dal breve ma altrettanto grande Concilio Vaticano I. Pertanto, vivere e cercare di vivere la propria vita in conformità alla dottrina e alla morale cattolica, non è affatto sconveniente, tutt’altro! È l’unico sistema da sempre conosciuto attraverso il quale vivere quella vita cristiana che ci guiderà alla salvezza delle nostre anime, attraverso il perdono delle nostre colpe che ci preserva dalle fiamme dell’inferno, portando in cielo tutte le anime specialmente quelle più bisognose della misericordia di Dio, come insegnò la Beata Vergine Maria di Fatima ai pastorelli in una preghiera espiatoria divenuta poi una supplica della Chiesa universale.

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Per anni ho scritto sulle derive spirituali, dottrinali e morali del clero, che se ben analizzate capiremmo subito che hanno in sé e di per sé del luciferino; perché solo il Demonio può portare delle anime consacrate a certi livelli di degrado umano e morale. Il tutto con un unico risultato: a darmi ragione ― posto e premesso che su certe cose ed in certe mie analisi ho sempre desiderato e pregato di avere completamente torto ―, sono stati in privato un piccolo esercito di vescovi e cardinali, ed un numero di buoni sacerdoti purtroppo sempre più basso, che in questo sfacelo seguitano ad esistere, sebbene di rigore segregati come appestati nei posti più periferici e marginali, affinché con il loro essere degli autentici modelli di fede e di virtù sacerdotale, non disturbino il ben più elevato numero di pessimi preti, o di preti che sono delle autentiche vergogne del sacro ordine sacerdotale, sempre e di rigore piazzati dai loro vescovi in tutti i posti chiave delle diocesi, a partire dalle più grandi e ricche parrocchie.

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… una creatività del tutto diversa rispetto a quella dei preti che improvvisano liturgie balzane a suon di bonghi e danze: prete americano che ha istituito il confessionale portatile.

Le mie analisi fatte in ossequio alla verità e rette su basi dottrinarie, canoniche e dogmatico-sacramentarie, hanno mai scalfito questi soggetti? Quando ho tuonato che la odierna crisi del dogma nasce da una spaventosa crisi morale del clero, perché una crisi morale genera di conseguenza una crisi dottrinale [vedere mio precedente articolo QUI], qualcuno è forse corso ai ripari? Le mie analisi rimangono scritte e pubblicate, sicuramente ne farò anche altre in futuro, ma senza omettere di praticare, da oggi in poi, la strada forse più efficace: l’ironia, o se preferite la cosiddetta presa di culo. Perché certi soggetti, che sono insensibili alle verità della Santa fede ed alla morale cattolica nella stessa misura in cui un chirurgo è indifferente al sangue umano ed ai tagli di bisturi praticati sulle carni dei pazienti, mal tollerano di essere sfottuti; mal tollerano che i loro malvezzi siano mutati in oggetto di pubblico sberleffo. O per meglio dirla con un esempio: se un giovane alto un metro e sessanta centimetri per cinquanta chili di peso è convinto di essere un campione di football ; se una ragazza alta un metro e mezzo scarso sul quale sono distribuiti novanta chili di peso, si ostina a mettersi minigonne e tacchi alti perché è convinta di essere una fotomodella, a nulla varrà far loro un profondo discorso psicologico mirato a richiamarli al dato di fatto oggettivo, con relativi inviti al pericolo esistenziale che comporta per un uomo e per una donna la totale dissociazione dal reale, perché costoro seguiteranno imperterriti a sentirsi più che mai: il primo, un campione di football, la seconda una fotomodella. Diversamente, se l’uno e l’altra, dopo avere mostrato in ogni modo un deciso rifiuto a confrontarsi con la realtà, saranno invece esposti al pubblico ridicolo, in un modo o nell’altro si troveranno costretti a capire. E tutti coloro che fossero stati convinti che anche una donna di ottant’anni può, in quanto donna, partecipare al concorso di Miss Italia, o che un uomo di novanta affetto da artrite reumatoide può, in quando uomo, partecipare ad una gara di corsa con salto a ostacoli, non crederanno più a simili “potenziali” panzane, perché la illogicità sarà palese e posta in luce assieme a tutto il suo intrinseco elemento ridicolo.

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Durante i miei felici e dolorosi anni di sacro ministero sacerdotale ho più volte e inutilmente richiamato ― e Dio solo sa con quale sincera amorevolezza ―, molti confratelli sacerdoti a rifuggire la sciatteria, ad essere curati nell’aspetto esteriore e decorosi nel vestire, anche perché l’aspetto esteriore non è affatto mera formalità, ma svela l’aspetto interiore, il senso morale e spirituale della persona. Un po’ come le espressioni del volto e gli occhi, che se ben osservati svelano lo specchio dell’anima della persona. O vogliamo forse dimenticare che la nostra anima è racchiusa in un corpo che la contiene e che al tempo stesso la rivela per ciò che essa realmente è? 

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come eravamo: chi ha conosciuto nella gioventù preti di questo genere, ne porta sempre vivo il ricordo e soprattutto il modello

Più volte, entrando in estate con la mia veste talare in qualche chiesa parrocchiale, mi è capitato di ritrovarmi dinanzi ad un confratello con i bermuda a fiori, la t-shirt colorata ed i sandali infradito ai piedi; e dinanzi a quella visione ho avvertito il colpo di lancia di Longino sul costato di Cristo. Quindi non ho mancato di prendere da parte quel confratello, spiegandogli a tu per tu quanto doloroso fosse stato per me quel colpo di lancia. Dinanzi a scene e fatti simili, di prassi è accaduto che il confratello mi abbia variamente irriso, unendo alla sua sciatteria ed alla sua mancanza di decoro sacerdotale la classica battuta sfottente: «Ah, capisco! Tu sei uno di quelli che non ha ancora avuto notizia che nella Chiesa c’è stato un Concilio». A quel punto ho risposto ― sbagliando ―, che in verità, nella Chiesa, di concili ve ne sono stati in totale ventuno e che a partire dal IV Concilio Lateranense celebrato nel 1215 sino ai quattro decenni successivi al Concilio Vaticano II celebrato tra il 1962 ed il 1965, la Chiesa ed i suoi Sommi Pontefici hanno in tutti i modi ribadito l’uso obbligatorio dell’abito talare, ricordando che la veste del prete è la talare e che in caso di necessità, non di comune prassi, può essere usato il clergyman. Inutilmente ho perso tempo a spiegare a molti di questi soggetti l’elemento profondamente spirituale e mistico dell’abito ecclesiastico, il suo essere segno di sobrietà e di morale distacco dal mondo, ma soprattutto testimonianza ed elemento di necessaria riconoscibilità del sacerdote. E mentre io parlavo con la passione della fede e l’amore profondo che nutro per la Chiesa di Cristo ed i suoi ministri, questi mi guardavano come si guarda un povero demente, semmai dicendo alla fine, come si dice ai pazzi per non contraddirli inutilmente … «Va bene … va bene, hai ragione!». Il tutto col tono di chi dà ragione ad un malato di mente che ti ha proprio rotto i coglioni col suo parlare ma che tu, persona di superiore sanità mentale, proprio per questo non vuoi irritare.

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Su quest’ultima riga è stata scritta la mia condanna da parte dei clericali in calzoncini corti, maglietta variopinta e sandali infradito ai piedi, perché un prete non può osare, meno che mai scrivere la esegesi inerente le varie rotture dei propri presbiterali coglioni. E questi clericali, sia ben chiaro, sono i moderni sepolcri imbiancati «pieni dentro di ossa di morti e di ogni putridume» [8], pronti in qualsiasi momento, ieri come oggi, ad affermare che ad essere volgari non erano certo loro. Volgare, oltre che aggressivo nel linguaggio, lo era Gesù Cristo con certe sue espressioni insultanti, al punto da vedersi più volte affibbiato persino il titolo di bestemmiatore. Dunque volgare non è un teologo intriso delle peggiori eresie moderniste come Andrea Grillo, che può sbeffeggiare il Venerabile Pontefice Benedetto XVI e con lui quel santo uomo di Dio del Cardinale Robert Sarah, dopo avere già preso a sfottò il Cardinale Carlo Caffarra ed il Cardinale Gerhard Ludwig Müller. Volgare non è quindi lui, ma lo sono io se oso affermare che questi eretici al potere, che da una parte attaccano con spocchia i pochi buoni cardinali che ci restano, ed al contempo rimangono in cattedra nelle università pontificie a insegnare teologia sacramentaria, mi creano un tale giramento di coglioni che se mi mettessero in acqua nel porto di Ostia Antica arriverei in quindici minuti nel porto di Napoli, dove sarei accolto in pompa magna dal Cardinale Crescenzio Sepe, che dichiarerebbe quella mia traversata via mare effettuata in tempi record per giramento dei coglioni come eliche a turbina, un miracolo più grande del prodigio di San Gennaro [su Andrea Grillo vedere l’ultimo articolo di Giovanni Cavalcoli, QUI].

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come eravamo: Città di Avezzano d’Abruzzo. Un parroco celebra la Santa Messa all’aperto nello spazio della chiesa ridotta a macerie dopo i bombardamenti avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Così ho cominciato ad adottare altro sistema, facendo irritare numerosi preti, diversi dei quali, come verginelle vilipese o come adolescenti prese dagli sconvolgimenti delle prime mestruazioni, son corsi dai loro vescovi a starnazzare come galline riferendo concitati che io sarei volgare e che oso perfino dire parolacce. Perché, come dicevo poc’anzi, il volgare sono io, reo d’aver chiamato gran pezzo di merda un prete che in ciabatte e pantaloni corti chiacchierava dentro la chiesa parrocchiale coi fedeli con le spalle voltate al Tabernacolo. Volgare, sia ben chiaro, non è questo prete con le spalle voltate al tabernacolo in ciabatte e braghe corte che fa salotto sul presbitèrio, ma io che l’ho chiamato con un titolo che il poverino non meritava. E diversi di questi poverini si sono ritrovati più volte di fronte ad un vescovo che, pur essendo uno degli artefici delle peggiori derive post-conciliari, nel suo ruolo episcopale si è trovato costretto, una volta adito per emettere inappellabile giudizio di condanna verso di me, a non evadere la richiesta ed a rispondere al prete:

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«Sicuramente, quel concentrato di linguaggio colorito tosco-romano è quel che è! Però, se ti ha irriso perché ti ha trovato dentro la chiesa parrocchiale a parlare con i fedeli con le spalle voltate al Tabernacolo, in pantaloni corti e ciabatte ai piedi, tutti i torti in fondo non li ha. Certo, come tu dici, un prete non deve rivolgersi a un altro prete chiamandolo gran pezzo di merda. Però ricordati: quel linguaggio da scaricatore di porto l’ha usato perché ti ha trovato dentro la chiesa parrocchiale in quello stato, se tu fossi stato inginocchiato con il breviario in mano davanti al Tabernacolo, dubito che ti avrebbe chiamato gran pezzo di merda, forse si sarebbe inginocchiato a pregare con te».

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Il giorno dopo mi giunge una telefonata da parte di quel vescovo: faccio appena in tempo a rispondere «pronto?» che costui mi aggredisce con testuali parole che adesso riferisco integralmente tali e quali:

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«Senti un po’, grandissima testa di cazzo, come ti sei permesso, ieri, di dare del gran pezzo di merda ad un prete? Ti rendi conto di quanto sei stronzo e volgare? Ecco, ti ho chiamato per la gioia di mandarti a fare in culo io di persona e per dirti che devi vergognarti del tuo linguaggio scurrile, anzi: ringrazia Dio se non ti sospendo a divinis !».

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Dopo essermi sorbito tutto quello sproloquio, domando:

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«Eccellenza, ho capito bene tutto ciò che mi ha detto, oppure mi sono perso qualche passaggio tra una giaculatoria e l’altra?».

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A quel punto, il vescovo, si mette a ridere e mi dice:

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«A dire il vero, ti ho chiamato per dirti che sono dalla parte tua, purché però tu non lo dica in giro, perché vedi, della sciatteria di questi preti io ne ho pieni i coglioni. Se però mi azzardo a dir loro qualche cosa, se non riescono a sbranarmi allora si limitano a farmi l’inferno. Dunque hai fatto bene a dirgli quel che si meritava ma che io purtroppo non posso dirgli. E detto questo adesso vedi d’andare a fa ‘n culo, perché io ho da fare, quindi ti saluto, grandissima faccia di merda !».

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come eravamo: un presbitero romano su un ponte sul Tevere. Siamo proprio sicuri che i giovani, i preti, non li vogliano a questo modo?

Non ho mai narrato a nessuno questo ameno colloquio con un vescovo ormai emerito, ed oggi che l’ho fatto mi sono guardato dal fare anche un riferimento vago a persone e luoghi. Da soggetto volgare tal sono posso però aggiungere un altro esempio, sempre legato a questo vescovo ed a quella che fu a suo tempo la sua diocesi. Una volta egli entrò nella sala da pranzo dell’episcopio, dove un giovane prete trentenne, seduto a gambe larghe su una sedia, stava guardando la televisione. Il vescovo si rivolge per una informazione al giovane prete che resta sbracato sulla sedia a gambe larghe; ed in quella posa risponde al vescovo che sta invece in piedi dinanzi a lui. Dopo che il vescovo fu andato via, io presi quel povero cafone, che pure s’era fatto più di dieci anni di formazione nel santissimo seminario, tra seminario minore e seminario maggiore, dicendogli in tono amabile che quando entra il vescovo non si rimane a sedere, per giunta a gambe larghe, ma ci si alza subito in piedi, gli si accenna un inchino con la testa e si ascolta quel che lui dice, rispondendo a ciò che lui chiede. Ebbene, la prima persona che scatenò l’inferno contro di me per quel richiamo del tutto privato, ma a lui riferito dal povero cafone offeso, fu il vicario generale sempiterno di quella diocesi, tale indicato perché ricopre il proprio ruolo da tre vescovi che si sono succeduti in quasi un ventennio presso quella sede (!?). Però, come ribadisco, io sono un prete volgare. E sono volgare perché all’occorrenza oso dire persino parolacce, però m’inginocchio da sempre a baciare la mano soprattutto ai peggiori vescovi di questo mondo, nelle figure dei quali non cesserò mai di vedere e di venerare il mistero di Cristo ed il mistero della Chiesa. E se mio padre uscisse dalla tomba e d’improvviso me lo vedessi davanti accanto al vescovo, prima renderei omaggio al vescovo, poi saluterei mio padre. Ma io, come dicono certi preti trendy di provincia quando non sanno dove attaccarsi … «lui non può capire, perché non ha fatto il seminario, per questo vive in una Chiesa che non è mai esistita». Affermazione dinanzi alla quale a suo tempo replicai: … sì, benedicendo la grazia di Dio non ho fatto il santissimo seminario ! Anche perché la buona educazione cristiana e sociale ricevuta in famiglia dai miei genitori e poi coltivata dai santi vescovi e sacerdoti che in seguito mi hanno formato al sacerdozio, non sarebbe mai stata in alcun modo estirpata neppure dal più satanico dei santissimi seminari di questo mondo; a partire da quei non pochi seminari nei quali, anche di recente, sono stati scoperti nelle memorie dei computer migliaia e migliaia di foto porno e di porno-film gay. E a tal proposito si prega di chiedere lumi alla Congregazione per il clero ed al suo efficientissimo Prefetto, il Cardinale Beniamino Stella, canonicamente responsabile per quei seminari che nessuno si è ancora deciso a ripulire, anzitutto dai pessimi formatori ai quali parecchi di essi sono sempre affidati. E se in queste righe avessi dato notizie false e non documentate, quindi calunniose, che allora l’Eminentissimo Prefetto proceda con le dovute smentite e le relative pene canoniche a mio carico … Dubito però — purtroppo! —, che sia sollevato un solo sospiro su quanto ho affermato, se consideriamo che i casi con i quali la Santa Sede deve dibattersi sono più o meno questi … [aprire l’allegato, QUI].

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La cosa che oggi dovrebbe inquietare numerosi vescovi latitanti e omissivi, è che di prassi, queste immani vergogne del sacro ordine sacerdotale, quando salgono sul pulpito per fare l’omelia al Vangelo, ripetono in continuazione: «Come ha detto Papa Francesco … come ha detto Papa Francesco …». Prendendo del Sommo Pontefice non solo discorsi del tutto marginali, o battute più o meno felici o più o meno opportune, ma prendendo soprattutto discorsi di dubbia autenticità tratti da frasi o interviste riferite da giornalisti, spesso tutt’altro che cattolici e soprattutto per nulla ferrati nelle nostre fondamentali verità della fede. E dico che la cosa dovrebbe inquietare i vescovi perché questi stessi preti, anni fa, salendo sugli stessi pulpiti, si sono sempre ben guardati dal dire: «Come ha scritto e affermato il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II … come ha scritto e affermato il Sommo Pontefice Benedetto XVI …». E, si badi bene, non ciò che questi due Augusti Pontefici affermavano nel loro parlare a braccio del più e del meno, al quale entrambi non erano proprio avvezzi, ma quanto da loro scritto e affermato in importanti encicliche ed altrettanti importanti atti del loro sommo magistero. Per anni, tra le sacrestie, le canoniche e le sale parrocchiali, abbiamo sentito eccome, questi preti oggi mutati in grandi citatori di affermazioni del tutto marginali e irrilevanti fatte dal Sommo Pontefice Francesco I, citare i predecessori del Pontefice regnante, ma li citavano per dire in tono più o meno rabbioso cose di questo genere:

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«Il “polacco” ha fatta la sua nuova sparata sulla famiglia e sulla morale sessuale. Ma è proprio ossessionato! Possibile che non si renda conto che il mondo è cambiato e che noi bisogna andare incontro alle nuove esigenze della gente?».

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E nella loro logica, costoro hanno ragione, perché il principio teologico che oggi essi applicano – alla scuola del Cardinale Walter Kasper ed al codazzo dei suoi – è in pratica il seguente: “fottete, fottete che tanto Dio perdona tutti”.

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Oppure:

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«Il “pastore tedesco” ha fatto un discorso pre-tridentino sulla “unicità della Chiesa Cattolica”. Che vergogna! In un colpo solo ha cancellato il Concilio Vaticano II e l’ecumenismo riportandoci ai tempi in cui, la “vecchia” Chiesa, rivendicava il monopolio della verità e della salvezza».

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come eravamo: siamo sicuri che i giovani, i preti, non li vogliano a questo modo?

E nella loro logica, anche costoro hanno ragione, perché quando nella professione di fede noi recitiamo «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica», questa non è una verità fondamentale e assoluta, ma solo un modo di dire che risale ai tempi nei quali eravamo degli ottusi esclusivisti. Infatti, Cristo non ha fondata sulla terra una sola Chiesa affidata a Pietro, ma ha dato vita ad una molteplicità di Chiese, compresa tra le tante quella Chiesa Cattolica che sta attendendo il miracolo accertato previsto dalla prassi canonica per poter procedere alla beatificazione di Martin Lutero, a meno che il Cardinale Kasper non intervenga con una dotta disquisizione teologica per sostenere che il vero miracolo di questo eresiarca è stata la sua cosiddetta “riforma”, la quale ha … «anticipato e ispirato il Concilio Vaticano II». Ce lo spiega tra le righe il Pastore valdese Paolo Ricca direttamente dalle colonne del galantino organo ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, Avvenire [cf. QUI], affermando, in virtù della sua idea soggettiva ed errata di Concilio Vaticano II, che con esso sarebbe «caduta l’accusa di eresia» ai luterani (!?). Ebbene, colgo l’occasione per informare questo Reverendo Pastore, invitato da anni a tenere corsi in diverse nostre università pontificie, a partire dal protestantico ateneo pontificio Sant’Anselmo, che per noi, il Luteranesimo, è sempre una pericolosa eresia e che Lutero, con buona pace della personale Congregazione per le cause dei santi istituita di motu suo dal Cardinale Kasper, non è neppure un semplice ed ordinario eretico, ma è proprio un eresiarca. Oltre al fatto che, le dottrine luterane, incluse quelle che insegna e che trasmette questo Reverendo Pastore, erano ieri e forse sono peggio ancora oggi un pericoloso concentrato delle peggiori eresie e deviazioni dalla fede apostolica. Se poi consideriamo che dal nucleo dell’originario Protestantesimo si sono nel tempo moltiplicate le eresie di un’eresia, a questo modo possiamo giungere sino alle nuove eresie di terza e quarta generazione: dai Mormoni ai Pentecostali. Per non parlare degli ulteriori rivoli, per esempio i Testimoni di Geova, che sono un esempio lampante dell’eresia di una eresia di una eresia che nasce a monte sempre dal Protestantesimo, non certo da una scissione dal nucleo Cattolico o dal nucleo dei Cristiani Ortodossi. 

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Adesso voi capite bene il vero senso dell’abito con il quale ho dato inizio a questo discorso; ma forse, le persone di fede e le persone intelligenti, quelle dotate per grazia di Dio di fides et ratio, avranno anche capito che cos’è veramente volgare, ed al tempo stesso quelli che invece sono i miei giochi retorici d’impatto, strutturati sia sulla iperbole sia su quello che i greci chiamavano τόπος.

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… una immagine di San Giovanni Bosco durante le confessioni dei giovani

La perdita dell’abito che da anni lamento inutilmente, non è la dismissione della vecchia talare, ma il deciso rifiuto dell’abito interiore, di cui quello esteriore è solo segno visibile. In questo scritto, condìto con retorica scienza di prese di culo e giramenti di coglioni, non ho scherzato, pur avendo data occasione a eretici varî che esigono non intendere, di potersi attaccare al fatto che il sottoscritto pretaccio ― tale io mi glorio di essere ―, dice persino parolacce. Ebbene sì, io dico parolacce più o meno come le diceva il Verbo di Dio fatto uomo agli scribi ed ai farisei, basterebbe solo che certi esegeti della new theology tutta quanta misericordismi ed emotivi cuoricini irrazionali palpitanti, capissero la portata severa e pure molto offensiva di certe sue invettive [9]. Ma, come risaputo, ieri farisei e sadducei, oggi eretici e modernisti che amoreggiano entrambi con i «Cari fratelli massoni» [vedere QUI], sono pronti più che mai a scansare scandalizzati il moscerino della parolaccia colorita per poi ingoiarsi tutto d’un fiato il cammello della immane eresia [10]. Perché la logica dei clericali ipocriti di ieri e di oggi è sempre quella: profondamente volgare, non è il Cardinale Gianfranco Ravasi che dal grembiulinesco quotidiano della Confindustria Il Sole 24 Ore indirizza una letterina d’amore ai «Cari fratelli massoni», volgare sono io, che dinanzi ad un cardinale vanesio che getta la Santa Sposa di Cristo sul marciapiede come se fosse una mignotta da due lire, potrei anche reagire sbottando: adesso basta, questa «guida cieca» [11] tale è il Ravasi, ci ha veramente rotto i coglioni, perlomeno a noi che, grazie a Dio, ce li abbiamo!

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Pertanto, iperboliche prese di culo a parte, concludo ricordando che l’abito, lungi dall’essere uno straccio nero che potrebbe in sé e di per sé lasciare il tempo che trova, ha un profondo significato filosofico, teologico e mistico. La parola abito deriva dal latino habitus, ed altro non è che la traduzione del termine greco ἕξις [hexis]. Nel suo profondo significato filosofico, abito significa abitudine, ed è una abitudine interamente eretta sul carattere [dal greco ἔθος]; quel nuovo carattere indelebile ed eterno che a noi ci ha segnati per sempre attraverso la grazia del Sacramento dell’Ordine Sacro.

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L’abito è quindi un modo di essere [in greco ουτός ἐkείν] che manifesta l’essere e soprattutto il comportarsi in un preciso modo, conforme a ciò che si è ed a quello che dottrinalmente e moralmente si predica.

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Per Aristotele l’abito è «cosa simile alla natura» [12], perché attraverso la pratica di precisi comportamenti esso porta a evidenziare in noi, attraverso le caratteristiche naturali che possediamo in potenza, delle caratteristiche mutate in abiti propri e costanti, quasi in una «seconda natura», che è una natura acquisita [13], nel caso nostro tramite quella grazia sacramentale che ci rende sacerdoti in eterno secondo l’Ordine di Melchisedech [14].

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come eravamo: un gruppo di sacerdoti

Pensateci bene: chi è, che tra fine anni Sessanta e inizi anni Ottanta, su falsi pretesti di modernità, di abbattimento delle distanze e delle divisioni, ma soprattutto sulla base del pretesto dell’essere e dello stare più vicini ai giovani, ha distrutto il concetto stesso, dell’abito del prete? Ma c’è molto di peggio: basti dire che coloro ch’eran tanto bramosi di spogliare i preti, erano gli esponenti della sinistra radicale ed i massoni. Gli stessi massoni che, in combutta coi modernisti, a inizi Novecento progettavano che si doveva giungere a dare la Santa Comunione ai fedeli in piedi e in mano. Ci si domandi: da che cosa era dettato questo loro interesse, se non dal desiderio di colpire la Chiesa al cuore attraverso la de-sacralizzazione della Santissima Eucaristia mutata in una via di mezzo tra una metafora ed un banchetto sociale della gioia ? Non è però il caso di aprire un discorso dentro il discorso, pertanto rimando a quando sulla Santissima Eucaristia ha espresso in una sua lectio magistralis il Cardinale Robert Sarah [vedere articoli, QUI] …

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Questo articolo è stato ispirato, come spiegato all’inizio, dalla lettera a me indirizzata da un giovane cattolico modenese. Qualcuno pensa che costui sia l’unico? Mi scriveva giorni fa Melania, giovane mamma napoletana di 27 anni:

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«Togliete dalle chiese chitarre e bonghi, mettete in riga i carismatici che dondolano e svengono ed i neocatecumenali che danzano attorno agli altari, riempite le navate coi suoni d’organo e diffondete i canti liturgici classici, rimettete le assemblee in ginocchio durante la Messa, ponete al centro dell’altare Cristo crocifisso anziché il prete show-man, tornate a parlare nelle omelie dei misteri della fede anziché dei problemi sociali e dell’ecologia, perché la vostra missione è la salvezza delle anime, non la salvezza delle specie animali in via di estinzione. E vedrete come in breve tempo tornerete ad avere le chiese piene di giovani». 

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… a portare la veste talare siamo rimasti in pochi: Don Matteo, che però è un attore di una serie televisiva di successo, assieme a pochissimi altri preti, che non sono attori ma preti reali. Qualcuno si è mai chiesto come mai, i registi, nelle loro fiction, i preti che raffigurano figure positive od anche simpatiche, li presentano al pubblico sempre e di rigore tutti quanti con la “vecchia” talare?

Non è vero, bensì falso, che i giovani cattolici bramassero i loro preti in braghe di tela e scarpette da ginnastica; come non è vero che nessun figlio abbia mai bramato vedere suo padre muoversi per casa in mezzo agli ospiti vestito con un paio di mutande cadenti. Furono i devastanti psicologisti e sociologisti degli anni Settanta, cresciuti a Pane&Marx, che lanciarono quella pretestuosa moda della liberazione dei costumi e del corpo, per l’abbattimento delle «ideologie borghesi», in base alle quali i genitori dovevano ostentare la nudità coi figli e viceversa; furono loro a indicare come cosa buona ed educativa l’andare tutti assieme nella vasca da bagno; furono loro a lanciare il “mito” della «mamma amica-complice» e del «papà amicone». È che però, purtroppo, nessuno si premura di andare a vedere quali sono stati gli esiti successivi di molti miei coetanei che a metà anni Settanta componevano nelle scuole elementari struggenti temini raccontando che il padre e la madre erano i loro migliori amici. Nessuno si premura di andare a vedere quali sono stati gli esiti successivi di molte mie coetanee adolescenti, che a fine anni Settanta andavano in discoteca assieme alle loro mamme-vamp in veste di loro amiche e complici, che anziché fare le madri facevano le mezzane, in tutti i sensi, certe e sicure che con una pillola anticoncezionale e una scatola di preservativi messi nello zainetto delle loro piccole cagnette in fiore, tutto quanto fosse a posto, educazione sessuale impartita ed emancipazione sessuale perfettamente evasa …

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… l’autore di questo articolo con sempre indosso il suo “vecchio straccio anacronistico

Lo stesso principio, in modo diverso ma simile, è stato applicato tal quale ai preti, con la sola differenza che loro non avevano a che fare col papà e la mamma «miei migliori amici», ma con rettori di seminario e con vescovi che negli zainetti di questi piccoli eretici in fiore hanno messo altri generi di pillole anticoncezionali e di scatolette di preservativi, per rendere infine del tutto infecondo il seme di Cristo, dimentichi, se non forse ignari, che la grazia di Dio perfeziona la natura che c’è, ma non supplisce e non può supplire la natura del prete che non c’è mai stato e che quindi non potrà mai esserci [15], anche se il non-prete nell’anima e nel corpo si è fatto anni e anni di santissimo seminario.

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l’autore dei questo articolo: «in estate, presso le zone dove c’è molto caldo, esiste da sempre per i preti una alternativa alla veste nera, ed è la veste bianca, ma non certo i calzoncini corti sul presbitèrio della chiesa …»

Ribadisco che questi preti trendy, sotto certi aspetti quasi irredimibili e irrecuperabili nella loro ermetica chiusura ad ogni azione della grazia di Dio, non vanno presi sul serio né rimproverati; perché ogni rimprovero è inutile. Questi preti trendy vanno solo presi per il culo. Fidatevi di un pretaccio che dice parolacce e seguite il mio consiglio: al primo prete trendy che vi si presenta dinanzi con i jeans attillati a vita bassa e col cavallo del pantalone che nei nuovi modelli è sospeso in alto, non rimproveratelo per avere gettato alle ortiche il suo mistico habitus, perché quello reagirà ridendovi in faccia e dandovi degli anacronistici. O semmai dicendovi: « … ma tu non sai, che nella Chiesa c’è stato un Concilio»? Allora voi affrontatelo a questo modo: «Reverendo, ma che cosa s’è messo indosso? Col culo cadente da vedova sfatta che si ritrova, questo pantalone non le dona proprio; ma soprattutto, per la poca mercanzia che lei ha in mezzo alle gambe, questo pantalone col cavallo stretto sospeso in alto, non evidenzia quello che c’è, ma proprio quel che drammaticamente è carente in lei, perché la grazia perfeziona la natura che c’è, ma non esalta certo quella che non c’è. E lei, Reverendo, per carenza di grazia non ha proprio le palle. Ecco, al posto suo, visto che lei non ha un fisico da nuotatore, mi coprirei con una toga romana». E semmai, questo discorso, od un discorso diverso ma simile, non fateglielo fare da un uomo o da degli uomini, ma peggio: fateglielo fare da delle donne. Non c’è infatti cosa peggiore per un uomo, più o meno vero o anche e solo uomo anagraficamente, che sentirsi dire da delle donne: «Tu non hai proprio le palle !» 

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A quel punto questi soggetti s’incazzeranno parecchio, perché li avrete messi in ridicolo. E forse, in extremis, anche se non è detto, impareranno qualche cosa, grazie ad una salutare e molto caritatevole presa di culo. Perché oggi, dinanzi a certi preti, per un verso, non ci resta che piangere, per altro verso, non ci resta che prenderli per il culo, perché posta la questione in questi termini, la presa di culo risulterà l’atto estremo, più perfetto e amorevole della carità cristiana, ve lo dice un pretaccio scurrile, che resta intimamente troppo preoccupato di non ingoiare il cammello dell’eresia e della immoralità diffusa, per curarsi dell’innocuo moscerino di una salutare parolaccia.

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dall’Isola di Patmos, 12 giugno 2017

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CAMPAGNA PROMOZIONALE 2017: «UNA CHIESA VUOTA PER I VUOTI »

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Venerabili Vescovi e Fratelli Presbìteri,

volete definitivamente una «Chiesa vuota per i vuoti»? Allora seguitate a invitare a parlare nelle vostre Diocesi e nelle vostre chiese questi preti social-ecologisti, tutti giustizialismi sociali e sociologismi d’ormai trentennale e sperimentata fallimentarità, accompagnati in gloria dal loro seguito di fricchettoni della sinistra radical chic. Fatto questo, vedrete come le chiese si svuoteranno definitivamente di giovani, per essere finalmente «vuote per i vuoti», visto che quasi più nessuno pensa ormai alla ecologia delle anime da redimere e da salvare dall’inquinamento del peccato, essendo più urgente e politicamente corretto combattere contro l’inquinamento prodotto dai condizionatori d’aria.

Amen!

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NOTE

[1] Il testo del canone recita: « Si quis dixerit, in sacrosanto Eucharistiae sacramento remanere substantiam panis et vini una cum corpore et sanguine Domini nostri Iesu Christi, negaveritque mirabilem illam et singularem conversionem totius substantiae panis in corpus et totius substantiae vini in sanguinem, manentibus dumtaxat speciebus panis et vini, quam quidem conversionem catholica Ecclesia aptissime transubstantiationem appellat ». Trad. «Poiché, poi, Cristo, nostro redentore, disse che era veramente il suo corpo ciò che dava sotto la specie del pane (216), perciò fu sempre persuasione, nella chiesa di Dio, – e lo dichiara ora di nuovo questo santo concilio – che con la consacrazione del pane e del vino si opera la trasformazione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo, nostro signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue. Questa trasformazione, quindi, in modo adatto e proprio è chiamata dalla santa chiesa cattolica transustanziazione» [Concilio di Trento, Sess. XIII, 15 ottobre 1551, cap. IX La transustanziazione].

[2] Cf. Vangeli sinottici: Mt 26, 20-20; Mc 14, 17-26; Lc 22, 14-39. Vangelo di San Giovanni: 13, 1-20.

[3] Cf. Lc 22, 39-46.

[4] Cf. Mt 26, 36-46; Mc 14, 32-42; Lc 22, 39-46; Gv 18,1.

[5] Cf. Mt 26, 47-56.

[6] Cf. Gv 19, 1-16.

[7] Cf. Concilio di Nicea (325), Concilio di Costantinopoli (381), Concilio di Efeso (431), Concilio di Calcedonia (451), II Concilio di Costantinopoli (553), III Concilio di Costantinopoli (680-681), II Concilio di Nicea (787).

[8] Cf. Mt 23, 27.

[9] Cf. Mt 23, 1-39.

[10] Cf. Mt 23, 24.

[11] Cf. supra.

[12] Aristotele, in Retorica I 11, 1370° 7-8

[13] Aristotele, Etica Nicomachea II 1, 1103a 20 – 1103b 25

[14] Cf. Eb 7,17.

[15] «Gratia non tollit naturamsed perficit, oportet quod naturalis ratio subserviat fidei, sicut et naturalis inclinatio volutantis obsequitur caritati», San Tommaso d’Aquino: S. Th. I, q.1 a 8, ad 2. Trad. La grazia non supplisce la natura che non c’è, ma perfeziona la natura che sussiste …

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

il rapporto tra Papa Benedetto e Papa Francesco, e l’arroganza di Andrea Grillo …

IL RAPPORTO TRA PAPA FRANCESCO E PAPA BENEDETTO, E L’ARROGANZA DI ANDREA GRILLO …

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Benedetto XVI ragionò troppo in termini umani, pensò eccessivamente alla sua debolezza umana ― come risulta dal motivo ufficiale del suo atto di rinuncia – e troppo poco in termini di fede, ossia pensò troppo poco alla forza soprannaturale del carisma di Pietro. In ogni caso, non ce l’ha fatta. Difficile sapere se per limiti oggettivi insuperabili, indipendenti dalla sua volontà, per umiltà o per mancanza di coraggio e fede nel carisma di Pietro. Lasciamo a Dio il giudizio sulla sua coscienza e sulle sue responsabilità. Ma il fatto in se stesso resterà alla storia. Benedetto ci è stato di esempio di fedeltà alla dottrina, ma non di esempio nel coraggio.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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  Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio

Rm 15,7

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il Sommo Pontefice Benedetto XVI e il Sommo Pontefice Francesco I, ritratti entrambi in tempi diversi sulla stessa cattedra

La coesistenza e quasi convivenza nello stesso luogo, lo Stato della Città del Vaticano, di due Papi legittimi, dei quali uno regnante e l’altro cosiddetto emerito, non si era mai verificata nel corso della storia della Chiesa. Il tutto ci porta a interrogarci legittimamente sul misterioso status giuridico del Santo Padre Benedetto XVI. È un fatto del tutto nuovo, che può sorprendere, ma non deve turbare, perché non intacca per nulla la continuità della tradizione e successione apostoliche e il primato del Romano Pontefice. Certamente infatti è salvo il principio monarchico della guida della Chiesa, né altrimenti potrebbe essere, dato che esso è voluto da Cristo per l’unità, la stabilità, l’universalità, la giustizia, la concordia, la libertà, il progresso e la pace nella Chiesa.

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Certo, è un fatto legittimo di primaria importanza per le sorti della Chiesa, interessata in tal caso al suo vertice, fatto che però richiede l’invenzione e l’adozione di espedienti, ritrovati ed accorgimenti giuridici del tutto inediti, che consentano di affrontare, valutare e regolamentare con prudenza, alla luce della fede, questa nuova situazione, benché non pare che siamo del tutto digiuni di casi simili, come per esempio il vescovo emerito di una diocesi o le dimissioni o la cessazione dall’incarico di un Superiore in un Istituto Religioso.

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In un evento inaudito del genere, dobbiamo vedere una di quelle che Papa Francesco chiama «sorprese dello Spirito Santo». Apparentemente un fatto del genere sembrerebbe segnalare che ci troviamo in una situazione che contrasta con l’essenza o quanto meno col buon vivere della Chiesa. Se così fosse, certamente tale situazione andrebbe sanata, anche se si può prevedere che essa durerà poco, data l’età avanzata di entrambi i Pontefici, ai quali tuttavia auguriamo vita lunga e serena, ricca di buone opere e frutti spirituali.

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI in cattedra presso la Pontificia basilica di San Paolo fuori le mura

L’eventualità che un Papa faccia atto di rinuncia, era già prevista dal diritto canonico [cf. can. 332 §2. Vedere testo QUI]. Ma esso poi non regola quelli che devono essere la condotta e lo status giuridico del rinunciante. L’espressione Papa emerito suscita pertanto in alcuni dei problemi. Essi obiettano infatti che non è possibile fare il paragone col vescovo emerito, perché questi resta comunque vescovo; ma un Papa che dà le dimissioni non è più Papa. Il caso di Benedetto XVI è unico nella storia della Chiesa, sul piano canonico ed ecclesiale, perché nei rarissimi precedenti che si sono registrati, il rinunciatario è sempre tornato al proprio status precedente l’elezione al Sacro Soglio. Pertanto, a parere di diversi canonisti e teologi, Benedetto XVI avrebbe dovuto ritornare nella semplice condizione di cardinale. Lasciando infatti che lo si chiami Papa emerito, può dar l’impressione che voglia in qualche modo mantenere almeno moralmente, se non giuridicamente, un’influenza speciale sul Papa regnante, similmente appunto a quello che può fare un vescovo emerito nei confronti di quello titolare. D’altra parte, Benedetto XVI ha professato piena obbedienza a Papa Francesco come Papa legittimo sin da prima della sua elezione, com’ebbe ad affermare prima che i Padri Cardinali si riunissero in conclave per l’elezione del successore [vedere video ufficiale QUI].

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Lo stesso Benedetto XVI, in un’intervista a Peter Seewald, si riconosce ancora Papa, ma in un senso «più profondo e più intimo» [1]; dice di «mantenere la responsabilità che ha assunto in un senso interiore, ma non nella funzione. Per questo a poco a poco si capirà che il ministero papale non viene sminuito, anche se forse risulta più chiaramente la sua umanità».

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Coloro che non approvano l’espressione Papa emerito vedono con maggior favore e cosa più giusta, per non dire doverosa, citare l’esempio famoso della rinuncia di Papa Celestino V, che tra l’altro è stato fatto Santo, il quale, lasciato il governo della Chiesa, se ne tornò alla semplice condizione di monaco qual era prima.

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Il Sommo Pontefice Francesco I in cattedra presso la Pontificia basilica di San Paolo fuori le mura

Per illuminare convenientemente questa complessa situazione, per comprenderne il senso alla luce della fede, trovare vie giuridiche per dirimerla e darle un’opportuna regolazione, correggere difetti e allontanare eventuali rischi o pericoli presenti e futuri, ci permettiamo di suggerire al Pontefice regnante, in collaborazione col Santo Padre Benedetto XVI, con l’aiuto e il consiglio di validi collaboratori, canonisti, moralisti, ecclesiologi e profeti,  di valersi del seguente quadruplice criterio di giudizio, tenendo sempre presente la volontà di Cristo, il bene della Chiesa, l’onore di Dio e la salvezza delle anime.

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La prima verifica da fare, che non dovrebbe presentare difficoltà, è se questa coesistenza di due Papi offende in qualche modo la giustizia naturale o la legge morale cristiana o la carità fraterna. Se la cosa passa a questo primo controllo, bisogna vedere se essa risponde a un impulso dello Spirito Santo. Se la cosa passa anche a questo vaglio, allora bisogna verificare se contrasta in qualche modo con la costituzione essenziale della Chiesa e del papato. Ma per fare un’opera veramente saggia e adeguata all’importanza spirituale della questione, bisognerà consultare la storia della Chiesa e gli esempi dei Santi, nei quali, seppure in altri campi, è apparso evidente l’operare innovatore e sorprendente dello Spirito Santo. Solo a questo punto si potrà passare all’istituzione di opportune norme giuridiche attinenti non solo al caso presente, ma anche ad eventuali casi futuri.

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Una cosa è certa, a distanza di oltre quattro anni dall’atto di rinuncia di Benedetto XVI, la figura del cosiddetto Papa emerito non è stato istituita, meno che mai inserita nel Codice di Diritto Canonico e regolamentata dalle leggi della Chiesa, proprio perché il titolo di “emerito” dato ad un Sommo Pontefice che ha fatto libero atto di rinuncia, crea dei problemi forse non facili da risolvere sia sul piano giuridico e teologico. Pertanto, fin quando l’emeritato applicato al Romano Pontefice non sarà istituito e regolato dalle leggi canoniche, rimarrà solo un modo di dire per indicare una situazione insolita e provvisoria. E tra una situazione insolita e provvisoria, ed un istituto giuridico, la differenza che corre non è certo cosa di poco conto.

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Un tribunale rivoluzionario

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Ti siedi, parli contro il tuo fratello, getti fango contro il figlio di tua madre

Sal 49,20

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

Con quanto sin qui premesso diamo atto al Professor Andrea Grillo di aver preso in considerazione il grave e non facile problema dello status giuridico di Benedetto XVI. Grillo, che è anche un giurista, si è accorto dell’esistenza di una zona giuridica rimasta scoperta e bisognosa come tale di essere regolata in un settore delicatissimo della vita della Chiesa: nientedimeno che il diritto pontificio [vedere testo integrale della sua intervista, QUI].

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Papa Francesco sembra curarsi poco di questa questione. Ma ciò fa sì che su di essa stiano imperversando gli interventi e i pareri più strani e contradditori, riflettenti, come al solito, la sciagurata contrapposizione fra lefebvriani e modernisti, col risultato da una parte di far piacere al mondo e ai nemici della Chiesa esterni ed interni e dall’altra, di sconcertare e turbare gli animi dei buoni fedeli su quello che è un cardine della concezione cattolica della Chiesa, ossia il ministero petrino.

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Purtroppo Grillo ha affrontato questa gravissima ed urgentissima questione senza dar mostra di basarsi sui criteri suddetti, al contrario, in modo superficiale ed a tratta anche irresponsabile, come se si trattasse di allontanare o di punire in un partito politico un ex-dirigente che vuol ancora influire sul legittimo successore. Per giunta, dal tono della reprimenda del misericordista Grillo contro Benedetto XVI, si evince uno stato d’animo fazioso e giustizialista e un argomentare apparentemente razionale, ma in realtà sofistico contro il cosiddetto Papa emerito, da lui chiamato sibillinamente «vescovo emerito».

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

Grillo, con lo stile di un tribuno del popolo dell’’89 o di un sessantottino che decreta giustizia sommaria contro i padroni, sembra ingiungere più che suggerire, al Papa emerito, di andarsene in esilio lontano dal Vaticano e di tacere per sempre, motivando ciò con argomenti capziosi ed inconsistenti, che mostrano solo la rabbia di Grillo per un grande teologo che ha scoperto i suoi altarini. Per questo,  secondo me, Grillo ― mi rivolgo a lui fraternamente, da teologo a teologo ―, per evitare di aumentare la cattiva fama che già si è procurato con altre uscite del genere, farebbe bene lui a tacere. E se vuol parlare, cosa che, sia come teologo cattolico sia come giurista ha diritto e dovere di fare, parli pure, ma cum grano salis e cum sobrietate ma soprattutto evitando di spegnere il fuoco con la benzina.

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Forse Grillo non si rende conto della gravissima portata dei suoi giudizi in una situazione ecclesiale ed ecclesiastica già tormentata e lacerata da ostinate contrapposizioni estremistiche interne tra gli avversi partiti dei lefebvriani e dei modernisti, dove gli spazi di mediazione sembrano ridursi di giorno in giorno e il solco tra i nemici sta diventando un abisso per il continuo emergere sulla scena di personaggi sovversivi e farneticanti, che si spacciano per amici e collaboratori del Santo Padre, mentre in realtà il loro cattolicesimo assomiglia alla dottrina della Chiesa come la strega dei sette nani assomiglia a Biancaneve.

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

Suscita davvero sofferenza l’impudenza con la quale Grillo accusa Benedetto XVI di disprezzo della ragione per il solo fatto di aver sostenuto con sagge parole il valore del silenzio liturgico, se teniamo presente la forza e l’autorevolezza con le quali egli, sul solco della sua precedente attività come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a fianco del poderoso Autore della Fides et Ratio e nella linea dei grandi ultimi Papi vindici e promotori della ragione nella fede, dal  Beato Pio IX, a San Pio X, Pio XI, Pio XII, San Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI, ha coraggiosamente e sapientemente sostenuto e difeso la dignità dell’umana ragione («l’allargamento della ragione»), come premessa alla morale (i «valori non negoziabili»), preambolo della fede e strumento della teologia, sopportando le opposizioni provenienti da scientisti, irrazionalisti, luterani, modernisti, idealisti, massoni, comunisti e musulmani.

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Infelice e fuori luogo è quindi l’idea di Grillo di mettere a tacere nel Professor Joseph Ratzinger il più grande dei teologi del Novecento, mostrando di essere in tal modo scarsamente capace di cogliere la robustezza e nobiltà di pensiero di colui che per vent’anni ha combattuto come capo della Congregazione per la dottrina della fede per i valori della ragione e della fede. Infatti, con la sua recente critica rasente lo sfottò rivolta all’etica del Cardinale Carlo Caffarra e di San Giovanni Paolo II, Grillo mostra chiaramente di esser pronto a stravolgere il dato reale, se è vero, come egli sostiene, che Papa Francesco ha rivoluzionato il concetto del matrimonio del Beato Pio IX, di Pio XI e di San Giovanni Paolo II [vedere precedenti articoli, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI].

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

Grillo pare proprio ignorare quello che è il sacrosanto diritto e dovere di Papa Benedetto di esprimere il proprio autorevolissimo pensiero, in sua qualità di grande teologo annoverato ormai tra i più grandi teologi contemporanei. È semplicemente ridicolo che Grillo, infetto di modernismo, pretenda di insegnare a Benedetto come deve atteggiarsi nei confronti di Papa Francesco. L’accusa che Grillo fa a Benedetto di uscire dal suo posto e di mettere a disagio Francesco o addirittura di interferire nella sua autorità apostolica con la sua prefazione al libro del Cardinale Robert Sarah è assolutamente infondata. Benedetto sa molto meglio di Grillo come, in che termini ed entro quali limiti un teologo può e deve esprimere il proprio pensiero in aiuto al magistero pontificio, proprio lui che da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede emanò nel 1990 la Donum veritatis, un’illuminante istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo [vedere testo QUI].

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Sono sicuro invece che il Santo Padre, che ha venerazione per Benedetto e se lo tiene vicino, ad manus, come suo autorevolissimo e saggio consigliere, ha molto gradito l’intervento umile, utile e misurato di Benedetto, che sa benissimo come destreggiarsi col Sommo Pontefice, avendo congiunto egli stesso nella sua persona il ruolo di Papa con quello di teologo fedelissimo al Magistero.

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Un’enciclica scritta a quattro mani

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

La stessa enciclica di Papa Francesco, Lumen Fidei, come è noto, riprende e completa il lavoro che Benedetto aveva iniziato e lasciato interrotto con il suo atto di rinuncia, tanto che è stata chiamata enciclica scritta “a quattro mani”.  In essa si può avvertire un’eco della venerazione ratzingheriana per Sant’Agostino, cultore di Platone come mistagogo ai misteri della fede: «Nella vita di Sant’Agostino troviamo un esempio significativo del cammino in cui la ricerca della ragione, con il suo desiderio di verità e di chiarezza, è stata integrata nell’orizzonte della fede, da cui ha ricevuto nuova comprensione» [n. 33].

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Sappiamo altresì quanto Benedetto XVI ha messo in rilievo l’apporto della filosofia greca per la comprensione della Parola di Dio spiegata e formulata dalla Chiesa nel dogma. E difatti il testo così prosegue: «Da una parte, Agostino accoglie la filosofia greca della luce con la sua insistenza sulla visione. Il suo incontro con il neoplatonismo gli ha fatto conoscere il paradigma della luce, che discende dall’alto per illuminare le cose, ed è così un simbolo di Dio […] D’altra parte, però, nell’esperienza concreta di Sant’Agostino, che egli stesso racconta nelle sue confessioni, il momento decisivo del suo cammino di fede non è stato quello di una visione di Dio, oltre questo mondo, ma piuttosto quello dell’ascolto, quando nel giardino sentì una voce che gli diceva: “prendi e leggi”; egli prese il volume con le Lettere di San Paolo soffermandosi sul capitolo tredicesimo di quella ai Romani. Apparve così il Dio personale della Bibbia, capace di parlare all’uomo, di scendere a vivere con lui e di accompagnare il suo cammino nella storia, manifestandosi nel tempo dell’ascolto e della risposta. E tuttavia, questo incontro con il Dio della Parola non ha portato Sant’Agostino  a rifiutare la luce e la visione. Egli ha integrato ambedue le prospettive, guidato sempre dalla rivelazione dell’amore di Dio in Gesù. E così ha elaborato una filosofia della luce che accoglie in sé la reciprocità propria della parola e apre uno spazio alla libertà dello sguardo verso la luce» [ibid.].

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In Sant’Agostino l’ascolto della Parola di Dio nella fede è la preparazione e l’introduzione alla beata visione di Dio in cielo. Infatti egli è ben consapevole del fatto che quaggiù è possibile conoscere Dio solo indirettamente, per la mediazione delle creature, come dice San Paolo: «Ora vediamo come in uno specchio e in enigma, ma allora vedremo faccia a faccia» [I Cor 13,12].

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

Benedetto XVI e Francesco I s’incontrano, come è ovvio per due Papi, nel riconoscimento di questa funzione essenziale della ragione nell’acquisto della fede, gesto sommamente importante per la salvezza degli uomini del nostro tempo, smarriti nella ragione ancor prima che nella fede. E se Papa Benedetto insisteva tanto da teologo nel mettere in luce la ragione come base della fede, Papa Francesco, consapevole anch’egli dell’urgenza di ricostruire la dignità e i poteri della ragione,  a suo modo anch’egli opera per questo nobile fine, da un punto di vista di pastore e non di teologo, quando con tanta insistenza esalta i valori umani, tanto da suscitare fastidio se non scandalo in coloro che vorrebbero i suoi discorsi più intonati e più attenti ai valori dello spirito, del sacro, della religione e del soprannaturale.

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Ma già Pio XII, che non si può certo accusare di poca attenzione alla spiritualità, si era accorto della necessità di ripristinare l’umano come condizione per poter edificare il cristiano e il Beato Paolo VI sottolineava la necessità di far precedere all’evangelizzazione la promozione umana in un mondo che ha perduto la nozione della ragione e con ciò stesso la nozione dell’uomo, se è vero che l’uomo è l’animale ragionevole.

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Benedetto e Francesco si completano a vicenda

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

La cosa che è sotto gli occhi di tutti sono i buoni rapporti esterni e gli attestati di reciproca stima fra i due Papi, rapporti che essi hanno espresso pubblicamente in più occasioni; questa è già una buona base per affrontare e risolvere la questione di un certo contrasto ad una maggiore profondità. A mio modo di vedere Papa Francesco farebbe bene a raccogliere e far fruttare la ricca e preziosa eredità di Benedetto XVI, come ho cercato di mostrare in un mio recente articolo su L’Isola di PatmosPapa Francesco ha voluto dare impulso alla riforma conciliare, ma forse che ciò non stava anche negli intenti di Benedetto? Solo che Benedetto era preoccupato di difendere il Concilio dall’interpretazione modernista rahneriana. Viceversa, il modo col quale Francesco esalta il Concilio fa sì che a volte egli dia l’impressione di avvicinarsi all’interpretazione modernista e lo si vede dal fatto che evita di evidenziare l’opposizione, della quale parlava Benedetto XVI tra continuità e rottura circa la questione del rapporto del Concilio con la tradizione. Sembra che per Francesco i problemi vengano soprattutto dal fariseismo, dal conservatorismo e dalla «rigidezza», mentre è troppo indulgente verso le ben più gravi deviazioni storiciste, relativiste, mutabiliste, sovversive e moderniste. Egli peraltro accentua una certa tendenza misericordista della pastorale conciliare, che Ratzinger aveva tentato di arginare.

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Occorrerebbe che i due Papi sapessero meglio sostenersi e completarsi a vicenda e collaborare meglio, nell’utilizzazione delle qualità proprie di ciascuno: Benedetto XVI può aiutare il Pontefice regnante insieme al Cardinale Gerhard L. Müller nella promozione e nella difesa della sana dottrina, correggendo l’ecumenismo opportunista, inconcludente e relativista del Cardinale Walter Kasper. A Papa Francesco, pertanto, resta tuttora il gravoso compito di adoperarsi per il raggiungimento dell’obbiettivo ultimo della Unitatis redintegratio, ancora disatteso dalla linea Kasper, obbiettivo che prevede, tolti «ostacoli» e «carenze», «l’accesso dei fratelli separati nella piena comunione con la Chiesa cattolica» [cf. n.3].

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

Così pure nel dialogo con l’Islam, occorre che Papa Francesco, fedele all’insegnamento conciliare sull’Islam della Nostra aetate, che evidenzia i punti di contatto della teologia islamica con quella cristiana, ai fine di offrire alla Chiesa una visione completa della teologia islamica, integri l’insegnamento conciliare con quello di Papa Benedetto espresso nella famosa lectio magistralis di Ratisbona, che evidenzia l’aspetto irrazionale e fatalistico del Dio coranico, cosa che Grillo dovrebbe tenere presente prima di accusare Benedetto di irrazionalismo [testo e video QUI e QUI].

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Nella vicenda della Fraternità Sacerdotale San Pio X, Papa Francesco ha mostrato benevolenza concedendo ai sacerdoti permessi di confessare e di celebrare matrimoni, ma resta ancora l’opposizione della Fraternità alle dottrine del Concilio segnalata da Benedetto XVI ed il giudizio di filo-protestantesimo dato dall’Arcivescovo Marcel Lefèbvre alla Messa novus ordo, cose che, come ha avvertito il predecessore del Pontefice regnante:  «impediscono alla Fraternità di essere in piena comunione con la Chiesa» [cf. QUI].

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Papa Francesco sopperisce e rimedia alla limitata sensibilità sociale di Papa Benedetto ― da lui umilmente riconosciuta ―, con la indefessa predicazione dell’apertura al prossimo, con l’enunciazione dei princìpi della giustizia sociale ed economica, con interventi concreti in questo campo, con la promozione della misericordia, della conversione, del perdono, della pace e della riconciliazione, riguardo alle grandi questioni umanitarie di come affrontare il degrado morale nelle famiglie e nella società, l’educazione dei giovani, l’opera di pacificazione da condurre fra belligeranti, la corruzione politica e dei costumi, l’opposizione ai fondamentalismi e al terrorismo, i problemi dell’alimentazione e della salute, quelli posti dalle disuguaglianze e sperequazioni economiche, lo sfruttamento del lavoro dei minori e delle donne, il dramma dell’immigrazione e il problema della sopravvivenza di immense masse umane prive del necessario, l’urgenza della cura e del rispetto della natura, il problema dei mutamenti climatici, con le relative conseguenze dannose nelle popolazioni povere.

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

Nella delicata questione della teologia della liberazione, il Cardinale Müller mette in luce con la citazione di alcune dichiarazioni di Gustavo Gutiérrez, gli elementi positivi di detta teologia, che l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, come Capo della Congregazione per la dottrina della fede, aveva già evidenziato nell’Istruzione Libertatis nuntius del 1986. Dice il Cardinale Müller: «In un discorso tenuto a metà degli anni Novanta alla presenza del cardinale Ratzinger, Gustavo Gutiérrez sottolineò che «è importante che nel suo passo finale l’opzione per i poveri sia un’opzione per il Dio di quel regno annunciato da Gesù Cristo», e aggiunse: «il motivo ultimo per l’impegno a favore dei poveri e degli oppressi non risiede quindi in un’analisi della società, né nell’esperienza diretta che possiamo fare della povertà, e neanche nella nostra compassione umana. Tutte queste cose sono motivazioni utili, che senza dubbio giocano un ruolo importante nella nostra vita e nei nostri rapporti umani. Ciononostante, il nostro impegno di cristiani si fonda sulla fede nel Dio di Gesù Cristo. Si tratta di un’opzione teocentrica e profetica, che affonda le sue radici nella gratuità dell’amore di Dio, che la rende necessaria”» [2].

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È noto come Papa Francesco simpatizzi per gli aspetti positivi della teologia della liberazione, il che ovviamente non vuol dire che egli ignori il rischio che essa sia contaminata dal marxismo, segnalato dalla Congregazione per la dottrina della fede nell’Istruzione su alcuni aspetti della “teologia della liberazione” del 1984 [vedere testo QUI].

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

La pubblicazione dell’Amoris laetitia ha fatto pensare ad alcuni un contrasto fra il Magistero di Papa Francesco e quello di Papa Benedetto, con particolare rifermento al permesso della Comunione ai divorziati risposati. Come ho spiegato più volte su L’Isola di Patmos, l’eventualità che Francesco conceda in casi speciali, come quelli indicati dal Cardinale Francesco Coccopalmerio, il detto permesso, rientra nella sua facoltà di disciplinare l’amministrazione dei Sacramenti, per cui resta salva la continuità magisteriale fra i due Papi in campo dogmatico, come del resto diversamente non potrebbe essere. Piuttosto, coloro che creano confusione in questo campo col loro storicismo situazionista e relativista sono il Cardinale Kasper e il Grillo. Vero interprete del documento papale, indicato dallo stesso Pontefice, è invece il Cardinale Christoph  Schönborn.

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Il maggior successo di popolo che Papa Francesco ottiene nei suoi viaggi rispetto a Papa Benedetto non è tanto dovuto a una migliore evangelizzazione o ad una proposta cristiana più elevata, quanto ad una maggiore attenzione agli aspetti antropologici e sociali. L’elevato numero di non credenti o di ex nemici della Chiesa, che rimangono tali, ma che tessono lodi sperticate a Papa Francesco non sembra per lo più motivato dal fatto che esse vedono maggiormente in lui l’uomo di Dio o il testimone del regno di Dio o forse il Vicario di Cristo, ma sembra in parte influenzato e frastornato dai potenti mass-media controllati dalla massoneria, che presentano abilmente al pubblico un Papa liberazionista, modernista, populista, filo-luterano e misericordista, lassista e permissivo. Tutti difetti che il Santo Padre sembrerebbe avere, ma che in realtà non ha, perché la cosa sarebbe troppo grave, benché il suo linguaggio non sempre chiaro, l’imprudenza di certe sue scelte pastorali, la durezza di certi sui interventi che sanno di autoritarismo, la parzialità di certi giudizi che dividono anziché unire, e l’ambiguità della sua condotta morale, che sa di opportunismo, sembrino favorire questa interpretazione.

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Il successo popolare non è sempre segno che il predicatore ha annunciato il Vangelo nella sua integralità scandalosa e irritante per il mondo. Se il predicatore piace al mondo, non è detto che sia un buon segno. Il messaggio evangelico, per la verità, si pone a due livelli contenutistici, che appaiono chiaramente dall’esempio stesso di Gesù: uno, attinente ai bisogni e ai diritti dell’uomo, soprattutto dei poveri, dei sofferenti e degli oppressi. Gesù infatti inizia la sua predicazione chiamando alla conversione ed esortando alle buone opere, ed annunciando la prossima venuta del regno di Dio, regno di misericordia, di perdono, di libertà, di giustizia e di pace, e compiendo miracoli. Le folle, comprensibilmente, sono molto soddisfatte per un simile benefattore e accorrono a frotte dal Signore, tessendone le lodi. Ma poi Gesù, a un certo punto, dopo essersi reso credibile con queste opere di carità e di misericordia ed insegnamenti di comune saggezza umana, passa ad annunciare il cuore del messaggio evangelico, che è il mistero della croce e sono i misteri propri della salvezza e della vita eterna, apparentemente ostici alla ragione ed agli interessi umani, ma in realtà sorgenti della vera  beatitudine, come per esempio, quando parla dell’Eucaristia [cf. Gv 6] o annuncia a Pietro la sua passione, per non parlare di quando annuncia di essere il Messia Figlio di Dio giudice dei vivi e dei morti. È a questo punto che le folle si diradano, Gesù resta solo ed incontra un’opposizione tale, che Lo condurrà alla croce.

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Papa Francesco si è fermato finora soprattutto al primo livello e ha fatto del bene. Ma i buoni cattolici e veri evangelizzatori, e non le masse manovrate dai furbi e gli adulatori del Papa, attendono che egli passi al secondo livello di predicazione, dando egli l’impressione di indugiare troppo sul primo, quasi per rispetto umano o per timore delle minacce dell’opposizione che viene dal mondo, oggi soprattutto dalla massoneria, penetrata nella Chiesa, sin dall’epoca del Beato Paolo VI, per mezzo dei modernisti e dei rahneriani. Certo, il Papa avrà sotto gli occhi quello che è successo a Benedetto per aver annunciato Cristo Crocifisso, soprattutto nella sua bellissima e dottissima trilogia cristologica. Francesco va molto cauto per non tirarsi addosso l’aggressione dei modernisti, dei rahneriani, dei comunisti, dei  luterani e degli islamici. Egli cerca ogni possibile punto di contatto e di dialogo; e questo va bene. Ma a volte ha delle espressioni a doppio senso, che possono avere un senso ortodosso, ma anche eterodosso, quindi facilmente strumentalizzabile dai nemici della Chiesa. E questo difetto, atto a generare equivoci, difetto che gli è stato più volte rimproverato da molti, anche da buoni Cardinali, non va bene; quindi è necessario che si corregga. Inoltre, Francesco non potrà tacere all’infinito circa gli errori dei nemici della Chiesa. E poi, secondo me, farebbe bene a mettere in maggior luce quella che è la sostanza originale del Vangelo, della quale parla troppo poco. Chiediamo allo Spirito Santo e all’intercessione della Madonna che ottengano a Papa Francesco la forza di resistere a questi nemici e di vincerli.

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Come e perché si è giunti a questa situazione? E come si può uscire?

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

Quello che semmai potremmo chiederci è come mai e a causa di quali eventi o per quali motivi la Chiesa si trova oggi ad avere contemporaneamente due Papi e come potrebbero e dovrebbero essere considerati e regolati i rapporti fra di loro. I recenti interventi di Andrea Grillo in merito, danno l’impressione, come si suol dire, di un elefante entrato in un negozio di cristalli. Non si potrebbe infatti immaginare nulla di più grossolano ed offensivo nei confronti di Benedetto XVI, né di smaccatamente adulatorio e cortigiano nei confronti di Papa Francesco. È evidente l’incapacità del Grillo di mitigare, come dovrebbe, l’indubbio benché non grave contrasto esistente fra la pastorale elitaria ratzingeriana e quella populista bergogliana. Occorre invece con ogni mezzo operare per favorire la collaborazione fra i due Papi per il bene della Chiesa.

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Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, immagini d’archivio

C’è peraltro da notare che dall’epoca del Beato Paolo VI ha cominciato ad apparir sempre più chiaro, fino a giungere all’evidenza palmare dei nostri giorni, che il papato è oggetto, da parte della massoneria, di una sistematica operazione di accerchiamento ed isolamento dal resto della Chiesa, tesa a conservare l’istituto tributandogli apparente ossequio, ma in realtà rendendone inoperante l’azione di  governo, al fine di svuotarlo del suo valore proprio, voluto da Cristo, per svilirlo ad una semplice funzione simbolica o di rappresentanza, sul tipo della monarchia britannica o della presidenza dell’O.N.U o dei patriarcati ortodossi o dei pastori protestanti, mentre il governo effettivo della Chiesa verrebbe affidato a un gruppo di potere modernista, longa manus della massoneria, sorto all’interno dell’episcopato e del collegio cardinalizio. E lo strumento teologico del quale la massoneria si è servita e si serve per condurre questa operazione, è la teologia di Rahner, la quale, spacciata per teologia del Concilio Vaticano II, grazie a una metodica perseveranza ed ad un’ottima organizzazione, lautamente finanziata dalla massoneria, è stata fatta penetrare subdolamente negli istituti educativi della Chiesa, senza che il papato sia riuscito ad impedirlo, così da ottenere un episcopato e un cardinalato rahneriano, soggetto non al papato, ma alla massoneria. Questa colossale operazione diabolica, oggi come oggi, è in gran parte riuscita. È sorta così una Chiesa massonica ― la Chiesa modernista ― all’interno della Chiesa cattolica. Alcuni la chiamano «neochiesa». Usiamo allora l’espressione giusta: è una falsa chiesa.

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A proposito di Rahner, alcuni potrebbero ricordarmi che in fin dei conti Ratzinger e Rahner collaborarono assieme nei lavori del Concilio Vaticano II. È  vero. Ma quando Ratzinger fu eletto al Sacro Soglio, molta acqua era passata sotto i ponti. Infatti, come narra lo stesso Ratzinger nella detta intervista a Seewald, e come risulta dalla storia della teologia post-conciliare, finito il Concilio, Ratzinger si accorse che Rahner, sotto la maschera del progressista ― nel che non c’è nulla di male ― in realtà era un modernista,  il che è chiaramente eresiaA quel punto, Ratzinger, che intendeva mantenersi fedele al magistero della Chiesa, cominciò non solo a prendere le distanze da Rahner, ma ad attaccarlo severamente, come meritava. Per tutta risposta, Rahner e compagni kunghiani mossero guerra contro Ratzinger, una guerra che tuttora è in corso.

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San Giovanni Paolo II, dal canto suo premiò il coraggio dell’Arcivescovo Joseph Ratzinger facendolo nel 1981 Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Il conclave del 2005 lo premiò ulteriormente con la sua elezione a Sommo Pontefice. Ma intanto, i potentissimi rahneriani che erano penetrati nel sacro collegio, riuscirono a ottenere il favore dei filo-rahneriani, per cui capovolsero da favorevole a sfavorevole l’orientamento nei confronti di Benedetto. Così è giunto l’atto di rinuncia di Benedetto XVI, dopo che lo si era spinto in una situazione insostenibile. Poco dopo Benedetto XVI è stato succeduto da Papa Francesco, che nella mente dei rahneriani doveva essere un loro docile strumento da manovrare a piacere. Ma non hanno fatto bene i conti. Si sono lasciati sfuggire il fatto che Papa Francesco, pur con tutti i suoi limiti umani, è Vicario di Cristo. Per questo Papa Francesco terrà saldo il timone della Chiesa, nonostante la sua apparente manovrabilità.

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Il libero atto di rinuncia di Papa Benedetto, avvenuto com’egli stesso ha dichiarato in piena libertà e senza alcuna coartazione, si spiega dunque come volontà di non prestarsi a questa abbietta operazione, di non cedere a questa imposizione e nel contempo suppongono la convinzione di non riuscire a farvi fronte. Chi si trova a combattere contro un nemico troppo forte, si arrende, rifiutando di cedere alle sue richieste o di aderire o di aver parte alle sue intenzioni malvagie e di lasciarsi usare da lui. Questa è stata la scelta di Benedetto, dettata da piena e cosciente libertà. Tuttavia in questa scelta c’è un aspetto lodevole e un aspetto riprovevole. L’aspetto lodevole, in quanto, da finissimo teologo qual era, Ratzinger conosceva bene l’inganno e la seduzione del modernismo, per cui rifiutò assolutamente di farsene complice. L’aspetto riprovevole, in quanto Benedetto ragionò troppo in termini umani, pensò eccessivamente alla sua debolezza umana ― come risulta dal motivo ufficiale del suo atto di rinuncia – e troppo poco in termini di fede, ossia pensò troppo poco alla forza soprannaturale del carisma di Pietro.

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il Sommo Pontefice Benedetto XVI durante la lettura ufficiale del proprio atto di rinuncia alla Cattedra di Pietro – Per aprire il video del CTV cliccare sopra l’immagine.

Forse che nei secoli precedenti molti Romani Pontefici non si erano trovati in situazioni simili? Eppure non hanno fatto atto di rinuncia, hanno resistito fino all’ultimo ed alcuni hanno affrontato il martirio. Il capo di un’azienda non possiede un carisma divino che gli permette di restare sempre al suo posto, ma il Capo della Chiesa sì, lo possiede per la promessa e la volontà di Cristo che lo assiste attraverso l’opera e le azioni di grazia dello Spirito Santo [cf. Lc 22, 31-34; Gv 20, 19-29]. Benedetto XVI, comunque, non ce l’ha fatta. Difficile sapere se per limiti oggettivi insuperabili, indipendenti dalla sua volontà, per umiltà o per mancanza di coraggio e fede nel carisma di Pietro. Lasciamo a Dio il giudizio sulla sua coscienza e sulle sue responsabilità. Ma il fatto in se stesso resterà alla storia. Benedetto ci è stato di esempio di fedeltà alla dottrina, ma non di esempio nel coraggio.

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discorso di congedo del Sommo Pontefice Benedetto XVI dai Padri Cardinali – per aprire il video cliccare sopra l’immagine

Papa Benedetto ha fatto atto di rinuncia perché si è accorto di essere tradito persino dai suoi intimi collaboratori, come apparve chiaro nella vicenda di Paolo Gabriele. E poiché la croce si stava facendo troppo pesante, non se la è sentita di continuare a lavorare con collaboratori infidi. «Il Papa», dice Benedetto [3], «incontra quotidianamente la croce […] Se un Papa ricevesse solo gli applausi, si dovrebbe chiedersi se non stia facendo qualcosa di sbagliato […] Il Papa sarà sempre segno di contraddizione, … ma ciò non significa che deve morire sotto la mannaia». Non gli è proibito sottrarsi a un carico troppo pesante. Benedetto si è trovato a un certo punto circondato da collaboratori infidi, modernisti e rahneriani. E si è accorto che in quelle condizioni non era più in grado di governare la Chiesa, ostacolato da chi maggiormente doveva aiutarlo.

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Papa Francesco, dal canto suo, carattere più energico e coriaceo, consapevole del fatto che la Chiesa deve pur avere una guida, benché consapevole della situazione, si è messo con fiducia nelle mani dello Spirito Santo, avviando un’azione difficilissima, con la quale da una parte salva l’essenziale del ministero petrino; ma dall’altra deve cedere su punti secondari per evitare il peggio. Ma egli ha già detto che, per amore di Cristo, è pronto ad affrontare il martirio.

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il Successore eletto al Sacro Soglio di Pietro, il Sommo Pontefice Francesco I

Intanto l’operazione dei massoni e dei Giuda è giunta a tal punto di maturazione, che, dopo decenni di scalata al potere, e di cedimento del papato, ormai sono giunti nelle immediate vicinanze del trono di Pietro, all’interno della stessa Segreteria di Stato. La pentola è pronta. Manca il coperchio. Ma questo non ci sarà mai, giacché, come dice il proverbio, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. La vera Chiesa resisterà, sotto la guida del Papa, nonostante l’opera che attualmente la massoneria sta tentando per convincerlo, tra adulazioni e minacce, circondandolo di falsi collaboratori, a cedere alla sua concezione del papato non come guida della Chiesa ma semplicemente come rappresentante ed espressione della collegialità dei credenti.

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un incontro di cui non si aveva memoria, anche se nella storia della Chiesa, in pochissimi e rarissimi casi, vi sono state rinunce al Sacro Soglio di Pietro: l’incontro tra il Predecessore e il Successore.

Siccome Dio vuol tutti salvi e dà a tutti i mezzi per salvarsi, dobbiamo, tutti insieme col Santo Padre, aver più fiducia, come sempre la Chiesa ha avuto fiducia, di poter condurre, sotto l’impulso dello Spirito Santo, con la predicazione e il buon esempio, tutti i popoli della terra alla Chiesa cattolica, quale che sia la cultura o religione alla quale appartengono. Questo è il senso della Evangelii Gaudium, in linea con la spinta evangelizzatrice del Concilio e di tutti i Papi del post-concilio. In particolare, contro il buonismo di oggi, che è una vera e propria droga dello spirito, e per un’autentica concezione della misericordia, sulla quale tanto insiste il Papa, occorre ricordare che la predicazione della misericordia e della confidenza in Dio dev’essere bensì accompagnata dall’amore per il peccatore, ma nel contempo dall’odio per il peccato, e quindi dall’avvertimento che Dio punisce il peccato, per cui deve suscitare il timor di Dio e la volontà assoluta di non offenderLo. In questo modo la Chiesa, suscitando nei cuori il senso della loro responsabilità davanti a Dio, tornerà a proporre in maniera persuasiva la vera via del Vangelo e della santificazione degli uomini, liberandosi da un falso misericordismo che la conduce alla rovina.

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Varazze, 12 giugno 2017

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LA RISPOSTA DEL PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, CARDINALE ROBERT SARAH, NON SI È FATTA ATTENDERE A LUNGO:

 

«Prego devotamente per coloro che hanno il tempo e la pazienza di leggere attentamente questo volume [La forza del silenzio, vedere QUI]: che Dio li aiuti a dimenticare la volgarità e la bassezza usate da alcune persone quando si riferiscono alla “Prefazione” e al suo autore, Papa Benedetto XVI. L’arroganza, la violenza del linguaggio, la mancanza di rispetto e il disprezzo inumano per Benedetto XVI sono diabolici e coprono la Chiesa con un manto di tristezza e di vergogna. Queste persone demoliscono la Chiesa e la Sua profonda natura. Il Cristiano non combatte contro nessuno. Il Cristiano non ha nemici da sconfiggere» [vedere in La Nuova Bussola Quotidiana, QUI].

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NOTE

[1] Benedetto XVI, Ultime conversazioni, Garzanti, Milano 2016, p.39.

[2] G.L.Müller, Benedetto&Francesco Successori di Pietro al servizio della Chiesa, Edizioni ARES, 2016, pp.84-85.

[3] Ultime conversazioni, op.cit., p.36.

 

 

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Nota chiarificatrice circa alcune parole ambigue del Santo Padre: l’uomo ha bisogno di Dio, ma Dio non ha bisogno dell’uomo

  ― aiutiamo il Santo Padre con filiale chiarezza

 

NOTA CHIARIFICATRICE CIRCA ALCUNE PAROLE AMBIGUE DEL SANTO PADRE: L’UOMO HA BISOGNO DI DIO, MA DIO NON HA BISOGNO DELL’UOMO

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Non possiamo assolutamente neppure sospettare che il Santo Padre abbia inteso cose del genere, benché il suo modo di esprimersi non sia stato dei più felici, ed avrebbe necessitato, a nostro avviso, almeno di qualche precisazione. Inoltre, il Santo Padre non avrebbe fatto male a mettere in guardia dal rischio di un’interpretazione che porta al panteismo e all’ateismo, oggi molto diffusi.

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Autori
Giovanni Cavalcoli O.P. – Ariel S. Levi di Gualdo

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Se avessi fame, a te non lo direi [Sal 50,12]

Dov’eri tu quando Io ponevo le fondamenta della terra? [Gb 38,4]

A chi ha chiesto consiglio, perché Lo istruisse? [Is 40,14]

 

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Udienza del 7 giugno 2017 – per aprire il video cliccare sopra l’immagine

Nell’udienza generale del 7 giugno, il Santo Padre ha pronunciato le seguenti parole:

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«[…] il Vangelo di Gesù Cristo ci rivela che Dio non può stare senza di noi: Lui non sarà mai un Dio “senza l’uomo”; è Lui che non può stare senza di noi, e questo è un mistero grande! Dio non può essere Dio senza l’uomo: grande mistero è questo! E questa certezza è la sorgente della nostra speranza, che troviamo custodita in tutte le invocazioni del Padre nostro» [testo ufficiale QUI].

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Queste parole potrebbero a tutta prima farci venire in mente la famosa tesi di Hegel: «Dio senza il mondo non è Dio». Se così veramente fosse, sarebbe un’affermazione gravissima, gravida di conseguenze disastrose sul piano teologico e su quello morale, giacché è chiaro che Dio è del tutto sufficiente a Se stesso e può esistere benissimo anche senza l’uomo. E difatti, Egli, esisteva già perfetto, beato e completo da solo e da Sé, dall’eternità, prima che creasse il mondo. Egli è perfezione suprema, infinita ed assoluta. Nulla Gli si può aggiungere. Nulla Gli manca. Nulla Gli si può donare. Ciò che Gli doniamo sono quei doni che ha dato a noi. Da nulla la sua essenza può essere completata, neppure dalle creature più sublimi. Dio è l’assolutamente Necessario, mentre l’uomo è contingente creatura. Egli è di per Sé Tutto; le creature di per sé sono nulla e, tutto ciò che la creatura è, lo è da Dio.

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Egli certo è Amore per essenza, ha dato suo Figlio per la nostra salvezza, ma resta sempre che avrebbe potuto benissimo non esercitare questo amore verso il mondo, perché, se avesse voluto, avrebbe anche potuto non crearlo.

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Dio ha creato il mondo per puro amore e con un atto di liberissimo consiglio ― liberrimo consilio ―, come dice il Concilio Vaticano I, lo ha creato per puro e gratuito amore, senza essere assolutamente necessitato dalla struttura della sua essenza, così come invece operano gli agenti fisici subumani.

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Pensare che Dio, per esistere, abbia bisogno del contributo fattivo o ideale dell’uomo, perché da solo non ce la fa, conduce l’uomo a credere di poter essere indispensabile a Dio e di plasmare l’essenza di Dio, per cui Dio diventa un idolo, «opera delle mani dell’uomo» [Sal 135, 15], prodotto del pensiero umano, come nell’idealismo. Da qui la tentazione dell’uomo di credersi un dio o di identificarsi con Dio o di sostituirsi a Dio. O per dirla in altre parole: se l’uomo non ci fosse, Dio non ci sarebbe.

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Nella letteratura della spiritualità degli ebrei askenaziti, alcuni rabbanim [rabbini] narrano che «Dio aveva talmente bisogno di essere amato e onorato, che ad un certo punto decise di creare l’uomo a propria immagine e somiglianza, affinché l’uomo lo amasse e lo onorasse». Si tratta, naturalmente, di un’espressione del tutto poetica. Anche se come sappiamo, in teologia, ed in specie nella teologia dogmatica, le licenze poetiche, per quanto belle, ed a volte pure efficaci a rendere l’idea, possono essere non di rado pericolose, se non spiegate, ma soprattutto se non spiegate bene e come tali, ossia come licenze poetiche.

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Ora, non possiamo assolutamente neppure sospettare che il Santo Padre abbia inteso cose del genere, benché il suo modo di esprimersi non sia stato dei più felici, ed avrebbe necessitato, a nostro avviso, almeno di qualche precisazione. Inoltre, il Santo Padre, non avrebbe fatto male a mettere in guardia dal rischio di un’interpretazione che porta al panteismo e all’ateismo, oggi entrambi molto diffusi.

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Le parole del Santo Padre possono essere quindi intese in un senso mistico-affettivo-operativo ed inoltre come riferite al mistero dell’Incarnazione, in tre modi:

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primo, in un senso mistico-affettivo: è come il linguaggio degli innamorati, come quando l’innamorato dice alla sua amata «senza di te non posso stare». O come quando l’uno dice all’altra o viceversa: «io ti adoro». Parola che rende l’idea di ciò che si vuol dire a livello di profonda espressione affettiva, ma che nel linguaggio teologico ha un significato e soprattutto una “applicazione” ben precisa, perché solo Dio può essere oggetto di adorazione, salvo correre in caso contrario il serio rischio di cadere nell’idolatria.

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Secondo, in Cristo Dio ha in certo modo voluto aver bisogno dell’uomo. Lo mostra Cristo che chiede da bere alla samaritana [cf. Gv 4, 1-26], ed ancor più lo mostra la sua richiesta di collaborazione all’opera della salvezza, benché poi la nostra libera risposta sia dono della sua misericordia.

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Terzo, le parole del Santo Padre vanno intese come riferite al mistero dell’Incarnazione: Dio si è unito in Cristo per sempre all’uomo, e nulla potrà mai scindere questa unione. L’unione dunque di Dio con l’uomo in Cristo è però una necessità di fatto, non di diritto. Se la concepissimo come fusione delle due nature umana e divina, cadremmo nell’eresia cristologica contraria al dogma della distinzione delle due nature del Concilio di Calcedonia.

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Questa consapevolezza, ci dice il Santo Padre, che Dio in Cristo Si è legato per sempre all’uomo, è certo sorgente per noi di grande confidenza nel Padre, di consolazione e di speranza, che tuttavia non deve eccedere in una falsa certezza di salvarci in ogni caso e senza condizioni, annullando un santo timor di Dio, perché resta sempre in ciascuno di noi la responsabilità di corrispondere o meno a tanto amore, perché, se ci sottraessimo col peccato, a nulla ci servirebbe l’opera della redenzione. Ricordiamo infatti le famose parole di Sant’Agostino: « Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te ».

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da L’Isola di Patmos, 8 giugno 2017

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Cari Lettori,

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dopo la preannunciata parentesi di cui vi abbiamo informati il 19 maggio [vedere nota QUI], siamo tornati a lavoro su L’Isola di Patmos. Durante il soggiorno presso il Convento di Padre Giovanni Cavalcoli abbiamo registrato numerose video-lezioni attualmente in fase di montaggio, a breve saranno pubblicate per tutti voi sul  nostro canale.

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Varazze 2

i Padri de L’Isola di Patmos a lavoro durante le riprese video effettuate nel Convento San Domenico di Varazze (Savona)

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