Il Cardinale Carlo Caffarra e il suo insegnamento sul vitale pluralismo di pensiero all’interno della Chiesa
IL CARDINALE CARLO CAFFARRA E IL SUO INSEGNAMENTO SUL VITALE PLURALISMO DI PENSIERO ALL’INTERNO DELLA CHIESA
Possano queste parole indurre alla riflessione certi emulatori con la croce di legno pendente dal collo, il povero nel cuore, il sacro migrante sulla bocca e il pastorale di legno in mano, terrorizzati all’idea di non omologarsi a quel sistema che l’Arcivescovo emerito di Pisa Alessandro Plotti definì senza mezzi termini come il conformismo dei vescovi mediocri e ruffiani.
— Le brevi dei Padri de L’Isola di Patmos —
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Sono stato molto vicino al Cardinale Carlo Caffarra negli ultimi anni della sua vita e conobbi il suo disagio quando alcuni tentarono di contrapporlo al Sommo Pontefice Francesco, ciò lo toccò così tanto da indurlo a dichiarare:
«Avrei avuto più piacere che si dicesse che l’Arcivescovo di Bologna ha un’amante piuttosto che si dicesse che ha un pensiero contrario a quello del Papa. Se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi. Perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita eterna dei fedeli» (vedere video QUI).
Oggi qualcuno tenta di sostenere che quella dichiarazione la fece nell’ottobre del 2014 e che negli anni successivi cambiò opinione, dopo gli esiti del Sinodo sulla famiglia (!?). Posso testimoniare che il tutto è falso e che nel maggio 2017, quattro mesi prima della sua morte, in uno dei nostri lunghi colloqui tornò sul tema dicendomi:
«Nella Chiesa, le diverse voci, sono sempre state estremamente preziose. Ci sarebbe infatti da temere se i vescovi avessero tutti lo stesso identico pensiero. Nella Chiesa è necessario convivano assieme e si esprimano Bruno Forte e Carlo Caffarra. Una Chiesa formata unicamente da dei Bruno Forte o formata unicamente da dei Carlo Caffarra sarebbe una Chiesa pericolosamente squilibrata, se non peggio morta a qualsiasi forma di speculazione teologica».
Possano queste parole indurre alla riflessione certi emulatori con la croce di legno pendente dal collo, il povero nel cuore, il sacro migrante sulla bocca e il pastorale di legno in mano, terrorizzati all’idea di non omologarsi a quel sistema che l’Arcivescovo emerito di Pisa Alessandro Plotti definì senza mezzi termini come il conformismo dei vescovi mediocri e ruffiani (il testo integrale dell’intervista sul mensile Jesus del febbraio 2014 «Basta ruffiani, ora serve coraggio», è riportata QUI).
dall’Isola di Patmos, 17 novembre 2024
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Mi spiace, ma quell’intervista di Plotti è un gratuito tentativo di sprizzare veleno su Giovanni Paolo II (anche se non nominato) e Ruini. Il convegno del ’74 fu un pretesto per dare voce ai soliti contestatori e sostenitori di una Chiesa mimetica a rimorchio delle mode mondane e seguace delle manie rivoluzionarie e socialisteggianti. Evidentemente Plotti, che pure ha fatto carriera sotto il Papa polacco, preferiva allinearsi al vento bergoglioso che rievoca i “gloriosi” anni ’70 in cui l’incasinamento della Chiesa era libero. Il mediocre e ruffiano era lui.
Giovanni Paolo II in 26 anni di pontificato e Camillo Ruini per un ventennio presidente della CEI, non hanno commesso alcun errore, vero?
Occorre comunque molto coraggio per dire e affermare che Alessandro Plotti era un mediocre, specie dinanzi all’attuale classe episcopale.
Plotti infatti era bergogliano “ante praevisa demerita”