Die rettende Freude, nur nutzlose Diener zu sein – Die rettende Freude, nur unwürdige Diener zu sein – Die salvifische Freude, nur nutzlose Diener zu sein

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Italienisch, Englisch, spanisch

 

LA GIOIA SALVIFICA DI ESSERE SOLO DEI SERVI INUTILI

L’autentico discepolo del Signore, dopo aver fatto bene il suo servizio, deve comunque riconoscersi inutile perché il suo lavoro non gli garantisce necessariamente la salvezza, in quanto la grazia sarà sempre un dono e non un vanto per aver fatto qualcosa.

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Il Vangelo di Luca riporta oggi due detti di Gesù. Il primo riguarda la fede, in risposta ad una domanda degli apostoli.

Il secondo che si presenta in forma estesa, quasi una piccola parabola, fa riferimento al servizio che i «servi inutili» danno. Il contesto è ancora quello del gran viaggio di Gesù verso Gerusalemme che ha preso avvio in LC 9,51 e terminerà in LC 19,45. Con il Vangelo di oggi si chiude proprio la seconda sezione di questo pellegrinaggio di Gesù che si contraddistingue per l’invito ad entrare nel Regno seguendo alcune condizioni. Questo che segue è il testo evangelico:

„Zu dieser Zeit, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe. Wer von euch, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola?» Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu?» Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? So tun Sie, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, sagte: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (LC 17,5-10).

Dopo aver trattato dell’uso dei beni materiali, delle relazioni con il prossimo e della Chiesa con le istruzioni comunitarie, per la prima volta il Signore nel Vangelo di Luca parla del tema della fede in risposta ad un intervento degli apostoli: «Accresci in noi la fede» (LC 17,5). La domanda di questi ultimi rimanda ad una situazione simile ricordata dal Vangelo di Marco. Dort, dopo il racconto della trasfigurazione, il padre di un ragazzo posseduto si rivolge a Gesù per chiedere la liberazione del figlio, e gli dice: «Credo; aiuta la mia incredulità» (MC 9,24). Il Signore gli risponde non a parole, ma con un gesto di potenza, esorcizzando lo spirito impuro. Il vangelo di Matteo racconta lo stesso episodio ma lo amplifica, aggiungendo la reazione dei discepoli non tramandata da San Marco e registrando però le stesse parole di Gesù che ascoltiamo oggi: «Allora i discepoli si avvicinarono a Gesù, an den Seitenlinien, e gli chiesero: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Und er antwortete ihnen: «Per la vostra poca fede. Wahrlich, ich sage euch:: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: «Spòstati da qui a là, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile» (MT 17,19-20).

In verità anche Marco conserva lo stesso detto di Gesù in Luca, ma in un diverso contesto, quello del fico infruttuoso: «Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! Wahrlich, ich sage euch:: se uno dicesse a questo monte: Lèvati e gèttati nel mare, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà» (MC 11,22-23).

If, come diceva Archimede, per sollevare il mondo occorre un punto di appoggio, questo per Gesù è indubbiamente la fede. Gesù ha appena parlato dell’inevitabilità che si verifichino scandali nella comunità cristiana e ha invitato a correggere chi pecca e a perdonare all’infinito chi si pente e riconosce apertamente il proprio peccato (LC 17,1-4). In questo contesto si comprende la preghiera dei discepoli di veder accresciuta la loro fede. Come reggere, in der Tat, il peso degli scandali, degli ostacoli alla vita di comunione, dell’inciampo posto ai più piccoli o semplici nello spazio ecclesiale? Come esercitare una correzione fraterna che non schiacci il fratello ma lo liberi? Come perdonare ancora e sempre chi ogni volta si pente? Solo per mezzo della fede. Che si tratti, a titolo esemplificativo, di spostare un gelso come nell’odierna pagina di Luca o un monte, come nei vangeli di Marco e Matteo, la «leva» di cui sopra per farlo è la fede, grande anche solo come un granello di senapa, infatti ciò che vale è la qualità e non la quantità. Nei miracoli evangelici essa è presupposta nei bisognosi che Gesù incontra, permette di rifuggire dalla spettacolarizzazione o dall’idolatria, Gesù di norma chiede la fede prima del suo intervento, poiché dopo essa non è più garantita, come nel caso dei dieci lebbrosi guariti del Vangelo di domenica prossima: solo uno tornò per ringraziare (vgl.. LC 17,11-19).

Nella seconda parte del brano viene riportata una similitudine, quasi una parabola, che presenta una situazione che, glücklicherweise, oggi è molto difficile rintracciare, poiché la schiavitù è stata abolita e chi svolge un servizio lo fa perché competente e gratificato e non semplicemente perché qualificato come servo. Tuttavia nella Bibbia questi termini, al netto delle situazioni sociali differenti dalle nostre, vengono adoperati per definire una condizione religiosa, spesso positiva. Zum Beispiel, nel Vangelo di Luca, Maria stessa si proclama «serva» del Signore (vgl.. LC 1,38). Com’è tipico di Gesù, la parabola ci pone davanti ad una situazione paradossale, in quanto invito a guardare la realtà da un altro punto di vista, che è quello di Dio. In questo caso il paradosso corrisponde al fatto che il servo, avendo compiuto il suo dovere, è stato necessario al suo padrone. Ma l’autentico discepolo del Signore, dopo aver fatto bene il suo servizio, deve comunque riconoscersi inutile perché il suo lavoro non gli garantisce necessariamente la salvezza, in quanto la grazia sarà sempre un dono e non un vanto per aver fatto qualcosa. Il termine greco, usato da Luca, acreios (achreioi), che ha il significato primigenio di «senza valore», applicato alle persone citate da Gesù sta ad indicare dei servi qualunque, a cui nulla è dovuto. È un senso forte, che potrebbe urtare la sensibilità moderna, eppure nasconde un significato religioso e salvifico che, z.B, l’apostolo Paolo coglie parlando della fede nella Lettera ai Romani: «Dove dunque sta il vanto? È stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? Nein, ma dalla legge della fede. Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge» (Rom 3,27-28). E ancora nella Lettera agli Efesini: «Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Eff 2,8-9).

Per il discepolo dunque e nella comunità cristiana, la fede è richiesta per il servizio e camminano insieme; questo è il legame che possiamo rintracciare fra la similitudine che Gesù fa e l’esortazione alla fede, pur delle dimensioni di un granello di senapa. Gesù sta istruendo coloro che lo seguono e al discepolo è richiesta una fede grande, che non può altro che essere domandata di continuo a Dio. La fatica e l’impegno che devono avere i cristiani per fare ciò che fanno, spesso a rischio della propria vita in alcune situazioni e parti del mondo, deve anche saper riconoscere che si è salvati non perché si è stati bravi o si sono ottenuti dei risultati, ma perché è Dio che salva. Tutti i meriti, anche quelli legittimamente ottenuti, devono essere ricondotti a Dio misericordioso e salvatore.

Aus der Eremitage, 5 Oktober 2025

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THE SAVING JOY OF BEING ONLY UNWORTHY SERVANTS

The disciple of the Lord, after having carried out his service well, must still recognise himself as unprofitable, because his work does not of itself guarantee salvation; grace will always be a gift and never a boast for having done something.

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The Gospel of Luke today reports two sayings of Jesus. The first concerns faith, in response to a request from the apostles.

The second, presented at greater length as a short parable, refers to the service rendered by the «unprofitable servants». The setting is still that of the great journey of Jesus to Jerusalem which began at Lk 9:51 and will end at Lk 19:45. With today’s Gospel we come to the close of the second section of this pilgrimage of Jesus, which is marked by the invitation to enter the Kingdom by following certain conditions. What follows is the Gospel text:

«And the apostles said to the Lord, “Increase our faith.” The Lord replied, “If you have faith the size of a mustard seed, you would say to [this] mulberry tree, ‘Be uprooted and planted in the sea,’ and it would obey you. “Who among you would say to your servant who has just come in from plowing or tending sheep in the field, ‘Come here immediately and take your place at table’? Would he not rather say to him, ‘Prepare something for me to eat. Put on your apron and wait on me while I eat and drink. You may eat and drink when I am finished’? Is he grateful to that servant because he did what was commanded? Also sollte es bei dir sein. Wenn Sie alles getan haben, was Ihnen befohlen wurde, sagen, ‘We are unprofitable servants; we have done what we were obliged to do.’” (Luke 17:5–10)».

After speaking about the use of material goods, relations with one’s neighbour and the life of the Church with her communal instructions, for the first time in Luke’s Gospel the Lord speaks about the theme of faith in response to a request from the apostles: «Increase our faith» (Lk 17:5). Their plea recalls a similar situation noted by Mark. There, after the account of the Transfiguration, the father of a possessed boy turns to Jesus to ask for his son’s liberation and says to him: «I do believe, help my unbelief!» (Mk 9:24). The Lord answers him not with words but with a deed of power, by casting out the unclean spirit. Matthew recounts the same episode but expands it, adding the disciples’ reaction (which Mark does not record) and preserving the same words of Jesus that we hear today: «Then the disciples approached Jesus in private and said, “Why could we not drive it out?” He said to them, “Because of your little faith. Amen, Ich sage zu dir, if you have faith the size of a mustard seed, you will say to this mountain, ‘Move from here to there,’ and it will move; nothing will be impossible for you”» (MT 17:19–20).

Mark also preserves the same saying of Jesus as Luke, but in a different context, that of the barren fig tree: «Jesus said to them in reply, “Have faith in God. Amen, Ich sage zu dir, whoever says to this mountain, ‘Be lifted up and thrown into the sea,’ and does not doubt in his heart but believes that what he says will happen, it shall be done for him”» (Mk 11:22–23).

If, as Archimedes said, to lift the world one needs a fixed point, for Jesus that point is undoubtedly faith. He has just spoken about the inevitability that scandals occur within the Christian community and has urged that the sinner be corrected and that the one who repents be forgiven without limit (Lk 17:1-4). In this context one understands the disciples’ prayer to have their faith increased. How, In der Tat, can one bear the weight of scandals, of obstacles to communion, of stumbling blocks placed before the little ones in the Church’s life? How can one exercise fraternal correction that does not crush a brother but frees him? How can one forgive again and again those who repent each time? Only by means of faith. Whether, by way of example, it is a matter of moving a mulberry tree as in Luke, or a mountain as in Mark and Matthew, the “lever” to do so is faith — great even if only like a mustard seed — for what counts is its quality rather than its quantity. In the Gospel miracles faith is presupposed in those in need whom Jesus meets; it allows one to avoid spectacle or idolatry. Jesus normally asks for faith before he intervenes, because afterwards it is no longer guaranteed, as in the case of the ten lepers of next Sunday’s Gospel: only one returned to give thanks (vgl. Lk 17:11–19).

In the second part of the passage a comparison is reported, almost a parable, presenting a situation which, thankfully, is very hard to find today, since slavery has been abolished and those who perform a service do so because they are competent and fulfilled, not simply because they are labelled as servants. Nevertheless, in the Bible such terms, quite apart from social situations different from our own, are used to define a religious condition, often a positive one. Zum Beispiel, in Luke’s Gospel Mary herself proclaims herself the «handmaid» of the Lord (vgl. Lk 1:38). As is typical of Jesus, the parable sets before us a paradoxical situation that invites us to look at reality from another point of view, that of God. The paradox here is that the servant, having done his duty, has in fact been necessary to his master. But the true disciple of the Lord, after having carried out his service well, must still recognise himself as unprofitable, because his work does not of itself guarantee salvation; grace will always be a gift and never a boast for having done something. The Greek word used by Luke, acreios (achreioi), whose primary sense is “without claim,” applied to the persons in Jesus’ example indicates ordinary servants to whom nothing is owed. It is a strong expression that can jar modern sensibilities, yet it conceals a religious and saving meaning which, Zum Beispiel, the Apostle Paul brings out when he speaks about faith in the Letter to the Romans: «What occasion is there then for boasting? It is ruled out. On what principle, that of works? Nein, rather on the principle of faith. For we consider that a person is justified by faith apart from works of the law» (Rom 3:27–28). And again in the Letter to the Ephesians: «For by grace you have been saved through faith, and this is not from you; it is the gift of God; it is not from works, so no one may boast» (Eph 2:8–9).

For the disciple, dann, and within the Christian community, faith is required for service and the two walk together. This is the link we can trace between the comparison that Jesus makes and the exhortation to a faith even the size of a mustard seed. Jesus is instructing those who follow him, and the disciple is asked for a great faith which can only be continually begged from God. The hard work and commitment Christians must put into what they do — often at the risk of their very lives in certain situations and parts of the world — must also be joined to the recognition that we are saved not because we have been good or have achieved results, but because it is God who saves. All merits, even those legitimately obtained, must be referred back to the merciful and saving God.

(F)rom the Hermitage October 5, 2025

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LA ALEGRÍA SALVÍFICA DE SER SOLO SIERVOS INÚTILES

El auténtico discípulo del Señor, después de haber realizado bien su servicio, debe igualmente reconocerse inútil, porque su obra no le garantiza por sí misma la salvación; la gracia será siempre un don y no un motivo de jactancia por haber hecho algo.

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El Evangelio de Lucas hoy recoge dos dichos de Jesús. El primero se refiere a la fe, en respuesta a una petición de los apóstoles.

El segundo, presentado de forma más extensa como una pequeña parábola, alude al servicio que prestan los «siervos inútiles». El contexto sigue siendo el del gran viaje de Jesús hacia Jerusalén que comenzó en LC 9,51 y concluirá en LC 19,45. Con el Evangelio de hoy se cierra precisamente la segunda sección de esta peregrinación de Jesús, que se caracteriza por la invitación a entrar en el Reino siguiendo ciertas condiciones. A continuación, el texto evangélico:

"Damals, los apóstoles dijeron al Señor: “¡Auméntanos la fe!”. El Señor respondió: “Si tuvierais fe como un grano de mostaza, diríais a esta morera: ‘Arráncate y plántate en el mar’, y os obedecería. ¿Quién de vosotros, si tiene un siervo arando o pastoreando el rebaño, le dirá, cuando vuelve del campo: ‘Ven enseguida y ponte a la mesa’? ¿No le dirá más bien: ‘Prepárame de comer; cíñete y sírveme mientras yo como y bebo, y después comerás y beberás tú’? ¿Acaso da las gracias al siervo porque hizo lo que se le mandó? Así también vosotros, cuando hayáis hecho todo lo que se os ha ordenado, ENTSCHIEDEN: ‘Somos siervos inútiles. Hemos hecho lo que debíamos hacer’.» (LC 17,5–10).

Tras haber tratado del uso de los bienes materiales, de las relaciones con el prójimo y de la vida de la Iglesia con sus instrucciones comunitarias, por primera vez en el Evangelio de Lucas el Señor habla del tema de la fe en respuesta a una petición de los apóstoles: «¡Auméntanos la fe!» (LC 17,5). La súplica remite a una situación semejante recordada por el Evangelio de Marcos. Allí, después del relato de la Transfiguración, el padre de un muchacho poseído se dirige a Jesús para pedir la liberación de su hijo y le dice: «¡Creo; ayuda mi incredulidad!» (MC 9,24). El Señor le responde no con palabras, sino con un gesto de poder, expulsando al espíritu impuro. Mateo narra el mismo episodio pero lo amplía, añadiendo la reacción de los discípulos (que Marcos no registra) y conservando las mismas palabras de Jesús que escuchamos hoy: «Entonces se acercaron a Jesús los discípulos aparte y le dijeron: “¿Por qué nosotros no pudimos expulsarlo?”. Él les dijo: “Por vuestra poca fe. Wahrlich, ich sage es Ihnen: si tenéis fe como un grano de mostaza, diréis a este monte: ‘Muévete de aquí allá’, y se moverá; y nada os será imposible”» (Mt 17,19–20).

En realidad, Marcos también conserva el mismo dicho de Jesús que Lucas, pero en un contexto distinto, el de la higuera estéril: «Jesús les respondió: “Tened fe en Dios. Wahrlich, ich sage es Ihnen: el que diga a este monte: ‘Quítate y arrójate al mar’, sin dudar en el corazón, sino creyendo que sucederá lo que dice, le sucederá.”» (Mc 11,22–23).

Und, como decía Arquímedes, para mover el mundo se necesita un punto de apoyo, para Jesús ese punto es sin duda la fe. Acaba de hablar de la inevitabilidad de los escándalos en la comunidad cristiana y ha invitado a corregir al que peca y a perdonar sin límite al que se arrepiente (Lc 17,1–4). En este contexto se entiende la oración de los discípulos para que se aumente su fe. ¿Cómo soportar, en efecto, el peso de los escándalos, de los obstáculos a la comunión, de la piedra de tropiezo colocada a los pequeños en la vida eclesial? ¿Cómo ejercer una corrección fraterna que no aplaste al hermano sino que lo libere? ¿Cómo perdonar una y otra vez a quien cada vez se arrepiente? Solo mediante la fe. Ya se trate, a modo de ejemplo, de mover una morera, como en la página de hoy de Lucas, o una montaña, como en Marcos y Mateo, la «palanca» mencionada anteriormente para hacerlo es la fe, grande incluso si es del tamaño de un grano de mostaza: importa la calidad, no la cantidad. En los milagros evangélicos se presupone la fe en los necesitados que Jesús encuentra; permite huir del espectáculo o de la idolatría. Jesús normalmente pide la fe antes de intervenir, porque después ya no está garantizada, como en el caso de los diez leprosos del Evangelio del próximo domingo: solo uno volvió para dar gracias (vgl. Lc 17,11–19).

En la segunda parte del pasaje se recoge una comparación, casi una parábola, que presenta una situación que, por fortuna, hoy es muy difícil de encontrar, pues la esclavitud ha sido abolida y quien presta un servicio lo hace porque es competente y se realiza, no simplemente por estar calificado como siervo. aber, en la Biblia estos términos —al margen de situaciones sociales distintas de las nuestras— se emplean para definir una condición religiosa, a menudo positiva. Zum Beispiel, en el Evangelio de Lucas, María misma se proclama «sierva» del Señor (vgl. LC 1,38). Como es típico en Jesús, la parábola nos coloca ante una situación paradójica que invita a mirar la realidad desde otro punto de vista: el de Dios. El paradoja aquí consiste en que el siervo, habiendo cumplido su deber, ha sido necesario a su señor. Pero el auténtico discípulo del Señor, después de haber realizado bien su servicio, debe igualmente reconocerse inútil, porque su obra no le garantiza por sí misma la salvación; la gracia será siempre un don y no un motivo de jactancia por haber hecho algo. El término griego usado por Lucas, acreios (achreioi), cuyo sentido primario es «sin derecho», aplicado a las personas del ejemplo de Jesús indica siervos ordinarios a quienes nada se les debe. Es una expresión fuerte, que puede chocar la sensibilidad moderna, pero encierra un significado religioso y salvífico que, por ejemplo, el apóstol Pablo capta al hablar de la fe en la Carta a los Romanos: "Wo ist, pues, el motivo de gloriarse? Queda excluido. ¿Por qué ley? ¿Por la de las obras? Nein, por la ley de la fe. Pues sostenemos que el hombre es justificado por la fe, sin las obras de la ley» (Rom 3,27–28). Y también en la Carta a los Efesios: «Pues por gracia habéis sido salvados mediante la fe; y esto no viene de vosotros, sino que es don de Dios; no viene de las obras, para que nadie se gloríe» (Ef 2,8–9).

Para el discípulo, pues, y dentro de la comunidad cristiana, la fe se requiere para el servicio y ambas caminan juntas; este es el vínculo que podemos rastrear entre la comparación que hace Jesús y la exhortación a una fe, aunque sea del tamaño de un grano de mostaza. Jesús está instruyendo a quienes le siguen, y al discípulo se le pide una fe grande, que solo puede ser pedida a Dios continuamente. El esfuerzo y el compromiso que los cristianos deben poner en lo que hacen —muchas veces a riesgo de la propia vida en determinadas situaciones y lugares del mundo— debe ir unido al reconocimiento de que somos salvados no porque hayamos sido buenos o conseguido resultados, sino porque es Dios quien salva. Todos los méritos, incluso los legítimamente obtenidos, deben referirse a Dios misericordioso y salvador.

Desde la Ermita, 5 de octubre de 2025

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Das provokative Lob Jesu an den unehrlichen Administrator

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Homiletik der Väter der Insel Patmos

LA PROVOCATORIA LODE DI GESÙ ALL’AMMINISTRATORE DISONESTO

Chi è fedele in cose di poco conto, Es ist auch treu in wichtigen Dingen; und wer ist unehrlich in kleinen Dingen, Es ist auch unehrlich in wichtigen Dingen. Wenn Sie also nicht in unehrlichem Reichtum treu waren, Wer wird den wahren anvertrauen?? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

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Liebe Brüder und Schwestern,

il Vangelo di questa XXXV Domenica del Tempo Ordinario ci offre la parabola dell’amministratore infedele. Un racconto che, auf den ersten Blick, sembra colmo di contraddizioni: un amministratore, che avrebbe dovuto agire con giustizia, viene lodato per il suo comportamento astuto e disonesto.

Come possiamo conciliare questa lode con l’insegnamento cristiano sulla giustizia e l’onestà? Ecco il testo:

„Zu dieser Zeit, Gesù diceva ai discepoli: un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Er sagte es ihm: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Beantwortet: “Cento misure di grano”. Er sagte es ihm: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, weil er klug handelte. Die Kinder dieser Welt, in der Tat, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Brunnen, Ich sage es dir: Macht euch Freunde mit unehrlichen Reichtum, Warum, wenn es scheitert, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, Es ist auch treu in wichtigen Dingen; und wer ist unehrlich in kleinen Dingen, Es ist auch unehrlich in wichtigen Dingen. Wenn Sie also nicht in unehrlichem Reichtum treu waren, Wer wird den wahren anvertrauen?? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, weil es heute heute den anderen wird und lieben wird, oder es wird an einen gebunden und den anderen verachten. Du kannst Gott und Reichtum nicht dienen ". (LC 16, 1-13).

Questo amministratore, che avrebbe dovuto agire con giustizia e lealtà verso il suo padrone, finisce per essere lodato proprio per il suo comportamento astuto e disonesto. Come possiamo conciliare questa lode con la virtù cristiana di onestà e giustizia? Se il Vangelo ci invita a «render conto» delle nostre azioni e a vivere nella giustizia (MT 12,36), come possiamo leggere, ma soprattutto spiegare che il comportamento disonesto dell’amministratore venga, in einem Sinn, apprezzato e persino lodato? La risposta si trova nella natura della saggezza che Gesù intende comunicare. Das Gleichnis, in der Tat, non esalta la disonestà in sé, ma la capacità di guardare al futuro e di fare scelte sagge, anche se compiute in un contesto fallace. Chi è fedele in cose di poco conto, Es ist auch treu in wichtigen Dingen; und wer ist unehrlich in kleinen Dingen, Es ist auch unehrlich in wichtigen Dingen. Wenn Sie also nicht in unehrlichem Reichtum treu waren, Wer wird den wahren anvertrauen?? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

Gesù ci insegna «dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (MT 6,21), damit, non è il comportamento illecito che viene lodato, ma la consapevolezza che dobbiamo vivere in modo saggio e responsabile, amministrando non solo i beni terreni, ma soprattutto quelli spirituali, con l’intenzione di costruire un tesoro che non svanisce. Come infatti ci ricorda il Salmista:

«L’uomo malvagio prende in prestito e non restituisce, ma il giusto è pietoso e generoso» (Soll 37,21).

Qui vediamo che il contrasto tra l’infedele e il giusto è anche un confronto tra due visioni completamente diverse della vita: una egoista e disonesta, l’altra caritatevole e giusta, orientata al bene comune.

Cosa vuole insegnarci Gesù attraverso questa complessa parabola di non facile comprensione, almeno al primo ascolto, nella quale si parla di «disonesta ricchezza» e di saggezza nelle azioni quotidiane? Per comprenderlo è necessario anzitutto chiarire che l’Amministratore Infedele è la plastica immagine di una figura volutamente ambigua sulla quale grava l’accusa di sperperare i beni del suo padrone. Quando il padrone lo licenzia, egli si trova in una situazione disperata: non è in grado di fare lavori manuali e non intende finire a chiedere l’elemosina. Decide quindi di ridurre i debiti dei creditori del proprio padrone per crearsi delle amicizie utili che possano garantirgli il futuro quando sarà senza più lavoro. Un comportamento moralmente discutibile, quello dell’Amministratore, che però Gesù non condanna, perlomeno in modo chiaro e aperto. Lo stesso Padrone, seppur danneggiato dalla sua disonestà, lo loda per l’astuzia e la prontezza con la quale ha dimostrato di saper pensare al futuro.

La reazione ammirata del Padrone, strana di per sé e anche ingiusta, costituisce il punto centrale della parabola: Gesù non approva la disonestà, ma riconosce la saggezza nell’agire con lungimiranza e prontezza di spirito. Non esalta il comportamento illecito dell’amministratore, ma ci invita a riflettere sulla nostra attitudine nei confronti delle risorse che Dio ci ha affidato, sia materiali che spirituali. Per guidarci a una corretta comprensione del brano San Giovanni Crisostomo evidenzia che «questa lode non è per la disonestà, ma per la prontezza con cui l’amministratore ha usato ciò che aveva in vista del futuro» (Commentario su Luca, Homilia 114,5). È quindi la sua capacità di guardare avanti e di agire con saggezza che viene apprezzata, anche se ciò avviene in un contesto moralmente ambiguo, non la sua disonestà.

La parabola ci insegna che, come l’amministratore è stato astuto nel prepararsi per un futuro materiale, così anche noi dobbiamo essere saggi e previdenti riguardo al nostro futuro proiettato verso l’eterno. La saggezza di cui Gesù parla non riguarda l’astuzia materiale, ma quella spirituale: dobbiamo imparare a utilizzare le risorse che Dio ci ha dato, non per fini egoistici o temporanei, ma per costruire la nostra strada verso il suo regno che non avrà fine, come recitiamo nella nostra Professione di Fede. Il complesso tema della ricchezza spirituale è ripreso anche dal Santo vescovo e dottore Agostino nel dove afferma:

«Quindi, cosa significa accumulare tesori in cielo? Non è altro che l’amore verso il prossimo. In der Tat, l’unico tesoro celeste è la carità, che santifica gli uomini» (De sermone Domini in monte, Sermone 19,3).

La ricchezza celeste di cui parla Gesù è quella che si accumula attraverso l’amore disinteressato verso gli altri e la carità che trasforma la vita attraverso la Folge Christi del Verbo di Dio fatto uomo che è via, Wahrheit und Leben (vgl.. GV 14,6).

Una delle affermazioni più provocatorie di Gesù in questo passo è che «i figli di questo mondo sono più astuti dei figli della luce». Gesù non ci invita a imitare la scaltrezza dei figli di questo mondo, ma a imparare da loro la lungimiranza e la determinazione. Dobbiamo essere altrettanto attenti e previdenti nel nostro cammino spirituale, orientando le nostre azioni verso il bene eterno. Il Santo vescovo e dottore Cirillo di Alessandria spiega:

«Gesù non ci invita a diventare furbi come i figli di questo mondo, ma a essere vigilanti e lungimiranti nella cura della nostra anima, proprio come loro lo sono nel curare i propri affari» (Commentarius in Evangelium Lucae, 10, 33).

La saggezza di cui Gesù parla non riguarda l’astuzia per i guadagni terreni, ma la saggezza spirituale, quella che ci porta a usare il nostro tempo e le nostre risorse non per scopi egoistici, ma per costruire il Regno di Dio, che non ha fine. È una saggezza che guarda oltre il temporaneo, proiettandoci verso l’eternità. Il Santo Vangelo ci ricorda che non siamo proprietari di ciò che possediamo: siamo solo amministratori. «Rendi conto della tua amministrazione», dice il padrone all’amministratore infedele. Questo ci fa pensare: come stiamo amministrando la nostra vita, le nostre risorse? E qui è racchiuso, übrigens, un riferimento implicito alla narrazione racchiusa nella Parabola dei Talenti (vgl.. MT 25, 14-30), come infatti l’amministratore ha il compito di rendere conto dei beni del suo padrone, anche noi siamo chiamati a rendere conto di come amministriamo i doni che Dio ci ha dato: non solo la ricchezza materiale, ma anche la nostra vita, le nostre capacità, il nostro amore. È un’amministrazione che, se vissuta con fedeltà, ci condurrà alla salvezza.

In un contesto di apparente disonestà e scaltrezza, tale da rendere quasi incomprensibile questo brano, la frase dell’Evangelista Luca «Chi è fedele nelle piccole cose, è fedele anche nelle grandi» (LC 16,10) diventa chiara dopo che è stato colto e chiarito questi due elementi sono usati come paradigma, lo chiarisce il Santo vescovo e dottore Basilio Magno sottolineando come ogni piccolo atto di giustizia è un passo verso la grande fedeltà che siamo chiamati a vivere:

«Se non sei fedele nelle cose piccole, come puoi essere fedele nelle grandi? L’amministrazione di ciò che ci è stato dato da Dio è una prova di fedeltà al suo amore e alla sua volontà» (De Spiritu Sancto, Par. 30).

Quando Gesù parla didisonesta ricchezza (in Griechenland: μαμωνᾶς τῆς ἀδικίας), der begriff “disonestanon si riferisce semplicemente alla ricchezza in sé, ma sottolinea la natura ingannevole e corrotta di questa ricchezza, che può facilmente diventare il fine di azioni disoneste o egoistiche. La ricchezza, nella sua forma più comune, è facilmente legata all’accumulo di beni materiali e terreni, che possono distogliere il cuore umano dal vero scopo della vita: la ricerca del bene eterno.

Gesù non sta elogiando la ricchezza in sé, ma ci mette in guardia contro l’uso distorto e idolatrico dei beni materiali, che può facilmente portarci a trascurare la ricerca del bene eterno. La parola «disonesta» (in Griechenland, ἀδικία, adikía) si riferisce a una ricchezza acquisita tramite mezzi ingiusti, ma anche più generalmente a quella ricchezza che, se non ben gestita, tende a separare l’uomo dal vero scopo della sua vita, wer ist Gott. In der Tat, come afferma San Gregorio Magno, la ricchezza è spesso un «falso bene», capace di ingannare l’animo umano e di allontanarlo dalla virtù (vgl.. Moralia in Iob).

Quando Gesù dice «Fatevi amici con la disonesta ricchezza», non intende che dobbiamo usare la ricchezza in modo disonesto, né ci invita a fare della ricchezza l’oggetto del nostro amore. Piuttosto ci esorta a usare i beni temporali con saggezza e generosità, in modo da creare rapporti di amicizia, e più ampiamente, der Nächstenliebe. WHO, l’idea centrale, è che dobbiamo gestire i beni materiali in vista del bene eterno, perché la ricchezza che accumuliamo in questa vita non è un fine in sé, ma un mezzo che può essere utilizzato per fare del bene e prepararsi per la vita futura.

San Giovanni Crisostomo nel suo Commentario su Luca, osserva che la lode non è rivolta al comportamento disonesto dell’amministratore, ma alla sua abilità nell’usare ciò che aveva per il proprio bene futuro (vgl.. Homilia 114,5). gleichfalls, Jesus, ci invita a usare i beni materiali con una visione spirituale, cioè per costruire relazioni di giustizia e carità che ci accompagneranno verso l’eternità; come se Gesù ci invitasse a usare la ricchezza non per accumulare per noi stessi, ma per aiutare gli altri, per fare il bene, per prepararsi al Regno di Dio.

La ricchezza può essere il mezzo per un fine più grande, quello della salvezza, se la usiamo per alleviare le sofferenze degli altri, per aiutare i bisognosi, per costruire un’amicizia che trascenda il tempo. San Cipriano di Cartagine ci insegna che «Colui che dà ciò che ha in questo mondo riceve per sé una ricompensa eterna» (De opere et eleemosynis, 14), sottolineando che l’uso giusto dei beni materiali è un modo per «accumulare tesori» nel cielo, dove «né la ruggine né la falce li possono corrompere» (MT 6,19-20). Quando Gesù parla di «dimore eterne» (LC 16,9) ci invita a riflettere su ciò che costruiremo durante la nostra vita. La vera ricchezza non è quella che si accumula su questa terra, ma quella che si fonda sull’amore per Dio e per il prossimo, che trascende il tempo e rimane per l’eternità. La dimora eterna è il nostro cuore preparato ad accogliere Dio, che trova il suo posto nel Regno dei Cieli, dove il tesoro che abbiamo costruito con la carità e la fede sarà il nostro gioioso premio.

Questa riflessione ci porta a comprendere che la ricchezza può diventare uno strumento di salvezza se usata correttamente, sino a divenire un mezzo per accumulare «tesori in cielo» (MT 6,20), in un investimento spirituale che rimane al di là del tempo e dello spazio.

Il messaggio finale di Gesù nella parabola è che la «disonesta ricchezza» può diventare quindi, paradoxerweise, un’opportunità per accumulare beni eterni. Non si tratta di una benedizione della ricchezza fine a se stessa, tanto meno, come spiegato, una benedizione della disonestà, ma dell’invito a usarla con saggezza e generosità:

«Chi usa la ricchezza con giustizia, accumula per sé un tesoro che non sarà mai rubato» (St. Augustin, De sermone Domini in monte, 19,4).

L’uso delle risorse terrene, se orientato alla carità e al bene comune, diventa un mezzo per crescere nella grazia di Dio e prepararsi a entrare nel Regno dei Cieli. Questo concetto percorre l’insegnamento di Gesù nelle parabole del Buon Samaritano (LC 10,25-37) e del giudizio finale (MT 25,31-46), dove l’amore per il prossimo e l’uso giusto delle risorse costituiscono i criteri per essere accolti nel Regno di Dio:

«la vera ricchezza è quella che non possiamo trattenere sulla terra, ma che ci seguirà nella vita eterna, dove la carità è il tesoro che non perisce mai» (St. Augustin, De sermone Domini in monte, 2,4).

Questa complessa parabola dell’amministratore infedele ci invita a riflettere su come amministriamo i nostri beni e le nostre risorse, i talenti che Dio ci ha donato, chiedendoci se siamo disposti a vivere con saggezza, non solo nei confronti delle cose materiali, ma soprattutto nella nostra vita spirituale. Stiamo accumulando tesori in cielo, usando ciò che Dio ci ha dato per aiutare gli altri, per fare il bene, per costruire il nostro futuro eterno? Perché è questa la vera astuzia che Gesù, con questo racconto provocatorio, ci invita a seguire, lanciandoci al tempo stesso un preciso monito:

„Kommen Sie durch das schmale Tor, für die Pforte ist weit und breit der Weg, der zum Verderben führt, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!» (MT 7, 13-14).

È il prezzo da pagare per la ricchezza vera, quella eterna, che viene dal cielo e che porta in cielo nella beatitudine eterna di Colui che per la nostra salvezza discese dal cielo facendosi uomo, ma che non cade per niente e come niente dal cielo.

Von der Insel Patmos, 21 September 2025

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Die Väter der Insel Patmos

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Der Schüler wird nicht nur aufgerufen, um zu beginnen, aber auch zu vervollständigen

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Der Schüler wird nicht nur aufgerufen, um zu beginnen, Aber auch zu vervollständigen

Es ist notwendig, auch im Schüler, Freiheit und Leichtigkeit, um den Weg des Lebens als eine Abfolge Christi zu vervollständigen. Liebe ist aufgefordert, Verantwortung und Freiheit zu werden: Es gibt den notwendigen Verzicht, Reinigung, Flibbage.

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Das vorherrschende Bild von Jesus Sie übermittelten uns an uns, dass die Evangelien die eines wandernden charismatischen ist, der diejenigen erfordert, die beabsichtigen, ihm den Bruch mit dem zu folgenEthos Traditionell ausschließlich aufgrund seines Wortes, So sehr mussten die Anfragen erscheinen und trotzdem extrem erscheinen, wie im Fall: „Lass die Toten ihre Toten begraben; Du gehst stattdessen’ und kündigt das Reich Gottes an " (LC 9,60).

Aber die Ethik Jesu ist die Ethik des Wartens, unvereinbar mit der modernen Ethik des Fortschritts oder mit der Ethik der Werte. Das Lied des Evangeliums dieses Sonntags misst die Qualität der Beziehung Jesu zu den Jüngern, sowie die Entfernung, die uns von seinem religiösen Gefühl trennt. Lass es uns lesen:

«Eine große Menge ging mit Jesus. Er drehte sich um und sagte zu ihnen: “Wenn man zu mir kommt und mich nicht mehr liebt als du seinen Vater liebst, Mutter, seine Frau, Kinder, Brüder, die Schwestern und sogar sein Leben, Es kann nicht mein Schüler sein. Derjenige, der sein eigenes Kreuz nicht bringt und nicht hinter mich kommt, Es kann nicht mein Schüler sein. Wer von euch, Einen Turm bauen wollen, Er muss nicht zuerst die Kosten berechnen und sehen, ob er die Mittel hat, um sie zu vervollständigen? Um das zu vermeiden, Wenn die Grundlagen und können die Arbeit nicht beenden, Alle, die sehen, beginnen es abzuleiten, Sprichwort: 'Er fing an zu bauen, Aber es war nicht in der Lage, die Arbeit zu beenden ". Oder welcher König, gegen einen anderen König in den Krieg ziehen, er setzt sich nicht zuerst hin, um zu prüfen, ob er zehntausend Männern gegenübertreten kann, die ihm mit zwanzigtausend entgegenkommen? wenn nicht, während der andere noch weit weg ist, Senden Sie ihm Boten, um um Frieden zu bitten. Wer also nicht alle seine Besitztümer aufgibt, Es kann nicht mein Schüler sein”» (LC 14,25-33).

Die Gelegenheit für die kurzen Sprüche Jesu Erhalt von der heutigen evangelischen Seite wird im Eröffnungsvers erzählt: «Eine große Menge ging mit Jesus. Er drehte sich um und sagte ". Die Leute gingen Und Jesus dreht sich: Der Leser versteht auf diese Weise, dass die Reise wieder aufgenommen wurde. So lange wie, vorher, Der Herr wurde mit seinen Jüngern am Tisch gefangen, von einem Leiter der Pharisäer eingeladen (LC 14,1). Und wir erinnern uns auch an die Situation des Evangeliums letzten Sonntags über die Auswahl der Orte und Gäste, Während der Evangelist jetzt auf die Reise aufmerksam macht, die Jesus unternommen hat und die in Jerusalem erfüllen wird. Der vorherige Kontext des Banketts endete mit Einladungswörtern für alle, so dass das Haus erfüllt war: „Geh auf die Straßen und entlang der Hecken und zwinge sie zum Eintritt, Weil mein Haus gefüllt ist " (LC 14,23); Jetzt fügen die Worte Jesu etwas hinzu und klären, wie man dieses Haus betritt. Dies sind anspruchsvolle Bedingungen, um Jesus folgen zu können, Einige Regeln, in der Tat, Jünger sein, Sie werden gebraucht. E, erneut, Diese Worte sind für alle, die Christen sagen wollen. Die Einladung, Jesus mehr zu lieben als seine Eltern, das Kreuz bringen, Und die Besitztümer aufzugeben, ist nicht etwas, das für einige gewählte Vorbehalte vorbehalten ist, Aber es gilt für jeden Jünger, der von Christus sein will.

Worte zu familiären Beziehungen Wir finden sie auch im Evangelium von Matteo, fast identisch, Aber im ersten Evangelisten gibt es die beiden kurzen Gleichnisse, der auf dem Turm und der auf dem König, der in den Krieg zieht, die daher richtig lucanisches Material sind, Aus einer Hauptquelle dieses Evangelisten gezogen. Sie sind tatsächlich Worte, die zuschlagen, Die moderne Sensibilität beinhaltet den Kontrast des Liebens und Hasss, wenn sie sich auf die eigenen Familienmitglieder oder sogar das eigene Leben als sehr schwer bezieht: „Wenn man zu mir kommt und mich nicht mehr liebt als du seinen Vater liebst, Mutter, seine Frau, Kinder, Brüder, die Schwestern und sogar sein Leben, Es kann nicht mein Jünger sein " (v.26). Jesus bittet wirklich um eine Ablehnung menschlicher Beziehungen, eine Starrheit mit anderen, Auch mit denen ihrer Familie? Ohne die eschatologische Spannung zu schwächen, die die Predigt Jesu animierte, können wir sagen, dass wir hier mit einem typischen Judentum konfrontiert sind, wo das Verb hass bedeutet: „Später platzieren, in den Hintergrund geben ". Wir finden diese Art von Jubiläen im Alten Testament, sowie in den Evangelien, Zum Beispiel im Matteo -Pass: «Niemand kann zwei Meister dienen, weil es heute heute den anderen wird und lieben wird, oder es wird an einen gebunden und den anderen verachten. Du kannst Gott und Reichtum nicht dienen " (MT 6,24). Nur Matteo hilft uns, die anspruchsvollen Worte Jesu besser zu verstehen, Weil es sie zurück in eine abgeschwächte Form bringt, das heißt, ohne das Verb zu verwenden, um zu hassen, aber ein Vergleich: „Wer liebt Vater oder Mutter mehr als mich, Es ist meiner nicht würdig; Wer liebt Sohn oder Tochter als ich, meiner nicht würdig " (MT 10,37). Es beschäftigt sich mit, abschließend, Jede Liebe dem Herrn zu unterordnen, ohne aufzuhören, diejenigen zu lieben, die das Gesetz selbst befiehlt, zu lieben, wie ihre Eltern. Es bedeutet, dass es eine ernsthafte Angelegenheit ist, Jünger zu sein, Umso mehr in der Zeit, in der es kurz war, Und dies sind gültige Hinweise für alle Gläubigen an Christus, Wir haben es bereits gesagt, Und für jeden Moment des Lebens.

Folgen, dann, Jesu Worte über das Kreuz bringen, bereits angetroffen in LC 9,23, und schließlich zwei kurze Gleichnisse. Wie zu Beginn dieses Kommentars gesagt, müssen Sie von dort aus anfangen zu verstehen, was es darum beinhaltet, Jünger zu sein. Diese Gleichnisse haben gemeinsam den Nenner des Kampfes und der Ausdauer. Folgen Jesus entspricht zu Einen Turm bauen, Engagement und Konstanz sind erforderlich, Wie ein Haus auf dem Felsen zu bauen (vgl.. MT 7,24); ist äquivalent zu in den Krieg gehen, zu wissen, wie man ihre Kräfte gut misst.

Die Sequenz ist anspruchsvoll Auch weil der Schüler nicht nur aufgerufen wird, um zu beginnen, aber auch zu vervollständigen (vv. 28.29.30), Und unverzichtbar für die Sequenz ist die Bereitschaft, alles zu verlieren, auch "das Leben" (v.26). Das Gute zu besitzen ist der Verzicht auf das Vermögen, Lerne die Kunst des Verlusts, abnehmen, nicht in die Hemden des Besitzes oder der Logik des Hemdes fallen zu lassen. Jesus, Paolo sagt, "Er hat sich selbst geleert" (Fil 2,7) und «als ein reicher Mann, der es war, Er machte sich arm " (2Kor 8,9). Es ist notwendig, auch im Schüler, Freiheit und Leichtigkeit, um den Weg des Lebens als eine Abfolge Christi zu vervollständigen. Liebe ist aufgefordert, Verantwortung und Freiheit zu werden: Es gibt den notwendigen Verzicht, Reinigung, Flibbage. Die Bedürfnisse der Sequenz haben daher mit der gesamten Person zu tun - seinem Herzen - und der ganzen Zeit, Für die Dauer seines Lebens. Und sie warnen uns vor dem Risiko, die Arbeit in zwei Hälften zu verlassen.

Clemente Alexandrine (Protretisch x,39) Er sprach vom Glauben als "ein schönes Risiko" (Kalos Kíndynos). Denn die ersten Christen halten sich oft an Christus fest an Christus, in einem Kontext mit der Mehrheit der Bezahlung, Es beinhaltete Verfolgungen und sogar Martyrium. Heute, In unseren Ländern des alten und müden Christentums, Der Preis der Umwandlung ist nicht gefühlt und noch weniger bezahlt. Wir suchen eine Versicherung, die Unsicherheit und Risiken beseitigt, Auch in Bezug auf den Glauben und sein Zeugnis, Wann, stattdessen, Jesus, lädt dich ein, alles zu verlieren, um ihm zu folgen. Wir verbergen uns nicht vor Schwierigkeiten angesicht, aufdecken, das ist, Perspektiven, die sonst unzugänglich bleiben würden. Papst Leo XIV erinnerte sich auch in einem kürzlich in Angelus erinnerten:

"Geschwister, Die Provokation, die aus dem heutigen Evangelium stammt, ist wunderschön: Während wir manchmal beurteilen, wer weit vom Glauben entfernt ist, Grün in Krisen eingebaut “Die Sicherheit der Gläubigen”. Sie, in der Tat, sagt uns, dass es nicht ausreicht, um mit Worten den Glauben zu bekennen, Mit ihm essen und trinken, indem er die Eucharistie feiert oder die christlichen Lehren gut kennt. Unser Glaube ist authentisch, wenn er unser ganzes Leben umfasst, Wenn es zu einem Kriterium für unsere Entscheidungen wird, Wenn es uns Frauen und Männer macht, die sich für Gutes und Risiko in der Liebe verpflichten wie Jesus; Er entschied sich nicht für den einfachen Weg zum Erfolg oder der Macht, sondern, Nur um uns zu retten, Er liebte uns, bis er das überquert “schmale Tür” des Kreuzes. Er ist das Maß für unseren Glauben, Er ist die Tür, die wir überqueren müssen, um gerettet zu werden (Sehen GV 10,9), Seine eigene Liebe leben und werden, mit unserem Leben, Betreiber von Gerechtigkeit und Frieden " (WHO).

Aus der Eremitage, 7 September 2025

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Die Väter der Insel Patmos

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«Magnificat», der große “Hartes Rock” der gesegneten Jungfrau Maria in der Feierlichkeit der Annahme

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Homiletik der Väter der Insel Patmos

«Magnificat», DER GROSSE HARTER ROCK DER SELIGEN JUNGFRAU MARIA ZUM HOCHFEST Mariä Himmelfahrt

Sogar der Häresiarch Martin Luther, dass die gesegnete Jungfrau immer sehr engagiert war - was die meisten der katholischen Gläubigen, Aber auch viele Gelehrte ignorieren -, In dem 1521 Er verfasste ein intensives kleines Buch mit dem Titel Das Magnifikat ins Deutsche übersetzt und kommentiert.

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An Weihnachten 1886 der junge Schriftsteller und Dichter, Agnostiker damals, Paul Claudel, Gehe durch das Portal von Unsere Liebe Frau aus Paris und das Lied der Magnificat, evangelischer Text der Vesperliturgie.

Später gestand er, dass er aus dieser Erfahrung verändert hervorgegangen sei, dazu bestimmt, der Sänger des allen bekannten christlichen Glaubens zu werden; Viele kennen sein Drama: Ankündigung an Maria. Jahre danach, In dem 1913, werde erzählen:

„An diesem Tag glaubte ich mit so viel Kraft, mit solch einer Erhebung meines gesamten Wesens, mit solch einem starken Glauben, mit solcher Gewissheit, mit einer solchen Zweifellosigkeit, dass später noch die Bücher, noch die Begründung, Auch das Schicksal eines schwierigen Lebens konnte meinen Glauben nicht erschüttern..

Die 15 August eines jeden Jahres, Der Kalender erinnert an die feierliche Aufnahme der Heiligen Jungfrau Maria in den Himmel, die Mutter des Herrn, trotz der weit verbreiteten säkularisierten Konfession „Ferragosto“. Brunnen, dass man eine feierliche Kathedrale betritt Unsere Liebe Frau oder in einer kleinen Kapelle verloren in den Bergen, jeder, an diesem Tag, Werde das Lied des hören Magnificat was die Heilige Messe dieses Hochfestes auszeichnet. Hier ist die Passage, über die der Evangelist Lukas berichtet.

„Damals stand Maria auf und ging schnell in die Bergregion, in einer Stadt Juda. Eingang zum Haus von Zaccarìa, grüßte Elisabeth. Sobald Elizabeth Marys Gruß hörte, das Baby sprang in ihrem Mutterleib. Elisabeth wurde vom Heiligen Geist erfüllt und rief mit lauter Stimme: “Gesegnet seid ihr unter den Frauen und gesegnet ist die Frucht eures Leibes! Was schulde ich der Mutter meines Herrn, dass sie zu mir kommt?? dort, sobald dein Gruß meine Ohren erreichte, das Baby hüpfte vor Freude in meinem Schoß. Und gesegnet ist sie, die an die Erfüllung dessen glaubte, was der Herr ihr gesagt hatte”. Dann sagte Maria: “Meine Seele preist den Herrn und mein Geist jubelt in Gott, mein Retter, weil er auf die Demut seines Dieners blickte. Von nun an werden mich alle Generationen gesegnet nennen. Der Allmächtige hat Großes für mich getan und heilig ist sein Name; Seine Barmherzigkeit denen, die ihn fürchten, von Generation zu Generation. Er erklärte die Kraft seines Arms, Er hat die Stolzen in die Gedanken ihrer Herzen zerstreut; er hat die Mächtigen von ihren Thronen gestürzt, Er erweckte die Demütigen; er hat die Hungrigen mit guten Dingen gesättigt, er schickte die Reichen mit leeren Händen weg. Er half Israel, sein Diener, Erinnert sich an seine Barmherzigkeit, wie er es unseren Vätern gesagt hatte, für Abraham und seine Nachkommen, für immer”. Maria blieb etwa drei Monate bei ihr, dann kehrte er in seine Heimat zurück“ (LC 1,39-56).

Maria, schwanger mit Jesus, während er seine Verwandte Elizabeth besucht, wiederum schwanger mit Johannes dem Täufer, stimmt diesen außergewöhnlich langen Hymnus an, von dem Lukas berichtet. Es ist das einzige Mal, dass die Worte der Mutter Christi so weit ausgedehnt werden, dass man sie gut verstehen kann 102 Wörter auf Griechisch, einschließlich Artikel, Pronomen und Partikel. Die anderen Male, insgesamt nur fünf, Die in den Evangelien berichteten Sätze Mariens sind kurz und fast erschütternd, wie in Kana während der Hochzeit, an der auch sein Sohn teilnimmt: „Sie haben keinen Wein mehr“ und „Was auch immer ich dir sage.“, mach es“ (GV 2, 3.5). Folgen wir, Zu dieser Zeit, der poetische Fluss dieser marianischen Psalmodie, verwoben mit einem Palimpsest biblischer Anspielungen.

Idealerweise ist der Gesang für Solist und Chor. Der erste Satz wird von Marias „Ich“ intoniert.: „Meine Seele preist den Herrn und mein Geist jubelt in Gott.“, mein Retter, weil er auf die Demut seines Dieners blickte. Von nun an werden mich alle Generationen gesegnet nennen. Der Allmächtige hat Großes für mich getan.“ (LC 1,46-49). Origenes fragt (III):

„Was hatte er, die Mutter des Herrn, bescheiden und niedrig, sie, die den Sohn Gottes in ihrem Schoß trug? Sprichwort: “Sie betrachtete die Demut ihrer Dienerin”, es ist, als ob er es sagen würde: er blickte auf die Gerechtigkeit seiner Magd, er betrachtete seine Mäßigkeit, er blickte auf seine Stärke und seine Weisheit“ (Ursprung, Predigten über Lukas).

Im zweiten Satz der Hymne Es ertönt die Stimme eines Chores, in den sich die Stimme Mariens einfügt, ganz wie eine Sopranistin, die ihren Gesang zum Vorschein bringt. Es ist der Chor der Christen, Erben der „Armen“ des Alten Testaments, der Trauben („Anawim), diejenigen, die gebückt sind, nicht nur unter der Unterdrückung der Mächtigen, sondern auch in der Demut der Anbetung gegenüber Gott, und so die Arroganz der Stolzen überwinden. Diese, sozial arm, aber vor allem treu und gerecht, sie feiern, idealerweise mit der Stimme Mariens vereinen, die besonderen göttlichen Entscheidungen, die sich von der weltlichen Logik unterscheiden, Bevorzugung weder der Starken noch der Mächtigen, aber die Letzten und die Ausgegrenzten; Dadurch werden historische Hierarchien umgeworfen. Die Evangelista Luca, unter Verwendung der griechischen Aorist-Zeitform namens „gnomisch“, weil es sich auf Erfahrungen bezieht, die über ihren zeitlichen Charakter hinaus erworben wurden, beschreibt durch sieben Verben, eine Zahl, die die Fülle angibt, die einzigartigen göttlichen Entscheidungen:

«Er erklärte die Kraft seines Arms, / Er hat die Stolzen in die Gedanken ihrer Herzen zerstreut, / er hat die Mächtigen von ihren Thronen gestürzt, / Er erweckte die Demütigen, / er hat die Hungrigen mit guten Dingen gesättigt, / er schickte die Reichen mit leeren Händen weg, / er hat seinem Diener Israel geholfen“ (LC 1,51-54).

Es ist eine ständige Logik Gottes was wir auch auf den Lippen Jesu finden: „Also werden die Letzten die Ersten und die Ersten sein.“, zuletzt" (MT 20,16) und „Wer sich selbst erhöht, wird gedemütigt.“, und wer sich erniedrigt, wird erhöht werden“ (LC 14, 11).

Der Charme von Marias Worten, In dem Magnificat, Seitdem ist es in die christliche Spiritualität eingeprägt, Es prägte das Leben vieler Heiliger und führte zu unzähligen Kommentaren aller Art und vielen Kunstwerken, sowohl bildlicher Natur, wie musikalisch. Sogar der Häresiarch Martin Luther, dass die gesegnete Jungfrau immer sehr engagiert war - was die meisten der katholischen Gläubigen, Aber auch viele Gelehrte ignorieren -, In dem 1521 Er verfasste ein intensives kleines Buch mit dem Titel Das Magnifikat ins Deutsche übersetzt und kommentiert.

Dieses wunderschöne Lied von Magnificat Es wird von der Liturgie zum Schauplatz des überall gefeierten Hochfestes Mariä Himmelfahrt gesetzt, im Osten, wie im christlichen Abendland. Denn die Himmelfahrt Mariens ist ein Zeichen der letzten Wirklichkeit, von dem, was in einer Zukunft passieren muss, die nicht so sehr chronologisch, sondern eher bedeutungsvoll ist, ein Zeichen der Fülle, nach der sich unsere Grenzen sehnen: In ihr spüren wir die Verherrlichung, die am Ende der Zeit den gesamten Kosmos erwartet, wenn „Gott alles in allem sein wird“ (1Kor 15,28) und in allem. Sie, die Jungfrau Maria, es ist der Teil der Menschheit, der bereits erlöst ist, Sinnbild des gelobten Landes, zu dem wir berufen sind, Erdstreifen, der in den Himmel verpflanzt wird. Eine Hymne der serbisch-orthodoxen Kirche besingt Maria als „Land des Himmels“, Erde jetzt in Gott für immer, Vorfreude auf unser gemeinsames Schicksal.

Ich möchte abschließen mit den Worten eines berühmten Gebets, mit dem der heilige Franziskus Maria begrüßt, die heute als Aufnahme in den Himmel gilt:

„Gegrüßet seist du, Frau, Santa Regina, heiliger Elternteil Gottes, Maria, dass du eine von Jungfrauen geschaffene Kirche bist / und gewählt vom allerheiligsten himmlischen Vater, der dich zusammen mit seinem allerheiligsten geliebten Sohn und dem Tröster des Heiligen Geistes geweiht hat; / Du, in dem jede Fülle der Gnade und alles Gute war und ist. / Ave, sein Palast, ave, sein Tabernakel, ave, Ihr Zuhause. / Ave, sein Gewand, ave, seine Magd, ave, seine Mutter. / Und ich grüße euch alle, heilige Tugenden, dass Sie durch die Gnade und Erleuchtung des Heiligen Geistes in die Herzen der Gläubigen eingedrungen sind, weil sie untreu sind / mache sie Gott treu“ (FF 259-260).

 

Von der Insel Patmos, 15 August 2025

Hochfest Mariä Himmelfahrt

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Seien Sie ähnlich denen, die auf ihren Meister warten, wenn er von der Hochzeit zurückkehrt

Homiletik der Väter der Insel Patmos

ESSERE SIMILI A QUELLI CHE ASPETTANO IL LORO PADRONE QUANDO TORNA DALLE NOZZE

I discepoli di Gesù vivono sulla terra, Aber wie Pilger, Während ihr Wohnsitz im Himmel ist. Wir sind, deshalb, aufgerufen, das so oft übertrifft, übertrifft uns.

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«La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio».

Sono le parole iniziali della prima lettura di questa Domenica, tratte dal Libro della Sapienza, e ben preparano l’ascolto del brano evangelico qui sotto riportato:

„Zu dieser Zeit, Jesus sagte seinen Jüngern: "Fürchte dich nicht, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Weil, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, damit, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; wahrlich, ich sage, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. Was ist, wenn, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, Glück ihnen! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. Allora Pietro disse: "Mann, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?”. Il Signore rispose: “Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, es wird viel verlangt; wem haben die Menschen begangen viel, sarà richiesto molto di più”» (LC 12,32-48).

I primi tre versetti dell’odierno Vangelo (12,32-34) fanno testo a sé, perché chiudono un’intera pericope consacrata all’insegnamento di Gesù sul possesso dei beni materiali. Essi sono il Suo invito finale, che si può cogliere solo se si ha in mente quanto è stato scritto appena prima nel Vangelo, ma non riportato nell’odierna liturgia, ovvero i versetti von dem 22 Al 31 des Kapitels 12 di Luca. Quelli che invece seguono, facenti parte del brano odierno (vv. 35-48), sono da considerarsi come un’esortazione alla vigilanza. Sono un insieme di sentenze, di immagini e piccole parabole — l’esegeta Maggioni le chiama: «parabole accennate» — che hanno un comune denominatore: il ritorno del «Figlio dell’uomo», das, wie gesagt, richiede vigilante attesa.

Per specificare questa attesa Gesù si paragona di volta in volta ad un Signore (ὁ κύριος, v. 36.37.43) che torna da un banchetto, arriva alla porta e bussa, quindi premia i servi rimasti svegli servendoli a tavola. Oppure a un ladro (ὁ κλέπτης, v. 39) che arriva ad un’ora che il padrone di casa (ὁ οἰκοδεσπότης) disconosce. O ancora a quel Signore che promuove di responsabilità un amministratore degno di fiducia e prudente (ὁ πιστὸς οἰκονόμος, ὁ φρόνιμος, v. 42). Tutte queste immagini infine, ci rivela Gesù, calzano alla figura di quel «Figlio dell’uomo [das] verrà nell’ora che non pensate» (v. 40).

Essere attenti e vigilanti a costo di perdere il sonno è decisivo, ma chi sono coloro che attendono? Nel brano Gesù parla di servi ed amministratori, ma ovunque nel testo le persone chiamate a vigilare sono indicate con la seconda persona plurale, come ad includere sia i discepoli che udirono allora il Signore, sia gli ascoltatori o lettori contemporanei del Vangelo, quindi anche noi: «voi siate pronti» (v. 35); «voi dovete essere simili a…» (v. 36); «voi tenetevi pronti» (v. 40). Infine emerge la risposta data a Pietro che aveva chiesto: «Questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Der Herr, rivelando una graduatoria di responsabilità nell’attesa, sagt zu ihm: "Zu wem viel gegeben, es wird viel verlangt; wem haben die Menschen begangen viel, Sie werden gefragt, die mehr ". In questo modo si precisa che se i destinatari dell’insegnamento, alles in allem, sono tutti i credenti, risalta tuttavia la responsabilità dei capi della comunità cristiana a cui Gesù dedica una specifica parabola.

Che il discorso sia rivolto alla Chiesa ed ai suoi responsabili risulta chiaro dai termini usati, i quali fanno riferimento a un contesto spazio temporale preciso, si tratti esso della casa, della notte o del tempo dilatato dell’attesa. Gesù parla di «fianchi cinti» (v.34), mentre la parola «casa» è citata esplicitamente e poi c’è la notte per via delle «lucerne accese» (v.35) e della «seconda e terza veglia» (v.38 in Griechenland). Abbiamo qui un rimando al tema dell’Esodo — i «lombi cinti» sono un’esplicita citazione di Ist 12,11 — dove la celebrazione pasquale avvenne di sera, in casa e in famiglia (Ist 12,3). Viene evocata la frettolosa partenza dall’Egitto dei figli di Israele avvenuta di notte e sollevare i lembi del lungo abito orientale e legarlo ai fianchi con una cintura rendeva più agevole il cammino. Sembra che Gesù voglia esortare la Chiesa a mettersi in cammino, a fare un esodo, ma in realtà si tratta di un procedere in profondità più che in estensione, un viaggio che rende pronti a ricevere Colui che sta per giungere: il vero cammino lo fa il Signore che viene! Il centro dell’annuncio delle tre parabole è dunque la venuta del Signore e il nome del cammino a cui sono chiamati i discepoli è vigilanza. Infatti Gesù ha già dato indicazioni affinché essa non sia ostacolata da inutili ingombri quali la cupidigia (LC 12,15), le preoccupazioni (LC 12,22.26) e le paure (LC 12,32) che occupano il cuore e tolgono libertà.

La parabola dei servi vigilanti (vv. 36-38) sembra essere la versione narrativa di una beatitudine ― «beati quei servi» (v. 37); «beati loro» (v.38) ― che potrebbe suonare così: «beati i servi vigilanti, perché il Signore stesso si farà loro servo». Il capovolgimento di valori presente nelle beatitudini è qui espresso nella paradossale figura del padrone che rientra a casa, anche a notte fonda, e, trovando svegli i suoi servi per aprirgli la porta e accoglierlo per salutarlo, lui stesso si mette a servirli. Ma questa è la logica di Gesù che capovolge le logiche mondane e che dovrebbe vigere nella comunità cristiana: «Chi è più grande? Chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (LC 22,27).

Domina su tutta la narrazione un senso di imminenza per qualcosa che deve ancora accadere eppure implica tutt’altro che la staticità o lo stare fermi. Da tutto quanto abbiamo visto sopra sembra emergere una indeterminatezza, che però rende bene il senso dell’esperienza cristiana. I discepoli di Gesù vivono sulla terra, Aber wie Pilger, Während ihr Wohnsitz im Himmel ist (Brief an Diognetus). Wir sind, deshalb, chiamati ad un’attesa che tante volte ci supera. Il problema della vigilanza in queste brevi parabole, detto in altro modo, è quello del tempo, soprattutto del tempo quotidiano, feriale. Ogni giorno, qualsiasi giorno feriale, se colmo di attesa, è «giorno del Signore». Come nella parabola di Luca ogni giorno è buono per rimanere svegli, tenere le lampade accese e accogliere il Figlio dell’uomo che tornerà. Così ci invitava ad attendere la preghiera di Colletta di questa Domenica: «Non si spenga la nostra lampada, perché vigilanti nell’attesa della tua ora siamo introdotti da te nella patria eterna».

Aus der Eremitage, 10 August 2025

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Marsch, Maria und Jesu Lehre über die Dimension des Ewigen

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Marta, MARIA E LA LEZIONE DI GESÙ SULLA DIMENSIONE DELL’ETERNO

«Marta, Marsch, Du kämpfst und du wirst für viele Dinge gehandelt, Aber von einem wird nur eins benötigt. Maria wählte das Beste daran, das wird nicht entfernt "

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Il brano evangelico di questa Domenica appartiene a una tradizione che solo Luca conosce, poiché non è riportato dagli altri sinottici.

Il Quarto Vangelo però conosce Marta e Maria, le due donne protagoniste, e riferisce che sono residenti in Betania, con il fratello Lazzaro. La pericope nel tempo ha accresciuto il suo forte influsso sulla spiritualità cristiana, tanto da divenire il paradigma della contrapposizione fra la vita attiva a quella contemplativa. Z.B, San Francesco d’Assisi scrisse una «Regola» per i romitori immaginando che i frati dovessero ispirarsi a queste due sorelle:

«Coloro che vogliono condurre vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro. Due di essi facciano da madri [...] e seguano la vita di Marta, e i due che fanno da figli quella di Maria».

Leggiamo il testo evangelico.

„Zu dieser Zeit, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, welcher, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Lord, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marsch, Du kämpfst und du wirst für viele Dinge gehandelt, Aber von einem wird nur eins benötigt. Maria wählte das Beste daran, das wird nicht entfernt " (LC 10,38-42).

Diese Geschichte è collocato da Luca dopo l’inizio del viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Più precisamente dopo che si è fermato per rispondere alla domanda di un dottore della Legge su chi è il «prossimo» e aver raccontato la parabola del buon Samaritano. Folgend, continuando il suo viaggio verso la città santa, prima di risalire per il monte degli Ulivi e poi arrivare in città, Gesù entra in un villaggio dove avviene l’incontro con le due sorelle Marta e Maria. Poco sappiamo delle due donne e del fratello Lazzaro che da Luca non è menzionato. Alcuni hanno ipotizzato che fossero celibi, perché nei vangeli non si parla né di mariti per Marta e Maria, né di una moglie per Lazzaro, e, secondo qualche commentatore, potrebbero appartenere al gruppo dei pii israeliti chiamati esseni. Forse Gesù conquistò dei seguaci anche tra pii esseni che desideravano ardentemente la salvezza escatologica e che nel primo secolo d.C. intensificarono, offenbar, l’attesa del Messia davidico? Lazzaro e le sue sorelle Maria e Marta, persone chiaramente non sposate che vivevano a Betania nei pressi del Monte degli Ulivi, potrebbero essere esempi di simpatizzanti di questo genere.

Molto più interessante per noi è il fatto che Luca ha collocato questo incontro subito dopo la parabola del buon Samaritano, facendo percepire ai lettori del Vangelo che le due scene siano collegate. La parabola serviva a spiegare cosa significhi farsi prossimo; questa pagina invece parla dell’amore per il Signore. In tal modo Luca, controbilanciando un ideale filantropico forse troppo elevato, porta l’esempio di Marta e di Maria. Alcuni esegeti sottolineano la scelta accurata dell’evangelista nel presentare di seguito le due scene: l’insegnamento contenuto nel brano di Marta e Maria si può leggere in relazione con la parabola precedente del Samaritano che si fa prossimo, completandolo, poiché offre il fondamento del comportamento misericordioso. Es ist wichtig, das ist, ascoltare la parola di Gesù, perché autentica espressione del volere divino espresso nel comandamento dell’amore del prossimo. L’ascolto della parola di Cristo è dunque il fondamento del comportamento cristiano e diventa la condizione essenziale per ereditare la vita eterna, che era la richiesta del dottore della Legge. Le parole di Gesù a Marta, also, ristabiliscono una priorità e invitano a non perdere di vista l’essenziale, ciò di cui si ha veramente bisogno, oder, stare ai piedi di Gesù.

Dal Vangelo di Giovanni sappiamo che gli ospiti di Gesù sono amici del Signore, in particolare viene detto di Lazzaro, Aber hier, in Luca, come sopra riportato, egli non viene ricordato, né vi è un cedimento alla curiosità a riguardo delle emozioni o dei sentimenti di Gesù verso le ospiti. Abbiamo due sorelle, due donne, una delle quali è seduta addirittura ai piedi di Gesù, assumendo, deshalb, la postura della discepola. Jetzt, mai un maestro ebreo dell’epoca avrebbe accettato che una donna assumesse nei suoi confronti l’atteggiamento di un discepolo. Il comportamento di Maria è straniante e contravviene le regole imposte dalla cultura del tempo. Salvo rarissime eccezioni sono ben noti i detti rabbinici secondo i quali le donne non avrebbero dovuto essere discepole di nessun maestro e neppure studiare la Torah. Ecco perché questo testo ha avuto ampia risonanza fra coloro che cercano nel Vangelo una voce favorevole sull’identità e sulla condizione della donna nella comunità cristiana. Se guardiamo, in der Tat, Marta e Maria, scopriamo che il modo in cui queste vengono rappresentate tocca un tema molto attuale. Maria è raffigurata come una discepola ai piedi di un rabbi, mentre per Marta, Lukas, parlando dei suoi «molti servizi», utilizza il verbo diakonéo. L’ascolto della parola (v.39) non ricorda forse il ministero della Parola e il verbo «servire» (V.40) non rimanda al ministero della tavola, ai compiti diaconali? Il Vangelo sembra riportare un banale gesto di accoglienza di una persona nella propria casa, ma come spesso accade quando c’è di mezzo Gesù, un semplice avvenimento ha dalle conseguenze imprevedibili. Vediamolo da vicino. Scrive Luca che ad accogliere Gesù è Marta e non Maria:

«Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò» (v.38).

Non sappiamo perché solo Marta venga menzionata: forse perché è poi lei ad occuparsi concretamente dell’ospitalità? E come mai non c’è nessun uomo ad accogliere, come era di prassi, un altro uomo che entra in casa, Kommen Sie, z.B, fece Abramo che accolse gli ospiti a Mamre sotto la sua tenda? Der Rest, non è l’unico caso di cui ci parla Luca: pensiamo a Lidia, che nel libro degli Atti degli Apostoli l’autore presenta come una piccola imprenditrice che addirittura obbliga Paolo a fermarsi nella sua casa (Bei 16,15).

Marta accoglie, damit, Jesus, ma in modo diremmo oggi «iperattivo». Luca scrive che era: «distolta per i molti servizi» (v. 40, secondo la CEI), tanto da esserne totalmente assorbita. È eccessivamente preoccupata e si lascia prendere dall’ansia. Ma su questo punto dobbiamo essere precisi. Dove sta l’errore di Marta? Ihr, offensichtlich, svolge troppo il suo «servizio» (diakonía) das, mentre dovrebbe essere positivo, ne risulta in verità pregiudicato. Non sono né l’accoglienza di Marta, né la sua intenzione di servire a cadere sotto i colpi della critica, ma l’eccesso delle sue azioni e le preoccupazioni che ne sono all’origine. Il testo non contrappone la diaconía della tavola o quel che era all’amorevole ascolto della Parola.

Marta avanza la sua protesta al Maestro Gesù, senza entrare in dialogo con la sorella Maria, welcher, nel testo, non prende mai la parola; taciturna diviene il personaggio centrale, alla fine lodato dal Signore. Marta invece parla e si muove, il che rimanda all’episodio conservato in Giovanni, dove sempre lei va da Gesù, parla e gli contesta che se fosse stato lì suo fratello Lazzaro non sarebbe morto. Maria anche nel Vangelo di Giovanni rimane seduta, è Gesù a chiamarla e solo allora si muove verso di lui. In una situazione analoga a chissà quante, successe in ogni famiglia, ciò che emerge qui è la parola di Gesù. Questo racconto è stato conservato proprio per ricordare ciò che Gesù dice e non per la banalità dell’incontro. Und Jesus, rivolgendosi a Marta, con quel doppio vocativo – «Marta, Marta» – tipicamente biblico, rimproverandola velatamente, ma mostrando, Aber, anche simpatia ed affetto per lei, desidera condurre la donna all’essenziale, a quella parte unica e prioritaria che Maria ha scelto spontaneamente.

Gesù dice a Marta quello di cui ha veramente bisogno, che è necessario, e ora, attraverso il racconto che ne fa Luca, anche i lettori ne sono consapevoli. Si tratta della parte buona, come dice il testo greco. Die CEI-Version, wie wir lesen, sente di tradurre con: «parte migliore». I commentatori qui si dividono, alcuni preferiscono l’aggettivo qualificativo «migliore», altri insistono sul fatto che il testo, stattdessen, eviterebbe la comparazione: am besten, in der Tat, presuppone qualcosa di meno buono. Anche San Girolamo traduce, nella Vulgata, adoperando un superlativo: Maria optimam partem elegit.

Luca usa l’aggettivo greco hagathèn (gibt hagathós, «buono»), che nel Nuovo Testamento designa innanzitutto l’incomparabile bontà che contraddistingue Dio nella sua essenza. Ma allora qual è il senso della parola di Gesù che sottolinea la scelta di Maria rispetto a quella di Marta, sua sorella? La parola di Cristo è chiarissima: nessun disprezzo per la vita attiva, né tanto meno per la generosa ospitalità; ma un richiamo netto al fatto che l’unica cosa veramente necessaria è un’altra: ascoltare la Parola del Signore; e il Signore in quel momento è lì, presente nella Persona di Gesù! Tutto il resto passerà e ci sarà tolto, ma la Parola di Dio è eterna e dà senso al nostro agire quotidiano.

Aus der Eremitage, 20 Juli 2025

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Die Väter der Insel Patmos

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Ich schicke dir wie Schafe mitten in den Wölfen

Homiletik der Väter der Insel Patmos

IO VI MANDO COME PECORE IN MEZZO AI LUPI

«Questa è la prima immagine di Gesù evangelizzatore che viene presentata: besiegt, getreten, nicht angehört, unerwünscht, ed è davvero una scena misteriosa se pensiamo che Gesù è l’evangelizzatore. Dies ist keine einsame Szene, e se Luca l’ha messa qui, è perché sa di toccare qualche cosa che appartiene a una costante del Regno di Dio»

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Dopo l’inizio del pellegrinaggio di Gesù verso Gerusalemme San Luca narra l’invio dei dodici (LC 9,1-6). Ora vengono mandati da Gesù «altri discepoli» avanti a lui.

Si tratta di un numero che la tradizione dei manoscritti antichi trasmette in modo difforme. Per alcuni di essi sono settantadue e allora rappresenterebbero tutti i popoli della terra, secondo l’elenco di genesis 10, almeno seguendo la traduzione greca (LXX); perché nel testo ebraico (masoretico) i popoli risultano essere settanta. In altri manoscritti greci è riportato proprio il numero settanta, ovvero quanti gli anziani scelti da Mosè secondo il racconto di Numeri (Kappe. 11). Nell’uno o nell’altro caso, Luca dice che Gesù manda non solo i Dodici, ma anche altri discepoli, e li invia a tutti. Leggiamo il testo evangelico di questa XIV Domenica del tempo ordinario.

„Zu dieser Zeit, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: dort, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, noch Tasche, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città”. I settantadue tornarono pieni di gioia, Sprichwort: "Mann, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome”. Egli disse loro: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. dort, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”» (LC 10,1-12.17-20).

Rimanendo in argomento-numero è chiaro che dodici evochi la missione ad Israele, tale, in der Tat, era il numero delle sue tribù; quello di settanta o settantadue non può che richiamare, stattdessen, la missione universale della Chiesa. Questa però non è iniziata, storicamente, al tempo di Gesù, ma solo dopo la sua morte e risurrezione; la presente narrazione appare dunque come un’interpretazione, un modo di dire che la missione verso i gentili fosse già presente nella volontà del Signore Gesù. Perché un invio ai pagani abbia luogo, in der Tat, devono verificarsi quelle condizioni narrate negli Atti degli Apostoli, che non si erano ancora realizzate al tempo in cui Gesù compie il suo viaggio a Gerusalemme. Bestimmtes, la persecuzione della Chiesa dopo la morte di Stefano e la dispersione dei discepoli di Gesù; l’incontro di Paolo con Cristo; Pietro che entra nella casa del centurione Cornelio e rimane a tavola con i pagani. Endlich, la prima assemblea di Gerusalemme, che dirime questioni che mai si erano prefigurate antecedentemente, riguardanti la circoncisione o meno dei convertiti.

L’odierna pagina evangelica è facilmente divisibile in due parti: nella prima vengono date le istruzioni sulla missione, nella seconda si descrive il ritorno degli inviati. I discepoli devono andare a due a due, un probabile rimando al valore della testimonianza che richiede sia confermata da diversi: «Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera» (GV 8, 17; vgl.. Dt 19,15). Gesù li avverte che saranno «come agnelli in mezzo a lupi»: dovranno, das ist, essere pacifici nonostante tutto e recare in ogni situazione un messaggio di pace; non porteranno con sé né vestiti né denaro o altre cose inutili, per vivere di ciò che la Provvidenza offrirà loro; si prenderanno cura dei malati, come segno della misericordia di Dio; dove saranno rifiutati, se ne andranno, limitandosi a mettere in guardia circa la responsabilità di respingere il Regno di Dio. L’annuncio della venuta di Gesù e del Regno, dann, prevede un’urgenza che fa sì che i discepoli non dovranno nemmeno fermarsi per salutare le persone. A seguire San Luca mette in risalto l’entusiasmo dei discepoli per i buoni frutti della missione e registra questa bella espressione di Gesù: «Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (LC 10, 20). Tutto questo brano del Vangelo è un invito a risvegliare nei battezzati la consapevolezza di essere missionari di Cristo, chiamati a preparargli la strada con le parole e con la testimonianza della vita.

Mi soffermo sulla frase di Gesù qui sopra riportata in risposta ai discepoli che si rallegrano per l’esito della missione, perché potrebbe apparire spiazzante, giocata sul paradosso, come spesso fa Gesù, che usa un linguaggio apocalittico per via della menzione dei demoni che si sottomettono, di Satana che precipita da quel cielo dove i nomi dei discepoli missionari invece vengono ascritti. Il detto evangelico vuole sottolineare che ogni missione cristiana pur richiedendo la disponibilità umana non dipende totalmente dagli inviati, ma dalla forza della Parola e da Dio. Per questo essa prevede anche il rifiuto; nel brano evangelico, in der Tat, emerge per tre volte l’idea che l’evangelizzazione possa fallire. Nell’espressione del v. 6: «altrimenti (das Tempo, n.d.r) ritornerà su di voi»; in quella del v. 10: «quando entrerete in una città e non vi accoglieranno»; ed anche nell’allusione del v. 3: essere «agnelli in mezzo ai lupi». Si potrebbe menzionare anche l’ammonizione del v. 16 non riportata oggi dal Lezionario, nei riguardi di Corazin, Betsàida e Cafarnao, dove si parla di Gesù disprezzato e dei discepoli che subiscono la stessa sorte: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato». Si comprende che il destino del discepolo è come quello del Maestro, possono esserci dei successi, ma anche incontrare muri che sbarrano la strada all’evangelizzazione. Jesus, fin dall’inizio del suo viaggio verso Gerusalemme, è presentato subito come un non accolto, poiché appressandosi a un villaggio di samaritani: «essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme» (LC 9,53). Così quell’antica diatriba fra giudei e samaritani, nella quale si mischiano ragioni sociali, culturali e religiose, sembra una premonizione di ciò che oggi vediamo accadere ancora nella terra che fu anche di Gesù. Come avviene in tante simili situazioni, quando le ferite della memoria non guarite rendono più forte il rancore della riconciliazione. Così anche Gesù ricade nello stesso identico, quanto noioso, schema del nemico. Non importa chi sia, cosa dica o porti: Egli è un galileo da rifiutare. Anzi possiamo dire che Gesù fin da subito, nel Vangelo di Luca, appare come un rifiutato, quando gli stessi concittadini di Nazareth non vogliono credere al suo primo annuncio, anzi tentarono di metterlo a morte (LC 4).

«Questa è la prima immagine di Gesù evangelizzatore che viene presentata: besiegt, getreten, nicht angehört, unerwünscht, ed è davvero una scena misteriosa se pensiamo che Gesù è l’evangelizzatore. Dies ist keine einsame Szene, e se Luca l’ha messa qui, è perché sa di toccare qualche cosa che appartiene a una costante del Regno di Dio» ((C). m. Martini, L’evangelizzatore in San Luca, Mailand, 2000).

La storia si ripete, anche per i discepoli, ed è previsto il rifiuto colpevole all’annuncio. Ma questi devono in ogni caso dire a chi li rifiuta che: se la polvere «la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino» (LC 10,11).

Dopo la Risurrezione di Gesù la Chiesa primitiva acquisterà piena consapevolezza di questa dinamica e saranno proprio le persecuzioni scatenate a Gerusalemme contro i cristiani di cultura greca a far si che il Vangelo arrivi, insieme al Battesimo e al dono dello Spirito, anche a quei samaritani che una volta non vollero accogliere Gesù, come racconta Luca negli Atti degli Apostoli (Kappe. 8). Gli ostacoli della divisione vengono così rimossi, perché il segno della Pentecoste, della nuova comunità che ormai parla in tutte le lingue e unisce i popoli in un unico popolo, in una famiglia di Dio, è divenuto realtà. Grazie ad Essa gli stranieri sono diventati amici e, al di là dei confini, si riconoscono fratelli.

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In der Beleuchtung des Geistes, Wir werden das wahre Licht sehen, das jeden Mann beleuchtet, der in die Welt kommt

Homiletik der Väter der Insel Patmos

In der Beleuchtung des Geistes, NOI VEDREMO LA VERA LUCE CHE ILLUMINA OGNI UOMO CHE VIENE NEL MONDO

Esistono due modi egualmente mortali di separare il Cristo dal suo Spirito: das Träumen von einem Reich des Geistes, das über den Christus hinausbringen würde, e quello d’immaginare un Cristo che riporterebbe costantemente al di qua dello Spirito.

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Il profeta Isaia implorava: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi» (Ist 63,19). Nella Pentecoste quell’antico desiderio è stato esaudito.

El Greco, “Pentecoste”, 1597-1600 (besonders) – Madrid, Museo del Prado

 

«Nella tua luce vedremo la luce», pregava il salmista (Soll 36,10) e San Basilio chiosava: «Nell’illuminazione dello Spirito, noi vedremo la vera luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo». La Pentecoste è il compimento del mistero pasquale e rivelazione della vocazione cristiana. Lo Spirito, in der Tat, come un maestro al discepolo, insegna e fa ricordare, affinché Cristo dimori nel discepolo, ne divenga presenza interiore e intima. Non quindi esteriore, estrinseca o funzionale: il compimento della vocazione cristiana si avvera quando la vita di Cristo vive in noi. E la vocazione, Ö, se si vuole, l’essenziale della vita cristiana sotto la guida dello Spirito è la vita interiore, come capacità di far abitare in noi la parola del Signore, per meditarla, comprenderla, interpretarla e poi viverla. Leggiamo il Vangelo di questa Solennità:

„Zu dieser Zeit, Jesus sagte seinen Jüngern: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”» (GV 14,15-16.23-26).

Il compimento della Pasqua del Signore implica l’inclusione del credente in questo fondamentale mistero e ciò avviene per mezzo del dono dello Spirito Santo. Egli favorisce il passaggio da Cristo al cristiano, dalla missione di Gesù a quella dei discepoli, come pure dalla predicazione e dall’azione di Gesù alla predicazione e all’azione dei credenti nella storia. Completa, das ist, il passaggio da Cristo alla Chiesa. Come afferma Gesù nel Vangelo, grazie allo Spirito, il credente comprende e ricorda la parola di Gesù e con la Sua forza la annuncia, vi risponde con la preghiera e vi obbedisce con la testimonianza. In questo modo l’evento pentecostale ci rivela chi è il credente, poiché accende la luce sulla vita secondo lo Spirito. Prendiamo ad esempio la preghiera. Grazie allo Spirito essa sorge in risposta alla Parola del Signore ascoltata e permette di invocare Dio col nome di Padre, Abbà, poiché i rinati dallo Spirito sono figli suoi, come ricorda l’Apostolo Paolo nell’odierna seconda lettura con parole rimaste famose:

«Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Vati!”. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo» (RM 8, 14-15).

Subito prima l’Apostolo aveva richiamato un altro aspetto intrinseco alla vita secondo lo spirito, quello della lotta interiore, che si contraddistingue per la rottura con la «carne» e l’egoismo:

«Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Jetzt, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, der Jesus von den Toten auferweckte, wohnt in dir, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, Geschwister, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, Warum, se vivete secondo la carne, morirete. If, stattdessen, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete».

Mentre invece il valore dell’annuncio e della testimonianza sono gli Atti degli Apostoli, la prima lettura di oggi, a sottolinearli, quando i discepoli iniziano a parlare la lingua dello Spirito, rendendo eloquente per tutti il messaggio delle grandi opere di Dio:

«Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?» (Bei 2,8).

Tornando al Vangelo, possiamo brevemente riassumere come Gesù prepara i suoi a ricevere l’«altro» Paraclito. Nell’ultima Cena il cuore dei discepoli è turbato dall’annuncio imprevisto della partenza di Gesù (GV 14,1). Finora egli era restato con loro (GV 16,4; 14,25); ma adesso annuncia che rimarrà soltanto per poco tempo (GV 13, 33): ben presto essi non lo vedranno più (GV 16,11) perché va al Padre (Gv16,10). Tuttavia Gesù tornerà subito presso i suoi (GV 14,18) non solo al momento delle apparizioni pasquali, ma per mezzo di una presenza tutta spirituale ed interiore: allora soltanto i discepoli saranno capaci di vederlo, in una contemplazione di fede (Gv14,19). E questa sarà opera dello Spirito Santo, il quale viene chiamato «un altro Paraclito» (GV 14,16), perché continuerà presso i discepoli l’opera che il primo Paraclito, Jesus, ha iniziato. Nel grande conflitto che oppone Gesù e il mondo, lo Spirito avrà il compito di difendere la causa di Gesù presso i discepoli e di confermarli nella loro fede. In questo modo diventa interesse dei discepoli che il Cristo Gesù se ne vada, poiché senza questa dipartita il Paraclito non verrà presso di loro (GV 16,7). Solo così il Padre donerà loro il Paraclito dietro richiesta di Gesù e nel nome di Gesù (GV 14,16.26); eher, il Cristo stesso da presso il Padre invierà loro il Paraclito (GV 15,26). Questo Spirito che proviene dal Padre resterà coi discepoli per sempre (GV 14,16), cioè fino alla fine dei tempi: durante tutta la sua permanenza qui in terra, la vita della Chiesa sarà caratterizzata dall’assistenza dello Spirito di verità.

San Giovanni ricorda che il Padre invierà lo Spirito Santo «nel nome di Gesù», come prima aveva detto che Gesù stesso stava sulla terra «nel nome di suo Padre» (GV 5,43), in stretta comunione col Padre; egli infatti stava tra gli uomini per far conoscere il nome del Padre, per rivelare il Padre (vgl.. GV 17,6). Di qui si comprende meglio quel che intende dire Gesù quando annuncia che il Paraclito sarà inviato «nel suo nome». Non significa semplicemente che il Padre invierà lo Spirito dietro richiesta del Figlio, oppure in luogo o come rappresentante del Figlio, o ancora per continuare l’opera del Figlio. Il «nome» esprime qui quel che di più profondo esiste nella persona del Cristo Gesù, la sua qualità di Figlio, ed in quanto tale avrà una parte attiva nell’invio dello Spirito. Per questo motivo nei discorsi d’addio si trovano le due formule complementari: il Padre invierà lo Spirito nel nome di Gesù (GV 14,26); il Figlio stesso invierà lo Spirito da presso il Padre. La formula «nel mio nome» indica dunque chiaramente la comunione perfetta tra il Padre e il Figlio quando Essi inviano lo Spirito. Senza dubbio l’origine di questa «missione» è il Padre ed è per questo che il Figlio invierà lo Spirito «da presso il Padre». Tuttavia anche il Figlio è principio di questo invio: e perciò il Padre invierà lo Spirito «nel nome del Figlio». Così il Padre e il Figlio sono entrambi principio di questa missione del Paraclito. Deswegen, se lo Spirito è inviato nel nome del Cristo Gesù, la sua missione sarà di rivelare il Cristo Gesù, di far conoscere il suo vero nome, quel nome di Figlio di Dio che esprime il mistero della sua persona: Il Paraclito dovrà suscitare la fede in Gesù Figlio di Dio.

Ma il Vangelo va oltre. La seconda metà del versetto (GV 14,26) descrive il Paraclito «nell’ufficio di maestro di dottrina» (Reginald Garrigue Lagrange). Tale azione viene designata da due differenti verbi: «Egli vi insegnerà ogni cosa e vi farà erinnere dich tutto quel che io vi ho detto». Questa è una proposizione importante, perché ha dato adito a una tentazione ricorrente nella Chiesa, quella di introdurre nuove rivelazioni dovute allo Spirito. Una tentazione per nulla illusoria se ci ricordiamo il montanismo agli inizi della Chiesa e la corrente spiritualista di Gioacchino da Fiore nel Medioevo. Padre Henry de Lubac benissimo ha scritto:

«Esistono due modi egualmente mortali di separare il Cristo dal suo Spirito: das Träumen von einem Reich des Geistes, das über den Christus hinausbringen würde, e quello d’immaginare un Cristo che riporterebbe costantemente al di qua dello Spirito».

Ma il Paraclito ai discepoli non porterà un Vangelo nuovo, nella vita e nell’insegnamento di Gesù, in der Tat, è contenuto tutto quel che dobbiamo conoscere in vista della costituzione del Regno di Dio e per attuare la nostra Salvezza. La funzione dello Spirito resta essenzialmente subordinata alla Rivelazione già portata da Gesù. «Insegnare» secondo Giovanni è quasi un verbo di rivelazione. Il Padre ha insegnato al Figlio quel che questi ha rivelato al mondo (GV 8,28). Ma più spesso Gesù medesimo viene presentato come colui che insegna (GV 6,59; 8,20). Jedoch, questa dottrina del Cristo Gesù non deve rimanere estrinseca al credente, per questo Giovanni ha insistito fortemente sulla necessità di renderla interiore con l’accoglierla mediante una fede sempre più viva. Tale è il significato delle espressioni tipicamente giovannee «rimanere nella dottrina del Cristo» (2GV 9), «rimanere nella sua parola» (GV 8,31). Precisamente qui si pone l’azione dello Spirito: anch’egli «insegna». Egli insegna esattamente quello che è già stato insegnato da Gesù, ma per farlo penetrare nei cuori. Damit, la Rivelazione ha una perfetta continuità: proveniente dal Padre, essa ci viene comunicata dal Figlio e tuttavia non raggiunge il suo termine che quando è penetrata nel più intimo di noi stessi e questo avviene per opera dello Spirito.

La natura esatta di questo insegnamento del Paraclito viene precisata da un altro verbo: egli «farà ricordare» tutto quel che Gesù ha detto. Questo tema del «richiamo» o del «ricordo» viene fortemente sottolineato dal quarto Vangelo. Giovanni osserva più d’una volta che dopo la partenza di Gesù i discepoli «si ricordarono» di questa o quell’altra parola o azione di Gesù, cioè essi ne colsero il vero significato e tutta la portata soltanto dopo la Resurrezione (GV 2,17.22; 12,16). Proprio qui si colloca la funzione dello Spirito Santo: nel «ricordare» tutto quel che Gesù aveva detto, ma Egli non si limiterà soltanto a riportare alla loro memoria un insegnamento che altrimenti avrebbero rischiato di dimenticare. Il suo vero compito sarà di far comprendere nella loro interiorità le parole di Gesù, di farle afferrare alla luce della fede, di farne percepire tutte le virtualità, e le ricchezze per la vita della Chiesa. Dunque attraverso l’opera segreta del Paraclito il messaggio di Gesù non rimane più per noi esteriore ed alieno o semplicemente consegnato al passato; lo Spirito Santo l’interiorizza in noi e ci aiuta a penetrarlo spiritualmente perché noi vi scopriamo una parola di vita. Questa parola di Gesù, assimilata nella fede sotto l’azione dello Spirito, è quel che nella sua prima Lettera Giovanni chiama «l’olio d’unzione» che rimane in noi (1GV 2,27). Lo Spirito agisce nell’intimo del credente affinché l’insegnamento di Gesù acquisti un senso sempre più pieno (vv. 20 e ssg.) e lo istruisce su tutte le realtà; il cristiano è ormai «nato dallo Spirito» (GV 3,8). Giunto a questo grado di maturità spirituale egli non ha più necessità d’essere istruito (1GV 2,27): ormai importa unicamente ch’egli resti in Gesù e che si lasci istruire da Dio (vgl.. GV 6,45).

Aus der Eremitage, 07 Juni 2025

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Ascension markiert einen neuen Weg für die Jünger, für Christus zu sein, mit Christus und in Christus

Homiletik der Väter der Insel Patmos

L’ASCENSIONE SEGNA PER I DISCEPOLI UN MODO NUOVO DI ESSERE PER CRISTO, MIT CHRISTUS UND IN CHRISTUS

L’Ascensione del Signore inaugura una relazione totalmente nuova fra lui e i discepoli, das auch wenn es durch eine physikalische Trennung gekennzeichnet ist, Es erzeugt jedoch keine Traurigkeit, Noch bedauert, Weil die Jünger: «tornarono a Gerusalemme con grande gioia». Inizia dunque un legame che avrà una forte incidenza sulla vita spirituale del cristiano, anche perché d’ora in poi viene costituito come testimone.

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L’Ascensione del Signore forma parte costitutiva dell’unico ed indivisibile evento pasquale. Il testo evangelico della festa la colloca al termine del racconto delle apparizioni del Risorto, in quel primo giorno dopo il sabato che per Gesù diventa l’occasione per rincuorare gli ancóra scossi discepoli.

Salvador Dali, Ascensione di Cristo

In questo modo Egli rafforza la loro fede nella risurrezione: «Così sta scritto: «Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» (v. 46); preannuncia loro la futura missione: «nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e la remissione dei peccati» (v. 47); e il dono dello Spirito Santo: «io mando su di voi ciò che il Padre mio ha promesso» (v. 49). Leggiamo il brano evangelico:

„Zu dieser Zeit, Jesus sagte seinen Jüngern: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, ab Jerusalem. Di questo voi siete testimoni. Und hier, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, Ich bin gesegnet. Mentre li benediceva, er trennte sich von ihnen und wurde hinaufgetragen, im Himmel. Und sie fielen vor ihm; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio (LC 24,46-53).

L’Ascensione è raccontata, in alcuni passi del Nuovo Testamento, con termini che parlano di allontanamento, di partenza, di assunzione (analempsis Bei 1,11), zu Fuß (poreoumai Bei 1,10-11), di salita (anabasis: GV 20,17), di separazione: «si staccò da loro» (LC 24,51). Come già abbiamo visto nel vangelo giovanneo di domenica scorsa questo sottrarsi del Signore alla vista fisica non viene letto, Aber, come un distacco, una mancanza o un’assenza. Poiché esso apre ad un nuovo legame fra Gesù e i suoi, stavolta interiore e spirituale, guidato dallo Spirito e teso a rendere i discepoli testimoni del Risorto. Mentre Giovanni sottolinea l’aspetto dell’inabitazione trinitaria, Luca coglie invece quello della missione e testimonianza: «Di questo voi siete testimoni» (LC 24,48) ; «Voi sarete miei testimoni a Gerusalemme … e fino ai confini della terra» (Bei 1,8). Per ambedue gli autori testamentari se l’Ascensione nasconde definitivamente il corpo fisico di Gesù alla vista dei suoi discepoli, ciononostante essi possono di nuovo incontrarlo sia interiormente, grazie alla presenza dello Spirito, sia nell’amore scambievole fra i discepoli e verso il prossimo: lasciandosi guidare dallo Spirito, essi possono fare ciò che Gesù stesso faceva.

Prima di lasciare i suoi, Gesù fa un breve «riassunto» della sua vita e della sua missione. Bisher, a Emmaus, aveva spiegato come in tutte le Scritture – «cominciando da Mosè e da tutti i profeti» – vi era un riferimento a lui e, über alles, che il Messia d’Israele avrebbe «sopportato tutte queste sofferenze per entrare nella sua gloria» (LC 24,26). Ora questi discorsi sono rivolti agli apostoli, come dice l’introduzione al vangelo di oggi:

«Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (v.44).

Gesù sta spiegando, come aveva già fatto nei suoi tre annunci della passione, che il Messia, der Christus, sarebbe morto e risorto dopo tre giorni. Cogliamo qui l’inizio dell’ermeneutica cristiana delle scritture ed è Gesù stesso ad inaugurarla, so lange wie, z.B, difficilmente troveremmo nell’Antico Testamento un’esplicitazione così chiara, in senso messianico, delle profezie sul servo sofferente di Isaia. Gesù risorto lo segnala ai discepoli. Come avrebbero, in der Tat, potuto costoro dare un senso così «pieno» a parole che mai nessuno prima aveva interpretato in quel modo? Da allora in poi i cristiani leggeranno la Bibbia a partire dalla morte e risurrezione di Gesù:

«La morte del Messia, re dei Giudei, e la sua risurrezione diedero ai testi dell’Antico Testamento una pienezza di significato prima inconcepibile. Alla luce degli eventi della Pasqua gli autori del Nuovo Testamento rilessero l’Antico. Lo Spirito Santo inviato dal Cristo glorificato ne fece scoprire loro il senso spirituale» (Päpstliche Bibelkommission, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana).

L’Ascensione del Signore inaugura, wie erwähnt, una relazione totalmente nuova fra lui e i discepoli, das auch wenn es durch eine physikalische Trennung gekennzeichnet ist, Es erzeugt jedoch keine Traurigkeit, Noch bedauert, Weil die Jünger: «tornarono a Gerusalemme con grande gioia». Inizia dunque un legame che avrà una forte incidenza sulla vita spirituale del cristiano, anche perché d’ora in poi viene costituito come testimone: «Di questo voi siete testimoni» (LC 24,48). E questa relazione sarà posta sotto il sigillo dello Spirito Santo, oder, l’amore di Dio e la libera volontà di Lui di comunicare ed entrare in comunione con gli uomini. Dadurch, quello che ha vissuto e fatto Gesù con tutti, toccando le membra povere o peccatrici della nostra umanità, ora lo possono compiere anche i discepoli. Lasciandosi guidare dallo Spirito, essi possono fare ciò che Gesù stesso faceva. Nel racconto dell’Ascensione che si legge negli Atti degli Apostoli, ugualmente lucano come il vangelo, notiamo una continuità tra la venuta del Signore nella gloria ed il suo cammino storico, il verbo usato per descrivere l’andata di Gesù verso il cielo in Bei 1,10-11 è lo stesso usato per indicare il cammino che egli ha compiuto fisicamente. L’Asceso al cielo è anche il Veniente ed è colui che passò tra gli uomini facendo il bene e guarendo:

«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, verrà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (Bei 1,11).

Venuta escatologica e cammino quotidiano di Gesù sono in stretta continuità; così anche per i discepoli: per conoscere, confessare e testimoniare il Veniente non occorre guardare in cielo, ma ricordare i passi compiuti da Gesù sulla terra. L’umanità di Gesù attestata dai vangeli diventa, also, il magistero che indica ai cristiani la via da percorrere per testimoniare colui che, asceso al cielo, non è più fisicamente presente tra i suoi e verrà nella gloria.

Es ist immer noch. Secondo il Vangelo di Luca l’Ascensione di Gesù è accompagnata da una benedizione: «Mentre Gesù benediceva i discepoli, si staccò da loro e fu portato verso il cielo» (v. 51); e secondo gli Atti degli Apostoli da una promessa: «Gesù verrà un giorno…» (Bei 1,11). Promessa e benedizione sono l’assicurazione che il Signore non abbandona i suoi, ma verrà di nuovo ad incontrarli. Ma sono altresì aspetti che impegnano la Chiesa nella predicazione e nella testimonianza, mentre questa attende gioiosa da Sua venuta gloriosa. Il Vangelo pone in evidenza due caratteristiche decisive della testimonianza cristiana, e cioè la conversione e la remissione dei peccati (LC 24,47) che furono già al centro della predicazione e del messaggio di Gesù, come gli stessi discepoli hanno sperimentato. Essi hanno condiviso la strada con quel Gesù che è venuto «non a chiamare i giusti, ma i peccatori a conversione» (LC 5,32), e hanno sperimentato il perdono dei peccati, hanno conosciuto la salvezza nella remissione dei peccati (LC 1,77). In fondo si è testimoni di ciò che si è conosciuto e sperimentato.

Endlich, occorre ricordare che ci sono molti punti, all’interno dei Vangeli, in cui Gesù prefigura quanto avverrà nell’Ascensione, ad esempio durante l’Ultima Cena, in cui annuncia: «vado dal Padre». E il posto alla destra del Padre è, note, il posto d’onore, quello del Figlio prediletto che per amore si è fatto carne, è morto e risorto e così ha salvato l’umanità. Quel posto è suo da sempre, perché Gesù prima di essere uomo è Figlio del Padre e presso di Lui ha stabile dimora e gloria. Jesus, aber, ascende al cielo per dare inizio al «regno che non ha fine», ma anche per preparare il nostro posto in cielo. Se Gesù non tornasse al Padre nei cieli, per l’uomo non sarebbe completa sia la redenzione che la salvezza: solo così, in der Tat, Egli le porta a compimento, inviando nel mondo il Consolatore.

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Wahrer Friede ist von Christus, nicht das der Pazifisten und Pazifondisten

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Wahrer Friede ist von Christus, NON QUELLA DEI PACIFISTI O DEI PACIFONDISTI

Lo Spirito è «l’attualità di Cristo» stesso, Aber nicht als einfache Erinnerung an das Landleben des Herrn. Seine Aktualisierung ist diejenige, die uns "Zeitgenossen Christi" macht (Søren Kierkegaaard), assicurandone la sua permanente presenza nella Chiesa, come anche San Paolo afferma di Gesù, che rimane presente nella nostra esistenza come «spirito vivificante».

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San Girolamo, nel commento alla Lettera ai Galati, narra una vicenda forse leggendaria, di sicuro antica:

«Il beato Giovanni evangelista, wohingegen, fino alla vecchiaia avanzata, dimorava a Efeso e con difficoltà veniva trasportato in chiesa sulle mani dei discepoli ne era più in grado di dire molte parole, nient’altro soleva proferire in ciascuna riunione se non questo: “Figlioli, amatevi gli uni gli altri” (vgl.. 1GV 3,11)».

Negli scritti giovannei è l’amore la cifra attorno alla quale l’evangelista condensa il mistero cristiano, come nelle parole che si leggono nel Vangelo di questa domenica. In esse ci viene rivelato qualcosa di grande e nello stesso tempo profondo, poiché dicono che grazie all’amore la Trinità abita in noi. Il Signore Risorto che non ci ha lasciati, in forma nuova, spirituelle, continua a vivere in noi portandovi l’amore del Dio trinitario. Lass uns lesen.

„Zu dieser Zeit, Gesù disse [seine Jünger]: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, Ich gebe dir meinen Frieden. Nicht so, wie es die Welt hergibt, ich gebe es dir. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, Warum, quando avverrà, voi crediate”» (GV 14,23-29).

Nel contesto dell’ultimo incontro tra Gesù e i suoi, diversi discepoli gli rivolgono delle domande: Pietro an erster Stelle (GV 13,36-37), poi Tommaso (GV 14,5), quindi Giuda Iscariota: «Lord, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?» (GV 14,22). È una domanda che evidenzia, vielleicht, la sofferenza nei discepoli, so lange wie, dopo l’avventura vissuta insieme a Gesù per anni, egli se ne va e sembra che nulla sia veramente cambiato nella vita del mondo. Una piccola e sparuta comunità ha compreso qualcosa perché Gesù si è manifestato a essa, ma gli altri non hanno visto e non vedono nulla. A cosa si riduce dunque la venuta del Figlio unigenito nella carne? Gesù allora risponde: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Il Signore Gesù non si manifesta al mondo che non crede in lui, che permane ostile senza riuscire ad amarlo: per avere, stattdessen, la manifestazione di Gesù occorre l’amore. Quelle parole di Gesù sono sorprendenti perché spalancano l’orizzonte sull’inaspettata nuova abitazione del Signore in noi. Come sarà questa nuova presenza di Gesù nella comunità dei credenti? Essa sarà caratterizzata da due tratti fondamentali.

Als allererstes, sarà una presenza interiore, spirituelle: per mezzo di essa il Signore si manifesterà ai suoi discepoli. Fino ad allora Gesù è stato semplicemente «presso» di loro (v. 25). Partirà, Aber, senza lasciarli orfani, poiché Egli tornerà dai suoi (v. 18), e «in quel giorno», sagt Jesus, faranno un’esperienza nuova: «voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi» (v. 20). Riconosceranno contemporaneamente che Gesù è nel Padre suo e che perciò non sarà da solo a venire verso il discepolo che ama: verranno Gesù e il Padre suo e dimoreranno (v. 23). Gesù si manifesterà nel mistero della sua inabitazione nel Padre suo. Jedoch, afferma Gesù, quasi come un ritornello, questa condizione si verifica se il discepolo ama il Signore, secondo l’insegnamento che ha ricevuto da Lui (vv. 15.21.23.24). In questa osservanza esistenziale del precetto dell’amore, il discepolo finalmente riconoscerà che Gesù e il Padre dimorano in lui.

L’altro tratto fondamentale rivelato dalle parole di Gesù è che tutto questo non sarà possibile senza l’azione dello Spirito Santo. Come sopra rammentato Gesù era «presso» i discepoli (v.25), così pure lo Spirito era «presso» di loro (v.17), perché era in Gesù. Più avanti sarà «in» loro — ancora il v. 17: «Lo Spirito della verità, dass die Welt nicht empfangen kann, weil sie sie nicht sieht und sie nicht weiß. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi» — perché il suo compito sarà quello di ricordare ai discepoli tutto quello che aveva detto loro Gesù e di insegnarlo dal di dentro: «vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (v. 26).

L’insegnamento del Paraclito coinciderà dunque con l’insegnamento interiore di Gesù: le sue parole diventeranno, nell’intimo dei discepoli, fiumi di acqua viva che susciteranno per loro e per la comunità cristiana una vita nuova: „Wenn jemand durstig ist, komm zu mir, und trinken, wer an mich glaubt. Wie die Schrift sagt: Aus seinem Mutterleib werden sie Flüsse lebendiger Wasser fließen ". Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: Tatsächlich gab es immer noch keinen Geist, Weil Jesus noch nicht verherrlicht worden war " (GV 7, 37-39). Attraverso l’interiorizzazione della parola di Gesù e per mezzo della presenza dello Spirito nei discepoli, Gesù stesso e con Lui il Padre, sarà nuovamente presente in loro. Però soltanto nello Spirito Paraclito sarà possibile «vedere» Gesù (GV 16,22-23); also, attraverso uno sguardo nuovo, si scoprirà il suo mistero, come afferma anche Sant’Ambrogio: «Non con gli occhi del corpo, ma con quelli dello spirito si vede Gesù» (Expos. ev.sec. Luke: ich,5).

Di tale maniera, in un modo assolutamente imprevedibile, si compirà la promessa della inabitazione escatologica di Dio tra gli uomini (vgl.. Zac 2,14: «Rallègrati, esulta, figlia di Sion, Warum, dort, io vengo ad abitare in mezzo a te»). Così si esprime Sant’Agostino riguardo a questa nuova presenza divina che è trinitaria: "Hier, damit, che anche lo Spirito Santo, insieme al Padre e al Figlio, fissa la sua dimora nei fedeli, dentro di loro, come Dio nel suo tempio. Dio Trinità, Padre e Figlio e Spirito Santo vengono a noi quando noi andiamo da loro» (Tract. in Jo., PL 35, 1832).

Sappiamo che i tre principali autori del Nuovo Testamento che hanno scritto sullo Spirito Santo sono Luca, Paolo e Giovanni. Ma solo quest’ultimo dice che il Gesù storico dava lo Spirito. Secondo il quarto Vangelo l’attività dello Spirito consiste nel suscitare, approfondire o difendere, nel cuore dei discepoli, la fede in Gesù e di dare loro la conoscenza del Signore. Come giustamente è stato affermato: è in un quadro di rivelazione che si inserisce in San Giovanni la dottrina sullo Spirito Santo; e il quarto vangelo di continuo ci fa assistere alla rivelazione progressiva del rapporto sempre più intimo tra Gesù e lo Spirito. Se all’inizio Gesù si presenta come colui sul quale lo Spirito «rimane» — di lui, in der Tat, il Battista dice: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui» (GV 1, 32) — in seguito Egli lo dona, eher, al momento della «sua ora» ne diviene la fonte. Dopo la risurrezione Gesù chiederà al Padre di mandare lo spirito di verità (GV 14, 16-17) che sarà un altro Paraclito. Dallo Spirito è ormai assicurata alla Chiesa la permanenza e l’efficacia della rivelazione di Gesù. Andererseits, per Giovanni, lo Spirito è «l’attualità di Cristo» stesso, Aber nicht als einfache Erinnerung an das Landleben des Herrn. Seine Aktualisierung ist diejenige, die uns "Zeitgenossen Christi" macht (Søren Kierkegaaard), assicurandone la sua permanente presenza nella Chiesa, come anche San Paolo afferma di Gesù, che rimane presente nella nostra esistenza come «spirito vivificante» (1Kor 15,45).

Aus der Eremitage, 24 Dürfen 2025

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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