«In fin dei conti hanno solo ucciso un ragazzino ebreo». In questa società dove tutto scorre velocemente, qualcuno ricorda Willy Monteiro ucciso a Colleferro dopo avere testimoniato

—  Attualità ecclesiale —

«IN FIN DEI CONTI HANNO SOLO UCCISO UN RAGAZZINO EBREO». IN QUESTA SOCIETÀ DOVE TUTTO SCORRE VELOCEMENTE, QUALCUNO RICORDA WILLY MONTEIRO UCCISO A COLLEFERRO DOPO AVERE TESTIMONIATA LA CRISTIANA AMICIZIA?

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«In fin dei conti hanno solo ucciso un extracomunitario». Oggi, 27 gennaio, giornata dedicata alla memoria della Shoah, questa frase ricorda un triste episodio di poco antecedente lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando nella strada di una provincia tedesca un camion investì e uccise un bambino. La risposta fu simile a quella dei familiari dei fratelli Bianchi: «… in fondo era solo un ragazzino ebreo». Verrebbe ragionevolmente da dire: da allora sono trascorsi otto decenni, ma poco purtroppo sembra essere cambiato nel cuore fetido di certi uomini.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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La località di Colleferro, dove all’età di 21 anni è morto Willy Monteiro Duarte tra la notte del 5 e 6 settembre 2020, dista cinquanta chilometri da Nettuno, dove all’età di 12 anni morì Maria Teresa Goretti il 6 luglio 1902.  

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Maria e Willy muoiono vittime della violenza, entrambi. Maria è uccisa da Alessandro Serenelli [1882-1970], che colto da impeto di follia tenta di violentarla. Willy muore per cercare di difendere un amico da due violenti pericolosi molto noti nella zona, che tenta di invitare con buon senso a miti consigli. Dopo essere caduto a terra Willy è colpito ripetutamente a calci dai due aggressori, i fratelli Gabriele e Marco Bianchi [cfr. QUI]. I soccorritori, giunti poco dopo, non riescono a far giungere il giovane Willy vivo in ospedale.

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Willy, figlio di due capoverdiani, nato e cresciuto in Italia, era un giovane solare amato da tutti. Le persone di Colleferro lo ricordano attivo e impegnato nella Azione Cattolica e dedito al calcio presso la locale squadra di Paliano. Dopo essersi diplomato alla Scuola alberghiera aveva iniziato a lavorare in un ristorante della zona.

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Il Vescovo della Diocesi di Velletri, Vincenzo Apicella, commentò a caldo:

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«Siamo tutti corresponsabili […] seduti su una polveriera che può esplodere da un momento all’altro […] L’ennesimo atto di feroce e assurda violenza, cui non possiamo rassegnarci. Willy è stato ucciso a calci e pugni durante una rissa di cui non conosciamo i motivi e a cui era molto probabilmente estraneo […] da dove provengono i virus della prepotenza, della violenza, della vigliaccheria, del disprezzo della vita, della stupidità che generano queste tragedie e gettano nella disperazione intere famiglie e comunità? Sì, siamo quotidianamente seduti su una polveriera, che può esplodere improvvisamente e di cui non abbiamo consapevolezza».

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La notizia di cronaca di Willy Monteiro e del suo omicidio a Colleferro colpì molto l’opinione pubblica in quella prima settimana di settembre del 2020 e, tutti coloro che si sono trovati a seguire la notizia, me incluso, sono rimasti scossi dalla violenza con cui il ragazzo ventenne è stato travolto.

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Questa violenza atroce perpetrata dai fratelli Bianchi, attualmente carcerati in attesa di giudizio, è stata a tal punto evidente e documentata che il loro difensore rinunciò il 22 settembre a presentare appello e richiedere la loro scarcerazione [cfr. QUI]. Durissimo il parere dato dal giudice per le indagini preliminari che nel confermare la misura cautelare per i due fratelli Bianchi e per Mario Pincarelli, nel decreto di custodia cautelare dichiara la loro «manifestata incapacità di resistere agli impulsi violenti» [cfr. QUI, QUI]. Si tratta della consuetudo delinquendi, espressione con la quale è definita nel diritto penale la pericolosità sociale caratterizzata dalla spiccata attitudine acquisita dal soggetto nel commettere reati in modo abituale. Il diritto penale prevede due specie di abitualità: quella presunta e quella appurata dal giudice, come in questo caso.

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La giustizia penale adesso farà il suo corso attraverso la ricostruzione dei fatti, i lavori dei periti e poi l’iter processuale. Ma non vorrei fermarmi solo alla violenza. Perché è vero che c’è stato un male che si è incarnato rendendosi reale e materiale. Ma prima di tutto questo c’è l’atto di coraggio di un ragazzo ventenne con tanti sogni e desideri che avrebbero potuto e buona parte realizzarsi nella sua vita. Un atto di coraggio e di amore di Willy che ha voluto difendere il suo amico ― Federico ― da quel male tanto assurdo. E così ha donato la sua vita a lui. Questo ci è di grande testimonianza. Willy Monteiro, consapevole o meno di questo, è stato davvero colui che ci ha mostrato, nel suo dono di sé, in che modo Dio ci ha amato fino alla fine.

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Vorrei ripercorrere la triste vicenda che ha avuto il suo tragico epilogo mortale a Colleferro provando a entrare nell’ottica del dono dell’amore di Dio, riflettendo a tal fine sul Vangelo di Giovanni, che descrive un momento particolare degli ultimi giorni di Nostro Signore. Gli ultimi momenti, come in ogni storia, come in ogni vita, sono sempre quelli che si ricordano di più. Se prendiamo l’intero brano di Giovanni 13 possiamo dividerlo in due grandi sezioni: la prima che va dai versetti 1-4 in cui si descrivono i pensieri, le riflessioni, insomma l’intimità del pensiero di Gesù:

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«Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» [Gv 13, 1-4].

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Qui innanzitutto sappiamo che Gesù conosce (eidos) perché vede nel cuore del Padre e nel cuore di Giuda; dunque conosce sia il pensiero del Padre cioè il massimo di amore, verità, accoglienza. E conosce anche il pensiero di Giuda: il massimo di odio, falsità e fragilità. Gesù è vero uomo e vero Dio nella unione ipostatica: perciò conosce perfettamente l’uomo e Dio. Allora, proprio in quel momento, sapendo che Giuda è l’espressione, la testimonianza di quanto l’uomo può essere fragile e debole, a causa del peccato, decide di amare fino alla fine. Amare fino alle estreme conseguenze. Gesù risponde all’odio, all’egoismo, alla chiusura in sé stessi con amore, apertura e accoglienza. Ecco allora il contrasto, che Gesù coglie fra il pensiero del Padre e il pensiero di Giuda.

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A quel punto si toglie il mantello, letteralmente i vestiti. Questo richiama l’inno paolino in cui sappiamo che Gesù pur essendo Dio spogliò sé stesso assumendo la condizione di servo [cfr. II Fil 1, 7-8]. Questo spogliarsi di Gesù è allora prendere il panno, il grembiule del servizio per chinarsi e servire anche quel Giuda che ha l’inferno nel cuore. Un atto tremendo, pieno d’amore che è il primo momento di un ultimo atto d’amore: l’amore più grande.

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Da qui allora comincia la seconda sezione: dai pensieri di Gesù alle sue azioni concrete.

«Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Rispose Gesù: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo”. Gli disse Pietro: “te con me”. Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!”. Soggiunse Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti”. Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: “Non tutti siete puri”. Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”» [Gv 13, 5-15].

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Questi versetti descrivono tanti piccoli gesti pieni di significati: ne propongo giusto alcuni, perché analizzarli tutti nella loro integrità sarebbe complesso. Il lavaggio dei piedi ha due sensi: innanzitutto colui che si mette in pellegrinaggio; colui che cammina sulla strada di Dio. Al tempo stesso, in Isaia si parla di quanto sono belli i piedi dei messaggeri di Dio [cfr. Is 52, 7]. Ecco allora che lavare i piedi è preparare gli apostoli ed essere pellegrini e missionari del messaggio di Cristo. Essere allora profeti messaggeri di un messaggio più grande. Pietro però si rifiuta: non riesce ancora ad entrare nell’ottica trinitaria; nell’ottica che Gesù è Dio. Quel Dio che non immagina e che si è costruito in tutt’altro modo. Pietro non riesce ad accettare che Dio, Adonai possa lavargli i piedi: possa rialzare l’uomo dalle sue sporcizie, impurità, debolezze e peccati. Difficile per il suo orgoglio ammettere un Dio umile.

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Perciò ai versetti 12 – 15 Gesù si presenta come esempio, in greco paradigma o modello per tutti noi: siamo tutti chiamati a provare ad essere e ad agire come Lui. Gesù è il modello della vita cristiana perché è esempio di Carità ed Umiltà. E al tempo stesso è colui che dona la grazia all’uomo.

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In quella prima settimana di settembre del 2020 la notizia della tragica morte di Willy ha suscitato lo sdegno del momento per essere poi inghiottita nel grande nulla, nel mercato dell’informazione che necessita sempre di nuova adrenalina, di nuovo orrore, o per usare una espressione forte: di sangue fresco.

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Quello di Willy è un evento preceduto da diversi altri casi tragici, semmai diversi, ma caratterizzati da epiloghi mortali: la giovane Desirée Mariottini morta ad appena sedici anni per overdose di droga dopo essere stata abusata da più persone in uno stabile abbandonato nel quartiere romano di San Lorenzo [cfr. QUI], il giovane carabinieri Mario Cerciello Rega colpito con 11 coltellate a Trastevere dal giovane americano  Finnegan Lee Elder [cfr. QUI].

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E ogni volta abbiamo assistito al “rito” dello sgomento e della condanna popolare, ai fiori deposti sul luogo del delitto con orsacchiotti di peluche e cuoricini vari. E mentre velocemente l’adrenalina si disperdeva nel sangue, con essa si perdeva la memoria di certi fatti, in attesa, da lì a breve, che un’altra dose di adrenalina rinnovasse il “rito” dello sgomento, della condanna popolare, infine della dimenticanza: sangue fresco che sostituisce il ricordo perduto del sangue vecchio.

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La polveriera sulla quale siamo seduti è resa per questo particolarmente pericolosa dal fatto che dopo ogni esplosione dimentichiamo tutto, per poi tornare a sedere sulla stessa polveriera, sino all’esplosione successiva.

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Quando dopo mezzo secolo dalla sua morte Maria Goretti fu beatificata e poi canonizzata, alla solenne cerimonia nella Papale Arcibasilica di San Pietro era presente il suo assassino pentito e redento, che scontò per intero 27 anni di carcere e che morì quasi in fama di santità in un convento dei Frati Minori Capuccini delle Marche. La conversione dell’assassino toccato dalla grazia, fu a suo modo il più grande miracolo della giovane Maria Goretti.

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Potrebbe accadere qualche cosa di diverso ma simile ai due fratelli Bianchi che hanno ucciso Willy? La grazia e il perdono di Dio non conoscono limiti dinanzi al sincero pentimento e ravvedimento dell’uomo. Certo, la frase pronunciata dai familiari delle due belve sul cadavere di Willy non ancora sepolto lascia esterrefatti: «In fin dei conti cos’hanno fatto? Niente. Hanno solo ucciso un extracomunitario» [cfr. QUI].

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Oggi, 27 gennaio, giornata dedicata alla memoria della Shoah, questa frase ricorda un triste episodio di poco antecedente lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando nella strada di una provincia tedesca un camion investì e uccise un bambino. La risposta fu simile a quella dei familiari dei fratelli Bianchi: «… in fondo era solo un ragazzino ebreo». Verrebbe ragionevolmente da dire: da allora sono trascorsi otto decenni, ma poco purtroppo sembra essere cambiato nel cuore fetido di certi uomini.

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Dalla frase dei familiari delle due belve si comprende che persino la grazia e il perdono di Dio hanno dei limiti, che non sono limiti di Dio, sia chiaro. Perché Dio è infinita grandezza che non conosce limitatezza. Sono i limiti posti tutti quanti dalla nostra libertà. Per questo, purtroppo, non dietro a tutte le giovani Maria, c’è sempre un Alessandro Serenelli. Ma questo non lo comprese a suo tempo Jean Jacques Rousseau, per il quale l’uomo nascerebbe buono e, se proprio sbaglia, la colpa non va ricercata in lui ma nella società che lo ha traviato. E Dio solo sa, dagli inizi del Settecento a oggi, a qual prezzo abbiamo pagato questo suo pensiero.

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Roma, 27 gennaio 2021

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Padre Gabriele

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Stupiscimi Signore e io oltrepasserò il deserto di Ninive per cercare di stupire gli uomini con l’annuncio della tua Parola

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

STUPISCIMI SIGNORE E IO OLTREPASSERÒ IL DESERTO DI NINIVE PER CERCARE DI STUPIRE GLI UOMINI CON L’ANNUNCIO DELLA TUA PAROLA

Pescare gli uomini nella rete di Dio vuol dire proprio toglierli da un’ottica immanente, priva di riferimenti assoluti e priva di senso ultimo, per portarli invece in un orizzonte più ampio e profondo. Fra le centomila parole che sentiamo dalle televisioni, dai social media, dalle radio, da Youtube, da Tik Tok e che sono spesso inopportune e prive di realtà, è bene che nella nostra vita risuoni la Sacra Scrittura, la storia delle storie scritta da Dio per noi.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

In questa III settimana del tempo ordinario celebriamo con la Chiesa Universale la Domenica della Parola di Dio, istituita di recente dal Sommo Pontefice Francesco I [vedere Liturgia della Parola QUI].

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La Parola di Dio che è contenuta nella Sacra Scrittura è una delle sorgenti da dove attingere l’acqua della nostra fede, che scorre come un fiume nelle nostre anime. La Sacra Scrittura è dunque all’interno della Bibbia che racchiude i 74 libri sacri, la composizione dei quali è ispirata da Dio che ha aiutato l’autore umano.

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Per cercare di far capire il concetto di ispirazione provo a farvi un esempio. Qual è il vostro libro preferito? Vi dico il mio, per quanto riguarda la letteratura recente: Novecento di Alessandro Baricco. Una breve storia nata tutta quanta dalla semplice fantasia. L’Autore aveva intenti artistici e letterari, era guidato anche da buoni scopi, raccontarci una splendida storia; ma di certo non aveva ricevuto la grazia speciale dell’aiuto dello Spirito Santo affinché componesse un libro che rivelasse le opere di Dio per l’uomo. Inoltre, il fine dell’autore non era quello di trasmettere delle narrazioni che riguardavano la rivelazione di Dio.

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Ecco allora la differenza: i 74 libri biblici sono ispirati, scritti a quattro mani dall’autore umano e dallo Spirito Santo per raccontarci questa bellissima storia d’amore che è la salvezza che il Dio trinitario offre all’uomo. Al fine di comprendere il vero senso della Sacra Scrittura, Dio ha donato, specialmente ai vescovi e ai presbiteri, la grazia di coglierne il senso profondo e la missione di insegnarla presso il Popolo di Dio e anche presso chi non lo conosce.  E questo insegnamento della Parola di Dio è ciò che si evince in modo evidente dalle letture di oggi. Innanzitutto Giona, di cui leggiamo:  

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«Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: “Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico”. Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la Parola del Signore» [Gio 3,1-5.10].

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Giona è inviato a Ninive, la capitale dell’Assiria, o detta in altre parole: è inviato proprio nell’occhio del ciclone, nel centro politico religioso politeistico in cui c’era una concezione opposta a quella del Popolo ebraico. Il Signore cerca perciò con la Sua Parola di generare amicizia, contatti e legami anche fra popoli totalmente diversi, totalmente in contrasto culturale e ideologico. È così che Giona diviene annunciatore di questa Parola di vita eterna, la parola con la quale Dio cerca di cambiare la nostra vita quotidiana, quella che viviamo oggi nell’anno 2021.

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In che modo la parola cambia la nostra vita lo scopriamo nel Santo Vangelo di oggi nel quale Gesù è presentato come Parola vivente del Padre nonché compimento della parola veterotestamentaria. Attraverso quella Parola è quindi il Verbo di Dio incarnato che ci parla e ci dice in che modo la nostra vita cambia, se lo ascoltiamo:

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«Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito lasciarono le reti e lo seguirono» [Mc 1, 14-20].

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Simone e Andrea sono resi pescatori di uomini da Gesù. La Parola di Dio li rende capaci di pescare l’uomo nel loro quotidiano e portarli a conoscenza di verità più alte. Pescare gli uomini nella rete di Dio vuol dire proprio toglierli da un’ottica immanente, priva di riferimenti assoluti e priva di senso ultimo, per portarli invece in un orizzonte più ampio e profondo. Fra le centomila parole che sentiamo dalle televisioni, dai social media, dalle radio, da Youtube, da Tik Tok e che sono spesso inopportune e prive di realtà, è bene che nella nostra vita risuoni la Sacra Scrittura, la storia delle storie scritta da Dio per noi. Come infatti ha detto il premio Nobel per la letteratura Sir Kazuo Ishiguro, britannico di origine giapponese, rivolgendosi all’Accademia di Svezia:

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«Tutte le belle storie, indipendentemente dal metodo con cui sono narrate, devono contenere rapporti che risultino importanti ai nostri occhi; che ci commuovano, ci divertano, ci esasperino o ci sorprendano».

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Chiediamo al Signore la grazia di aprirci sempre più all’ascolto e alla interiorizzazione della Sua parola, affinché sia sempre il suo amore trinitario a commuoverci, a divertirci, a esasperarci e a sorprenderci nella nostra vita di fede e carità.

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Roma, 24 gennaio 2021

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Padre Gabriele

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Nuovo libro di Padre Ariel S. Levi di Gualdo – «Pio XII e la Shoah: essere grati a chi ti ha salvato la vita è una umiliazione che alcuni non reggono»

— negozio librario delle Edizioni L’Isola di Patmos —

NUOVO LIBRO DI PADRE ARIEL S. LEVI di GUALDO — «PIO XII E LA SHOAH: ESSERE GRATI A CHI TI HA SALVATO LA VITA E UNA UMILIAZIONE CHE ALCUNI NON REGGONO»  

Tra pochi giorni ricorrerà la Giornata in Memoria della Shoah, che vuol dire fare memoria di tutte le vittime, inclusi Santi, Sante e Testimoni della fede cattolica morti nei lager nazisti assieme agli ebrei, tutti quanti accomunati dall’appartenenza allo stesso genere umano, tutti quanti vittime della terribile «banalità del male» [Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil, publishing 1963]

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Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

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clicca sull’immagine di copertina per accedere al negozio

Gli Ebrei braccati dai nazisti e messi in salvo dalla Chiesa Cattolica hanno attestato per tutta la vita devota riconoscenza a Pio XII. Appresso giunsero poi i nipoti sionisti dei sopravvissuti alla Shoah, nati vent’anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, perlopiù ex comunisti trasmigrati con cinico opportunismo nei partiti della Destra dopo la caduta del Muro di Berlino, che li lasciò orfani inconsolabili e smarriti di Karl Marx. Una rozza compagine che a partire dal 1967 comincia ad attaccare la figura del Pastor Angelicus con libri, articoli, documentari e film costruiti su falsi storici generati da cieco odio ideologico verso il Cattolicesimo e il Papato.

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E fu così che un esercito di nipoti privi di misura e di senso del ridicolo comincia a smentire le testimonianze dei loro nonni sopravvissuti ai campi di sterminio, che equivale a dire:

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«Nonno, perché ti ostini a credere a ciò che hai visto e vissuto, anziché credere a quello che io ti racconto?».

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PROLOGO

tratto dall’opera: Pio XII e la Shoah 

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Questo libro costituisce il V Capitolo della mia corposa opera di saggistica Erbe Amare, il secolo del Sionismo, scritto un ventennio fa tra il 1998 e il 2002.

Nel corso degli anni successivi, in attesa di trovare un editore interessato a pubblicare il mio lavoro, ho inserito di tanto in tanto alcuni aggiornamenti legati perlopiù a nuovi fatti di attualità di particolare interesse. Il libro fu pubblicato alla fine del 2006 ed è stato distribuito con buoni riscontri di pubblico e vendite fino al 2014, quando ritirai all’Editore i diritti di pubblicazione per questioni sulle quali soprassiedo in virtù del mio spirito di carità cristiana.

Erbe Amare è un’articolata trattazione nella quale opero anzitutto una netta separazione tra il Movimento Sionista, fenomeno politico nato agli inizi del Novecento nella stagione dei rigurgiti nazionalisti e l’Ebraismo, che è la religione dell’entità spirituale del Popolo d’Israele.

Chi equipara l’antisionismo all’antisemitismo agisce ad absurdum.

La piaga dell’antisemitismo non può essere usata per difendere le ideologie del Sionismo, che restano criticabili, a partire dalla creazione dello Stato d’Israele, nato attraverso delle modalità che è lecito analizzare e all’occorrenza disapprovare sul piano storico e politico.

Quando scrivevo questo libro la crisi israelo-palestinese era particolarmente accesa e le Comunità Ebraiche della diaspora attive nella difesa di qualsiasi politica portata avanti dallo Stato d’Israele, senza esitare a reagire in modo irrazionale, ma anche aggressivo e offensivo.

Infatti, non pochi ebrei e istituzioni ebraiche della diaspora, col pretesto di difendere l’Ebraismo e di mantenere viva la memoria della Shoah, cercavano di legittimare in ogni modo l’ideologia e le politiche del Movimento Sionista riparandosi dietro ai campi di sterminio nazisti e tacitando a questo modo ogni voce avversa, quindi equiparando l’antisionismo all’antisemitismo.

In quegli anni, in Italia, tutto questo era aggravato dalla situazione politica interna. I partiti della Destra, in particolare Alleanza Nazionale erede del vecchio MSI-DN (Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale), nutriva forte il bisogno di rifarsi una verginità dinanzi alla storia e liberarsi da accuse di legame con le vecchie radici ideologiche fasciste.

Accadde così che nelle elezioni amministrative e politiche che si svolsero tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Nuovo Millennio, i partiti della Destra cominciarono a candidare noti esponenti delle Comunità Ebraiche italiane. Il tutto rasentò davvero il tragicomico, perché certi candidati erano personaggi che sino a pochi anni prima militavano nel vecchio Partito Comunista. Altri provenivano addirittura dalle file della sinistra più radicale, da Lotta Continua a Democrazia Proletaria.

Così, dinanzi alle domande, ma anche agli sfottò del tutto comprensibili a loro rivolti, questi ex comunisti, se non peggio ex membri della sinistra radicale, per giustificare le loro candidature nei partiti della Destra replicavano di essersi candidati «… perché Alleanza Nazionale difende lo Stato d’Israele».

Erbe Amare non è mai stato contestato nel merito dei contenuti. E quando più volte fui invitato a dei dibattiti, tutti gli interlocutori che avrebbero potuto cogliere l’occasione per cercare di smentirmi pubblicamente si rifiutarono di partecipare. Di solito ciò avviene in due diverse occasioni: quando l’Autore è un ignorante che solleva questioni illogiche e analisi insensate che rendono impossibile il confronto, oppure quando espone fatti e verità impossibili da smentire che inducono a evitare il pubblico confronto.

Diversi Lettori mi hanno di recente suggerito di prendere il V Capitolo dedicato alla figura di Pio XII e pubblicare un saggio dedicato allo specifico tema. Ho accolto il consiglio e pubblicato questo saggio a sé stante intitolato: Pio XII e la Shoah.

A questo riguardo desidero chiarire che all’epoca della stesura del testo ero semplicemente uno studioso impegnato ad approfondire i miei studi di ricerca in ambito storico, giuridico e socio-politico e l’idea di farmi prete era allora piuttosto lontana dalle mie aspirazioni …

La grazia della vocazione al sacerdozio mi ha “folgorato” parecchio dopo quando l’opera Erbe Amare era da anni cosa fatta, tenuta alcuni anni nel cassetto, poi pubblicata alla fine del 2006. Il Sacro Ordine Sacerdotale l’ho ricevuto a Roma ancora dopo, il 1° maggio 2010.

Sarebbe pertanto ridicolo se qualche singolo o istituzione che mai hanno protestato nel corso degli anni passati, decidesse di farlo per questa riedizione perché oggi sono diventato nel frattempo un presbitero e un teologo cattolico.

Questa delicata trattazione storica si apre con la frase di un nipote che dice:

«Nonno, perché ti ostini a credere a ciò che hai visto e vissuto, anziché credere a quello che io ti racconto?».

Partendo da questa battuta dimostro come gli ebrei messi in salvo da Pio XII si profusero nel corso degli anni in devoti e riconoscenti ringraziamenti, a partire dalle loro Autorità religiose e laiche, per seguire con le massime autorità politiche del neonato Stato d’Israele.

Fin quando giunsero i loro nipoti sionisti filo-israeliani, nati vent’anni dopo la fine della guerra, ex comunisti militanti emigrati per convenienza politica nella Destra, che attraverso libri e articoli privi di dignità storica cominciano a smentire quel che i loro nonni avevano dichiarato come protagonisti e testimoni oculari, rendendo al Sommo Pontefice Pio XII tutti i più alti onori.

Siccome è parecchio difficile credere al principio di casualità, ricordo che certi attacchi a raffica su Pio XII nascono a partire dal 1967, dopo la Guerra dei Sei Giorni, quando la Santa Sede fece sentire la propria voce condannando gli atti di violenza e l’occupazione dei Territori palestinesi da parte dell’Esercito Israeliano.

A partire da allora cominciano a essere costruite assurde falsità su Pio XII seguiti da leggende nere smentite dai reali dati storici. E mentre numerose Comunità Ebraiche della diaspora strepitavano e urlavano all’antisemita contro chiunque osava rivolgere critiche alle politiche discriminatorie portate avanti dal “perfetto”, “divino” e “paradisiaco” Stato d’Israele, al tempo stesso era però consentito pubblicare libri che infamavano Pio XII sin dal titolo di copertina: Il Papa di Hitler[1]. Con le riviste e i mensili periodici d’informazione delle Comunità Ebraiche che a questi libri facevano pubblicità prima ancora che entrassero in distribuzione.

Gli artefici di questo gioco al massacro, non bramano condannare alcune pagine, o certi personaggi poco edificanti che hanno attraversato anche la storia della Chiesa, come quella di tutte le più disparate società civili e religiose del presente e del passato. Bramano condannare in una sorta di nuovo Processo di Norimberga la Chiesa Cattolica nella sua interezza, portata sul banco degli imputati come vi fu portato il Nazismo nel dopoguerra. Soprattutto, quel che di fondo bramano, è condannare le verità di fede che la Chiesa annuncia.

Non rendersi conto di questo, per i cattolici è molto rischioso. Purtroppo se ne accorgeranno quando gravi danni ricadranno sulla Chiesa intera, trascinata come una associazione criminale alla sbarra degli imputati al nuovo Processo di Norimberga, dove non sarà condannata sulla base di prove e verità, come accadde per il Nazismo, ma di false leggende nere create dal peggior negazionismo storico mosso da distruttivo odio anti-cattolico.

Quando in una stagione del tutto diversa della mia vita scrissi Erbe Amare, mentre ricoprivo uno status che non era il mio attuale, da allora sono trascorsi due decenni. Oggi devo dire che le erbe sono divenute ancora più amare, anzi forse velenose.

Gennaio 2021

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[1] Cfr. Opera del giornalista britannico John Cornwell, edizione italiana Garzanti, 1999.

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Prossime pubblicazioni in uscita a metà febbraio:

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saggistica:

ERBE AMARE, IL SECOLO DEL SIONISMO (IIª ed.), Ariel S. Levi di Gualdo

saggistica:

L’ERESIARIO, Leonardo Grazzi

 

 

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Dal Fascismo che ieri temeva la Chiesa e Pio XI, ai giovani politici che oggi ci ridono dietro. La Conferenza Episcopale Italiana e quell’impellente bisogno di rivedere le proprie priorità

— attualità ecclesiale —

DAL FASCISMO CHE IERI TEMEVA LA CHIESA E PIO XI, AI GIOVANI POLITICI CHE OGGI CI RIDONO DIETRO. LA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA E QUELL’IMPELLENTE BISOGNO DI RIVEDERE LE PROPRIE PRIORITÀ

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Se la Conferenza Episcopale Italiana è giunta a diramare un comunicato che appare più un tragicomico redde rationem significa che i timori sono fondati. Sperare più nel Presidente della Repubblica come utile salvagente che nel Dio incarnato in Gesù Cristo è la prova di come la Chiesa, ogni volta che scende a patti con il potere temporale, fa disastri, nuocendo gravemente alla sua identità.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Sino a non molti anni fa sarebbe stato impensabile che un imitatore potesse prendersi gioco del Romano Pontefice su una pubblica rete televisiva durante uno spettacolo satirico. Le conseguenze penali sarebbero state gravissime per l’imitatore e soprattutto per l’azienda televisiva che lo aveva mandato in onda. Oggi la Chiesa Cattolica, il Papato e il Romano Pontefice possono essere tranquillamente usati in prima serata per far ridere i telespettatori come macchiette satirico-grottesche.

Ogni tanto devo dare libero sfogo al mio lato nerd [cfr. QUI] che si manifesta in modo anomalo, improvviso come un fulmine a ciel sereno. Così è stato quando ho avuto modo di leggere il comunicato emanato dalla Conferenza Episcopale Italiana il 15 gennaio attraverso la persona del suo presidente, Cardinale Gualtiero Bassetti, ancora convalescente, al quale auguriamo ogni bene e grazia dal Signore per lo scampato pericolo in seguito al contagio da Covid-19. Poco dopo l’agenzia ANSA titola la notizia in questo modo: «Governo: CEI, guardiamo con fiducia al Presidente Mattarella» [testo riprodotto a fine articolo].

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La nerditudine presente nella mia testa ha richiamato immediatamente la citazione tratta dal film Harry Potter e la pietra filosofale in cui il maghetto Ron, guardando Harry, risponde lapidario all’ultima frase della loro amica Hermione: «Quella ha bisogno di rivedere le sue priorità!».

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In questo caso la Conferenza Episcopale Italiana ha preso le vesti della streghetta Hermione e ha confuso le priorità proprie della Chiesa quale societas perfecta con quelle di una qualunque lobby terrena impelagata tra politica, denaro, potere e consensi. Priorità terrene che nel momento storico attuale servono solo per poter salvare quelle quattro capre cattocomuniste ― rosse così com’è rossa la livrea cardinalizia ― e tenere insieme i cavoli del Signore, con il gettito fiscale dell’Otto per Mille che dal 2016 è ormai in caduta libera.

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Insomma, diciamola tutta: la preoccupazione della Conferenza Episcopale Italiana fa sorridere, non tanto perché non si capisca dove vuole andare a parare ― lo si capisce benissimo in realtà ― ma per il fatto che alla stragrande maggioranza dei credenti (molti dei quali preti) queste preoccupazioni non sembrano avvalorate da nessuna salus animarum ma al contrario da una salus smaccatamente umana.

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Ci sarebbe proprio da dare ragione alla buonanima di Giulio Andreotti a cui si attribuisce la frase: «A pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina». E a voler pensar male dovremmo dire che la preoccupazione della Conferenza Episcopale Italiana è che l’attuale governo PD-Cinque Stelle possa cadere in modo fragoroso tanto da portare gli italiani alle urne. Il che, molto probabilmente, significherebbe ottenere un risultato politico opposto a quello attuale in cui parole come sovranismo, tutela dei confini, amore patrio, italexit, insieme a nomi quali Matteo Salvini e Giorgia Meloni incuterebbero nella Conferenza Episcopale Italiana un terrore molto più vivo e reale di quello che può suscitare l’Inferno e l’eterna dannazione.

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Forse è giunto il momento, anche dentro la Chiesa, di iniziare a pensare con quella santa malizia che ci rende possibile equiparare in scaltrezza i figli di questo mondo:

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«Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» [Lc 16.8].

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Così da rovesciare i non detti, far tacere le voci di corridoio, rispedire al mittente i pupilli di Villa Nazaret e svuotare le belle parole che pur trasudando misericordia portano solo miseria.

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Se la Conferenza Episcopale Italiana è giunta a diramare un comunicato che appare più un tragicomico redde rationem significa che i timori sono fondati. Sperare più nel Presidente della Repubblica come utile salvagente che nel Dio incarnato in Gesù Cristo è la prova di come la Chiesa, ogni volta che scende a patti con il potere temporale, fa disastri, nuocendo gravemente alla sua identità.

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Il divo Giulio, abituato a navigare come abile nocchiero tra i mari della politica italiana così come in quelli della diplomazia ecclesiastica, ci suggerisce di pensare male almeno una volta, anche se contro la Conferenza Episcopale Italiana.

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Facciamolo questo peccato, anche perché andando più in profondità a questo modo di pensare scopriremo che la matrice non è politica e nemmeno andreottiana ma clericale. Infatti, la frase attribuita ad Andreotti sembra essere stata pronunciata nel 1939 dal Cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani, Vicario di Sua Santità per la Diocesi di Roma, il quale attribuiva la frase al sanguigno e all’occorrenza irascibile Pio XI che la espresse nella forma: «A pensar male del prossimo si fa peccato ma si indovina».

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I tempi di Pio XI sono tanto differenti da quelli di Francesco I. Ieri come oggi persiste ancora la lotta tra conservatori, progressisti e liberali, tra coloro che aspirano ad avere una poltrona e a coloro che della poltrona fanno mercato.

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La sapienza del Sommo Pontefice Pio XI e dei suoi collaboratori, il più prezioso dei quali, il Cardinale Eugenio Pacelli, fu poi suo successore, pose fine alla Questione Romana e diede modo alla Chiesa di instaurare con l’Italia dei rapporti seri e autentici, una posizione virile che la Chiesa italiana oggi può solo sognare. Infatti all’epoca, i politici del regime fascista, con il braccio armato dei loro picchiatori al seguito, buona parte dei quali di cultura anticlericale, del papato e della Chiesa avevano timore e di conseguenza si comportavano camminando sul filo del rasoio. Oggi invece ci ridono dietro persino giovani politici improvvisati senza arte né parte, comportandosi di conseguenza nei nostri riguardi, tra una risata e l’altra [vedere QUI].

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Laconi, 20 gennaio 2021

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Apprendisti stregoni e pie donne fideiste che impazzano sui social media? Lasciarli al loro triste destino non è mancanza di carità, tutt’altro: è un ordine dato da Gesù Cristo nel Vangelo

— Attualità ecclesiale —

APPRENDISTI STREGONI E PIE DONNE FIDEISTE CHE IMPAZZANO SUI SOCIAL MEDIA? LASCIARLI AL LORO TRISTE DESTINO NON È MANCANZA DI CARITÀ, TUTT’ALTRO: È UN ORDINE DATO DA GESÙ CRISTO NEL VANGELO

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Ormai noi sacerdoti siamo dei veri e propri oncologi che lottano contro il cancro. Affinché la lotta sia efficace è però necessario che i pazienti accettino le nostre indicazioni e cure, che osservino con scrupolo le terapie. Se certi pazienti non ci prestano invece ascolto, rifiutano le nostre cure e ci danno anche degli incompetenti, a quel punto dobbiamo scuotere la polvere dai nostri piedi, per non correre il rischio di avere privato di soccorso, cure e salvezza, chi invece era lì a poca distanza fiducioso e aperto, ad attendere il sacerdote-oncologo come uno straordinario dono di Dio.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Formidabili quegli anni che certe tradizionaliste oggi tanto risognano … formidabili davvero quegli anni in cui alle donne era concesso di parlare in chiesa a testa china, a capo coperto e solo per recitare l’Ave Maria

Anni fa mentre spiegavo il significato di Epifaniaἐπιφανής / επιφάνεια ― un mega-catechista Neocatecumenale mi corresse dicendo che era più esatto parlare di teofania. Appena gli chiesi di spiegare a tutti i presenti il significato di teofania, partì per la tangente con discorsi illogici. Al che replicai: «Che cosa significa teofania?». A quel punto tentai di soccorrerlo: «Partiamo dal termine iniziale θεός, che cosa vuol dire?». E gli spiegai che θεός vuol dire Dio, che posto alla radice di ϑεοϕάνεια significa manifestazione della divinità. Questa la sua reazione: affermò ai presenti che con me non si poteva ragionare in quanto «prete superbo, ostile e chiuso» (!?). Sui rapporti difficili, miei e di numerosi confratelli con i Neocatecumenali, in particolare con i loro mega-catechisti che pensano di poter usare noi sacerdoti come loro dipendenti subalterni, non ho altro da aggiungere, analizzai e scrissi tutto in un libro del 2019 al quale rimando chiunque voglia approfondire il tema [vedere, QUI].

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L’esempio d’apertura è solo uno tra i tanti che mi hanno indotto a prendere atto dopo anni di esperienze che con certe persone e pseudo fedeli cattolici è purtroppo impossibile rapportarsi. Non perché non voglia, ma perché è Cristo che nel Santo Vangelo indica ai discepoli quando lasciar perdere certe persone e situazioni. Cosa che illustrerò nella seconda parte finale di questo articolo, perché prima è necessario partire dall’analisi della tragedia sociale e umana che stiamo vivendo, amplificata a dismisura dai social media che hanno offerto un pulpito a eserciti di imbecilli, come affermò nel 2015 l’ultra laicista Umberto Eco con una sua espressione riportata all’inizio del libro La Chiesa e il coronavirus [cfr. QUI], pubblicato dai Padri de L’Isola di Patmos nell’ottobre 2020:

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«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».

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In questa legione sono racchiusi anche cattolici o sedicenti tali divenuti specialisti nei più complessi rami del sapere teologico. E ciò che da una vita noi approfondiamo, dopo essere stati disciplinati discepoli di maestri che ci hanno trasmessa non solo una formazione, ma soprattutto un metodo di studio, questi personaggi lo hanno invece acquisito tutto su due piedi presso la grande accademia di Facebook, Twitter, Instagram e via dicendo. Queste le innegabili conseguenze: oggi un demente può pubblicare su YouTube un video delirante, visitato da decine di migliaia di persone, nel quale smentisce e insolentisce i più grandi astrofisici del mondo e tutte le scienze esatte dimostrando che in verità la terra non è sferica ma piatta. Poco più avanti segue il video di un altro demente, autonominatosi con un nome di fantasia, ma visitato da oltre centomila utenti, non pochi dei quali pronti a prestare ascolto alle idiozie di questo tale senza volto e identità che smentendo tutti i basilari fondamenti delle scienze cliniche afferma che è importante non vaccinarsi contro il Covid-19, perché nel vaccino i poteri forti mondiali hanno inserito un microchip necessario per tenere l’intera popolazione sotto controllo. Non poteva poi mancare l’estetista arrabbiata perché rimasta disoccupata durante il periodo del lockdown, che forte della sua licenza media e di un attestato conseguito alla fine di un corso trimestrale per truccatrici, sta dando il meglio di sé stessa sui social media aggredendo tutti i più celebri virologi, schiavi manco a dirsi dei poteri forti e delle terribili multinazionali, che tengono occultato come i vaccini abbiano aumentato i casi di autismo. Spiegare all’estetista antivax e ai circa duecentomila utenti che hanno ascoltato il suo video abbeverandosi alle sue colossali scemenze, che la bufala sui vaccini che causano autismo è smentita da anni dalla comunità scientifica mondiale e chi la diffuse finì condannato e radiato dall’albo dei medici per avere prima manipolato e poi falsificato dei dati di ricerca, non sortirà alcun effetto, perché la risposta sarà: «Ma è ovvio, che l’eroico scopritore del rapporto tra vaccini e autismo è stato condannato, i poteri forti e le multinazionali distruggono da sempre chiunque dica la verità». E per molti beoti resterà certo un solo un fatto: l’estetista furibonda poiché rimasta disoccupata durante il lockdown ha ragione e la comunità scientifica mondiale torto, perché schiava dei poteri forti e succube delle multinazionali farmaceutiche.

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Adesso fornisco un paradigma sul quale verrebbe d’istinto da ridere, ma se analizzato per ciò che in realtà cela può indurre solo a piangere. Agli inizi del 2000 una equipe medica spagnola — che risultò poi non essere affatto composta da medici —, con domicilio fiscale nelle Canarie previo rimbalzo nel Granducato di Lussemburgo, si mise a vendere un piccolo apparecchio di trazione da applicare al pene maschile, garantendo un allungamento variante dai 3 ai 5 centimetri. Fu stimato che il piccolo apparecchio aveva un valore a costo di produzione pari a 2,50 euro e un potenziale costo commerciale pari a circa 25/30 euro. Era invece venduto alla stratosferica cifra di 850 euro. Il commercio continuò fin quando numerosi urologi sparsi per tutta Europa si ritrovarono a dover intervenire su non pochi pazienti, principalmente giovani, che facendo uso di questo apparecchio si erano causati gravi danni ai vasi sanguigni, sino a giungere, taluni di essi, a veri e propri danni permanenti. E così partì da vari urologi la segnalazione agli organismi europei di controllo. Se analizziamo il tutto scopriremo che casi di questo genere costituiscono lo specchio dell’uomo del terzo millennio. Un uomo che non credo più in Dio e che rigetta qualsiasi elemento di trascendenza, però crede nella cartomante e negli alieni; non crede più nella scienza e negli uomini di scienza, però crede alle bufale dei terrapiattisti e degli antivaccinisti. L’uomo del terzo millennio è un tecnologico credulone superstizioso capace a farsi fare fesso, o gravemente danneggiare, dal primo gruppo di ciarlatani che gli fanno credere di poter allungare il suo pene di qualche centimetro con un piccolo strumento di trazione. Ipotesi dinanzi alla quale, l’illuminato e razionale uomo del medioevo si sarebbe messo a ridere come un pazzo, mentre semmai Giovanni Boccaccio, da questa assurda ipotesi ne avrebbe tirato fuori un racconto che sarebbe rimasto immortalato nella storia della letteratura per i secoli avvenire. Ma questo è ciò che in fondo si merita l’uomo del Terzo Millennio che non crede più in Dio e che non crede più nella scienza, che rigetta la fede e che disprezza la ragione: si merita solo che il primo truffatore che passa per la strada gli venda un portentoso ritrovato per rendere più lungo il suo organo genitale, mentre il suo cervello è sempre più corto.

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In questo sistema informativo degenerato e ormai fuori controllo, non possono certo mancare eserciti di ignoranti con serie lacune sul Catechismo della Chiesa Cattolica che si sentono legittimati a rigettare i sacerdoti a loro non graditi, totalmente incuranti del mandato da noi ricevuto dalla Chiesa che ci ha istituiti maestri e guide del Popolo di Dio per un Sacramento di grazia istituito da Cristo Dio: il sacerdozio ministeriale.

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Come sempre è necessario ricorrere a esempi per raffigurare la gravità del problema. Mai dimenticherò una persona tanto cara quanto incorreggibile alla quale un giorno, con affetto e amicizia, spiegai che il suo approccio con la mariologia era sbagliato e che non portava alla fede ma al fideismo e al devozionismo, soprattutto per l’importanza conferita ad apparizioni e messaggi mariani, come se fossero elementi fondanti della fede. Con l’affetto di un amico premuroso e di un padre che tiene molto ai figli che Dio gli ha affidato, le spiegai che il mistero della rivelazione non si regge in piedi in virtù delle apparizioni della Madonna di Lourdes e di Fatima, né sui segreti dati ai tre pastorelli, né sui messaggi de La Salette, né sulle rivelazioni o locuzioni date alle Tre Fontane a Bruno Cornacchiola … e soprassiedo sulla «Gospa dei bugiardi», la sedicente Madonna di Medjugorje [vedere mia video lezione, QUI]. La nostra fede si regge sul mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio (cfr. Gv 1, 1-18) e sul mistero della risurrezione di Cristo (cfr. I Cor 15,17), al quale nulla aggiungono, in sostegno o in supporto apparizioni mariane, visioni o locuzioni di mistici e veggenti, ai quali nessun cattolico è assolutamente tenuto a prestare adesione di fede. Detto questo aggiunsi che era poi il caso di smetterla con annunci esasperanti dell’imminente trionfo del cuore immacolato di Maria, perché la Beata Vergine non è la Fata Morgana ma soprattutto perché, nel Simbolo di Fede Niceno-Costantinopolitano, noi professiamo la nostra fede in Cristo Dio che «un giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti», non professiamo la fede nel «definitivo trionfo del cuore immacolato di Maria», con buona pace di certi mariolatri e di alcuni teologi superficiali che forniscono insussistenti pezze d’appoggio alle esaltazioni di questi fanatici della mariologia magico-pagana fai-da-te. Dato però che il fideista non potrebbe essere mai tale se fosse carente dei due presupposti fondanti che sono la cecità e l’arroganza, per tutta risposta l’amica pia donna mi replicò che lei studiava da trent’anni l’opera di San Luigi Maria Grignion de Montfort e che sapeva molto bene quel che diceva. E chiarito questo mi rivolse il perentorio invito a studiare il trattato sulla vera devozione a Maria e a imparare che cosa fosse veramente la mariologia (!?).

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La vita di noi sacerdoti e teologi è ormai costellata da fatti di questo genere. Sia chiaro, certe offese e umiliazioni non le viviamo come “attentati di lesa maestà”, ma come dei drammatici fallimenti ecclesiali che non possono essere sempre imputati ai vescovi e a noi loro presbiteri «non più capaci» ― a severo parere d’accusa di queste persone ― «di evangelizzare». Gettata ogni colpa su vescovi e presbiteri, nessuno intende però fare i conti con una grave e terribile realtà dalla quale certi critici impietosi fuggono, perché è la realtà che tocca loro in prima persona, questa: il numero di fedeli che non intendono essere in alcun modo evangelizzati e formati è sempre più alto, tanto che noi sacerdoti non ce la facciamo più ad avere rapporti con una accozzaglia di non meglio precisati cattolici capaci ad ascoltare solo se stessi e le loro ragioni gravemente errate mutate in verità universali indiscutibili. E a ogni ragionevole richiamo da parte di noi loro pastori, maestri e guide, eccoli reagire prontamente in modo sempre più aggressivo e insultante, rigettandoci come pastori, maestri e guide.

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La cara amica usata poc’anzi come paradigma, che poco o niente ha capito della mariologia ma che pur malgrado m’invitò a studiare i fondamenti stessi della teologia, è una di quelle numerose persone che si struggono pensando ai tempi che furono, che divinizzano il Messale Santissimo di San Pio V e che citano a ogni piè sospinto le profezie della Beata Katharina Emmerick. E anche in questo a nulla è mai valso ricordare a questo genere di fideisti allo sbando che la Chiesa ha sì beatificata la Emmerick, ma non ha mai riconosciute autentiche le sue cosiddette profezie, che tali quindi non sono. Pur malgrado sono invece autentiche fuor di dubbio per certe persone, poiché racchiudono una frase che da sempre manda tutti costoro in visibilio; una frase di fronte alla quale tutti i grandi Profeti d’Israele, a confronto della Emmerick, divengono davvero robetta da quattro soldi, stracci gettati sulla bancarella del mercatino dell’usato. Ecco la frase magica nella quale, a parere di questi soggetti, si farebbe un chiaro riferimento a una “strana Messa”, cosa che evincono da queste parole scritte non dalla Beata ma dal redattore Clemens Brentano nel testo molto romanzato delle sedicenti profezie: «La Messa era breve e il Vangelo di San Giovanni non veniva letto alla fine». Ciò basta a certe agguerrite pie donne per ritenere di avere non una pezza, ma una vera e propria ancora per attaccare a questo modo l’intera riforma liturgica e gli errori a loro dire contenuti in un concilio, il Vaticano II, che indubbiamente è pastorale e non dogmatico, volendo anche non perfetto. Questo però possiamo dirlo noi studiosi in grado di speculare e fare ricerca approfondita con la dovuta preparazione e il corretto metodo scientifico e collocando il tutto, tanto per cominciare, nel suo corretto contesto storico e socio-ecclesiale. Noi studiosi abbiamo impiegato anni e anni per imparare anzitutto a leggere i documenti del Concilio Vaticano II, peraltro lunghi, articolati, complessi, ridondanti sociologismi e non pochi passaggi ambigui che hanno richiesto, nei decenni successivi, precisazioni e documenti chiarificatori di vario genere, ultima in ordine di serie la Dichiarazione Dominus Jesus del 2000.

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Adesso prestate attenzione a un dato di fatto non passibile di smentita, perché è molto importante: le persone che rigettano la nostra autorità pastorale di guide e maestri istituiti del Popolo di Dio, paradossalmente sono le stesse che sognano i tempi passati e la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale di San Pio V in uso dal 1571 sino alla promulgazione del nuovo Messale riformato da San Paolo VI nel 1969. E queste persone, con una disinvoltura equiparabile alla loro ignoranza, parlano della santità del Concilio di Trento e per inverso della problematicità del Concilio Vaticano II, il tutto con lo stile del superficiale che afferma meglio il mare della montagna o viceversa. Purtroppo dimenticano però che il Concilio di Trento era a tal punto santo e santissimo che a distanza di due e tre secoli dalla sua chiusura, alcuni dei canoni fondamentali non erano stati ancora applicati, altro che le problematicità del post concilio Vaticano II! E quando nel 1869 si giunse alla convocazione del Concilio Vaticano I, decine di Padri riuniti nell’assise si dissero sconsolati tra di loro: «… ma come, dopo oltre tre secoli dalla chiusura del Concilio di Trento, adesso se ne convoca uno nuovo senza che i canoni del precedente siano stati fedelmente applicati?». Però, quello tridentino, a parere delle pie donne che invitano sacerdoti e teologi a studiare in attesa del definitivo trionfo del cuore immacolato di Maria, era un concilio santo, santissimo, in una Chiesa in cui tutto era devozione, misticismo, trascendenza, adorazione …

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Inutile a precisarsi, sebbene lo faccia: i sostenitori di queste tesi peregrine, come ormai avrete capito sono perlopiù donne, perché solo la psicologia femminile, quando si mette all’opera, riesce a giungere, attraverso le passioni e le emozioni irrazionali, ai peggiori rifiuti della realtà. Si sappia dunque che purtroppo, richiamare queste emotive pie donne alla ragione, è solo tempo perso e fiato sprecato. Più volte, per quanto inutilmente, ho cercato di spiegar loro delle innegabili evidenze coi dati  storici alla mano, per esempio domandando: quando nei felici tempi da voi tanto decantati il sacerdote bisbigliava coram Deo in “divino” latino sulle parole del Messale santissimo di San Pio V, avete idea di che cosa sarebbe accaduto se qualche “femmina impazzita” avesse osato proferire solo mezzo gemito di dissenso nei riguardi di un giovane sacerdote di 25 anni consacrato il mese prima e inviato dal vescovo come vice parroco in una parrocchia? Ve lo spiego subito, o pie donne che vi siete inventate un passato che non è mai esistito, che cosa sarebbe accaduto, questo: l’anziano parroco, con due paterne sberle vi avrebbe rimesse a tre metri di distanza oltre la balaustra dell’altare, ricordandovi che il vostro posto era lì, a capo chino, con il velo di trina in testa e la corona del rosario in mano. Dopodiché, i vostri padri e mariti, vi avrebbero dato la rimanente dose per avere osato muovere contestazioni all’ultimo giovane sacerdote della diocesi appena consacrato e inviato dal vescovo come vice parroco.

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Avete capito, o mie dilette pie donne, impegnate oggi a dare addosso a vescovi e sacerdoti, ma soprattutto a rimbrottare il Romano Pontefice come uno scolaretto discolo ogni volta che osa aprire bocca e fare un sospiro? Devo spiegarvelo io, che cosa vi sarebbe accaduto se aveste osato investire di pesanti critiche il Sommo Pontefice Pio X alla maniera in cui oggi aggredite il Pontefice regnante? Sarebbe accaduto che non si sarebbero dovuti scomodare nemmeno i preti, perché i fedeli, in particolare proprio le donne, la domenica successiva non vi avrebbero fatto avvicinare neppure al sagrato della chiesa. Questo sarebbe accaduto: vi avrebbero ricordato che il vostro ruolo dentro la Chiesa era di spazzare il pavimento, di lucidare i candelieri, di lavare e di inamidare le tovaglie dell’altare, non certo di ergervi a supremi giudici del Pontefice regnante, della Conferenza Episcopale, dei sacerdoti e dei teologi. Perché nulla di questo, vi sarebbe mai stato concesso nelle epoche in cui vigeva il Messale santissimo di San Pio V e i canoni dell’altrettanto santissimo Concilio di Trento. Perché quando erano in vigore sia l’uno che l’altro, a voi, o mie care pie donne oggi scatenate, non sarebbe stato neppure concesso di cantare dentro le chiese, perché nei cori le voci femminili non erano ammesse, in quei tempi meravigliosi che furono e che tanto oggi voi risognate. E se alle donne non era concesso neppure di cantare inni sacri nei cori, pensate forse che sarebbe mai stato loro concesso di sollevare critiche, accuse e contumelie contro vescovi, presbiteri e teologi, sempre nei tempi da voi tanto risognati nei quali vigeva il santissimo Messale di San Pio V e i canoni santissimi del Concilio di Trento, mentre Clemens Brentano faceva piagnucolare alla Beata Katharina Emmerick di vedere nel futuro … una strana Messa?

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Oggi, questo esercito di pinzochere impazza sui blog e i gruppi di social media dove si fanno le pulci a sacerdoti con decenni di ministero pastorale alle spalle e a teologi con una vita consumata di studi e di ricerca. E tra una critica feroce e l’altra, le pinzochere biascica-rosari inneggiano con tifoseria da lavatoio al dogma di Maria corredentrice, pensando che fare teologia dogmatica sia come preparare le tagliatelle di Nonna Pina.

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La tragedia di queste persone – perché di tragedia si tratta – è che non hanno mai avuto guide e maestri. Però presumono di poter affrontare da autodidatti testi complessi della dottrina e del Magistero della Chiesa, parlando di dogmi con la stessa disinvoltura con la quale la parrucchiera parla del più e del meno con la cliente durante l’acconciatura. È a questo modo che nascono i pericolosi apprendisti stregoni, caratteristica dei quali è che di sacerdoti ne conoscono anche molti, però, se come ho fatto io con analitico metodo scientifico, indaghiamo in modo approfondito, parlando anzitutto con i vari confratelli, scopriremo in che modo queste persone non sono mai riuscite a stabilire un serio rapporto con un solo pastore in cura d’anime, o con un sacerdote teologo. E in ogni parrocchia dove sono state, hanno sempre e di rigore creato problemi finendo per avere conflitti con il parroco e tutti i suoi collaboratori. I miei confratelli, specie i sacerdoti teologi, testimoniano in che modo queste pie donne, sempre e di prassi, a un certo punto entrano in conflitto con il sacerdote teologo. Perché non possono fare a meno di sparare le loro assurde scemenze, per esempio citando a sproposito brani de-contestualizzati e mal compresi tratti dai Santi Padri della Chiesa, come se, tra le varie materie molto complesse, la patrologia fosse uno scherzo per dilettanti che si dedicano a hobby ricreativi. Per inciso: alcuni anni fa, uno dei miei formatori, che a suo tempo fu mio maestro di patrologia, quando compì ottant’anni mi disse che in mezzo secolo di ricerche era riuscito a studiare i Padri Cappadoci del IV secolo, che sono quattro e che merita ricordare: Sant’Efrem il Siro (306-373), San Basilio Magno (330-379), San Gregorio Nazianzieno (329-390), San Gregorio di Nissa (335-394). Ciò al contrario della pia donna che, rinvenuto su una bancarella dell’usato un libriccino devozionale ingiallito intitolato Raccolta dei pensieri dei Padri della Chiesa, incomincia a sparare idiozie a raffica dopo avere conseguita la specializzazione in patrologia lungo il tratto di strada che la portava dal mercatino di Porta Portese alla tastiera del suo computer. Ovviamente ignara che, solo per inquadrare sul piano storico e teologico la complessa vicenda di San Massimo il Confessore, occorre studiare per qualche anno quello che fu il panorama molto complesso e ingarbugliato delle politiche di Oriente e Occidente, dei conflitti tra Roma e Bisanzio. È necessario conoscere a menadito i primi cinque concili della Chiesa e le relative definizioni dogmatiche date e in seguito integrate o ribadite nel I Concilio di Nicea, nel I Concilio di Costantinopoli, nel Concilio di Calcedonia, nel II Concilio di Costantinopoli. Purtroppo invece, la persona spudorata, ossia priva del minimo comune senso del pudore, come Maga Amelia che maneggia un portentoso manuale di alchimia, comincia a sparare a raffica … «I Padri della Chiesa dicono che … ah, non si discute: lo dicono i Padri della Chiesa, è scritto nero su bianco!». E se vai a spiegarle che i Padri della Chiesa non dicono proprio ciò che lei ha frainteso sia sul nero che sul bianco, a quel punto, la pia donna, ti risponderà di studiare la patrologia, proprio come ha fatto lei cercando notizie sui Padri Cappadoci in mezza giornata su Wikipedia.

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Una volta, per accedere a certi documenti, bisognava fare ricerche di archivio o procurarsi libri con le raccolte pubblicate. Oggi basta invece andare sul sito ufficiale della Santa Sede e accedere a tutti i documenti e gli atti di magistero disponibili a partire dagli inizi dell’Ottocento. E così, ogni pia donna e ogni apprendista stregone è divenuto ben presto un grande ricercatore. Ecco quindi nata la piaga degli apprendisti stregoni copiaincollatori e soprattutto delle pie donne copiaincollatrici professioniste. Il tutto con questi risultati: encicliche dei primi decenni dell’Ottocento, di taglio socio-politico e strettamente rivolte a una realtà socio-pastorale dell’epoca che oggi non esiste più, scisse del tutto dalla complessa e articolata storia d’Italia e d’Europa di quei tempi, sono fraintese, abusate e fatte passare come dogmi di fede in quanto «… eh, sono sommo magistero!». Inutile a dirsi: qualsiasi teologo dogmatico o storico del dogma, dinanzi a cose del genere, se di buon umore si metterà a ridere, però, se la pia donna insiste e arriva persino a lanciare la fatidica frase: «Lei non conosce i documenti del magistero, quindi sarà bene che se li studi», inevitabilmente il teologo s’imbestialisce, sentendosi trattare da scolaretto asino da una povera demente copiaincollatrice che i testi non sa proprio neppure aprirli e leggerli. A quel punto il sacerdote teologo, giustamente toglierà il saluto all’arrogante pia donna, perché l’insulto non è un diritto e perché ricevere insulti non è un dovere né tanto meno un vincolo di carità cristiana.

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Soprassediamo poi sul povero San Tommaso d’Aquino, che piace terribilmente a chi non lo conosce e che neppure saprebbe da dove cominciare a leggere una sua quaestio. Eppure pensano di poterlo usare e abusare come se l’Aquinate fosse una confezione di pillole omeopatiche allo zucchero di canna e gambi di ananas essiccati. A queste persone ammalate in parte di ignoranza e in parte di fissismo, ancorate a un passato mai esistito che non deve passare e che considerano San Tommaso d’Aquino la … punta di diamante del cosiddetto e impropriamente detto tradizionalismo contemporaneo, chi è che glielo spiega a quali livelli, il Doctor Angelicus, fu una mente, diremmo oggi, profondamente progressista, audace e innovativa sul piano filosofico e teologico speculativo? Se San Tommaso d’Aquino dovesse essere definito con categorie improprie, ma oggi di uso corrente, andrebbe collocato nelle correnti dell’ultra-progressismo. A quel punto, il buon sacerdote e teologo, sulle prime cercherà di accettare il tutto come prova e salutare lezione di umiltà, nonché come sfida pastorale, sentendosi in dovere di chiarire all’errante, ossia all’apprendista stregone ma soprattutto alla battagliera pia donna, come e perché è in errore, come e perché è una approssimativa, come e perché non è in grado di citare correttamente San Tommaso d’Aquino, come e perché essendo priva di metodo speculativo e basi filosofico-teologiche non è in grado di leggere certi documenti del magistero ma solo di fraintenderli e di indurre all’errore chi la ascolta o la legge sui social media … però, se fatto questo con cuore pastorale e teologica dedizione, la pia donna non trova di meglio da fare che dire a un esperto teologo che le cose non stanno come dice lui, citando a supporto delle sue scemenze passi della dottrina cattolica fraintesi e del magistero della Chiesa non compresi, per poi concludere – come accaduto a me e altri miei confratelli – con l’invito a studiare bene certe materie, ecco che a quel punto, non la rabbia, bensì proprio la più squisita carità cristiana, impone di mandare la pia donna a quel paese, nella speranza che a questo modo possa capire che insultare non è un diritto e che ricevere insulti non è affatto un dovere al quale nessun sacerdote e nessuno teologo deve sottostare.

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Qualsiasi vescovo o autorità ecclesiastica assisa nel mondo dell’irreale che volesse conoscere le realtà frustranti e umilianti che i loro sacerdoti e teologi vivono di giorno in giorno, basterebbe si dedicasse un po’ di più ai presbiteri e un po’ di meno ai galeotti musulmani fuoriusciti dalle carceri tunisine e accolti dalle Caritas delle nostre diocesi come se fossero veramente profughi fuggiti dalla fame, dalle guerre e dalle carestie. Chi poi vuole saperne di più su questo tema, non deve far altro che leggersi il mio ultimo libro: L’aspirina dell’Islam moderato [vedere, QUI].

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Non solo apprendisti stregoni e pie donne hanno perduto il lume della ragione, perché c’è di peggio: non lo vogliono neppure ritrovare e, se qualcuno cerca di farglielo recuperare, reagiscono con aggressioni e insulti su quell’incontrollabile sfogatoio che sono i social media, dove – per tornare alla battuta di Umberto Eco – anche l’ultimo degli imbecilli ha lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. O forse peggio, aggiungo io, perché un sostenitore della teoria che la terra è piatta e non sferica, avrà molto più seguito e ascolti su YouTube di quanti mai ne avrà una lezione sulla fisica delle particelle sub-atomiche ideata appositamente in modo comprensibile per il grande pubblico dal Prof. Antonino Zichichi.

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Accettare la mortificazione ed esercitare la virtù dell’umiltà, non vuol dire però mortificare l’intelligenza e la sapienza, che sono doni di grazia dello Spirito Santo, sopra i quali nessuna pia donna è autorizzata a pulirsi le scarpe come su di uno zerbino, perché in quel caso sarebbe davvero opportuno ridarle immediatamente il tempo che tanto sogna e sospira di blog in blog, quindi mollarle due sberle, farla rimbalzare tre metri oltre la balaustra con il velo di trina in testa e la corona del rosario in mano, previo perentorio invito: «Qua dentro puoi aprire bocca solo per rispondere con l’altra metà conclusiva della preghiera: … ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae, amen!».

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Siamo partiti a titolo di esempio dalla mariologia, molti altri ne avrei potuti portare di esempi, a partire dalle scienze bibliche per seguire poi con i Vangeli sinottici, passando per la dogmatica e la metafisica per proseguire con la teologia sacramentaria, la morale, il diritto canonico … tutte specialità per le quali abbondando sui social media specialisti – ma soprattutto specialiste – pronti a dare non solo lezioni a noi sacerdoti e teologi, ma all’occorrenza affibbiandoci persino patenti di scarsa ortodossia, se non peggio di eresia. Ma restiamo sull’esempio iniziale di partenza: la mariologia. Se infatti di mariologia vogliano parlare per davvero e sul serio, con me si può fare a partire dal suo arcano fondante: Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν (Gv 1, 14) Ovviamente, agli specialisti vari che dicono di studiare da lunghi anni i trattati devozionali, è necessario per prima cosa chiarire e tradurre che stiamo a parlare del mistero del Verbo che si è fatto carne, fornendo a tal fine la apposita traduzione letterale di Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν: «Il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». 

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Certo, sarebbe interessante domandare poi, a siffatti specialisti, come mai il testo del Beato Apostolo Giovanni usa il termine greco σὰρξ, per indicare la carne. Questo termine indica infatti la fragilità dell’uomo debole e mortale, ed è invero impressionante che proprio il Logos, persona divina generata in Dio, si faccia σὰρξ.

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Da qui si può incominciare a parlare seriamente di mariologia, non certo dai trattati devozionali del Montfort, che dinanzi al Prologo del Vangelo di Giovanni lascia davvero il tempo che trova, con tutto il rispetto per il Santo in questione. Perché la mariologia non è altro che una appendice alla cristologia, al mistero del Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο, della incarnazione del Verbo di Dio. È nella incarnazione del Verbo che sono racchiusi tutti e quattro i dogmi mariani: Maria madre di Dio, la sua perpetua verginità, la sua immacolata concezione, la sua assunzione al cielo. Tutto quanto è racchiuso nel mistero del Verbo, perché, piaccia o meno a certi fideisti mariolatri, la Beata Vergine è racchiusa nel mistero di Cristo Dio, che è generato non creato della stessa sostanza del Padre, mentre invece, Maria, è una creatura creata e generata e, per quanto preservata dal peccato originale, non è la Quarta Persona della Santissima Trinità, se non addirittura la prima, come di fatto certuni vorrebbero farla passare. Mettere quindi sullo stesso piano Cristo Dio e la Beata Vergine, o insistere in modo ossessivo-compulsivo sul termine-feticcio di corredentrice, che da sempre crea enormi problemi alla cristologia e al mistero del Verbo di Dio, se non fosse frutto ed espressione di fideismo ignorante, sarebbe bestemmia, sarebbe autentica blasfemia, idolatria pagana. E chi lo spiega, a queste povere e arroganti persone, che la Beata Vergine non ha dato vita a Dio, ma ha dato vita a Dio che si è fatto uomo? Perché molti non hanno proprio chiaro il concetto basilare di Madre di Dio, quindi che cosa realmente sia la divina maternità di Maria, che è madre di Dio che si è fatto uomo.

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Con la mariologia abbiamo iniziato e con la mariologia siamo giunti alla conclusione, che poi è il cuore di questo discorso profondamente addolorato fatto da un credente, da un sacerdote e da un teologo costretto a sperimentare, come molti altri confratelli, il senso di totale impotenza dinanzi a questo esercito di arroganti e non meglio precisati cattolici. Cosa può e deve fare, dinanzi a queste realtà, il sacerdote e il teologo? Può forse abbandonare l’errante all’errore. Come agire, in coscienza, ma soprattutto in conformità al nostro sacro ministero, memori del terribile monito a noi rivolto: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più»? (Lc 12, 48).

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La risposta ce la dà Cristo Dio attraverso quest’altro monito: «In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città» (Mt 10, 11-15).

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Questo mio lungo articolo, a chi proprio non l’avesse capito, incluso un esercito di vescovi che oggi trepidano con piaggeria per i migranti, mostrando ben poco interesse per la cura dei loro presbiteri, è una mia risposta data a tutti i confratelli che giorno dietro giorni mi parlano delle loro difficoltà sempre più grandi nei rapporti con un alto numero di non meglio precisati fedeli sempre più ipercritici, aggressivi e offensivi, incancreniti nell’errore e fieri del proprio errore.

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A un mio confratello di quasi settant’anni che vive molte delle situazioni qui illustrate, di recente risposi: «Se non ricordo male ogni domenica tu, alle soglie del tuo settantesimo compleanno, devi celebrare la Santa Messa in tre parrocchie, nelle quali sino a mezzo secolo fa c’era in tutte quante un parroco, nell’immediato dopoguerra c’era anche il parroco e il vice parroco. A fronte di questa situazione, pensi di avere tempo da perdere con chi non ascolta, non vuole ascoltare e non accetta alcuna correzione dall’errore?». E detto questo ho seguitato a dire: «Ormai, noi sacerdoti siamo dei veri e propri oncologi che lottano contro il cancro. Affinché la lotta sia efficace è però necessario che i pazienti accettino le nostre indicazioni e cure, che osservino con scrupolo le terapie. Se certi pazienti non ci prestano invece ascolto, rifiutano le nostre cure e ci danno anche degli incompetenti, a quel punto dobbiamo scuotere la polvere dai nostri piedi, per non correre il rischio di avere privato di soccorso, cure e salvezza, chi invece era lì a poca distanza fiducioso e aperto, ad attendere il sacerdote-oncologo come uno straordinario dono di Dio.

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Per questo invito i miei confratelli addolorati a seguire il mio esempio, che con l’inizio del nuovo anno ho chiuso ogni genere di rapporto e relazione con apprendisti stregoni, pie donne impazzite masticatrici di rosari col complesso della sedes sapientiae e via dicendo. Sono troppo impegnato a curare i Christi fideles dal cancro della decadenza e del peccato, per perdere tempo prezioso con chi afferma che il cancro si cura con l’omeopatia, o che basta solo attendere l’imminente trionfo del cuore immacolato di Maria che discendendo dal cielo come la Fata Turchina sistemerà tutto con due colpi di bacchetta magica. Privandomi felicemente di qualsiasi rapporto con queste persone, non ho agito con mancanza di carità, ma proprio perché consapevole di quanto oggi, delle guide e dei maestri siano più che mai preziosi. Non voglio avere a che fare con certa gente perché Cristo Dio ci ammonisce: «Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con i piedi e poi si rivoltino per sbranarvi» (Mt 7, 6). 

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Questo è ciò che da mesi vado ormai rispondendo e ripetendo a molti miei confratelli sofferenti a causa delle opere e delle parole di apprendisti stregoni e di incorreggibili pie donne impazzite: lasciateli al loro impazzimento. Certo, le nostre porte e i nostri cuori di pastori sono sempre aperte, senza permali e rancori, come il buon padre della parabola del figliol prodigo, purché queste persone accettino di essere corrette dai propri errori, perché in caso contrario sarebbe il tipico tempo perso del parlar tra sordi. E oggi, noi sacerdoti e noi teologi, tutto possiamo permetterci in questa delicatissima fase storica fuorché di perdere tempo con i ciechi e con i sordi.

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dall’Isola di Patmos, 7 gennaio 2021

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Il Natale di Cristo e l’Epifania della fede e della ragione, oltre le nubi dell’irrazionalismo, del cieco fideismo e devozionismo

—  Attualità ecclesiale —

IL NATALE DI CRISTO E L’EPIFANIA DELLA FEDE E DELLA RAGIONE, OLTRE LE NUBI DELL’IRRAZIONALISMO, DEL CIECO FIDEISMO E DEVOZIONISMO

Se il Natale è il tempo del Logos che si incarna, allora nell’Incarnazione Dio Eterno assume tutta la natura umana, temporanea: e assume anche la ragione umana che rielabora concetti in un ragionamento discorsivo e nel tempo, sino a divenire manifesto nell’Epifania, che significa appunto “rendersi manifesto”. Ecco allora che nella ragione umana risiede la ricerca filosofica, la ricerca storica, la ricerca scientifica … insomma una ricerca della verità immanente che va di pari passo con la ricerca di una verità trascendente che riguarda la fede, ed entrambe possono farsi cammini di santità.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Il Vangelo di San Matteo racchiude questo racconto:

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«Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”» [Mt 2, 2].

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Non abbiamo bisogno di ulteriori conferme che questo periodo di pandemia sia davvero denso di incertezza. Mentre scrivo questo articolo, cari Lettori de L’Isola di Patmos, su Roma si sono addensati nuvoloni neri e secchiate di pioggia travolgono la Capitale. La luce si intravede appena, fra le nuvole. Ecco come il tempo atmosferico può esprimere lo stato d’animo di molti, tanto che il 2020 è stato denominato dal Censis quale anno della paura nera per gli italiani [1].

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Questa paura ha generato delle reazioni di chiusura, di irrazionalismo e di fideismo senza precedenti; sicuramente senza precedenti nei tempi moderni. Recentemente ho letto su Facebook l’idea per la quale il Sacramento del battesimo donerebbe una sorta di immortalità indefinita, perché renderebbe per sempre legati al Verbo Incarnato Immortale. Dunque, proseguiva nei commenti la mia amica facebooker, affermando che di fronte a un ignobile microrganismo, un virus così sciocco, perché avere paura? Perché chiudersi dentro casa? Perché far gettare un anno di vita a tutti gli “immortali” gesuani?

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Onestamente ho sorriso leggendo queste argomentazioni. Ho pensato che dovevo intervenire subito spiegando la differenza fra l’unione ipostatica della natura umana di Cristo con la persona divina (per cui Cristo è una persona e due nature), e il nostro essere incorporati in Lui nel Battesimo, anche noi con la natura umana. In questo secondo caso, infatti, esattamente come la natura di Gesù era passibile di sofferenze, malattie, dolori, vissuti peraltro nella Passione anche noi benché battezzati lo siamo. Il carattere sacramentale battesimale non ci fa da scudo alle malattie e la serenità, l’affidamento a Dio che dobbiamo avere in quanto battezzati non esclude, anzi include la nostra azione morale di prudenza e di speranza. La nostra responsabilità nel proteggere i fragili [2].

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Immediatamente però mi sono fermato dal rispondere. Perché bisognava andare alla radice della questione. Non entrare subito negli approfondimenti teologici. Cosa della quale desidero invece parlare adesso. La radice consiste infatti nell’atteggiamento interiore. Anzitutto avere l’atteggiamento di ricerca, di approfondimento, di apertura mentale dei Magi. Che cercavano Gesù seguendo una stella e chiedevano a tutti dove fosse il re dei Giudei appena nato. Riguardo l’Epifania scrive in una sua opera il Venerabile Pontefice Benedetto XVI:

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«Potevano concorrere diversi fattori per far percepire nel linguaggio della stella un messaggio di speranza. Ma tutto ciò poteva mettere in cammino soltanto chi era uomo di una certa inquietudine interiore, uomo di speranza, alla ricerca della vera stella della salvezza. Gli uomini di cui parla Matteo non erano soltanto astronomi. Erano sapienti: rappresentavano la dinamica dell’andare al di là da sé […] si trovano al seguito di Socrate e del suo interrogarsi, al di là della religione ufficiale, circa la verità più grande. In tale senso, questi uomini sono dei predecessori, dei precursori, dei ricercatori della verità, che riguardano i tempi»[3]

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Questo atteggiamento di ricerca della verità è lo stesso tempo di Natale che lo domanda. Se il Natale è il tempo del Logos che si incarna, allora nell’Incarnazione Dio Eterno assume tutta la natura umana, temporanea: e assume anche la ragione umana che rielabora concetti in un ragionamento discorsivo e nel tempo, sino a divenire manifesto nell’Epifania, che significa appunto “rendersi manifesto”. Ecco allora che nella ragione umana risiede la ricerca filosofica, la ricerca storica, la ricerca scientifica … insomma una ricerca della verità immanente che va di pari passo con la ricerca di una verità trascendente che riguarda la fede, ed entrambe possono farsi cammini di santità.

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Scrive in un suo recente articolo Giovanni Covino:

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«Proprio perché anche l’intelligenza può presentarsi come “via alla santità”, la Chiesa, con il suo costante insegnamento di Madre, ha sempre tenuto in gran conto la ricerca scientifica e la possibilità di coniugare questa con la fede – come recita l’ormai famoso incipit della Lettera enciclica Fides et ratio: “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su sé stesso”» [4].

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Entrando in quest’ottica di epistemologia duale, teologica e filosofico – scientifica, davvero l’uomo eleva tutta la propria persona. Perché è in grado di entrare in uno sguardo duplice: oggettivo sul reale, in grado di ricostruire il dato documentale davanti a sé mediante il linguaggio tecnico della scienza. Al tempo stesso, di leggere dentro questi dati, in modo contemplativo l’azione eterna di Dio. Lo sguardo contemplativo sul dato reale è fondamentale oggi, specialmente in tempo di pandemia, che altrimenti risulterebbe essere solo una crisi sanitaria senza orizzonte di senso.

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Su questa stessa linea di pensiero si muove la ricerca dell’amico scrittore Adriano Virgili, di cui segnalo l’opera: La resurrezione di Gesù. Un’indagine. Si tratta appunto di una ricerca storico-scientifica sul dato della fede in Gesù Cristo, nella quale l’Autore ― come scrive Alessandra Fusco in una sua recensione [cfr. QUI] ― segue pedissequamente la via della ragione, non quella della cieca fede. Proprio come avrebbe fatto Sherlock Holmes segue la strada della logica, ci presenta il Gesù storico e gli apostoli, soppesa tutte le ipotesi alternative alla Risurrezione: può essere stato un complotto degli apostoli? Il risorto era forse un sosia? È stata tutta una finzione? E le smonta una a una affidandosi alla ragione. E in questo modo ci mostra che non esiste nessun’altra realtà e che l’unica ipotesi plausibile è proprio quella professata da tutti noi cristiani: Cristo è risorto veramente!

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Il Mistero del Natale, tra fede e ragione, sino alla manifestazione nella Epifania, va sempre contemplato in relazione a quello della Pasqua. Non esiste l’uno senza l’altro. Sono misteri interconnessi, sebbene fuori dal tempo. Si vive bene la Pasqua se iniziamo a vivere bene il Natale, questo Natale 2020, al quale segue quella manifestazione visibile della divinità che si esprime nella Epifania. Questo nonostante tutto e nonostante tutti.

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Riscoprire l’interconnessione fra fede e ragione diventa quindi necessario ed è il compito che possiamo prenderci dinanzi al Verbo di Dio incarnato che rende visibile con l’Epifania la propria divinità.

Il libro di Adriano Virgili, che vi consiglio in lettura, potete ordinarlo QUI.

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«Gesù dolce, Gesù amore» [Santa Caterina da Siena]

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Roma, 6 gennaio 2021

Epifania del Signore Gesù

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NOTE

[1] 54° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2020, pp 1 – 9. Disponibile su https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/Sintesi_la_societ%C3%A0_italiana_2020.pdf ultimo accesso: 06 dicembre 2020 ore 9.51.

[2] Ne ho parlato esplicitamente in questi video, che ho girato durante il Lockdown di marzo – aprile. https://www.youtube.com/playlist?list=PLSp8F3ofKmT9USoW-J5NZPSs4dLsfsNnW

[3] J. Ratzinger – Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù [Rizzoli, Libreria Editrice Vaticana, 2012, 111 – 112].

[4] Giovanni Covino, Covid 19: Ricerca e Santità in tempo di pandemia [cfr. QUI]   

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