Apprendisti stregoni e pie donne fideiste che impazzano sui social media? Lasciarli al loro triste destino non è mancanza di carità, tutt’altro: è un ordine dato da Gesù Cristo nel Vangelo

— Attualità ecclesiale —

APPRENDISTI STREGONI E PIE DONNE FIDEISTE CHE IMPAZZANO SUI SOCIAL MEDIA? LASCIARLI AL LORO TRISTE DESTINO NON È MANCANZA DI CARITÀ, TUTT’ALTRO: È UN ORDINE DATO DA GESÙ CRISTO NEL VANGELO

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Ormai noi sacerdoti siamo dei veri e propri oncologi che lottano contro il cancro. Affinché la lotta sia efficace è però necessario che i pazienti accettino le nostre indicazioni e cure, che osservino con scrupolo le terapie. Se certi pazienti non ci prestano invece ascolto, rifiutano le nostre cure e ci danno anche degli incompetenti, a quel punto dobbiamo scuotere la polvere dai nostri piedi, per non correre il rischio di avere privato di soccorso, cure e salvezza, chi invece era lì a poca distanza fiducioso e aperto, ad attendere il sacerdote-oncologo come uno straordinario dono di Dio.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Formidabili quegli anni che certe tradizionaliste oggi tanto risognano … formidabili davvero quegli anni in cui alle donne era concesso di parlare in chiesa a testa china, a capo coperto e solo per recitare l’Ave Maria

Anni fa mentre spiegavo il significato di Epifaniaἐπιφανής / επιφάνεια ― un mega-catechista Neocatecumenale mi corresse dicendo che era più esatto parlare di teofania. Appena gli chiesi di spiegare a tutti i presenti il significato di teofania, partì per la tangente con discorsi illogici. Al che replicai: «Che cosa significa teofania?». A quel punto tentai di soccorrerlo: «Partiamo dal termine iniziale θεός, che cosa vuol dire?». E gli spiegai che θεός vuol dire Dio, che posto alla radice di ϑεοϕάνεια significa manifestazione della divinità. Questa la sua reazione: affermò ai presenti che con me non si poteva ragionare in quanto «prete superbo, ostile e chiuso» (!?). Sui rapporti difficili, miei e di numerosi confratelli con i Neocatecumenali, in particolare con i loro mega-catechisti che pensano di poter usare noi sacerdoti come loro dipendenti subalterni, non ho altro da aggiungere, analizzai e scrissi tutto in un libro del 2019 al quale rimando chiunque voglia approfondire il tema [vedere, QUI].

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L’esempio d’apertura è solo uno tra i tanti che mi hanno indotto a prendere atto dopo anni di esperienze che con certe persone e pseudo fedeli cattolici è purtroppo impossibile rapportarsi. Non perché non voglia, ma perché è Cristo che nel Santo Vangelo indica ai discepoli quando lasciar perdere certe persone e situazioni. Cosa che illustrerò nella seconda parte finale di questo articolo, perché prima è necessario partire dall’analisi della tragedia sociale e umana che stiamo vivendo, amplificata a dismisura dai social media che hanno offerto un pulpito a eserciti di imbecilli, come affermò nel 2015 l’ultra laicista Umberto Eco con una sua espressione riportata all’inizio del libro La Chiesa e il coronavirus [cfr. QUI], pubblicato dai Padri de L’Isola di Patmos nell’ottobre 2020:

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«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».

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In questa legione sono racchiusi anche cattolici o sedicenti tali divenuti specialisti nei più complessi rami del sapere teologico. E ciò che da una vita noi approfondiamo, dopo essere stati disciplinati discepoli di maestri che ci hanno trasmessa non solo una formazione, ma soprattutto un metodo di studio, questi personaggi lo hanno invece acquisito tutto su due piedi presso la grande accademia di Facebook, Twitter, Instagram e via dicendo. Queste le innegabili conseguenze: oggi un demente può pubblicare su YouTube un video delirante, visitato da decine di migliaia di persone, nel quale smentisce e insolentisce i più grandi astrofisici del mondo e tutte le scienze esatte dimostrando che in verità la terra non è sferica ma piatta. Poco più avanti segue il video di un altro demente, autonominatosi con un nome di fantasia, ma visitato da oltre centomila utenti, non pochi dei quali pronti a prestare ascolto alle idiozie di questo tale senza volto e identità che smentendo tutti i basilari fondamenti delle scienze cliniche afferma che è importante non vaccinarsi contro il Covid-19, perché nel vaccino i poteri forti mondiali hanno inserito un microchip necessario per tenere l’intera popolazione sotto controllo. Non poteva poi mancare l’estetista arrabbiata perché rimasta disoccupata durante il periodo del lockdown, che forte della sua licenza media e di un attestato conseguito alla fine di un corso trimestrale per truccatrici, sta dando il meglio di sé stessa sui social media aggredendo tutti i più celebri virologi, schiavi manco a dirsi dei poteri forti e delle terribili multinazionali, che tengono occultato come i vaccini abbiano aumentato i casi di autismo. Spiegare all’estetista antivax e ai circa duecentomila utenti che hanno ascoltato il suo video abbeverandosi alle sue colossali scemenze, che la bufala sui vaccini che causano autismo è smentita da anni dalla comunità scientifica mondiale e chi la diffuse finì condannato e radiato dall’albo dei medici per avere prima manipolato e poi falsificato dei dati di ricerca, non sortirà alcun effetto, perché la risposta sarà: «Ma è ovvio, che l’eroico scopritore del rapporto tra vaccini e autismo è stato condannato, i poteri forti e le multinazionali distruggono da sempre chiunque dica la verità». E per molti beoti resterà certo un solo un fatto: l’estetista furibonda poiché rimasta disoccupata durante il lockdown ha ragione e la comunità scientifica mondiale torto, perché schiava dei poteri forti e succube delle multinazionali farmaceutiche.

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Adesso fornisco un paradigma sul quale verrebbe d’istinto da ridere, ma se analizzato per ciò che in realtà cela può indurre solo a piangere. Agli inizi del 2000 una equipe medica spagnola — che risultò poi non essere affatto composta da medici —, con domicilio fiscale nelle Canarie previo rimbalzo nel Granducato di Lussemburgo, si mise a vendere un piccolo apparecchio di trazione da applicare al pene maschile, garantendo un allungamento variante dai 3 ai 5 centimetri. Fu stimato che il piccolo apparecchio aveva un valore a costo di produzione pari a 2,50 euro e un potenziale costo commerciale pari a circa 25/30 euro. Era invece venduto alla stratosferica cifra di 850 euro. Il commercio continuò fin quando numerosi urologi sparsi per tutta Europa si ritrovarono a dover intervenire su non pochi pazienti, principalmente giovani, che facendo uso di questo apparecchio si erano causati gravi danni ai vasi sanguigni, sino a giungere, taluni di essi, a veri e propri danni permanenti. E così partì da vari urologi la segnalazione agli organismi europei di controllo. Se analizziamo il tutto scopriremo che casi di questo genere costituiscono lo specchio dell’uomo del terzo millennio. Un uomo che non credo più in Dio e che rigetta qualsiasi elemento di trascendenza, però crede nella cartomante e negli alieni; non crede più nella scienza e negli uomini di scienza, però crede alle bufale dei terrapiattisti e degli antivaccinisti. L’uomo del terzo millennio è un tecnologico credulone superstizioso capace a farsi fare fesso, o gravemente danneggiare, dal primo gruppo di ciarlatani che gli fanno credere di poter allungare il suo pene di qualche centimetro con un piccolo strumento di trazione. Ipotesi dinanzi alla quale, l’illuminato e razionale uomo del medioevo si sarebbe messo a ridere come un pazzo, mentre semmai Giovanni Boccaccio, da questa assurda ipotesi ne avrebbe tirato fuori un racconto che sarebbe rimasto immortalato nella storia della letteratura per i secoli avvenire. Ma questo è ciò che in fondo si merita l’uomo del Terzo Millennio che non crede più in Dio e che non crede più nella scienza, che rigetta la fede e che disprezza la ragione: si merita solo che il primo truffatore che passa per la strada gli venda un portentoso ritrovato per rendere più lungo il suo organo genitale, mentre il suo cervello è sempre più corto.

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In questo sistema informativo degenerato e ormai fuori controllo, non possono certo mancare eserciti di ignoranti con serie lacune sul Catechismo della Chiesa Cattolica che si sentono legittimati a rigettare i sacerdoti a loro non graditi, totalmente incuranti del mandato da noi ricevuto dalla Chiesa che ci ha istituiti maestri e guide del Popolo di Dio per un Sacramento di grazia istituito da Cristo Dio: il sacerdozio ministeriale.

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Come sempre è necessario ricorrere a esempi per raffigurare la gravità del problema. Mai dimenticherò una persona tanto cara quanto incorreggibile alla quale un giorno, con affetto e amicizia, spiegai che il suo approccio con la mariologia era sbagliato e che non portava alla fede ma al fideismo e al devozionismo, soprattutto per l’importanza conferita ad apparizioni e messaggi mariani, come se fossero elementi fondanti della fede. Con l’affetto di un amico premuroso e di un padre che tiene molto ai figli che Dio gli ha affidato, le spiegai che il mistero della rivelazione non si regge in piedi in virtù delle apparizioni della Madonna di Lourdes e di Fatima, né sui segreti dati ai tre pastorelli, né sui messaggi de La Salette, né sulle rivelazioni o locuzioni date alle Tre Fontane a Bruno Cornacchiola … e soprassiedo sulla «Gospa dei bugiardi», la sedicente Madonna di Medjugorje [vedere mia video lezione, QUI]. La nostra fede si regge sul mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio (cfr. Gv 1, 1-18) e sul mistero della risurrezione di Cristo (cfr. I Cor 15,17), al quale nulla aggiungono, in sostegno o in supporto apparizioni mariane, visioni o locuzioni di mistici e veggenti, ai quali nessun cattolico è assolutamente tenuto a prestare adesione di fede. Detto questo aggiunsi che era poi il caso di smetterla con annunci esasperanti dell’imminente trionfo del cuore immacolato di Maria, perché la Beata Vergine non è la Fata Morgana ma soprattutto perché, nel Simbolo di Fede Niceno-Costantinopolitano, noi professiamo la nostra fede in Cristo Dio che «un giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti», non professiamo la fede nel «definitivo trionfo del cuore immacolato di Maria», con buona pace di certi mariolatri e di alcuni teologi superficiali che forniscono insussistenti pezze d’appoggio alle esaltazioni di questi fanatici della mariologia magico-pagana fai-da-te. Dato però che il fideista non potrebbe essere mai tale se fosse carente dei due presupposti fondanti che sono la cecità e l’arroganza, per tutta risposta l’amica pia donna mi replicò che lei studiava da trent’anni l’opera di San Luigi Maria Grignion de Montfort e che sapeva molto bene quel che diceva. E chiarito questo mi rivolse il perentorio invito a studiare il trattato sulla vera devozione a Maria e a imparare che cosa fosse veramente la mariologia (!?).

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La vita di noi sacerdoti e teologi è ormai costellata da fatti di questo genere. Sia chiaro, certe offese e umiliazioni non le viviamo come “attentati di lesa maestà”, ma come dei drammatici fallimenti ecclesiali che non possono essere sempre imputati ai vescovi e a noi loro presbiteri «non più capaci» ― a severo parere d’accusa di queste persone ― «di evangelizzare». Gettata ogni colpa su vescovi e presbiteri, nessuno intende però fare i conti con una grave e terribile realtà dalla quale certi critici impietosi fuggono, perché è la realtà che tocca loro in prima persona, questa: il numero di fedeli che non intendono essere in alcun modo evangelizzati e formati è sempre più alto, tanto che noi sacerdoti non ce la facciamo più ad avere rapporti con una accozzaglia di non meglio precisati cattolici capaci ad ascoltare solo se stessi e le loro ragioni gravemente errate mutate in verità universali indiscutibili. E a ogni ragionevole richiamo da parte di noi loro pastori, maestri e guide, eccoli reagire prontamente in modo sempre più aggressivo e insultante, rigettandoci come pastori, maestri e guide.

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La cara amica usata poc’anzi come paradigma, che poco o niente ha capito della mariologia ma che pur malgrado m’invitò a studiare i fondamenti stessi della teologia, è una di quelle numerose persone che si struggono pensando ai tempi che furono, che divinizzano il Messale Santissimo di San Pio V e che citano a ogni piè sospinto le profezie della Beata Katharina Emmerick. E anche in questo a nulla è mai valso ricordare a questo genere di fideisti allo sbando che la Chiesa ha sì beatificata la Emmerick, ma non ha mai riconosciute autentiche le sue cosiddette profezie, che tali quindi non sono. Pur malgrado sono invece autentiche fuor di dubbio per certe persone, poiché racchiudono una frase che da sempre manda tutti costoro in visibilio; una frase di fronte alla quale tutti i grandi Profeti d’Israele, a confronto della Emmerick, divengono davvero robetta da quattro soldi, stracci gettati sulla bancarella del mercatino dell’usato. Ecco la frase magica nella quale, a parere di questi soggetti, si farebbe un chiaro riferimento a una “strana Messa”, cosa che evincono da queste parole scritte non dalla Beata ma dal redattore Clemens Brentano nel testo molto romanzato delle sedicenti profezie: «La Messa era breve e il Vangelo di San Giovanni non veniva letto alla fine». Ciò basta a certe agguerrite pie donne per ritenere di avere non una pezza, ma una vera e propria ancora per attaccare a questo modo l’intera riforma liturgica e gli errori a loro dire contenuti in un concilio, il Vaticano II, che indubbiamente è pastorale e non dogmatico, volendo anche non perfetto. Questo però possiamo dirlo noi studiosi in grado di speculare e fare ricerca approfondita con la dovuta preparazione e il corretto metodo scientifico e collocando il tutto, tanto per cominciare, nel suo corretto contesto storico e socio-ecclesiale. Noi studiosi abbiamo impiegato anni e anni per imparare anzitutto a leggere i documenti del Concilio Vaticano II, peraltro lunghi, articolati, complessi, ridondanti sociologismi e non pochi passaggi ambigui che hanno richiesto, nei decenni successivi, precisazioni e documenti chiarificatori di vario genere, ultima in ordine di serie la Dichiarazione Dominus Jesus del 2000.

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Adesso prestate attenzione a un dato di fatto non passibile di smentita, perché è molto importante: le persone che rigettano la nostra autorità pastorale di guide e maestri istituiti del Popolo di Dio, paradossalmente sono le stesse che sognano i tempi passati e la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale di San Pio V in uso dal 1571 sino alla promulgazione del nuovo Messale riformato da San Paolo VI nel 1969. E queste persone, con una disinvoltura equiparabile alla loro ignoranza, parlano della santità del Concilio di Trento e per inverso della problematicità del Concilio Vaticano II, il tutto con lo stile del superficiale che afferma meglio il mare della montagna o viceversa. Purtroppo dimenticano però che il Concilio di Trento era a tal punto santo e santissimo che a distanza di due e tre secoli dalla sua chiusura, alcuni dei canoni fondamentali non erano stati ancora applicati, altro che le problematicità del post concilio Vaticano II! E quando nel 1869 si giunse alla convocazione del Concilio Vaticano I, decine di Padri riuniti nell’assise si dissero sconsolati tra di loro: «… ma come, dopo oltre tre secoli dalla chiusura del Concilio di Trento, adesso se ne convoca uno nuovo senza che i canoni del precedente siano stati fedelmente applicati?». Però, quello tridentino, a parere delle pie donne che invitano sacerdoti e teologi a studiare in attesa del definitivo trionfo del cuore immacolato di Maria, era un concilio santo, santissimo, in una Chiesa in cui tutto era devozione, misticismo, trascendenza, adorazione …

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Inutile a precisarsi, sebbene lo faccia: i sostenitori di queste tesi peregrine, come ormai avrete capito sono perlopiù donne, perché solo la psicologia femminile, quando si mette all’opera, riesce a giungere, attraverso le passioni e le emozioni irrazionali, ai peggiori rifiuti della realtà. Si sappia dunque che purtroppo, richiamare queste emotive pie donne alla ragione, è solo tempo perso e fiato sprecato. Più volte, per quanto inutilmente, ho cercato di spiegar loro delle innegabili evidenze coi dati  storici alla mano, per esempio domandando: quando nei felici tempi da voi tanto decantati il sacerdote bisbigliava coram Deo in “divino” latino sulle parole del Messale santissimo di San Pio V, avete idea di che cosa sarebbe accaduto se qualche “femmina impazzita” avesse osato proferire solo mezzo gemito di dissenso nei riguardi di un giovane sacerdote di 25 anni consacrato il mese prima e inviato dal vescovo come vice parroco in una parrocchia? Ve lo spiego subito, o pie donne che vi siete inventate un passato che non è mai esistito, che cosa sarebbe accaduto, questo: l’anziano parroco, con due paterne sberle vi avrebbe rimesse a tre metri di distanza oltre la balaustra dell’altare, ricordandovi che il vostro posto era lì, a capo chino, con il velo di trina in testa e la corona del rosario in mano. Dopodiché, i vostri padri e mariti, vi avrebbero dato la rimanente dose per avere osato muovere contestazioni all’ultimo giovane sacerdote della diocesi appena consacrato e inviato dal vescovo come vice parroco.

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Avete capito, o mie dilette pie donne, impegnate oggi a dare addosso a vescovi e sacerdoti, ma soprattutto a rimbrottare il Romano Pontefice come uno scolaretto discolo ogni volta che osa aprire bocca e fare un sospiro? Devo spiegarvelo io, che cosa vi sarebbe accaduto se aveste osato investire di pesanti critiche il Sommo Pontefice Pio X alla maniera in cui oggi aggredite il Pontefice regnante? Sarebbe accaduto che non si sarebbero dovuti scomodare nemmeno i preti, perché i fedeli, in particolare proprio le donne, la domenica successiva non vi avrebbero fatto avvicinare neppure al sagrato della chiesa. Questo sarebbe accaduto: vi avrebbero ricordato che il vostro ruolo dentro la Chiesa era di spazzare il pavimento, di lucidare i candelieri, di lavare e di inamidare le tovaglie dell’altare, non certo di ergervi a supremi giudici del Pontefice regnante, della Conferenza Episcopale, dei sacerdoti e dei teologi. Perché nulla di questo, vi sarebbe mai stato concesso nelle epoche in cui vigeva il Messale santissimo di San Pio V e i canoni dell’altrettanto santissimo Concilio di Trento. Perché quando erano in vigore sia l’uno che l’altro, a voi, o mie care pie donne oggi scatenate, non sarebbe stato neppure concesso di cantare dentro le chiese, perché nei cori le voci femminili non erano ammesse, in quei tempi meravigliosi che furono e che tanto oggi voi risognate. E se alle donne non era concesso neppure di cantare inni sacri nei cori, pensate forse che sarebbe mai stato loro concesso di sollevare critiche, accuse e contumelie contro vescovi, presbiteri e teologi, sempre nei tempi da voi tanto risognati nei quali vigeva il santissimo Messale di San Pio V e i canoni santissimi del Concilio di Trento, mentre Clemens Brentano faceva piagnucolare alla Beata Katharina Emmerick di vedere nel futuro … una strana Messa?

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Oggi, questo esercito di pinzochere impazza sui blog e i gruppi di social media dove si fanno le pulci a sacerdoti con decenni di ministero pastorale alle spalle e a teologi con una vita consumata di studi e di ricerca. E tra una critica feroce e l’altra, le pinzochere biascica-rosari inneggiano con tifoseria da lavatoio al dogma di Maria corredentrice, pensando che fare teologia dogmatica sia come preparare le tagliatelle di Nonna Pina.

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La tragedia di queste persone – perché di tragedia si tratta – è che non hanno mai avuto guide e maestri. Però presumono di poter affrontare da autodidatti testi complessi della dottrina e del Magistero della Chiesa, parlando di dogmi con la stessa disinvoltura con la quale la parrucchiera parla del più e del meno con la cliente durante l’acconciatura. È a questo modo che nascono i pericolosi apprendisti stregoni, caratteristica dei quali è che di sacerdoti ne conoscono anche molti, però, se come ho fatto io con analitico metodo scientifico, indaghiamo in modo approfondito, parlando anzitutto con i vari confratelli, scopriremo in che modo queste persone non sono mai riuscite a stabilire un serio rapporto con un solo pastore in cura d’anime, o con un sacerdote teologo. E in ogni parrocchia dove sono state, hanno sempre e di rigore creato problemi finendo per avere conflitti con il parroco e tutti i suoi collaboratori. I miei confratelli, specie i sacerdoti teologi, testimoniano in che modo queste pie donne, sempre e di prassi, a un certo punto entrano in conflitto con il sacerdote teologo. Perché non possono fare a meno di sparare le loro assurde scemenze, per esempio citando a sproposito brani de-contestualizzati e mal compresi tratti dai Santi Padri della Chiesa, come se, tra le varie materie molto complesse, la patrologia fosse uno scherzo per dilettanti che si dedicano a hobby ricreativi. Per inciso: alcuni anni fa, uno dei miei formatori, che a suo tempo fu mio maestro di patrologia, quando compì ottant’anni mi disse che in mezzo secolo di ricerche era riuscito a studiare i Padri Cappadoci del IV secolo, che sono quattro e che merita ricordare: Sant’Efrem il Siro (306-373), San Basilio Magno (330-379), San Gregorio Nazianzieno (329-390), San Gregorio di Nissa (335-394). Ciò al contrario della pia donna che, rinvenuto su una bancarella dell’usato un libriccino devozionale ingiallito intitolato Raccolta dei pensieri dei Padri della Chiesa, incomincia a sparare idiozie a raffica dopo avere conseguita la specializzazione in patrologia lungo il tratto di strada che la portava dal mercatino di Porta Portese alla tastiera del suo computer. Ovviamente ignara che, solo per inquadrare sul piano storico e teologico la complessa vicenda di San Massimo il Confessore, occorre studiare per qualche anno quello che fu il panorama molto complesso e ingarbugliato delle politiche di Oriente e Occidente, dei conflitti tra Roma e Bisanzio. È necessario conoscere a menadito i primi cinque concili della Chiesa e le relative definizioni dogmatiche date e in seguito integrate o ribadite nel I Concilio di Nicea, nel I Concilio di Costantinopoli, nel Concilio di Calcedonia, nel II Concilio di Costantinopoli. Purtroppo invece, la persona spudorata, ossia priva del minimo comune senso del pudore, come Maga Amelia che maneggia un portentoso manuale di alchimia, comincia a sparare a raffica … «I Padri della Chiesa dicono che … ah, non si discute: lo dicono i Padri della Chiesa, è scritto nero su bianco!». E se vai a spiegarle che i Padri della Chiesa non dicono proprio ciò che lei ha frainteso sia sul nero che sul bianco, a quel punto, la pia donna, ti risponderà di studiare la patrologia, proprio come ha fatto lei cercando notizie sui Padri Cappadoci in mezza giornata su Wikipedia.

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Una volta, per accedere a certi documenti, bisognava fare ricerche di archivio o procurarsi libri con le raccolte pubblicate. Oggi basta invece andare sul sito ufficiale della Santa Sede e accedere a tutti i documenti e gli atti di magistero disponibili a partire dagli inizi dell’Ottocento. E così, ogni pia donna e ogni apprendista stregone è divenuto ben presto un grande ricercatore. Ecco quindi nata la piaga degli apprendisti stregoni copiaincollatori e soprattutto delle pie donne copiaincollatrici professioniste. Il tutto con questi risultati: encicliche dei primi decenni dell’Ottocento, di taglio socio-politico e strettamente rivolte a una realtà socio-pastorale dell’epoca che oggi non esiste più, scisse del tutto dalla complessa e articolata storia d’Italia e d’Europa di quei tempi, sono fraintese, abusate e fatte passare come dogmi di fede in quanto «… eh, sono sommo magistero!». Inutile a dirsi: qualsiasi teologo dogmatico o storico del dogma, dinanzi a cose del genere, se di buon umore si metterà a ridere, però, se la pia donna insiste e arriva persino a lanciare la fatidica frase: «Lei non conosce i documenti del magistero, quindi sarà bene che se li studi», inevitabilmente il teologo s’imbestialisce, sentendosi trattare da scolaretto asino da una povera demente copiaincollatrice che i testi non sa proprio neppure aprirli e leggerli. A quel punto il sacerdote teologo, giustamente toglierà il saluto all’arrogante pia donna, perché l’insulto non è un diritto e perché ricevere insulti non è un dovere né tanto meno un vincolo di carità cristiana.

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Soprassediamo poi sul povero San Tommaso d’Aquino, che piace terribilmente a chi non lo conosce e che neppure saprebbe da dove cominciare a leggere una sua quaestio. Eppure pensano di poterlo usare e abusare come se l’Aquinate fosse una confezione di pillole omeopatiche allo zucchero di canna e gambi di ananas essiccati. A queste persone ammalate in parte di ignoranza e in parte di fissismo, ancorate a un passato mai esistito che non deve passare e che considerano San Tommaso d’Aquino la … punta di diamante del cosiddetto e impropriamente detto tradizionalismo contemporaneo, chi è che glielo spiega a quali livelli, il Doctor Angelicus, fu una mente, diremmo oggi, profondamente progressista, audace e innovativa sul piano filosofico e teologico speculativo? Se San Tommaso d’Aquino dovesse essere definito con categorie improprie, ma oggi di uso corrente, andrebbe collocato nelle correnti dell’ultra-progressismo. A quel punto, il buon sacerdote e teologo, sulle prime cercherà di accettare il tutto come prova e salutare lezione di umiltà, nonché come sfida pastorale, sentendosi in dovere di chiarire all’errante, ossia all’apprendista stregone ma soprattutto alla battagliera pia donna, come e perché è in errore, come e perché è una approssimativa, come e perché non è in grado di citare correttamente San Tommaso d’Aquino, come e perché essendo priva di metodo speculativo e basi filosofico-teologiche non è in grado di leggere certi documenti del magistero ma solo di fraintenderli e di indurre all’errore chi la ascolta o la legge sui social media … però, se fatto questo con cuore pastorale e teologica dedizione, la pia donna non trova di meglio da fare che dire a un esperto teologo che le cose non stanno come dice lui, citando a supporto delle sue scemenze passi della dottrina cattolica fraintesi e del magistero della Chiesa non compresi, per poi concludere – come accaduto a me e altri miei confratelli – con l’invito a studiare bene certe materie, ecco che a quel punto, non la rabbia, bensì proprio la più squisita carità cristiana, impone di mandare la pia donna a quel paese, nella speranza che a questo modo possa capire che insultare non è un diritto e che ricevere insulti non è affatto un dovere al quale nessun sacerdote e nessuno teologo deve sottostare.

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Qualsiasi vescovo o autorità ecclesiastica assisa nel mondo dell’irreale che volesse conoscere le realtà frustranti e umilianti che i loro sacerdoti e teologi vivono di giorno in giorno, basterebbe si dedicasse un po’ di più ai presbiteri e un po’ di meno ai galeotti musulmani fuoriusciti dalle carceri tunisine e accolti dalle Caritas delle nostre diocesi come se fossero veramente profughi fuggiti dalla fame, dalle guerre e dalle carestie. Chi poi vuole saperne di più su questo tema, non deve far altro che leggersi il mio ultimo libro: L’aspirina dell’Islam moderato [vedere, QUI].

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Non solo apprendisti stregoni e pie donne hanno perduto il lume della ragione, perché c’è di peggio: non lo vogliono neppure ritrovare e, se qualcuno cerca di farglielo recuperare, reagiscono con aggressioni e insulti su quell’incontrollabile sfogatoio che sono i social media, dove – per tornare alla battuta di Umberto Eco – anche l’ultimo degli imbecilli ha lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. O forse peggio, aggiungo io, perché un sostenitore della teoria che la terra è piatta e non sferica, avrà molto più seguito e ascolti su YouTube di quanti mai ne avrà una lezione sulla fisica delle particelle sub-atomiche ideata appositamente in modo comprensibile per il grande pubblico dal Prof. Antonino Zichichi.

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Accettare la mortificazione ed esercitare la virtù dell’umiltà, non vuol dire però mortificare l’intelligenza e la sapienza, che sono doni di grazia dello Spirito Santo, sopra i quali nessuna pia donna è autorizzata a pulirsi le scarpe come su di uno zerbino, perché in quel caso sarebbe davvero opportuno ridarle immediatamente il tempo che tanto sogna e sospira di blog in blog, quindi mollarle due sberle, farla rimbalzare tre metri oltre la balaustra con il velo di trina in testa e la corona del rosario in mano, previo perentorio invito: «Qua dentro puoi aprire bocca solo per rispondere con l’altra metà conclusiva della preghiera: … ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae, amen!».

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Siamo partiti a titolo di esempio dalla mariologia, molti altri ne avrei potuti portare di esempi, a partire dalle scienze bibliche per seguire poi con i Vangeli sinottici, passando per la dogmatica e la metafisica per proseguire con la teologia sacramentaria, la morale, il diritto canonico … tutte specialità per le quali abbondando sui social media specialisti – ma soprattutto specialiste – pronti a dare non solo lezioni a noi sacerdoti e teologi, ma all’occorrenza affibbiandoci persino patenti di scarsa ortodossia, se non peggio di eresia. Ma restiamo sull’esempio iniziale di partenza: la mariologia. Se infatti di mariologia vogliano parlare per davvero e sul serio, con me si può fare a partire dal suo arcano fondante: Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν (Gv 1, 14) Ovviamente, agli specialisti vari che dicono di studiare da lunghi anni i trattati devozionali, è necessario per prima cosa chiarire e tradurre che stiamo a parlare del mistero del Verbo che si è fatto carne, fornendo a tal fine la apposita traduzione letterale di Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν: «Il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». 

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Certo, sarebbe interessante domandare poi, a siffatti specialisti, come mai il testo del Beato Apostolo Giovanni usa il termine greco σὰρξ, per indicare la carne. Questo termine indica infatti la fragilità dell’uomo debole e mortale, ed è invero impressionante che proprio il Logos, persona divina generata in Dio, si faccia σὰρξ.

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Da qui si può incominciare a parlare seriamente di mariologia, non certo dai trattati devozionali del Montfort, che dinanzi al Prologo del Vangelo di Giovanni lascia davvero il tempo che trova, con tutto il rispetto per il Santo in questione. Perché la mariologia non è altro che una appendice alla cristologia, al mistero del Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο, della incarnazione del Verbo di Dio. È nella incarnazione del Verbo che sono racchiusi tutti e quattro i dogmi mariani: Maria madre di Dio, la sua perpetua verginità, la sua immacolata concezione, la sua assunzione al cielo. Tutto quanto è racchiuso nel mistero del Verbo, perché, piaccia o meno a certi fideisti mariolatri, la Beata Vergine è racchiusa nel mistero di Cristo Dio, che è generato non creato della stessa sostanza del Padre, mentre invece, Maria, è una creatura creata e generata e, per quanto preservata dal peccato originale, non è la Quarta Persona della Santissima Trinità, se non addirittura la prima, come di fatto certuni vorrebbero farla passare. Mettere quindi sullo stesso piano Cristo Dio e la Beata Vergine, o insistere in modo ossessivo-compulsivo sul termine-feticcio di corredentrice, che da sempre crea enormi problemi alla cristologia e al mistero del Verbo di Dio, se non fosse frutto ed espressione di fideismo ignorante, sarebbe bestemmia, sarebbe autentica blasfemia, idolatria pagana. E chi lo spiega, a queste povere e arroganti persone, che la Beata Vergine non ha dato vita a Dio, ma ha dato vita a Dio che si è fatto uomo? Perché molti non hanno proprio chiaro il concetto basilare di Madre di Dio, quindi che cosa realmente sia la divina maternità di Maria, che è madre di Dio che si è fatto uomo.

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Con la mariologia abbiamo iniziato e con la mariologia siamo giunti alla conclusione, che poi è il cuore di questo discorso profondamente addolorato fatto da un credente, da un sacerdote e da un teologo costretto a sperimentare, come molti altri confratelli, il senso di totale impotenza dinanzi a questo esercito di arroganti e non meglio precisati cattolici. Cosa può e deve fare, dinanzi a queste realtà, il sacerdote e il teologo? Può forse abbandonare l’errante all’errore. Come agire, in coscienza, ma soprattutto in conformità al nostro sacro ministero, memori del terribile monito a noi rivolto: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più»? (Lc 12, 48).

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La risposta ce la dà Cristo Dio attraverso quest’altro monito: «In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città» (Mt 10, 11-15).

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Questo mio lungo articolo, a chi proprio non l’avesse capito, incluso un esercito di vescovi che oggi trepidano con piaggeria per i migranti, mostrando ben poco interesse per la cura dei loro presbiteri, è una mia risposta data a tutti i confratelli che giorno dietro giorni mi parlano delle loro difficoltà sempre più grandi nei rapporti con un alto numero di non meglio precisati fedeli sempre più ipercritici, aggressivi e offensivi, incancreniti nell’errore e fieri del proprio errore.

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A un mio confratello di quasi settant’anni che vive molte delle situazioni qui illustrate, di recente risposi: «Se non ricordo male ogni domenica tu, alle soglie del tuo settantesimo compleanno, devi celebrare la Santa Messa in tre parrocchie, nelle quali sino a mezzo secolo fa c’era in tutte quante un parroco, nell’immediato dopoguerra c’era anche il parroco e il vice parroco. A fronte di questa situazione, pensi di avere tempo da perdere con chi non ascolta, non vuole ascoltare e non accetta alcuna correzione dall’errore?». E detto questo ho seguitato a dire: «Ormai, noi sacerdoti siamo dei veri e propri oncologi che lottano contro il cancro. Affinché la lotta sia efficace è però necessario che i pazienti accettino le nostre indicazioni e cure, che osservino con scrupolo le terapie. Se certi pazienti non ci prestano invece ascolto, rifiutano le nostre cure e ci danno anche degli incompetenti, a quel punto dobbiamo scuotere la polvere dai nostri piedi, per non correre il rischio di avere privato di soccorso, cure e salvezza, chi invece era lì a poca distanza fiducioso e aperto, ad attendere il sacerdote-oncologo come uno straordinario dono di Dio.

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Per questo invito i miei confratelli addolorati a seguire il mio esempio, che con l’inizio del nuovo anno ho chiuso ogni genere di rapporto e relazione con apprendisti stregoni, pie donne impazzite masticatrici di rosari col complesso della sedes sapientiae e via dicendo. Sono troppo impegnato a curare i Christi fideles dal cancro della decadenza e del peccato, per perdere tempo prezioso con chi afferma che il cancro si cura con l’omeopatia, o che basta solo attendere l’imminente trionfo del cuore immacolato di Maria che discendendo dal cielo come la Fata Turchina sistemerà tutto con due colpi di bacchetta magica. Privandomi felicemente di qualsiasi rapporto con queste persone, non ho agito con mancanza di carità, ma proprio perché consapevole di quanto oggi, delle guide e dei maestri siano più che mai preziosi. Non voglio avere a che fare con certa gente perché Cristo Dio ci ammonisce: «Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con i piedi e poi si rivoltino per sbranarvi» (Mt 7, 6). 

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Questo è ciò che da mesi vado ormai rispondendo e ripetendo a molti miei confratelli sofferenti a causa delle opere e delle parole di apprendisti stregoni e di incorreggibili pie donne impazzite: lasciateli al loro impazzimento. Certo, le nostre porte e i nostri cuori di pastori sono sempre aperte, senza permali e rancori, come il buon padre della parabola del figliol prodigo, purché queste persone accettino di essere corrette dai propri errori, perché in caso contrario sarebbe il tipico tempo perso del parlar tra sordi. E oggi, noi sacerdoti e noi teologi, tutto possiamo permetterci in questa delicatissima fase storica fuorché di perdere tempo con i ciechi e con i sordi.

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dall’Isola di Patmos, 7 gennaio 2021

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