Una riflessione teologica sul coronavirus: tra corretta informazione e pericolose bufale degli idioti internetici, mentre l’uomo non è più capace a leggere i segni della terra e del cielo

— società e attualità ecclesiale—

UNA RIFLESSIONE TEOLOGICA SUL CORONAVIRUS: TRA CORRETTA INFORMAZIONE E PERICOLOSE BUFALE DEGLI IDIOTI INTERNETICI, MENTRE L’UOMO NON È PIÙ CAPACE A LEGGERE I SEGNI DELLA TERRA E DEL CIELO

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Che dire, nella Chiesa di oggi: poveri e migranti avanti a tutto e a tutti, mentre un pericoloso virus si sta diffondendo, senza che per il momento vi siano cure e vaccini. Da tutto questo capite bene che, il virus peggiore, è quello che da tempo si è diffuso dentro la Chiesa Cattolica. La cosa grave è che noi, per salvarci dalla pandemia, il vaccino ce lo abbiamo eccome. Se però ti azzardi a indicarlo, o peggio a chiedere che venga usato, rischi di essere letteralmente sbranato dagli utili e pericolosi idioti che inneggiano alla «rivoluzione epocale» della «Chiesa del nuovo corso».

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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il tweet del Prof. Roberto Burioni, microbiologo e virologo presso l’Università Vita e Salute dell’Ospedale San Raffaele di Milano

Quando ci si rivolge a un pubblico numeroso, grava sempre su di noi il dovere di non lanciarsi in analisi che richiedono delle competenze scientifiche molto profonde.

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Internet brulica soggetti che vanno dai tuttologi a quanti sfogano il peggio della loro idiozia, sino a trascendere nella vera e propria tragedia che prende pericolosa forma al momento in cui l’idiota che scrive è preso sul serio da un numero elevato di altrettanti idioti che lo leggono. Le conseguenze di questo mercato di offerta e di acquisto dell’idiozia, mi è stato spesso lamentato da insigni clinici romani di alta professionalità scientifica e di altrettanta reputazione, molti dei quali amici di vecchia data che spesso, con l’amico prete, hanno aperte le cataratte dei loro sfoghi privati. Una delle lamentele più ricorrenti è legata all’ambito diagnostico. Non è infatti raro che dopo esami clinici approfonditi e studi accurati del caso, questi specialisti si sentano dire con inquietante disinvoltura dal paziente, o da chi lo accompagna: «… ma su internet ho letto che …». Talvolta alcuni hanno chiesto ai pazienti o ai loro accompagnatori dove avevano letto simili notizie così anti-scientifiche. Poi, andando appresso a verificare hanno appurato loro stessi in che modo persone prive dei basilari criteri scientifici, dissertassero con pericolosa disinvoltura su delicati temi che variavano dalla oncologia alle malattie infettive, per non parlare della compagine degli anti-vaccinisti.

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Conosco insigni ed eccellenti specialisti clinici che hanno segnalato situazioni molto gravi e fatto scattare indagini giudiziarie, dopo essersi ritrovati dinanzi a casi di inaudita gravità prodotti dalla pericolosa ignoranza degli idioti internetici scriventi e degli idioti internetici utenti. Varie volte è accaduto che degli oncologi abbiano lamentato di essersi ritrovati dinanzi a malati di tumore in stato terminale che avrebbero potuto salvarsi se curati per tempo, il tutto perché il figlio o la figlia, naturisti internetici convinti e praticanti, hanno puntato alla … “medicina” naturale alternativa al grido di «No, alle multinazionali farmaceutiche che speculano sulle malattie con farmaci che recano gravi danni all’organismo». Per seguire con specialisti in pediatria, che  più volte hanno allertate le Procure della Repubblica dopo essersi ritrovati dinanzi a bambini con gravi problemi causati da genitori seguaci della setta vegana, di quella fruttariana e via dicendo a seguire.

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Non tanto per sdrammatizzare, semmai per inquadrare con spirito di partecipata solidarietà questa tragedia, di frequente ho risposto a questi amici che noi preti e teologi condividiamo con gli specialisti clinici in modo diverso, ma del tutto simile, le stesse dolorose, frustranti e tragiche sorti. Non sono pochi i fedeli cattolici che dopo avere letto quattro idiozie pseudo-teologiche e pseudo-dottrinarie su internet, o dopo avere frainteso complessi documenti del magistero della Chiesa, estrapolando da essi frasi scisse da contesti che richiedono una preparazione molto profonda, in maniera spudorata affrontano un teologo di indubbia preparazione muovendo la spocchiosa contestazione: «No, non è affatto come dice lei …». In simili casi è quasi sempre inutile dire e precisare il giusto e ovvio vero, perché il “teologo” internetico è pronto a replicare con decisa e rara arroganza: «… guardi, lei si deve documentare, anzi deve proprio studiare bene la materia, perché io ho letto che …». E a fronte di tutto questo qualcuno si domanda persino, a partire da quella santa donna di mia madre, come mai talvolta esordisco con delle parolacce assai peggiori di quelle di uno scaricatore di porto, della serie: «Per imparare a dire tutte queste parolacce, era proprio necessario che tu diventassi prete?».

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Internet ci ha donato la nuova èra dell’analfabetismo digitale e della non-ragione, soprattutto forme nuove di superstizione che nulla hanno da spartire con le antiche o vecchie forme di un tempo, alla base delle quali c’era però una cultura basata su vecchie tradizioni o credenze popolari. Diversamente, alla base delle nuove superstizioni, non c’è cultura, né tradizioni o credenze radicate ma l’irrazionale che si nutre dell’irrazionale, l’ignoranza che si nutre della peggiore arroganza che nasce dal non-sapere che si muta in vera e propria fierezza del non sapere filosofico, storico, scientifico.

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Può, uno specialista clinico sbagliare una diagnosi e dare cure inefficaci, forse persino dannose? Sì, può accadere, anche e solo per errore umano del tutto involontario, senza che lo specialista sia stato in alcun modo né superficiale né negligente. Ciò che però sembra sempre più carente nella nostra odierna società, è la logica del buon senso che dovrebbe spingere a questa valutazione: produce più rischi e danni un oncologo che sbaglia diagnosi, oppure il “clinico” internetico improvvisato che persuade un proprio familiare a curarsi con la “medicina” naturale alternativa, inducendo il malato a giungere dall’oncologo quando le metastasi tumorali sono ormai diffuse in tutto in corpo dalla testa ai piedi, con la conseguenza che l’unica terapia possibile è il ricovero nel centro per malati terminali, dove le uniche cure sono quelle contro il dolore derivante dalla patologia tumorale che lo ha colpito?  

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In situazioni di questo genere ecco che a tragedia si aggiunge tragedia, perché certi idioti non sbagliano mai. Messi infatti dinanzi alla realtà del morto, sono capaci ad affermare che la conseguenza del decesso ― lungi dall’essere il risultato della loro incosciente idiozia ― è dovuta alle scie chimiche, agli esperimenti nucleari, ai farmaci ed ai vaccini che contengono al proprio interno elementi cancerogeni affinché il soggetto sviluppi in futuro il cancro e le multinazionali farmaceutiche possano così arricchirsi attraverso i medicinali e le chemioterapie.

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Sull’emergenza del coronavirus che dalla Cina si è ormai diffuso in vari altri Paesi del mondo e per il quale non esiste al momento vaccino, bisogna ascoltare anzitutto gli esperti e gli scienziati, poi seguire in modo scrupoloso i consigli dei clinici. Gli uni e gli altri, possono sbagliare? Sì, potrebbero anche sbagliare, ma i loro errori umani non giungerebbero mai, né mai avrebbero la devastante portata che di rigore hanno le “soluzioni” e le “diagnosi” offerte dagli idioti internetici, seguiti a loro volta, di prassi e di rigore, da un esercito sempre più numeroso di idioti utenti internetici.

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I nostri Lettori sanno bene quanto spesso io ricorra a paradossi più o meno a effetto, talora anche scioccanti. Con questi risultati: da una parte c’è chi ride, ma ridendo comprende bene il messaggio, mentre dall’altra c’è chi si arrabbia, accusandomi semmai di volgarità e rifiutandosi categoricamente di capire. Ebbene, rivolgendomi ai primi, non ai secondi racchiusi nella sfera degli irragionevoli irrecuperabili, vi dico: se proprio volete usare internet per farvi del male, se proprio fosse obbligatorio scegliere il male minore, in tal caso fate indigestione dei peggiori film porno che trovate disponibili in rete, ma non prestate ascolto a tutti gli “esperti” improvvisati che hanno già cominciato a seminare notizie che non hanno nessun fondamento scientifico riguardo il coronavirus.

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Desidero per inciso ringraziare l’amico Paolo Del Debbio, di cui sono stato ospite varie volte al programma su Rete 4 Dritto e Rovescio, per avere dedicato ieri sera una puntata molto interessante nella quale è stata fatta corretta, precisa e soprattutto preziosa informazione. Chi non avesse visto il programma e volesse vederlo, può trovarlo disponibile in internet [vedere QUI].

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Molto interessante tra i vari ospiti la presenza del Prof. Alessandro Meluzzi, uomo di ineccepibile scienza quando svolge il mestiere di sua stretta pertinenza: quello del clinico dotato di indubbia cultura enciclopedica nell’ambito della medicina, alla quale unisce alte competenze legate al suo ramo specialistico, che è la psichiatria. Nessuno meglio di lui poteva trattare ― e lo ha fatto egregiamente ―, il discorso legato all’emergenza del coronavirus sviscerando il problema dal punto di vista infettivo virale, quindi da quello delle varie forme di psicosi che da esso possono prendere vita e svilupparsi a livello sociale. Dopo avere spiegata a rigore scientifico la inutilità delle mascherine di protezione; dopo avere spiegato in modo realistico che cercare di contenere questo virus sarebbe «come catturare l’aria con le mani»; dopo avere detto che un vaccino non c’è e che non sarà disponibile neppure nell’immediato, con un sorriso ha concluso quella parte di discorso con una breve battuta: «Al momento non ci resta che raccomandarci alla protezione della Vergine Maria, l’unica che in questo momento potrebbe fare qualche cosa».

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Dopo questo discorso che intendeva essere una doverosa premessa, posto che la parola spetta agli scienziati, ai virologi e agli specialisti clinici, passo a quello che è il mio “mestiere” di sacerdote e teologo, per dare un altro genere di lettura. Cosa che farò partendo proprio dalla battuta del Prof. Meluzzi: «In questo momento, solo la Vergine Maria potrebbe fare qualche cosa».

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Passando quindi alla mia sfera di competenze, posso affermare che per altro verso temo un’altra categoria non meno virulenta di idioti internetici: quella degli pseudo cattolici che tendono a vivere una ”fede” ottusa e cupa, fatta di visioni, rivelazioni, segreti svelati o non svelati, messaggi dati da varie Madonne e via dicendo, che quasi sempre e di rigore sono da loro male interpretati, alterati e manipolati allo scopo di seminare quel terrore ― che in verità non terrorizza nessuno ma che tende invece a far ridere tutti, dai cattolici ai laicisti ―, mirato al fine primo e ultimo di dire e soprattutto imporre: io ho ragione!

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Conoscendo come suol dirsi i miei polli, affermo con tutto il debito anticipo che il servizio più pessimo che certi cattolici veri o più facilmente presunti tali, possono fare in un momento di emergenza come questo, è di annunciare catastrofi più o meno predette, più o meno contenute in messaggi e rivelazioni private che, ricordo, non sono mai state fissate dalla Chiesa nel deposito della fede. O per dirla brutalmente: la nostra fede non dipende dai segreti rivelati o non rivelati dati ai tre pastorelli dalla Beata Vergine Maria di Fatima, piaccia o meno a certuni. La nostra fede non dipende dalla bella immagine del cosiddetto trionfo del cuore immacolato di Maria, ma dipende tutta quanta dalla incarnazione del Verbo di Dio nel ventre della Vergine Maria, dalla sua morte salvifica, dalla sua risurrezione e ascensione al cielo, quindi dipende dalla certezza, come recitiamo nel Credo, che Cristo Dio «un giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti».

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Sempre a questi poveri cattolici meschini, ricordo che tre sono le fondamentali virtù teologali: la fede, la speranza e la carità [cfr. I Cor 1, 13]. Il terrore, che spesso costoro cercano di usare quando gridano ai peccati e ai peccatori di questo mondo caduto nel baratro, sempre nella “magica” e “fideistica” attesa che trionfi il cuore immacolato di Maria, non servono affatto a scuotere le coscienze, neppure a suon di visioni infernali o di rivelazioni di tremendi castighi del tal mistico o della tal mistica. Servono solo a produrre effetti del tutto contrari nell’uomo di oggi e nella odierna società contemporanea, che attraverso grande fatica ed esiti molto incerti di successo, ha bisogno di essere nuovamente evangelizzata, non terrorizzata. E purtroppo oggi, noi cattolici, siamo messi molto male, essendo tremendamente carenti di evangelizzatori virili, credibili e santi.

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O pensano forse costoro che le virtù teologali, da tre che erano, siano divenute oggi quattro, con l’aggiunta della quarta virtù del terrore? Non solo infatti, il terrore, non redime e non converte nessuno, ma come sacerdote che esercita il prezioso ministero di confessore, ricordo a tutti costoro che se una persona, presa da paura, decide di pentirsi dei propri peccati, solo perché teme condanne e castighi, o perché qualche “anima pia” lo ha terrorizzato con le visioni dell’Inferno della tal mistica o del tal veggente, io posso anche assolverlo dieci volte, ma l’assoluzione sacramentale non vale niente e non produce alcun effetto. Dio vuole infatti il nostro pentimento, non la nostra paura; della nostra paura, non sa proprio che farsene.

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È cosa nota il fatto che certe rivelazioni, comprese quelle riconosciute dalla Chiesa come autentiche, ma lungi come ho spiegato dall’essere state inserite nel deposito della fede, le ho sempre guardate con sospetto, soprattutto per le teorie decisamente folli che alcuni fedeli, ma purtroppo anche certi preti, hanno finito col creare soprattutto sui messaggi della Madonna di Fatima, anteposti in pratica, da molti, al Santo Vangelo stesso. Non sono dunque in alcun modo allergico alle rivelazioni in sé riconosciute come autentiche dalla Chiesa, sia ben chiaro; semmai sono contrario all’uso che certi scellerati ne fanno. Allo stesso modo sono assalito da orticaria ogni volta che certi soggetti inneggiano all’imminente trionfo del cuore immacolato di Maria; e ciò non perché io manchi di devozione alla Beata Vergine e al suo Cuore Immacolato, ma sempre per l’uso errato che certi soggetti rasenti il fanatismo fanno della immagine del cuore della Mater Dei.

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Nel lessico comune, il termine apocalisse e apocalittico ha assunta una connotazione del tutto negativa, ed è legato a eventi catastrofici. Non solo il tutto è sbagliato, perché si tratta di una radicale alterazione del significato che si forma attraverso i lemmi greci ἀπό (apò) e καλύπτω (kalýptō), da cui prende vita la parola composita ἀποκάλυψις (apokálypsis) che alla lettera significa: svelare, rivelare ciò che è nascosto.

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Il Beato Apostolo Giovanni scrisse il Libro dell’Apocalisse durante il suo esilio nell’Isola di Patmos, da cui prende nome questa nostra rivista; isola anche nota come il luogo dell’ultima rivelazione. Detto questo possiamo adesso chiarire che se c’è un messaggio di speranza, che per noi è certezza di fede, questi è proprio quello racchiuso nel Libro dell’Apocalisse, in cui si narra la definitiva vittoria del bene sul male e l’avvento di quel regno di Cristo che non avrà mai fine; un avvento anche noto come parusia, dal greco παρουσία, che alla lettera significa “presenza” e che indica il ritorno del Cristo glorioso, la sua presenza senza fine.

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Detto questo chiunque può comprendere ― fatta eccezione per certi cattolici “terroristi” che ci auguriamo di non vedere presto all’opera in questo momento di emergenza dato dal coronavirus ―, che il cuore del messaggio cristiano e dell’intero mistero della rivelazione, non è il terrore, non è la paura, ma la centrale virtù teologale della speranza, che non a caso sta nel mezzo e che regge assieme la fede e la carità. È vero, come insegna il Beato Apostolo Paolo e come noi tutti insegniamo con lui, che «di tutte e tre la più importante è la carità» [I Cor 1, 13], ma la speranza, che sta nel mezzo, come ripeto è la virtù che lega e amalgama assieme le altre, inclusa la più importante: la carità.

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Procedendo verso la conclusione di questo discorso tutto quanto teologico ed escatologico, affatto mirato a creare allarmismi sul problema oggettivamente grave del coronavirus, più che lecito è doveroso domandarsi: un giorno, vicino o lontano, perché a nessuno è dato sapere quando, si verificheranno eventi catastrofici, in seguito ai quali vedremo semmai decimata la popolazione mondiale e nazioni intere scomparire? Ebbene, senza dare vita ad allarmismi e senza irritare i laicisti ― che poi, alla prova provata dei fatti, sono più tolleranti e pronti alla discussione di quanto non lo siano certi cattolici “terroristi” al grido: la tal profezia, il tal segreto, il tal mistico o la tal mistica dice! ― posso serenamente affermare che la previsione di un evento disastroso è scritto nel deposito della nostra fede, ed è quindi per noi fede rivelata, perché è stato Gesù Cristo stesso a rivolgerci queste parole:

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«[…] “quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine”. Poi disse loro: “Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo”» [Lc 21, 8-11].

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Anzitutto Gesù Cristo, perché è lui che parla in prima persona, ci invita a non essere terrorizzati. Figurarsi quindi se ci invita a terrorizzare il prossimo con catastrofi imminenti e disastrose, o con le visioni dell’Inferno racchiuse nelle rivelazioni del tal mistico, della tal mistica o di questo o quell’altro messaggio mariano, il tutto affinché «possa finalmente trionfare il cuore immacolato di Maria», come vanno dicendo in giro con abusivo spirito mariano certi cattolici “terroristi” che non hanno anzitutto capito proprio niente della mariologia stessa.

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Sì, un giorno avverrà qualche cosa di molto catastrofico, ce lo ha detto Gesù Cristo, ma chiunque abbia autentica e vera fede, ciò che un giorno avverrà di devastante, dovrà essere letto sin d’ora con gli occhi della speranza, perché tutto quello che Dio permette, è solo per il bene, la salute e la salvezza dell’uomo.

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Il coronavirus, potrebbe essere quindi letto come uno di quei tanti segni che l’uomo di oggi non è più in grado di cogliere e di interpretare. Potrebbe essere solo il preludio, seguito da chissà quali altri e numerosi segni, per chissà quale lungo lasso di tempo, prima dell’arrivo del grande e devastante segno di cui ci ha parlato Gesù Cristo. 

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Certo, mentre gli scienziati stanno facendo al meglio il loro lavoro, ancora una volta la nostra povera Chiesa, devastata al proprio interno da virus ben peggiori di ebola, di lavoro non sta facendo il proprio. Purtroppo infatti, sclerotizzata com’è su migranti e poveri su poveri e migranti che caratterizzano ormai questo pontificato in modo ossessivo compulsivo, nessuno, a partire dal nostro augusto Pastore Supremo, ha invitato a pregare nelle Chiese di tutto il mondo per chiedere a Dio Padre la grazia di risparmiare all’umanità un eventuale, forse possibile e anche pericoloso flagello. Come infatti diceva il Prof. Alessandro Meluzzi: «Non sono preoccupato della Cina e delle capacità organizzative e scientifiche che quel popolo ha nel far fronte a una simile emergenza, lo sono però per l’Africa. Cosa accadrebbe, se un virus del genere si diffondesse in quel continente?».

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Il Vescovo di Roma, tre anni fa invitò tutti i parroci della sua Diocesi a prendersi una famiglia di immigrati per parrocchia. Idea presumibilmente tratta dalla sceneggiatura di qualche film di fantascienza, a ben considerare che non pochi parroci hanno contratto debiti con le banche e hanno seri problemi a mettere assieme i soldi per pagare la bolletta della luce e il riscaldamento della chiesa parrocchiale. Peccato, che a fronte di questa situazione data dall’emergenza del coronavirus, dinanzi al quale non possiamo al momento sapere a che cosa rischiamo di andare incontro, non abbia ancóra invitato i parroci, alla data odierna, a pregare nelle chiese di tutto il mondo. Ma d’altronde, il nostro felicemente regnante, è un Sommo Pontefice totalmente incentrato sull’idea di una Chiesa povera per i poveri, mica sulla speranza che gli scienziati trovino presto un vaccino per salvare le vite, indistintamente, sia ai poveri che ai ricchi.

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Che dire, nella Chiesa di oggi: poveri e migranti avanti a tutto e a tutti, mentre un pericoloso virus si sta diffondendo, senza che per il momento vi siano cure e vaccini. Da tutto questo capite bene che, il virus peggiore, è quello che da tempo si è diffuso dentro la Chiesa Cattolica. La cosa grave è che noi, per salvarci dalla pandemia, il vaccino ce lo abbiamo eccome. Se però ti azzardi a indicarlo, o peggio a chiedere che venga usato, rischi di essere letteralmente sbranato dagli utili e pericolosi idioti che inneggiano alla «rivoluzione epocale» della «Chiesa del nuovo corso», come ha appena scritto giorni fa su queste nostre colonne Jorge Facio Lince in un suo articolo illuminato e illuminante [cfr. QUI].

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dall’Isola di Patmos, 31 gennaio 2020

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Cari Lettori,

nel mese di dicembre è entrato in distribuzione il mio nuovo libro Nada te turbe, un’opera di spiritualità sul martirio scritta in forma di romanzo storico e ambientata in un’epoca di feroce persecuzione della Chiesa. Ritengo che potrebbe edificare e aiutare molte persone, soprattutto in questo momento. Per questo vi invito ad acquistarlo presso il nostro negozio [vedere QUI] ma soprattutto a leggerlo.

 

 

 

 

 

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Meme. Fenomeno buffo internautico che serve come radiografia del corpo ecclesiastico italiano: San Giovanni Paolo II invitava ad aprire le porte a Cristo, pochi anni dopo si è passati ad “abbassare i muri” e “creare ponti” col mondo per essere dei misericordianti piacioni …

— società e attualità ecclesiale —

MEME. FENOMENO BUFFO INTERNAUTICO CHE SERVE COME RADIOGRAFIA DEL CORPO ECCLESIASTICO ITALIANO: SAN GIOVANNI PAOLO II INVITAVA AD APRIRE LE PORTE A CRISTO, POCHI ANNI DOPO SI È PASSATI AD “ABBASSARE I MURI” E “CREARE I PONTI” COL MONDO PER ESSERE DEI MISERICORDIANTI PIACIONI …

La falsa speranza illusoria che oggi si presenta davanti a questa neo ecclesiologia dei meme è quella di pensare o di ipotizzare che domani, nel prossimo conclave, nel prossimo pontificato o in un prossimo eventuale concilio, tutto ritorni come prima in virtù del rifiuto da parte del nuovo eletto, circondato da un grande esercito compatto di coraggiosi e coerenti ecclesiastici, che sistemeranno tutto in un battibaleno, semmai usando la formula magica: hocus pocus …

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Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

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memes e pecore …

Nell’éra della «rivoluzione epocale» che ha preso avvio negli ultimi anni all’interno della Chiesa, si insiste sul bisogno impellente di aprirsi e di dialogare col mondo, quasi come se dovessimo imparare dal mondo quella che sarebbe l‘identità, la missio e la funzione della Chiesa. Così, seguendo la sequela di questi “slogan” rivoluzionari, non ci resta che cominciare a guardare la Chiesa anche sotto il profilo dei fenomeni e movimenti del “mondo”, come quello appartenente a Internet, attraverso il noto e diffuso “meme”.

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Il codice “telematico” meme è assegnato a qualsiasi tipo di file visivo o audiovisivo generato nella infinità di imitazioni, derivazioni e adattamenti di ogni tipo di un’unità originale che può essere anche sconosciuta. Il temine meme [1] è un neologismo coniato dal divulgatore scientifico neo-darwinista Richard Dawkins nella sua opera The Selfish Gene [2] del 1976, ed è un termine con cui si vuole presentare come tesi l’analogia tra la trasmissione genetica e la trasmissione culturale, il tutto basato sull’ipotesi che ogni meme, analogamente al gene, è l’unità più piccola e necessaria nella evoluzione: «I meme sono delle piccole unità culturali che si diffondono da persona a persona copiando o imitando».

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Dawkins spiega che la propagazione dei meme, cioè di quelle idee, canzoni, mode, slogan, principi, regole tra cervelli e cervelli, si concretizza per mezzo dell’imitazione, diffondendosi a modo di “virus” di generazione in generazione fino a diventare un concetto fisso come lo è diventato ad esempio quello dell’idea di Dio  [3]:

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«Dio esiste, solo nella forma di un meme con un alto valore di sopravvivenza o di potere infettivo nell’ambiente della cultura umana» [4].

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In questo meme-idea/concetto su Dio, secondo la teoria di Dawkins si evince in primis che l’imitazione è il mezzo per cui vengono generati e duplicati i meme, i quali seguendo le stesse regole dell’evoluzione naturale ― ma in questo caso per analogia seguendo le regole della “evoluzione culturale” ― sopravvivrebbero solo alcuni di essi portando avanti una nuova vita, ed a seguire le qualità più importanti per sussistere e per diffondersi dei meme, per esempio la longevità, la fecondità e la fidelizzazione nell’imitazione per la sua semplicità. Per ultimo il fattibile principio selettivo di questa “evoluzione sociale”, è quello dell’adattamento in risposta all’ambiente sociale in cui si trova.

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«quando viene seminato un meme fertile nella mia mente, letteralmente si è parassitato il mio cervello con la trasformazione della nuova idea diffusa tramite il  veicolo del meme nella stesa forma che lo farebbe un virus nel parassitare un meccanismo genetico di una cellula ospite» [5]”.

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Alcuni studiosi favorevoli a questo neologismo, hanno introdotto il meme nello studio della condotta umana sviluppandolo come «istruzioni per eseguire condotte che sono state memorizzati nel cervello dopo che sono state trasmesse per imitazione», quindi ogni cosa appresa sin dall’infanzia deve identificarsi per imitazione in quanto meme. Altri studiosi lo hanno invece contestato in virtù della sua ambiguità concettuale: non è infatti possibile definire cosa sia precisamente un meme, l’analogia natura e cultura è troppo riduttiva e inefficace per la descrizione dei comportamenti umani complessi, non aggiunge niente di nuovo di quanto già di per sé riescono a fare gli studi antropologici, culturali, linguistici e sociologici.

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Nella cultura d’Internet, il termine meme cominciò a essere presente dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, conservando anche le stesse analogie tra biologia e cultura, tra geni e meme anteriormente menzionati, anche se la stessa selezione naturale del meme indicata da Dawkins ha avuto una trasformazione in Internet secondo una separazione non tanto attuata secondo la velocità naturale ma secondo l’alterazione deliberatamente data dalla stessa creatività umana con il modo di “hijacking[6] tra due paralleli: quello dell’imitazione fedele come frutto della fascinazione, ammirazione e identificazione o della  denigrazione e del discredito di persone e idee, per seguire con la replica dell’originale o con la totale trasformazione dell’originale stesso.

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A prescindere dagli ostacoli presenti nel mondo accademico riguardo la teoria dei meme, va ammesso che grazie a questa epoca sempre più condizionata e definita dalla comunicazione su Internet, questo termine ha trovato, per le sue caratteristiche, una esponenziale diffusione, sino a mutarsi, da iniziale unità che si propaga gradualmente tramite il contatto interpersonale di contenuti trasmessi simultaneamente, a dei fenomeni di massa veri e propri, sovrastando così i limiti tra la comunicazione interpersonale e quelli di massa, quelli professionali e amatoriali, quelli del basso verso l’alto e viceversa.

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«unità culturali che si diffondono da persona a persona, i meme furono discussi molto prima dell’era digitale. Eppure Internet ha trasformato la diffusione dei meme in una pratica altamente visibile e il termine netizen è diventato parte integrante della neo-lingua, per lessico, grammatica e sintassi propria dell’uomo internetico» [7].

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In questa dinamica comunicativa, il termine meme è diventato in internet uno specifico sinonimo che indica la diffusione di una “idea particolare” presentata come testo scritto, immagine, mossa linguistica o altre unità di “cose” culturali. Uso che sembra molto simile al mondo accademico, ma distinti tra di loro, perché nella teoria della “evoluzione culturale” la caratteristica primordiale è la longevità della idea trasmessa. Invece, nel mondo telematico, i meme sono delle descrizioni per le mode recenti caratterizzate da breve durata. Se quindi nella sfera accademica i meme sono unità concettuali astratte e spesso controverse,  nella net-sfera i meme sono invece fenomeni concreti e parzialmente ammessi da tutti. Per ultimo: se i meme creano delle distinzioni a livello teoretico evoluzionista, in tal caso si mutano in idee singole o formule che si sono propagate bene. Infatti i meme, a livello digitale, sono gruppi di elementi e di contenuto creati con consapevolezza reciproca e di condivisione legati in una unità culturale popolare diffusa, imitata e trasformata dai singoli utenti di internet, sino a creare una esperienza culturale condivisa nel processo in cui il livello personale o micro riesce anche a modellare la “macro-struttura” della società.

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La ragione per cui si è fatto così popolare il fenomeno dei meme nella rete, è dato dal godimento e piacimento provocato nell’utente che riesce a ripetere o trasformare una attività che lo fa uscire della sua routine quotidiana, realizzata quasi sempre insieme ad altre persone. Per questo approccio di gruppo i meme finiscono con l’avere un impatto sociale e politico, perché acquisiscono un ruolo comunicativo di “conversazione continua”, con forte spinta di dibattito, pur restando nell’ambito dei pubblici discorsi informali e spontanei che partono dal basso, con la possibilità di generare collegamenti tra l’individuale e il collettivo, tra il personale con la res-publica.

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I meme sono diventati i conseguenziali elementi naturali per lo studio di Internet e della cultura digitale. Il comportamento memetico è però nuovo, perché la sua portata di visibilità globale non ha precedenti. In questa era iper-memetica la circolazione di copie e derivati hanno dato alle copie un senso più importante dell’ ”originale”, fino a diventare oggi la ragione di essere della comunicazione digitale [8].

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Superando l’ambito della sociologia, della antropologia e dello studio di internet, si potrebbe aggiungere, o volendo anche creare una terza analogia tra evoluzione naturale, evoluzione culturale e «rivoluzione epocale» in cui il meme diventa l’elemento naturale per lo studio “ecclesiologico” e di comportamento nella stessa struttura ecclesiastica odierna. La prima caratteristica sarebbe quella dell’imitazione della moda pauperista cialtrona e priva di sostanza nelle prediche di molti ecclesiastici. La seconda caratteristica può essere costituita dalla spinta e dalla sfida continua a superare i cosiddetti «vecchi schemi», persino se ciò implica di rasentare il ridicolo e l’ignoranza dottrinale, ed il tutto sia ripetendo discorsi sociopolitici, sia in una impostazione assistenziale priva di qualsiasi riferimento alla sfera dello spirituale, del sacro o del sacramentario. Vi sarebbe infine una terza caratteristica, anch’essa tipica e del tutto esclusiva dell’ambito ecclesiastico, non presente negli altri ambienti: l’omologazione acritica imposta come modello tipico dei regimi dittatoriali sparsi per il mondo. Da queste due caratteristiche ― ma specialmente dalla terza ― si può ricavare che la ragione d’essere di questa «nuova ecclesiologia» dei meme, è un perfetto rimando al principio di imitazione descritto dalla favola  del “re nudo”, che ovviamente nessuno può criticare, perché tutti devono ballare e danzare come davanti al «più grande spettacolo dopo il big bang» accecati volontariamente o involontariamente in una percezione chiusa del reale, pronti a magnificare le splendide vesti del re, che come risaputo era però nudo. Attraverso queste dinamiche si realizza e si concretizza l’analogia dei meme in quanto fenomeni vivi e diffusi in modo esponenziale nell’ambito digitale, poco presenti invece negli altri ambiti della vita. Una volta caduti e finiti intrappolati in questi meccanismi, ecco che i rappresentanti del mondo ecclesiastico finiscono con l’essere convinti di vivere e operare nel giusto e di aver fatto veramente una svolta attraverso questa tanto decantata “rivoluzione epocale” che però, fuori dalla piccola “ecclesio-sfera” è ormai sbeffeggiata, ignorata e soprattutto disapprovata dal Popolo di Dio, come lo sarà tra poco anche dalla stessa storia, che finirà col dare su di essa un giudizio molto impietoso e severo.

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Analizzando queste caratteristiche e ragioni di essere, resta solo da interrogarsi sulla durata temporale del tutto. Anche in questo il principio di analogia dei meme come nuova proposta ecclesiologica sulla «rivoluzione epocale» attuale può dare degli spunti non indifferenti: se i meme restano comunque un fenomeno veloce mutabile e ristretto alla forma di comunicazione egemonica attuale del corpo ecclesiale, la sua vita sarà molto subordinata dalla concezione di moda che, in questi tempi di cambiamenti continui sale, scende e sopravvive solo all’interno di piccoli gruppi di fans fedeli.

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Se questo fenomeno dei meme si esamina sotto il profilo sociale antropologico di Dawkins, restando ancorati al principio della analogia dei geni, siamo davanti a una mutazione virale sempre in trasformazione che andrà solo a degenerare in una esaltazione nel pensare, nel dire e nell’agire totalmente estraneo non solo al suo “gene originale”, ossia quel Cristianesimo del quale resta poco o nulla; tenderà a degenerare nel “misericordismo” quale punto di partenza di una nuova espressione religiosa, che solo la storia ci dirà quando sia riuscita a sopravvivere e a imporsi.

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Facendo una valutazione attuale, va detto che tra la ipotesi di Dio e l’idea meme di Dawkins e l’uomocentrismo clericale, sembra che le due espressioni siano le due facce della stessa moneta, o che la seconda sia la conseguenza della prima. Volendo poi fare anche un’analisi più spinta, oserei dire che questa centralità dell’uomo ha parecchio superata la svolta antropologica di Karl Rahner. La centralità della Parola tanto proclamata nel post concilio, ha finito per farci sprofondare in una ermeneutica nichilista del tipo: l’uomo di oggi che interpreta e ridefinisce la “Parola” in quanto messaggio lasciato dall’uomo del passato aggiornandolo secondo i piaceri del presente come farebbe un pappagallo che messo davanti a uno specchio si guarda e ripete suoni ascoltati in precedenza del tipo: ”ciao” “bello” “amore”, “ti voglio bene”…

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La falsa speranza illusoria che oggi si presenta davanti a questa neo ecclesiologia dei meme è quella di pensare o di ipotizzare che domani, nel prossimo conclave, nel prossimo pontificato o in un prossimo eventuale concilio, tutto ritorni come prima in virtù del rifiuto da parte del nuovo eletto, circondato da un grande esercito compatto di coraggiosi e coerenti ecclesiastici, che sistemeranno tutto in un battibaleno, semmai usando la formula magica: hocus pocus

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La certezza della fede ci porta invece a essere fermi sul principio che la Chiesa, corpo mistico, non finirà mai. Giungerà il tempo in cui prenderà vita la prova della grande apostasia e prenderanno di nuovo forma vecchie o nuove eresie, vi saranno riforme e divisione,  ma la Chiesa rimarrà sempre e solo una. La speranza certa è che questo tempo passerà e, con esso, passeranno anche certi personaggi, che per carità attiva ed effettiva vanno considerati e trattati come dei malati in stato terminale; dei poveri malati che non vogliono accettare che il loro tempo di vita sta per finire e che tra poco saranno davanti al Giudizio di Dio, che verso di loro sarà severamente misericordioso. Mentre, i sopravvissuti alle loro gesta e opere, dovranno lungamente pagare e altrettanto lungamente lavorare, per tentare di riparare, anche solo parzialmente, i gravi danni da loro prodotti.

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Dall’Isola di Patmos, 28 gennaio 2020

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NOTE

[1] Questo termine sarebbe la derivazione greca di mimema (imitazione).

[2] The Selfish Gene libro centrato sull’ipotesi che non è il gruppo o l’individuo ma singolo gene che si trasmette in forma meccanica e costretta quindi l’evoluzione non tratta di come si trasmettono i geni, ma che i geni si trasmettono e diffondono a prescindere anche da fattori e comportamenti che possano causare danno all’organismo ― così come  l’uomo è necessariamente egoista pur reputandosi di essere altruista nel soddisfare i propri interessi ― affinché possa massimizzare la trasmissione e diffusione dei suoi geni.

[3] Richard Dawkins con la sua posizione agnostica spiega nell’opera the God Delusion sia che l’evoluzione dimostra la possibilità e la probabilità di evolversi da esseri semplici a più complessi senza l’intervento di nessuna causa esterna o essere superiore e o trascendentale, sia che Dio come origine di tutto non spiega niente e invece spinge a dimostrare un “regresso infinito” in cui questo Dio è invalicabile e improbabile. Dunque l’idea di Dio come delle religioni sono solo delle credenze accettate sin da bambini in quanto utili per la propria sopravvivenza, e che poi sono acriticamente condivise a livello sociale sino a essere la principale causa di divisione, di guerre e di violenza.

[4] Richard Dawkins, The Selfish Gene, Oxford University Press, 2006, p 193. [Traduzione libera mia].

[5] Richard Dawkins, The Selfish Gene, Oxford University Press, 2006, p 192. [Traduzione libera mia].

[6] tecnica di attacco informatico che consiste nel modificare opportunamente  pacchetti dei protocolli per reindirizzare e prendere il controllo dei siti web.

[7] CF.Limor Shifman,«memes in a digital world reconciling with a conceptual troublemaker»

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/jcc4.12013.

[8] CF.Limor Shifman,« memes in a digital world reconciling with a conceptual troublemaker»

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/jcc4.12013]

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Prossime opere in pubblicazione nel mese di gennaio/febbraio:

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ATTI E MISFATTI DEGLI APOSTATI, di Ester Maria Ledda

NUOVO ERESIARIO – VIAGGIO E GUIDA TRA LE ANTICHE E NUOVE ERESIE, di Leonardo Grazzi

 

 

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

Dalla luce delle Olimpiadi all’eterna luce salvifica di Gesù Cristo

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

DALLA LUCE DELLE OLIMPIADI ALL’ETERNA LUCE SALVIFICA DI GESÙ CRISTO

«Giorno e notte, un fuoco divino ci spinge ad aprire la via. Su vieni! Guardiamo nell’Aperto, cerchiamo qualcosa di proprio, sebbene sia ancora lontano».

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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PDF  articolo formato stampa
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Cari fratelli e sorelle,

accensione della fiaccola olimpica, Atene 2018

ogni quattro anni si ripete l’evento sportivo delle Olimpiadi. La prossima estate avremo giochi olimpici Tokyo. Ricordo le prime Olimpiadi che vidi in televisione, Atlanta 1996. Ricordo che in quei quattro anni di preparazione alle olimpiadi è portata da un tedoforo la fiaccola olimpica: nelle antiche olimpiadi quel fuoco indica la continua presenza del dio principale: per i greci Zeus. La fiaccola è anche simbolo di calore e luce che rischiara e mostra la presenza di Dio. Questo richiama il senso della luce, la luce generata dal Dio Trinitario in cui noi crediamo e sappiamo essere il Dio vero e vivente.

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La liturgia di questa II domenica del tempo ordinario (vedere testo della Liturgia della Parola, QUI), nella prima lettura vetero testamentaria ci offre questo brano:

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«Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,3.5-6).

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Il profeta Isaia ascolta la voce del Signore, Adonai. E ascolta verso sé stesso una promessa grandissima: essere luce per tutte le nazioni. Il richiamo alle estremità indica che il messaggio di Dio è un messaggio universale e non racchiuso solo ad Israele. Ma essere luce delle nazioni vuol dire portare rivelazione e vita. Un dare alla luce in modo spirituale, è generare alla vita in Dio.

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Anche noi come Isaia possiamo un po’ fare questo: essere portatori della luce divina. Essere cristofori della fiaccola dell’amore divino. Specialmente andando a risolvere questioni personali oscure: schiarendo con verità e carità quei nuclei di divisione per farli diventare comunione.

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Sappiamo allora di attingere la luce direttamente dalla sua Fonte Originaria: Gesù Cristo, l’eterno Figlio del Padre. Il primo ad accorgersi di questo è proprio il Battista, che nel Vangelo infatti dice:

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«Il Battista disse “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,29-34).

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Giovanni, dice il brano evangelico, vede Gesù venire verso di Lui. Vede un raggio di sole diverso rispetto a quello che era solito vedere nel deserto assolato. Cioè vede in Gesù quella luce speciale, l’esplosione divina dello Spirito Santo. Così il Battista può vedere e riconoscere la filiazione divina di Gesù. Dio si rivela allora in Cristo: la luce è quella verità definitiva, luce eterna che non finirà mai nel buio.

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Proviamo allora a ricordalo nei momenti della nostra oscurità: a cercare quella Luce divina, che rischiara e può darci consolazione. Anche quando la tenebra sembra profonda. Attingere a quella luce, significa rispondere ad una chiamata, ad una missione che è dall’eternità scritta nei nostri cuori. Lo spiega San Paolo:

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«Paolo, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù» (1Cor 1,1-3).

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C’è una santificazione originaria, un primo raggio di luce nella nostra vita: quando siamo stati concepiti sin da subito il Signore per noi ha da sempre avuto un progetto radioso e lucente. La chiamata alla santità, è chiamata ad essere luce per il mondo. Questo avviene anche nello stato di vita in cui viviamo. Avviene sul posto di lavoro e persino nei momenti di relax. Se rimaniamo legati alla luce centrale, che ci ha santificato appena concepiti, continuiamo ad ardere del Suo Amore e a santificare tutto il mondo.

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Scriveva il poeta Friedrich Hölderlin:

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«Giorno e notte, un fuoco divino ci spinge ad aprire la via. Su vieni! Guardiamo nell’Aperto, cerchiamo qualcosa di proprio, sebbene sia ancora lontano».

Il Signore ci doni sempre più la Sua Luce, per brillare in tutta la nostra lucentezza, in tutta la nostra unicità e sacralità: per saper ardere come tizzoni ardenti ed essere quel fuoco sacro che si apre sull’Infinito.

Così sia.

Roma, 19 gennaio 2020

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il blog personale di Padre Gabriele

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Padre Ariel torna giovedì in seconda serata negli Studi di Mediaset al programma Dritto e Rovescio condotto da Paolo Del Debbio

— notizie dai Padri de L’Isola di Patmos —

PADRE ARIEL TORNA GIOVEDÌ IN SECONDA SERATA NEGLI STUDI DI MEDIASET AL PROGRAMMA DRITTO E ROVESCIO CONDOTTO DA PAOLO DEL DEBBIO

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Padre Ariel è stato invitato di nuovo dagli amici della Redazione del programma Dritto e Rovescio condotto da Paolo Del Debbio su Rete4, presso il quale sarà presente alla diretta trasmessa dagli Studi Mediaset di Cologno Monzese nella seconda serata di giovedì 16 gennaio a partire dalle 23.30 circa.

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Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

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il programma condotto da Paolo Del Debbio su Rete4

Informiamo i nostri Lettori che domani sera il nostro Padre Ariel torna in seconda serata alla diretta del programma Dritto e Rovescio condotto da Paolo del Debbio su Rete4, dove è stato già ospite in passato nelle puntate del 31 ottobre e del 7 novembre 2019.

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Gli amici della Redazione hanno richiesto la sua presenza tra gli ospiti per partecipare al dibattito sul tema del celibato sacerdotale, tornato alla ribalta sulla stampa nazionale e internazionale in questi giorni.

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dall’Isola di Patmos, 15 gennaio 2020

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Gabriele

Non è affatto «prematurata la supercazzola», ai giorni nostri è maturata completamente attraverso la cospirazione degli arroganti

—  attualità ecclesiale —

NON È AFFATTO «PREMATURATA LA SUPERCAZZOLA», AI GIORNI NOSTRI È MATURATA COMPLETAMENTE ATTRAVERSO LA COSPIRAZIONE DEGLI ARROGANTI

[…] i territori del regno del supercazzolaro sono Facebook, Instagram, Twitter, insomma tutti i social network, dove l’astuto regnante pretende di pontificare anche di teologia e di scienze sacre senza per questo doversi confrontare con nessuno esperto in materia. La situazione si fa ampiamente grave quando, il supercazzolaro, pretende di estendere i territori del suo regno oltre la realtà virtuale. Cioè quando, una volta spento il computer ed aver apostrofato amici e familiari con “encicliche” sulle scie chimiche, sulla pericolosità dei vaccini, sulla evidenza della terra piatta, e altre scemenze simili, decide di andare in parrocchia e mettersi a diffondere il proprio verbo. 

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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«Da Frate Cipolla ad Alessandro Minutella». Ovverosia: quando la satira d’alta letteratura boccaccesca si muta invece in commedia grottesca e in rovina delle anime

— attualità ecclesiale—

«DA FRATE CIPOLLA AD ALESSANDRO MINUTELLA». OVVEROSIA: QUANDO LA SATIRA D’ALTA LETTERATURA BOCCACCESCA SI MUTA INVECE IN COMMEDIA GROTTESCA E IN ROVINA DELLE ANIME

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il presbitero scomunicato Alessandro Minutella, da iniziale “fenomeno paesano” che molti sbagliando credevano fosse, si è mutato in un avvelenatore di anime, mentre con quel cinismo che spesso le caratterizza, le nostre Autorità Ecclesiastiche sembrano pensare che per risolvere il problema basta non dargli importanza. Quando poi domani qualcuno domanderà loro: “Non avete dato importanza a chi avvelenava le pecore del mio gregge”, con quale cinismo giustificatorio e “diplomazia clericale” pensano di rispondere al Divino Giudice?

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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cliccare sull’immagine per aprire la video-conferenza del Padre Ariel

Se l’Autorità Ecclesiastica avesse fatto sapiente tesoro della grande lacerazione prodotta nella Chiesa da Martin Lutero, di fronte al presbitero scomunicato Alessandro Minutella tremerebbe, perché da meteora che credevano fosse, s’è mutato in un avvelenatore d’anime che trascina molti nostri fedeli verso la rovina. Eppure c’è chi pensa con cieco cinismo che per risolvere il problema basta non dare importanza a lui ed ai suoi seguaci, che sono sempre più numerosi a livello nazionale e internazionale. Mi domando: quando domani sarà loro rimproverato: “Non avete dato importanza a chi avvelenava le pecore del mio gregge”, con quale cinismo giustificatorio pensano di rispondere al Divino Giudice?

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il presbitero scomunicato Alessandro Minutella

La Chiesa sta vivendo una grave crisi, i nostri fedeli sono smarriti e disorientati e quando cercano delle risposte e delle guide, da una parte trovano preti sociali che hanno abbracciato il mondo e smarrito il senso del sacro, dall’altra il Minutella che cavalca l’onda del disagio e del malumore mietendo vittime sempre più numerose. Coloro che con cieco cinismo stanno lasciando queste anime tra le grinfie di questo eretico scismatico, convinti che sia solo un fuoco di paglia destinato a spegnersi, si stanno assumendo una grave responsabilità, perché in questo clima di confusione e smarrimento, un Frate Cipolla è più pericoloso di un Martin Lutero, all’epoca sottovalutato e reputato solo un frate agostiniano arrabbiato originario di un paesello della Sassonia che sbraitava in zone periferiche, dalle quali non avrebbe potuto nuocere alla superba Roma che si reputava al di sopra del bene e del male, poi abbiamo visto come andò a finire. Ecco, oggi finirà peggio …

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dall’Isola di Patmos, 9 gennaio 2020

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Video conferenza di Ariel S. Levi di Gualdo: «Da Frate Cipolla ad Alessandro Minutella» (Canale YouTube)

A T T E N Z I O N E

Se aprite la modalità “schermo intero” e cliccate al centro del video di YouTube sopra la freccia sulla quale sta scritto “scorri per i dettagli” si apriranno tutti i collegamenti ai video del Minutella richiamati dal Padre Ariel nella sua video-conferenza

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MP3  SOLO AUDIO SENZA VIDEO

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il nostro confratello domenicano Francesco Maria Marino spiega ad Alessandro Minutella l’errore sulla “una cum” (Prima parte)

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Neuro-video-delirio fanta-teologico di replica di Alessandro Minutella al domenicano Francesco Maria Marino

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Breve replica di Padre Francesco Maria Marino ad Alessandro Minutella all’inizio della sua catechesi sulla Guida all’esame di coscienza 

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Breve catechesi: «I Sacerdoti ministri del sole»

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Cari Lettori,

nel mese di dicembre è entrato in distribuzione il mio nuovo libro Nada te turbe, un’opera di spiritualità sul martirio scritta in forma di romanzo storico e ambientata in un’epoca di feroce persecuzione della Chiesa. Ritengo che potrebbe edificare e aiutare molte persone, soprattutto in questo momento. Per questo vi invito ad acquistarlo presso il nostro negozio [vedere QUI] ma soprattutto a leggerlo.

 

 

 

 

 

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«Lo chiamavano Santità»: dallo schiaffo di Anagni ai “paccheri del Papa”. Usi ameni sulla figura del Sommo Pontefice, per una lettura trasversale dei fatti

– attualità sociale ed ecclesiale –

«LO CHIAMAVANO SANTITÀ»: DALLO SCHIAFFO DI ANAGNI AI “PACCHERI DEL PAPA”. USI AMENI SULLA FIGURA DEL PONTEFICE, PER UNA LETTURA TRASVERSALE DEI FATTI.

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Visto però che già da qualche tempo seguiamo un nuovo catechismo da esponenti atei e laicisti che fanno di Gesù Cristo solamente un uomo e della Vergine Maria una sciacquetta senza arte né parte, ora è arrivata la volta di ridimensionare e incasellare per bene anche la augusta persona del Romano Pontefice. E così, come le leggi della fama, della satira e della visibilità si dimostrano impietose nei confronti di Donald Trump, Vladimir Putin, Emmanuel Macron … adesso sembra giunto il turno di Jorge Mario Bergoglio. E utilizzo il nome di battesimo del Sommo Pontefice proprio per sottolineare il fatto che tali avvocati delle cause perse, intendono volontariamente vederlo solo e soltanto come uomo, non come Successore di San Pietro, scelto e posto da Gesù Cristo a capo del Collegio degli Apostoli.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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PDF  articolo Formato stampa

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vignetta diffusa sui social tratta da un fotomontaggio dalla locandina del film italian-wester Lo chiamavano Trinità

Con la fine dell’anno 2019 e l’inizio del nuovo, ci è stato regalato un siparietto finora mai visto in Piazza San Pietro. Una fedele cristiana, ha stretto con foga la mano del Sommo Pontefice Francesco I che — forse infastidito da tale gesto e per le sue ragioni — ha reagito con altrettanta foga per divincolarsi dalla vigorosa stretta della signora asiatica, assestando qualche “pacchero” ben misurato.

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A partire dal primo gennaio 2020, questo gesto ha superato in fama l’ambìto e tradizionale concerto di Capodanno, tanto da divulgarsi sui social network in modo virale e intasare i messaggi WhatsApp di molte persone — noi preti compresi — e forse della maggioranza tra i fedeli laici.

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Come capita in questi casi, l’ironia bonaria tutta italiana ha subito prodotto vignette ad hoc che accostavano il gesto del Pontefice a quello di personaggi famosi del cinema: da Bud Spencer, Terence Hill, Chuck Norris fino al romanissimo Mario Brega, ed altri …

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vignetta diffusa sui social

Quando la satira italiana si esprime come da tradizione, nella versione pizza e mandolino, dobbiamo essere sinceri e precisare che in essa non c’è cattiveria, solo bonario desiderio di ridimensionare il tutto con una risata. Diverso il discorso legato invece a casi molto gravi, come quello che ha portato alla notorietà il periodico francese Charlie Hebdo con la sua dissacrante e blasfema satira anti-religiosa.

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Come invece capita solo in Italia, il gesto del Santo Padre si è trasformato in una ennesima occasione per tirare per la veste il pontefice verso una linea di pensiero che si ammanta di buonismo e di politicamente corretto, tanto da attribuire al gesto significati diversi, variopinti e contrastanti. Sicché non sono mancati i moltissimi difensori d’ufficio, anche di una certa età e caratura sociale; gli stessi che mai, ai tempi di Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, Giovanni Paolo I o Paolo VI avrebbero avuto l’ardire di parlare e di fare i leoni da tastiera su stampa e web. Oggi invece, chissà perché, si sono sentiti investiti del sacro fuoco della difesa e dell’onorabilità pontificia e dei suoi gesti. Casualità? Io non credo. Anzi, è sempre più marcata la tendenza a ridurre il Sommo Pontefice a un rappresentante autorevole del mondo dei potenti, anziché vedere e riconoscere in lui un’autorità morale e spirituale che rimanda al Dio trascendente.

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Visto però che già da qualche tempo seguiamo un nuovo catechismo da esponenti atei e laicisti che fanno di Gesù Cristo solamente un uomo e della Vergine Maria una sciacquetta senza arte né parte, ora è arrivata la volta di ridimensionare e incasellare per bene anche la augusta persona del Romano Pontefice. E così, come le leggi della fama, della satira e della visibilità si dimostrano impietose nei confronti di Donald Trump, Vladimir Putin, Emmanuel Macron … adesso sembra giunto il turno di Jorge Mario Bergoglio. E utilizzo il nome di battesimo del Sommo Pontefice proprio per sottolineare il fatto che tali avvocati delle cause perse, intendono volontariamente vederlo solo e soltanto come uomo, non come Successore di San Pietro, scelto e posto da Gesù Cristo a capo del Collegio degli Apostoli.

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vignetta diffusa sui social

Per tali personaggi — alcuni dei quali si sono ibridati come cristiani cattolici solo negli ultimi sei anni — il Pontefice non è il Vescovo di Roma, Vicario di Gesù Cristo, Successore del Principe degli Apostoli, Sommo Pontefice della Chiesa universale, Primate d’Italia e Arcivescovo metropolita della Provincia Romana, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, Servo dei servi di Dio, Capo del Collegio dei Vescovi, ma, in modo più prosaico, egli è il leader di una corrente di pensiero e di un messaggio politico che è possibile rimodellare a buon bisogno.

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È per questo motivo che, davanti alla satira bonaria dell’italianità più genuina, si sono sentiti in dovere di esercitare la difesa d’ufficio. Nello stesso modo in cui si comportano i corifei dei partiti quando viene toccato il loro capo. E, come nella tradizione politica, si cerca di eliminare l’avversario e l’oppositore screditandolo e danneggiandolo con giudizi personali sulla moralità e dignità, così coloro che hanno abbozzato un sorriso davanti alle simpatiche vignette riguardanti il Papa o le hanno condivise sui social si sono visti puntare il dito e biasimati pubblicamente.

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Riporto alcuni esempi tratti dal web di alcune difese d’ufficio:

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«Cioè, fatemi capire. Un uomo di più di 80 anni viene strattonato malamente, perde per un attimo la pazienza e dà uno schiaffetto sulla mano di quella che lo stava tirando a sé come se fosse un pupazzo vinto al Luna Park. Poi chiede pubblicamente scusa (ripeto: il Papa-chiede-scusa- il Papa) e voialtri lo trattate come se fosse un mostro? Non sarà che questo Papa ha la sola colpa di ricordarvi costantemente, con estrema efficacia, quello che dice la religione che voi sostenete di praticare? Non sarà che lo detestate perché vi mette di fronte al dato di fatto che la maggior parte di voi non è affatto diversa da quelli che il Vangelo definisce “Sepolcri imbiancati”? La verità è che oggi come oggi, se il Gesù Cristo del Vangelo camminasse in mezzo a voi, lo chiamereste “zekka buonista”, nella migliore delle ipotesi. E Papa Francesco ve lo sbatte in faccia ogni santo giorno, per questo lo odiate tanto» (da Facebook).

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.. figurarsi se potevano mancare gli unici e irripetibili napoletani …

Non ci sono commenti da fare, almeno da parte di cattolici ben formati e quindi consapevoli di chi sia veramente il Sommo Pontefice e che sappiano per ciò distinguere tra rispetto filiale e venerazione alla sua persona e al suo ufficio e critica costruttiva. Ovviamente non mancano i riferimenti all’odio, diventato ormai come il colesterolo, a seconda da quale parte o fazione provenga, esso diventa buono o cattivo.

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Il secondo caso è apparso sulla mia bacheca Twitter, sono stato strigliato per aver condiviso un post molto simpatico che paragonava il Santo Padre al personaggio western di Trinità alias Terence Hill:

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«Dalla sua “bio” leggo che è un parroco … quindi, ben radicato nella Chiesa Cattolica Romana; considerato che promuove satira su Bergoglio suo “capo”, non le sembra leggermente contraddittoria questa sua condotta? Abbandoni l’abito talare e conduca una vita sacerdotale in Cristo» (da Twitter).

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Anche davanti a questo post ci sono ben poche parole, da parte mia ho risposto per educazione, in quanto non mi sottraggo mai a una certa critica quando viene fatta con educazione e con modo. Tuttavia, si possono evincere molte cose sulla formazione cristiana di questo utente social e sul suo modo di percepire la Chiesa, il papato e la figura stessa dei sacerdoti. Mi spiacerà deludere questo leone da tastiera che si trincera dietro un nickname, al contrario del sottoscritto che mette non solo il nome ma anche la faccia, sapendo di essere non solo fedele al Romano Pontefice e in comunione con lui, ma consapevole del fatto che anche io posso essere utile alla persona del Successore di Pietro nella misura in cui agisco con senso ecclesiale, anche se con l’ironia affettuosa. Volendo posso riassumere il tutto con un esempio legato alle cronache storiche di due Santi: il grande pedagogo, nonché santo molto venerato, Padre Filippo Neri, ed un suo grande “compar di brigata”, il frate cappuccino cercatore San Felice da Cantalice, al quale era legato da grande affetto e amicizia fraterna, ed a vicenda si scambiavano spesso lazzi e scherzi. Un giorno, tra le risa di tutti i presenti, Padre Filippo dimostrò quanto Fra Felice avesse la testa dura rompendo sulla sua testa un fiasco di vino vuoto, poi, tutti e due, incominciarono a ridere sottobraccio in mezzo alla gente. Cosa dire poi delle battute tra i due? Una in particolare, proprio rivolta al Pontefice all’epoca regnante, merita di essere ricordata, perché a proposito di chi sedeva sulla Cattedra di Pietro, il Padre Filippo disse in modo ironico: «Eh, er Papa Sisto, er Papa Sisto, che nun le perdona nemmanco a Cristo!».

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… e figurarsi e potevano mancare i romani appresso ai vignettisti napoletani …

Non lascerò il saio cappuccino, perché sono consapevole che la Chiesa non è il Parlamento, che il suo Capo non è un leader politico e che proprio perché sono peccatore e contraddittorio ho vitale bisogno dello Spirito Santo per convertirmi, proprio come accadde agli Apostoli nel giorno di Pentecoste.

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Per noi sacerdoti, il citare il nome del Papa e del vescovo diocesano nel Canone della Santa Messa significa ribadire la comunione della cattolicità che non è merito umano personale o strategia sociologica, ma opera di Dio per mezzo del suo Spirito. Citando nella celebrazione eucaristica «una cum Papa nostro Francisco» io dimostro la mia venerazione a tutti coloro che hanno ricoperto l’ufficio petrino. Inoltre, da sacerdote e consacrato ribadisco la mia osservanza al magistero della Chiesa insegnato dai Sommi Pontefici, dall’apostolo Pietro fino a Francesco I.

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Se qualcuno pensa di volermi attirare nella tentazione di stilare una hit parade dei Papi più trendy si sbaglia di grosso, poiché capisco che certe storture non derivano dalle bislaccherie di questo o di quell’altro Pontefice ma da coloro che si ergono a difensori e compagni di merende e che incarnano perfettamente le parole profetiche del Salmo:

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«Se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa» (cf. Sal 54,13-15).

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vignetta di Santin

Forse è giunta l’ora di ascoltare meno quelli che hanno sempre in bocca il nome di un Papa abbinato a concetti quali «rivoluzionario», «di rottura», di «epocale svolta» … dando più ascolto a coloro che nel dolore e nella sofferenza tentano di salvarlo da manipolatori e adulatori, anche a costo di essere screditati in pubblico. Perché per noi «… pe’ grazia o pe’ disgrazia, ei sarà sempre lo veneratissimo et amatissimo Signor Papa Nostro Successor de lo Beato Apostol Principe Pietro», com’ebbe a dire in tempi non sospetti San Filippo Neri, quando nella Roma lasciata in pasto alla fame e alla miseria, dopo il terrificante sacco perpetrato dai Lanzichenecchi nel 1527 attraverso violenze, stupri e omicidi di ogni genere, al sacro soglio salì nel 1534 Alessandro dei Principi Farnese col nome di Paolo III, che incurante della situazione di fame e miseria in cui versava la popolazione, ciò malgrado viveva circondato dai fasti delle grandi corti rinascimentali. Eppure era chiamato «amatissimo et veneratissimo» da Padre Filippo Neri, passato poi alla storia con un titolo del tutto particolare: «Il Santo della gioia». E celebrando il Santo Sacrificio della Messa, Padre Filippo Neri, con devozione recitava: «… una cum Papa nostro Paulo» (ogni riferimento è puramente casuale … QUI).

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Laconi, 3 gennaio 2020

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