Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Amoris laetitia, il documento del Santo Padre Francesco sul Sinodo della famiglia

AMORIS LÆTITIA, IL DOCUMENTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO SUL SINODO DELLA FAMIGLIA

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Questa esortazione ribadisce le verità fondamentali di ragione e di fede, che riguardano il matrimonio e la famiglia, ne delinea le caratteristiche, le finalità e le proprietà così come le ha volute il Creatore, il Quale, mediante la missione e l’opera di Cristo, ha concesso alla Chiesa e alla società civile di legiferare con più precisione in materia, a seconda dei tempi e dei luoghi, tenendo conto della fragilità e peccaminosità umana conseguente al peccato originale, al fine di assicurare il più possibile alla famiglia il massimo dell’esercizio delle virtù, soprattutto della carità, che sboccia nella laetitia amoris.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Cari Lettori.

vorremmo introdurvi nell’antico meccanismo speculativo delle dissertazioni teologiche, che non sono fatte di «io penso», «io dico», perché la teologia non è ideologica ricerca delle ragioni del proprio io, ma umile ricerca e annuncio degli arcani misteri di Dio. Questo il motivo per il quale è stato richiesto a Padre Giovanni Cavalcoli un articolo in cui evidenziare tutti gli aspetti positivi dell’Esortazione post-sinodale; e il nostro Padre anziano dell’Isola di Patmos ha provveduto in tal senso. Il tutto per offrire un quadro variegato attraverso più scritti redatti da sacerdoti e teologi diversi, introducendo i lettori in quelle che sono le dissertazioni teologiche riassumibili a loro modo con questo esempio: una volta, in ambito speculativo, a me fu chiesto di redigere uno studio nel quale porre in risalto tutti gli “aspetti positivi” del pensiero di Lutero; e ciò mi fu chiesto sapendo quanto fossi avverso al suo pensiero. A un altro mio confratello, che considerava invece con molta morbidezza questo eresiarca, fu chiesto uno studio nel quale porre in luce tutti gli aspetti negativi dello stesso Lutero. Questi preziosi esercizi, che avevano come scopo di salvare i teologi dalla ideologia e dall’egocentrismo, oggi sono caduti in disuso, coi risultati spesso prodotti al presente da non pochi teologi chiusi nella difesa del proprio iocentrismo sostituito da tempo al Diocentrismo.

Ariel S. Levi di Gualdo

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firma della esortazione post-sinodale Amoris laetitia

L’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia di Papa Francesco è una summa dottrinale e pastorale della famiglia cristiana, una sintesi ricca, completa e ben ordinata dell’attuale pensiero della Chiesa sull’argomento. Essa ribadisce le verità fondamentali di ragione e di fede, che riguardano il matrimonio e la famiglia, ne delinea le caratteristiche, le finalità e le proprietà così come le ha volute il Creatore, il Quale, mediante la missione e l’opera di Cristo, ha concesso alla Chiesa e alla società civile di legiferare con più precisione in materia, a seconda dei tempi e dei luoghi, tenendo conto della fragilità e peccaminosità umana conseguente al peccato originale, al fine di assicurare il più possibile alla famiglia il massimo dell’esercizio delle virtù, soprattutto della carità, che sboccia nella laetitia amoris.

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Il Papa mette altresì a confronto la vera e sana concezione della famiglia con certe idee, abitudini e pratiche aberranti e malsane, che contrastano col piano del Creatore, la giusta concezione dell’uomo e della donna, la retta ragion pratica, il progetto di Cristo, le leggi della Chiesa, il bene della società civile, il progresso umano e la stessa vera felicità della coppia, impedendo la laetitia amoris. Tuttavia, prima di entrare a trattare dei temi morali, pastorali, psicologici, educativi, culturali, ecclesiali, civili, giuridici e spirituali, che toccano la famiglia, il Papa ha la felice idea di prendere l’abbrivio da molto lontano, ossia dai fondamenti assoluti, inviolabili ed immutabili, metafisici, teologici ed antropologici di tutta la trattazione, senza dei quali le mancherebbero le ragioni di fondo, la consistenza teoretica e l’orientamento essenziale.

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amoris laetitia la allegria dell amor

Amoris laetitia

Il Sommo Pontefice infatti sa benissimo che, per scoprire e mettere in luce le cause profonde dei mali, che oggi affliggono la famiglia, per porvi rimedio e per correggere le idee sbagliate e i cattivi comportamenti ed abitudini, che la corrompono e la distruggono, è urgentemente necessario recuperare la concezione realistica della conoscenza [1], per così poter andare con sicurezza ed oggettività alle radici della visione stessa della realtà, della concezione dell’uomo, di Dio e del creato, così come ci viene insegnato dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione ecclesiale e dalla sana filosofia.

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Amoris laetitia

All’inizio del documento, il Santo Padre ci avverte solennemente con le seguenti parole, quasi a darci la chiave di accesso e il criterio per apprenderne il giusto senso e allontanare qualunque strumentalizzazione: «Non cadiamo nel peccato di pretendere di sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono. Al tempo stesso, siamo chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e rispettarla come è stata creata» (n.56).

In poche, dense righe, da meditare a lungo e far fruttare, abbiamo una sintesi di metafisica, di teologia, di antropologia, di gnoseologia e di morale. Il Papa infatti ricorda quello che è stato il peccato originale e che è il peccato dell’ateismo e del panteismo contemporanei: pretendere di sostituirci al Creatore. O l’uomo che si fa Dio e si identifica con Lui o l’uomo che nega Dio e si mette al suo posto. Disgrazia gravissima nell’uno come nell’altro caso.

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In tal caso, l’uomo non ammette un essere, un reale come presupposto del suo pensiero, una realtà presupposta, che lo preceda, realtà, che quindi non ha creato lui, ma l’ha creata Dio. Non ammette questo, per non ammettere un Dio creatore, trascendente, Che ha creato anche l’uomo. No. L’uomo pretende che l’essere si identifichi col suo pensiero e sia quindi sia effetto del suo pensiero, rubando a Dio la sua prerogativa, per la quale in Lui e solo in Lui, Essere e Pensiero sussistenti, il reale è causato e voluto dall’ideale, nel caso, dal Logos divino.

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Amoris laetitia

Dunque, ci spiega il Papa, l’uomo che si ritiene “onnipotente”, non si considera creatura, ma come creatore di se stesso. Non riceve da nessun Dio alcun dono, perché fa tutto da sé, basta a se stesso, decide tutto lui, anche i termini della natura umana, che non è un dato fisso, oggettivo, universale e immutabile, stabilito da Dio, ma che invece egli può plasmare e mutare soggettivamente come vuole. E quindi sta a lui stabilire la legge morale. Non ha alcun Dio da ringraziare, o al quale chiedere aiuto o perdono o misericordia, giacché egli, essendo legge a se stesso, non deve render conto a nessuno, ma è in grado di risolvere da sé tutti i suoi problemi.

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Le conseguenze in morale di questi errori, in particolare nel campo dell’antropologia sessuale, sono chiare. La distinzione uomo-donna non è intoccabile, né è stabilita da Dio, ma è un semplice dato di fatto contingente, che non esclude, ma anzi ammette la possibilità di forme diverse di sessualità, creata dall’uomo. Ecco la teoria del gender.

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Amoris laetitia

Il Papa invece ricorda che la legge morale naturale è stabilita da Dio ed è quindi inviolabile. Nella fattispecie del matrimonio, esso è di per sé un valore naturale, elevato da Cristo alla dignità di sacramento. La Chiesa e lo Stato, ciascuno nel suo ordine, hanno facoltà, diritto e dovere di legiferare, disciplinare e regolare in materia, ma sempre in applicazione delle leggi divine. Queste sono immutabili, mentre le leggi umane, sia della Chiesa che dello Stato, possono mutare.

Il Papa giunge a precisare la natura della guida morale e pastorale delle azioni umane, che non può accontentarsi dell’astrattezza della legge o della norma, ma suppone una lettura attenta delle circostanze, della varietà dei casi e delle situazioni, così da poter determinare od ordinare, con prudenza, giustizia e carità, l’atto particolare o concreto da compiere.

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Tra i molti temi trattati, desidero fermarmi su due questioni, che ormai da molti anni stanno polarizzando l’attenzione della Chiesa, dei vescovi, dei moralisti, delle famiglie e dello stesso mondo laico: la prima, se sia opportuno o meno che la Chiesa conceda la Comunione eucaristica ai divorziati risposati. E la seconda, il giudizio morale da dare alle unioni stabili di persone omosessuali. Il Santo Padre, ai nn. 243 e 298, parla delle condizioni umane e morali delle coppie del primo caso, ma non entra nella questione. Il che vuol dire evidentemente che egli conferma le disposizioni di San Giovanni Paolo II contenute al n. 84 dell’enciclica Familiaris consortio.

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Amoris laetitia

Il Papa ha preferito insistere, in quei numeri ed altri, sia nel presentare modalità, forme e circostanze diverse di quelle coppie, sia nel dare indicazioni ai pastori, vescovi e sacerdoti, e alle stesse famiglie regolari, sul modo di aiutare ed accompagnare con saggio discernimento queste coppie, in un cammino di conversione, penitenza e crescita morale, dedicandosi alle opere buone ed all’educazione dei figli, nel servizio alla Chiesa e alla società, sforzandosi di vivere in grazia di Dio, precisando che, benché non scomunicate, non sono in piena comunione con  la Chiesa.

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Il Papa precisa che queste coppie, benché collocate in uno stato di vita irregolare, possono tuttavia e devono mantenersi in grazia e ricevere da Dio il perdono dei peccati, benché ciò non avvenga mediante il sacramento della penitenza, che a loro non è concesso, ma semplicemente grazie alla presenza efficace e diretta della misericordia di Dio.

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Amoris laetitia

Egli quindi risponde alla difficoltà sollevata da coloro che sostengono che, trovandosi essi in uno stato di vita che spinge al peccato, non possono essere in grazia. Uno stato di vita, spiega il Papa, può essere pericoloso, ma questo non vuol dire che chi vive in esso non possa essere in grazia e, d’altra parte, proprio la spinta al peccato fa sì che la colpa diminuisca, giacché nessuno è tenuto a compiere un atto che supera le proprie forze.

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La norma che proibisce ai divorziati risposati di accedere alla Santa Comunione, è una norma che dipende dal potere delle chiavi, ossia è una legge ecclesiastica, che non discende dalla legge divina in modo univoco, necessario e senza alternative, come fosse una deduzione sillogistica, quasicchè, come credono alcuni, un’eventuale modifica, abolizione o mitigazione dell’attuale disciplina introdotte un domani dal Papa, recassero pregiudizio od offesa alla legge divina e alla dignità cristiana del matrimonio. Al contrario, tutto ciò rientra nelle facoltà del Sommo Pontefice come supremo Pastore della Chiesa. Se non ha ritenuto di dover far ciò, lasciando immutata la legge di San Giovanni Paolo II, vuol dire che ha avuto delle buone ragioni per farlo, e noi, da buoni cattolici, accogliamo docilmente e fiduciosamente le decisioni del Vicario di Cristo.

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Passiamo adesso alla seconda questione. Dice il Santo Padre:

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251. Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso [278].

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292. Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società. Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo. I Padri sinodali hanno affermato che la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio [314].

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Amoris Laetitia 10

Amoris laetitia

Qui non ci sono commenti da fare, tanto il testo è chiaro. Quello che possiamo auspicare è che tra società civile e Chiesa possa sorgere, in questa delicata materia, una fruttuosa collaborazione ed accettazione reciproche, fra il punto di vista dello Stato e quello espresso qui dai Padri sinodali col consenso del Papa.

Lo Stato, da una parte, deve rendersi conto del suo dovere, nel suo stesso interesse, di impedire l’aggravarsi di questo fenomeno sociale, che, all’evidenza più palmare, porterebbe, a lungo andare, non dico all’estinzione della Chiesa, alla quale Cristo ha promesso l’eternità, ma a danni gravissimi al consorzio umano e al buon ordine dello Stato.

Quanto alla Chiesa, dal canto suo, è oggi più che mai chiamata ad annunciare il Vangelo della famiglia, non come il residuo di un passato da conservare per forza, o un modello di vita monocromo e monolitico da imporre a tutti, e neppure come una unione contingente, lasciata al capriccio dei singoli, ma come libera e creativa comunità d’amore, che, nella società e nella Chiesa, opera per il bene di entrambi in amoris laetitia.

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[1] Vedi il mio studio La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’Evangelii gaudium di Papa Francesco, in Pontificia Accademia Theologica, 2014/2, pp. 287-316 [testo, QUI]

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Amoris laetitia, “salutare autocritica”

– Angolo dei Confratelli Ospiti dell’Isola di Patmos

AMORIS LÆTITIA, «SALUTARE AUTOCRITICA»

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È possibile che, via via che passano gli anni, le esortazioni apostoliche post-sinodali diventino sempre più prolisse? È possibile che non si riesca a sintetizzare in poche proposizioni i risultati delle discussioni dei Padri? La concisione, in genere, si sposa bene con l’efficacia e l’incisività: quando ci si dilunga oltre il necessario per trasmettere un determinato messaggio, il più delle volte significa che le idee non erano molto chiare.

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Giovanni Scalese, CRSP

Giovanni Scalese, CRSP *

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Canova eros e psiche

Eros e psiche, opera di Antonio Canova

Mi è stato sollecitato un intervento sulla esortazione apostolica Amoris laetitia. I lettori che mi seguono ab initio [cf. QUI] sanno che non mi piace molto commentare i documenti pontifici. Scrissi in altra occasione: «Le sentenze non si discutono, si applicano». In questa circostanza, pertanto, anziché entrare nel merito della esortazione, preferirei soffermarmi principalmente su alcuni aspetti procedurali, anche se sarà inevitabile fare dei riferimenti ai contenuti.

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Il documento ci invita a essere umili e realisti e a fare una «salutare autocritica» [n.36]. Credo che tale atteggiamento non debba essere rivolto solo verso la Chiesa del passato e la sua prassi pastorale, ma, per essere autentico, debba estendersi a 360° e quindi anche alla Chiesa odierna. Vorrei pertanto fare alcune domande, non con spirito polemico, ma come semplice invito alla riflessione.

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amoris laetitia

l’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia

È corretto tornare su questioni che erano state già affrontate in tempi relativamente recenti (il precedente Sinodo sulla famiglia risale al 1980), senza che nel frattempo la situazione fosse radicalmente mutata? È vero che in questi trentacinque anni ci sono state non poche novità, che non erano state allora affrontate (p. es., la fecondazione assistita, la maternità surrogata, la teoria del gender, le unioni omosessuali, la stepchild adoption, ecc.); ma è altrettanto vero che tali tematiche non sono state al centro dei lavori degli ultimi Sinodi e sono toccate solo in parte e di sfuggita nell’esortazione apostolica. L’attenzione sembrava rivolta esclusivamente su una questione che era stata già ampiamente dibattuta e definita: l’accesso ai sacramenti da parte dei divorziati risposati civilmente. La questione era stata autorevolmente risolta nell’esortazione apostolica Familiaris consortio (n. 84); il suo insegnamento era stato poi ripreso dal atechismo della Chiesa cattolica (n. 1650) e ribadito dalla Lettera della Congregazione per la dottrina della fede del 14 settembre 1994 e dalla Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i testi legislativi del 24 giugno 2000. Mi rendo perfettamente conto che Amoris laetitia sfugge a questa logica dottrinale-giuridica, per porsi su un piano squisitamente pastorale; chiedo solo: è corretto rimettere in discussione un insegnamento ormai praticamente definitivo?

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il Santo Padre Francesco con il Cardinale Carlo Caffarra, oggi Arcivescovo emerito di Bologna, considerato uno tra i più grandi esperti dei problemi sulla famiglia

È corretta la procedura seguita per affrontare questo tema? Prima il Concistoro straordinario nel febbraio 2014; poi l’assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi nell’ottobre dello stesso anno; successivamente, la emanazione dei due motu proprio sulle cause di nullità matrimoniale nell’agosto 2015; quindi l’assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi nell’ottobre immediatamente successivo; infine l’esortazione apostolica post-sinodale appena pubblicata. Finora non si era mai vista una simile procedura: non era sufficiente un’unica assemblea sinodale, debitamente preparata? Era proprio necessario questo “martellamento” durato due anni? A qual fine? Senza contare poi le anomalie registrate lungo il cammino: la segretezza della relazione al Concistoro e del dibattito sinodale; la relazione post disceptationem del Sinodo 2014, che non rifletteva i risultati del dibattito; la relazione finale del medesimo Sinodo, che riprendeva tematiche che non erano state approvate dai Padri; la lettera riservata dei tredici cardinali all’inizio del Sinodo 2015, denunciata pubblicamente come “cospirazione”; ecc.: sono cose normali?

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sinodo dei vescovi seduta

una seduta del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia

È corretto insinuare determinate soluzioni pastorali, che non erano state accolte dai Padri sinodali (e pertanto non potevano essere riprese nel testo dell’esortazione), nelle note del documento? È corretto mettere in discussione in un documento del magistero l’insegnamento di un documento precedente con la seguente formula: «molti … rilevano» [nota 329)] “Molti” chi? “Rilevano” a che titolo? Inoltre, quale tipo di adesione richiede la nota 351, che ammette una possibilità in aperto contrasto con con l’insegnamento e la prassi ininterrotta della Chiesa, basandosi su argomenti che erano stati già presi in considerazione e giudicati insufficienti a giustificare una deroga a quell’insegnamento e a quella prassi [cf. la Lettera della Congregazione della Dottrina della fede del 14 settembre 1994, in particolare il n.5: «Tale prassi di non ammettere i divorziati risposati all’Eucaristia], presentata [da Familiaris consortio] come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni»]?

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assemblea dei fedeli

assemblea dei fedeli

Non ci si dovrebbe preoccupare, quando si pubblica un documento, di che cosa arriverà ai fedeli? In Evangelii gaudium si poneva, giustamente, il problema della comunicazione del messaggio evangelico [n.41)] in Amoris laetitia si ammonisce di «evitare il grave rischio di messaggi sbagliati» [n.300]. Il fatto che nei giorni successivi all’uscita dell’esortazione siano stati pubblicati commenti contrastanti fra loro non dovrebbe far riflettere? Non sarà che il linguaggio usato non fosse sufficientemente chiaro? È possibile che sullo stesso documento ci sia chi afferma che non cambia nulla e chi lo considera rivoluzionario? Se una affermazione fosse chiara, non se ne dovrebbero poter dare contemporaneamente due interpretazioni opposte. La confusione provocata non dovrebbe essere un campanello d’allarme? In Amoris laetitia non si ignora il problema: «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione» [n.308], ma poi, con Evangelii gaudium [n.45)], si risponde che è preferibile una Chiesa che «non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada». Si è tentati addirittura di pensare che la confusione venga intenzionalmente ricercata, perché in essa agirebbe lo Spirito e in essa Dio va ricercato. Personalmente preferisco credere, con San Paolo, che «Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» [1 Cor 14:33].

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le vecchie, amate e belle scaffalature dei libri …

È possibile che, via via che passano gli anni, le esortazioni apostoliche post-sinodali diventino sempre più prolisse? È possibile che non si riesca a sintetizzare in poche proposizioni i risultati delle discussioni dei Padri? La concisione, in genere, si sposa bene con l’efficacia e l’incisività: quando ci si dilunga oltre il necessario per trasmettere un determinato messaggio, il più delle volte significa che le idee non erano molto chiare. Senza contare che, elaborando documenti eccessivamente lunghi, si rischia di scoraggiare anche i più volenterosi a intraprenderne la lettura e li si costringe ad accontentarsi dei sunti, solitamente parziali e di parte, che ne fanno i mezzi di informazione.

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psicoterapia

«… cominci a narrarmi la sua infanzia»

È proprio necessario che i documenti pontifici si trasformino in trattati di psicologia, pedagogia, teologia morale, pastorale, spiritualità? È questo il compito del magistero della Chiesa? Prima si afferma che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero» [n.3] poi, di fatto, ci si pronuncia su ogni aspetto e si rischia addirittura di cadere in quella “casuistica insopportabile”, che pure, a parole, si dice di deprecare [n.304]. Al magistero spetta il compito di interpretare la parola di Dio [Dei Verbum, n.10; Catechismo della Chiesa cattolica, n.85], definire le verità della fede, custodire e interpretare la legge morale, non solo evangelica, ma anche naturale [Humanae vitae, n.4]. Il resto — la spiegazione, l’approfondimento, le applicazioni pratiche, ecc. — è sempre stato lasciato ai teologi, ai confessori, ai maestri di spirito, alla coscienza ben formata dei singoli fedeli. Un’esortazione apostolica, destinata a tutti i fedeli, non può, a mio parere, diventare un manuale per confessori.

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astrattezza

il problema dell’astrattezza …

È giusto insistere sull’astrattezza della dottrina [nn. 22; 36; 59; 201; 312], contrapponendola al discernimento e all’accompagnamento pastorale, quasi non ci fosse possibilità di convivenza fra le due realtà? Che la dottrina sia astratta, non mette conto di sottolinearlo: lo è per natura; come la prassi, di per sé, è pratica. Ma ciò non significa che nella vita umana non ci sia bisogno dell’una e dell’altra: la prassi deriva sempre da una teoria, basti pensare che in Amoris laetitia si ripete per ben due volte, ai nn. 3 e 261, un principio filosofico — e pertanto astratto — che era stato già enunciato in Evangelii gaudium ai nn. 222-225: «Il tempo è superiore allo spazio». Ragion per cui è importante che la prassi, per essere buona (“ortoprassi”), sia ispirata da una dottrina vera (“ortodossia”); in caso contrario, una dottrina errata genererebbe inevitabilmente una prassi cattiva. Disprezzare la dottrina non giova a nulla, serve solo a privare la prassi del suo fondamento, della luce che dovrebbe guidarla. Non ci si accorge, inoltre, che il parlare della prassi non si identifica con la prassi stessa, ma costituisce solo una teoria della prassi? E la teoria della prassi è pur sempre una teoria, altrettanto astratta quanto la dottrina a cui si vuole contrapporre la prassi.

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Bologna, Chiesa del Baraccano, anni ’50 [foto di Giuseppe Savini]

Descrivere la Chiesa del passato come una Chiesa esclusivamente interessata alla purezza della dottrina e indifferente ai problemi reali delle persone, non è forse una caricatura che non corrisponde in alcun modo alla realtà storica? Arrivare al punto di usare certe espressioni [n. 49: «Invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in “pietre morte da scagliare contro gli altri”»; n. 305: «Un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa “per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”»] è non solo offensivo, ma falso e ingeneroso verso quanto la Chiesa ha fatto e continua a fare, pur fra mille contraddizioni e infedeltà, per la salvezza delle anime. Nella Chiesa il discernimento e l’accompagnamento pastorale, magari chiamati con nomi diversi e senza fare troppe teorizzazioni, ci sono sempre stati; solo che finora ciascuno faceva il suo mestiere: il magistero insegnava la dottrina, i teologi l’approfondivano, i confessori e i direttori spirituali l’applicavano ai singoli casi. Oggi invece sembrerebbe che nessuno riesca più a distinguere la specificità del proprio ruolo.

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Trasformare le esigenze della vita cristiana in “ideali” [nn. 34; 36; 38; 119; 157; 230; 292; 298; 303; 307; 308] non significa — davvero in questo caso — trasformare il cristianesimo in qualcosa di astratto, peggio, in una filosofia, se non addirittura in una ideologia? Non significa forse dimenticare che la parola di Dio è viva ed efficace [Eb 4:12], che la verità rivelata è una “verità che salva” [Dei Verbum, n. 7; Gaudium et spes, n. 28], che il vangelo «è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» [Rm 1:16], che «Dio non comanda l’impossibile; ma, quando comanda, ti ammonisce di fare quello che puoi e di chiedere quello che non puoi, e ti aiuta perché tu possa farlo» [Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, c. 11; cf Agostino, De natura et gratia, 43, 50]?

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ministero pastorale

la pastorale non può prescindere dalla dottrina e viceversa …

Siamo sicuri che la “conversione pastorale” [Evangelii gaudium, n. 25], che si richiede alla Chiesa odierna, sia un bene per essa? Ho l’impressione che alla base di tale conversione ci sia un equivoco di fondo, già presente al momento dell’indizione del Concilio Vaticano II e giunto fino ai nostri giorni: pensare che non sia più necessario che la Chiesa oggi si prenda cura della dottrina, essendo già essa sufficientemente chiara, conosciuta e accettata da tutti, e che ci si debba preoccupare solo della prassi pastorale. Ma siamo proprio sicuri che la dottrina sia oggi così chiara, che non necessiti di ulteriori approfondimenti e di essere difesa da interpretazioni erronee? Siamo proprio certi che tutti, oggi, conoscano la dottrina cristiana? Non basta rispondere a queste domande dicendo che c’è il Catechismo della Chiesa cattolica: primo, perché non è scontato che tutti lo conoscano; secondo, perché, quand’anche fosse conosciuto, non è detto che sia da tutti condiviso. Se è vero che «la misericordia non esclude la giustizia e la verità, ma anzitutto dobbiamo dire che la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione piú luminosa della verità di Dio» [Amoris laetitia, n. 311], è altrettanto vero che «non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo, è eminente forma di carità verso le anime» [Humanae vitae, n. 29; cf Familiaris consortio, n. 33;Reconciliatio et paenitentia, n. 34; Veritatis splendor, n. 95]. E il servizio che il magistero deve offrire alla Chiesa è, innanzi tutto, il servizio della verità [Catechismo della Chiesa cattolica, n. 890]; proprio insegnando la verità che salva il magistero assume un atteggiamento pastorale e “misericordioso” verso le anime. Solo quando il magistero avrà adempiuto a questo suo compito primario, gli operatori pastorali potranno, a loro volta, formare le coscienze, fare opera di discernimento e accompagnare le anime nel loro cammino di vita cristiana.

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* Giovanni Scalese [Roma, 1955] è sacerdote e teologo dell’Ordine dei Chierici Regolari di San Paolo (Padri Barnabiti).

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.,Senza peli sulla lingua

Pensieri in libertà di un Querciolino errante,

di Giovanni Scalese

[edito il 14 aprile 2016]

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grafica e foto a cura della redazione dell’Isola di Pamos

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