Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Il Cardinale Müller fa «proposte folli» su Amoris laetitia? No, ha solo proposto una di quelle disputatio che fanno parte della storia della teologia che il direttore del Sismografo, Luis Badilla, mostra di non conoscere

IL CARDINALE MÜLLER FA «PROPOSTE FOLLI» SU AMORIS LÆTITIA ? NO, HA SOLO PROPOSTO UNA DI QUELLE DISPUTATIO CHE FANNO PARTE DELLA STORIA DELLA TEOLOGIA CHE IL DIRETTORE DE IL SISMOGRAFO LUIS BADILLA MOSTRA DI NON CONOSCERE 

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In questa proposta del Prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, non è contenuto nulla di «folle», come afferma Badilla, né si tratta assolutamente di sospettare dell’ortodossia del Sommo Pontefice, tanto meno di «correggere» il Santo Padre Francesco I sotto questa angolatura, cosa impensabile per un cattolico. Chi pretendesse ciò, non farebbe una correctio “filialis”, ma una praesumptuosa, illicita et impia correctio.  

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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 PDF  articolo formato stampa 

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il Sommo Pontefice Francesco I e l’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Cardinale Gerhard Ludwig Müller durante una sessione dell’ultimo Sinodo sulla famiglia

Luis Badilla, su Il Sismografo del 27 settembre, dimostrando carenza di cultura teologica e ignoranza della storia della teologia, ha insultato in modo sfrontato il Cardinale Gerhard Ludwig Müller per la sua proposta saggia e opportuna di istituire una commissione cardinalizia che chiarisca, mediante franca e fraterna discussione, cum Petro e sub Petro, gli ormai noti e segnalati punti poco chiari della Amoris Laetitia [cf. Il SismografoQUI].

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In questa proposta del Prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, non è contenuto nulla di «folle», come afferma Badilla, né si tratta assolutamente di sospettare dell’ortodossia del Sommo Pontefice, tanto meno di «correggere» il Santo Padre Francesco I sotto questa angolatura, cosa impensabile per un cattolico. Chi pretendesse ciò, non farebbe una correctio “filialis”, ma una praesumptuosa, illicita et impia correctio.  

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Non è invece proibito avanzare in linea di principio, oppure mostrare obiezioni o riserve motivate circa la correttezza o prudenza pastorale di un documento pontificio, qual è l’Amoris Laetitia, che contiene appunto direttive pastorali, che possono mutare quanto disposto da un Papa precedente e possono a loro volta essere mutate da un Papa successivo o dallo stesso Papa in un momento successivo del suo pontificato, in quanto non mettono in gioco l’inviolabile ed immutabile legge divina o naturale, ma semplicemente il potere giurisdizionale ― la potestas clavium ― del Romano Pontefice, cosa che evidentemente non può capitare per i documenti dottrinali o dogmatici, morali o speculativi, espressioni infallibili di verità immutabili.

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Si tratterebbe invece di chiarire e mettere in evidenza come Amoris laetitia supponga e confermi, almeno implicitamente, la dottrina della Chiesa concernente:

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  1. l’indissolubilità del matrimonio e quindi la gravità oggettiva del peccato di adulterio;
  2. i differenti livelli di autorità della legge divina, della legge ecclesiastica e di quella naturale;
  3. il valore e la fallibilità della coscienza morale;
  4. la necessità di essere in grazia per poter accedere alla Comunione;
  5. la differenza tra stato irregolare e stato di peccato e quindi la possibilità di essere in grazia pur trovandosi in uno stato irregolare, possibilità fondata sulla differenza tra tendenza al peccato (concupiscentia) e atto del peccato ;
  6. Dio può salvare anche senza i sacramenti;
  7. le condizioni soggettive per la attenuazione della colpa;
  8. il divieto o precetto negativo, ossia “non fare il male” obbliga sempre ed assolutamente [semper et ad semper, intrinsece malum]; il comando o precetto positivo “fa’ il bene” obbliga sempre [semper sed non ad semper, extrinsece bonum], ma ammette dispensa o eccezione in casi speciali (casistica), nei quali occorre obbedire ad una legge superiore. Alcuni casi sono riservati alla legge, altri sono lasciati alla prudenza dell’agente.

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Si tratterebbe altresì di discutere l’impostazione pastorale della Amoris laetitia che sembra, per timore del rigorismo e della rigidezza, improntata ad un certo facile permissivismo e eccessiva indulgenza e possedere uno scarso incentivo alla penitenza, alla perfezione ed alla  santità nei confronti della condotta e dello stato giuridico delle coppie irregolari. Sembra stimolare poco a correggersi, ad affaticarsi, a sforzarsi e a sacrificarsi per raggiungere l’ideale.

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Da nessuno si può esigere di più di quanto può fare, e occorre ricordare che il progresso avviene per tappe e per gradi e che dobbiamo perdonare settanta volte sette.  Ma quello che si può fare si deve fare, altrimenti non ci sono scuse, né si può pretendere di essere compassionati. Ma, al fine di comprendere la situazione attuale, con i suoi problemi e le sue prospettive, vediamo brevemente come siamo giunti a questo punto.

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Amoris laetitia non costituisce affatto un caso senza precedenti. È nel suo insieme un documento di enorme complessità e ricchezza, è una summa del matrimonio cristiano, risultato del lavoro di due sinodi mondiali dei vescovi sotto la presidenza del Romano Pontefice. Per questo, essa costituisce un passo avanti sotto il profilo pastorale, rispetto alla Familiaris consortio del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, più attenta ai princìpi, ma soprattutto legata ad un altro genere di società, nonché collocata in un contesto mondiale in frenetica evoluzione, sia nel bene come nel male. Certo, ci si attendeva la risposta a diverse questioni importanti, ma non si può negare soprattutto l’attesa diffusa della parola del Papa circa la questione, tutto sommato marginale, ma molto sentita, del permesso o meno della Comunione ai divorziati risposati.

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San Giovanni Paolo II, al n. 84 della Familiaris consortio non permette ai divorziati risposati di fare la Comunione, a meno che non vivano come fratello e sorella. Ora, da diversi anni alcuni moralisti si domandavano se questa disciplina non poteva essere mitigata o allargata, così da consentire, almeno in alcuni casi speciali, l’accesso dei divorziati risposati alla Comunione.

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La pubblicazione di Amoris Laetitia fu attesa con molto interesse da tutti coloro che attendevano dal Papa una risposta autorevole su questa delicata e difficile questione. Alcuni si aspettavano una conferma della norma di San Giovanni Paolo II, che rispecchia un’antichissima tradizione; altri invece, consapevoli che questa materia è disciplinata dal potere giurisdizionale del Papa, speravano ch’egli avrebbe concesso il permesso della Comunione ai divorziati risposati.

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Il Papa non si è invece fermato con chiarezza su questa questione ― difficile sapere per quale motivo ― limitandosi a fare ad essa fuggevole accenno soltanto nell’ormai famosissima nota 351, nella quale si dice, in forma del tutto ipotetica, che «in alcuni casi» la Comunione «potrebbe» essere concessa ai divorziati risposati, ma senza precisare in quali di questi casi.

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Un simile pronunciamento non ha il carattere di una legge, sia perché espresso al condizionale ― mentre una legge è formulata all’indicativo o all’imperativo ―; sia perché, una legge legata ad alcuni casi, per aver valore di legge deve precisare quali sono questi casi, non rimanere invece mera ipotesi. Inoltre, la nota 351 esprime bensì una «possibilità», ma non nel senso che  sia adesso possibile e quindi permesso e lecito dare la Comunione ai divorziati risposati, ma, essendo formulata al condizionale, esprime una legge possibile ma non attuale al momento presente. Come a dire che, se il Papa vorrà, in futuro, potrà concedere il permesso. Ma finché questo non avverrà, resta allora in vigore la norma di San Giovanni Paolo II. O come ha espresso trattando il tema da altra angolatura il Padre Ariel S. Levi di Gualdo: «Non si può chiedere, al Sommo Pontefice, di ritirare ciò che egli, di fatto, non ha mai ammesso e quindi concesso» [cf. QUI].

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Il Cardinale Francesco Coccopalmerio, canonista della Santa Sede di alta autorità, ha di recente proposto i casi che, in riferimento alla nota 351, potrebbero, a suo giudizio, essere ufficializzati, col consenso del Papa, nel caso in cui il tenore ― al momento soltanto ipotetico ― della dibattuta nota in questione, fosse eventualmente mutato ed elevato dal Papa al rango di legge. Ma questo, come ripetiamo, al momento non è ancora accaduto. Pertanto nessuno, come dice il vecchio proverbio, può ragionevolmente invocare che si corra al pronto soccorso per fasciare una testa quando di fatto, al momento, questa testa non si è ancora spaccata.

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Per quanto riguarda la nota Lettera inviata al Papa dai vescovi della regione di Buenos Aires l’anno scorso, essa dice, con riferimento alla nota 351, che «Amoris Laetitia apre la possibilità di accesso ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia». È altrettanto nota la risposta del Papa: «Lo scritto è molto buono ed esplicita chiaramente il senso del capitolo VIII°. Non ci sono altre interpretazioni» [cf. QUI].

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Il guaio è che le parole dei vescovi argentini non sono affatto univoche e possono prestarsi due sensi, nonostante il giudizio benevolo del Papa che però, di conseguenza, si esprime in modo equivoco anche lui. Sicché, non essendo chiaro cosa hanno inteso dire i vescovi, non è di conseguenza chiaro se il Papa li abbia capiti e che cosa intende dire, benché egli li elogi per essersi espressi con chiarezza. Essi giocano invece purtroppo in modo scorretto ― vogliamo pensare in buona fede ― sul termine «possibilità». E una volta fatto questo, hanno tentato di conferire ad una lettera rango di Motu proprio Summorum Pontificum.

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Un conto è se i Vescovi argentini intendano dire che la nota 351 accenna a una legge «possibile» ― e questa è l’interpretazione giusta della nota, come abbiamo visto ―; altro conto è interpretare la nota come se essa dichiarasse la possibilità, ossia la concessione o il permesso o l’ammissibilità, adesso e subito, della Comunione ai divorziati riposati.

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Per questo quella risposta del Sommo Pontefice non fa testo, non per la forma ― non sarebbe la prima volta che un Papa interpreta un suo documento scrivendo a qualche vescovo ―, ma per il contenuto ambiguo che il Papa dovrebbe chiarire, se vuol essere obbedito. Non si può infatti obbedire a un superiore, pur volendolo, se prima non si capisce che cosa intende dire, comandare o invitarci ad eseguire o attuare.

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Gli estensori della Correctio filialis citano alcuni passi dell’Amoris Laetitia per ricavarne proposizioni eretiche, circa le quali non è chiaro se essi intendono considerarle attribuibili al Papa, oppure se si tratta di eresie che possono essere ricavate dal testo dell’Amoris Laetitia. Beninteso: non intendo dirimere questa questione, specie dopo che il Padre Ariel S. Levi di Gualdo, sulle colonne della nostra Isola di Patmos, s’è messo a ruggire come un leone che gira per la foresta a caccia di zebre e gazzelle da sbranare, saltellando poi festoso attorno ai brandelli sicuro di avere lucrato in tal modo l’indulgenza plenaria. Quindi mi limito soltanto, dal canto mio, a precisare che in ogni caso non è lecito accusare il Sommo Pontefice di eresia in un documento ufficiale del suo magistero, come è appunto l’Esortazione Apostolica Amoris laetita.

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Se l’accusa di eresia al Romano Pontefice è inammissibile [cf. QUI, QUI, QUI] è invece lecito discutere sul fatto che alcuni dei passi del documento citati dai firmatari della Correctio filialis a sostegno delle loro accuse, appaiono effettivamente viziati da una impostazione misericordista, che trae però le sue origini non da un fatto, ma da un fraintendimento di alcune parole del Santo Pontefice Giovanni XXIII nel famoso Discorso di apertura del Concilio Vaticano II «Gaudet Mater Ecclesia», allorché il Santo Pontefice ebbe a dire che «oggi la Chiesa preferisce far uso della misericordia piuttosto che della severità». Attenzione però: Disse «preferisce», mai affermò che abbia totalmente abbandonato o che debba tralasciare del tutto l’uso della severità. E malgrado la chiarezza di quel discorso, purtroppo, dai tempi del Concilio ad oggi s’è diffusa nella Chiesa una prassi pastorale successivamente codificata e solidificata dottrinalmente, con pretese esegetiche, morali, antropologiche e teologiche, che vanta e promuove la pratica della pura misericordia, senza alcun ricorso alle minacce, alle misure coercitive o repressive, all’uso della forza, alle sanzioni penali, alle proibizioni, alle condanne e alle scomuniche.

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In campo esegetico si sono tolti dalla Scrittura i passi relativi al Dio severo, minaccioso, bellicoso e punitore, che manda all’inferno, lasciando solo, col pretesto dell’Incarnazione, l’immagine del Dio pietoso, compassionevole, misericordioso, mite, dolce,  perdonante,  paziente, tollerante e comprensivo, fino ad essere debole, mutevole, sofferente e mortale. Sono tornate così le antiche eresie del marcionismo, del teopaschismo e dell’apocatastasi origeniana. È il misericordismo.

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In campo morale, l’etica ha perduto la sua assolutezza, fermezza, austerità e severità; è divenuta flessibile, mutevole, facoltativa, comoda, possibilista, accondiscendente, lassista, malleabile, piacevole, allegra, rilassata, permissiva, istintiva, libertaria. È nato lo spontaneismo liberale ed edonista. Non si deve escludere nessuno, ma bisogna accogliere tutti. Non si deve correggere nessuno, ma solo dialogare. Non bisogna fare la guerra, ma solo l’amore, come motteggia il pacifismo. La condotta umana progredisce e migliora continuamente e necessariamente nella storia, come motteggia il progressismo.

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In campo antropologico si è cominciato a concepire l’uomo come essenzialmente buono, innocente ed orientato a Dio, di retta intenzione, buona fede e buona volontà. Il peccato non è una colpa da correggere, punire ed espiare, ma è una debolezza da compatire. Nessun peccato originale con conseguenze penali nella vita. La sofferenza è naturale, ma non ha senso e va semplicemente combattuta. Il male è solo la sofferenza, non il peccato. È il buonismo.

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Tra difetti e pregi, L’Amoris Laetitia è chiaramente guidata da un metodo pastorale  misericordista. Non è infetta da errori dottrinali, ma da un errore pratico, da un difetto pastorale: la sottovalutazione della gravità dello stato delle coppie irregolari. Il peccato di adulterio è troppo scusato e non abbastanza redarguito. Si cerca di rassicurare i divorziati risposati di essere in grazia di Dio senza dir loro cosa devono fare per essere in grazia di Dio. Le famiglie formatesi dall’adulterio non son solo famiglie “ferite”, ma anche feritrici e scandalose.

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L’intento del metodo della Amoris laetitia è quello di non disprezzare o scoraggiare queste coppie, di far sì che non siano emarginate. Questo è certamente un buon intento, già espresso con parole molto profonde e amorevoli dalla Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio del Santo Pontefice Giovanni Paolo II. Ma la vera misericordia non è il minimizzare la miseria nella quale si trova il misero o il peccatore, ma è proprio il renderlo consapevole, sia pur con delicatezza, della gravità della situazione nella quale si trova, appunto perché la misericordia non si spaventa nel riconoscere fino in fondo i mali del prossimo, perché essa è potenza divina, e libera pertanto anche da mali gravissimi. E quale male più grave della colpa mortale? Per questo, la titubanza di Amoris laetitia su questo punto nuoce al suo lodevole intento di mostrare alla coppia la potenza della misericordia divina e della Chiesa.

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In questo si ha l’impressione che il Santo Padre Francesco si rivolga a persone che abbiano solo bisogno di essere «accompagnate» e compassionate, non però anche richiamate, corrette e, all’occasione, avvertite e rimproverate. Va bene accogliere e integrare; ma c’è anche chi non vuole essere accolto e integrato, almeno alle condizioni poste dalla Chiesa. E se stiamo alle condizioni che vuole lui, la Chiesa si falsifica. A che pro?

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Tuttavia nella Amoris laetitia, affermando che la coppia può essere in grazia [n.301] e che «è possibile che entro una situazione oggettiva di peccato ― che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno ― si possa vivere in grazia di Dio» [n.305], il Santo Padre smentisce quel pregiudizio secondo il quale essa, essendo in uno stato irregolare, sarebbe con ciò stesso sempre in uno stato di peccato mortale. E con ciò egli pone le premesse, dalle quali potrebbe ricavare la liceità della Comunione; e qui va ribadito il condizionale “potrebbe”. Naturalmente deve trattarsi di quelle coppie le quali, per motivi ragionevoli e cause di forza maggiore, non possono e quindi non devono interrompere  la loro relazione [n. 298].     

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Amoris laetitia contiene al proprio interno diversi punti che potrebbero essere seramente discussi, ne accenno alcuni:

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– Non è vero che “due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare” [n. 296]. Esiste anche la scomunica, che non è né integrazione, perché lo scomunicato non la vuole, ma non è neppure emarginazione, perché serve a indurre al pentimento. Non può essere in comunione chi rifiuta le condizioni per essere in comunione. Pertanto non può essere integrato chi non è integrabile. È falsa l’alternativa tra l’accoglienza a braccia aperte e l’esclusione discriminante: c’è di mezzo l’accoglienza condizionata, alla quale l’aspirante deve sottostare, se vuol appartenere alla Chiesa, la quale è la casa di Dio e non il mercanteggiare nel tempio. Non può partecipare al banchetto di nozze chi non ha l’abito di nozze.

– Definire «espressioni di intimità» [n. 298] il rapporto sessuale fra i divorziati è un eufemismo ingannevole, che non pare per nulla conveniente, atteso che essi, in fin dei conti, commettono pur sempre oggettivamente un grave peccato, benché possano avere delle attenuanti e non perdere la grazia e, se cadono in una colpa mortale, possono, pentendosi, recuperare la grazia. Ma queste cose bisognerebbe dirle apertamente, benché siano implicite nel testo. Occorrerebbe essere più chiari nello spiegare qual è la dinamica, nel loro caso, tra il peccato e la grazia. Non si parla mai di peccato mortale.

– Si dice giustamente che i pastori devono discernere bene le situazioni. E poi si aggiunge laconicamente: «non esistono semplici ricette» [n. 298]. Che vuol dire? Detto così, sembrerebbe che si negasse l’esistenza di princìpi assoluti, validi in ogni caso, indipendentemente dalle situazioni.  È vero che il termine «ricetta” vuol forse essere ironico, per evitare il legalismo, il fariseismo, la ristrettezza mentale e la pedanteria. Ma non è chiaro.

– Dichiara che l’unione della coppia può essere e deve essere una «risposta generosa che si può offrire a Dio» e come «donazione che Dio stesso sta richiedendo» [n.303]. Non è una lode eccessiva? Che dire allora delle coppie regolari e fedeli? È la stessa cosa essere regolare o irregolare? Ma allora che senso ha essere regolare? Chi glielo fa fare? Non sarebbe bastato dire che l’unione, benché irregolare e spesso causa di scandalo per fedeli, posto che i due si dedichino alle opere buone e facciano penitenza, possono mantenersi in grazia? Visti i pericoli che corrono continuamente di peccare, non è già questa una notevole concessione della misericordia divina, senza che sia necessario presentarli quasi come modelli per gli sposi regolari?

– «Il confessionale non dev’essere una sala di tortura, bensì un luogo della misericordia del Signore» [n. 305]. C’è anche una terza possibilità: che il confessionale sia un luogo che avverte il penitente che per poter accedere alla Comunione occorre respingere decisamente il peccato, riconoscerlo, farne penitenza, riparare e ripetere il buon proposito di non più peccare.

– Dice il Papa: «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida, che non dia luogo ad alcuna confusione» [n. 308]. Non è la rigidezza, ma la chiarezza, che non dà luogo alla confusione. Anzi la rigidezza, che è un tratto delle menti grette, è proprio quella che favorisce la confusione, perché non è capace di distinguere ciò che è rigido da ciò che è saldo, la rigidità del cadavere dalla fermezza dei princìpi. La debolezza sui princìpi non produce la duttilità e l’elasticità della prudenza, ma la banderuola mossa dal vento. La misericordia non è fare sconti sui princìpi, ma sollevare all’altezza dei princìpi chi è inguaiato nelle sabbie mobili dell’incertezza e nello squallore della miseria.

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Per quanto riguarda il metodo della discussione ci si potrebbe ispirare a famosi dibattiti o trattative teologiche del passato, come per esempio alla famosa disputa De Auxiliis, tra Domenicani e Gesuiti, alla presenza del Papa, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, col problema del rapporto fra grazia e libero arbitrio. Del resto, anche nel nostro caso, non si tratta forse del rapporto fra grazia e libero arbitrio nel matrimonio e nel rapporto di coppia?

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Il Papa potrebbe istituire una doppia commissione cardinalizia di numero limitato ― cinque o sei per parte ―, formata da membri che si offrono spontaneamente, così da rendere libero e spontaneo il dibattito. Una commissione potrebbe essere formata dai cardinali obicienti, i quali avanzano le riserve e sollevano le difficoltà. Potrebbe essere presieduta dal Cardinale Raymond Leo Burke; mentre l’altra sarebbe formata dai cardinali risolventi, sostenitori della Amoris laetitia, e potrebbe essere presieduta dal Cardinale Cristoph von Schönborn, col compito di chiarire e di rassicurare gli obicienti circa le loro preoccupazioni e di concedere la parte di verità contenuta nelle loro obiezioni.

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Ovviamente il Papa potrebbe intervenire d’autorità in qualunque momento, sia per determinare o per correggere, sia per rispondere a domande rivolte a lui, in modo simile a quanto avviene nei dibattiti dei Concili. Il risultato finale delle discussioni, andrebbe presentato alla fine della discussione al giudizio finale del Papa, il quale pone termine a sua discrezione alla discussione, come già avvenne nella congregazione De Auxiliis. E tutta questa impresa potrebbe essere affidata al patrocinio della Beata Vergine Maria, Madre della Famiglia, e di San Tommaso d’Aquino, Doctor Communis Ecclesiae.

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Quanto sin qui spiegato per ribadire che se Luis Badilla, che scrive di cose di Chiesa e di faccende vaticane, conoscesse i rudimenti della storia della teologia e della lunga tradizione delle sue disputationes, si sarebbe risparmiato la pessima caduta di stile di dare del folle al Prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, “colpevole”, a suo dire, di avere proposto nulla di più di ciò che avviene da sempre all’interno della Chiesa, perlomeno di quella Cattolica, alla quale noi apparteniamo, con buona pace di questo giornalista che ci illumina ora dai microfoni di Radio Vaticana ora da Il Sismografo

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Monastero delle Monache Domenicane di Alba,

29 settembre 2017

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