Der Schiffbrüchige “Marian Pol” von Verona. Eher geht ein Kamel durch ein Nadelöhr als Alessandro Minutella die Wahrheit zu sagen

DER SCHIFFBRÜCHIGE POLO MARIANO IN VERONA. È PIÙ FACILE CHE UN CAMMELLO PASSI PER LA CRUNA DI UN AGO CHE ALESSANDRO MINUTELLA DICA LA VERITÀ

Le nostre sono domande nello stretto merito, auf der Grundlage der Tatsachen und der angebotenen und auf bestimmte Girokonten überwiesenen Geldbeträge. Attendiamo risposta da parte del Sig. Minutella, non interpretazioni o manipolazioni della realtà come in altri numerosi casi ha fatto. Sappiamo che ciò gli riesce particolarmente difficile e faticoso, ma per una volta speriamo provi a dire le cose come realmente sono andate, oder: che per una volta provi a dire la verità.

- Kirchennachrichten -

Autor
Redaktion der Insel Patmos

 

 

 

 

 

 

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Finde den Priester,

Jesus Christus wird gelobt!

Desideriamo ringraziarVi per la disponibilità e per lo spazio che avete accettato di riservarci nella Vostra rivista Die Insel Patmos.

Siamo una coppia veneta che abita sulle colline veronesi, sposati da 27 Jahre. Abbiamo ricevuto la grande grazia della ri-conversione recandoci nel marzo 2011 in un centro europeo di spiritualità mariana. Da allora il nostro unico desiderio è stato quello di consacrare la nostra vita e il nostro matrimonio a Gesù e a Maria. Desiderio che andato sempre più rafforzandosi e consolidandosi, anche se in seguito cademmo, in totale buona fede, nelle spirali del “Piccolo Resto” del presbitero exkommunizierten e aus dem geistlichen Stand entlassen Alessandro Minutella.

La mattina del 23 febbraio il Sig. Minutella, nella diretta della rubrica Santi e Caffè sul canale Radio Domina Nostra, Im Moment 07:10 si è lanciato in una dichiarazione menzognera, a cui riguardo vorremmo dare la nostra versione dei fatti affinché le anime che seguono questo personaggio inizino seriamente a considerare quale infausta e funesta via stanno percorrendo. Questo è quanto il Sig. Minutella ha dichiarato:

«[...] vorrei dire una cosa che non ho mai detta per una questione di pudore, Nennen wir es so, di rispetto delle situazioni. Jedenfalls, siccome mi è stato chiesto da più parti che fine ha fatto il Polo Mariano. Il Polo Mariano non è strutturalmente legato a un luogo, wodurch, se si è spostato dai Colli Veronesi a Trebaseleghe (Padua) non cambia nulla. Ci sono stati dei problemi gestionali, in ragione anche della mia prolungata assenza che non mi sono piaciuti. E fino a prova contraria sono io che devo prendere le decisioni. Ci ho pregato, ci ho riflettuto e ho capito che non era più possibile proseguire da quelle parti li. Ma così, serenamente, avevo dato delle indicazioni che non sono state evidentemente rispettate, poi ognuno dica quel che vuole, abbiamo la coscienza personale e questo era quanto, l’opera prosegue altrove [...]» [siehe Video WHO].

Questa dichiarazione basata totalmente sulla alterazione e la manipolazione ci obbliga a porre in evidenza alcuni dati di fatto, spiegando perché abbiamo deciso di dare pubblica testimonianza, mossi da quella carità che come cardine principale ha la salvezza delle anime, ovvero di tutte quelle persone che è necessario conoscano il vero svolgersi dei fatti per trarre poi le proprie conclusioni. Scelta, questa nostra, conseguente a un periodo privato di ampio confronto con una delle persone interessate nella vicenda, secondo il dettame evangelico della correzione fraterna «Se il tuo fratello commette una colpa, va e ammoniscilo fra te e lui solo» (MT 18,15).

Passiamo adesso ai fatti: la nostra conoscenza del sacerdote palermitano Alessandro Minutella risale al Giugno 2018, inizialmente tramite il Soziales Netzwerk Facebook. Dopo tre mesi decidemmo di andarlo a conoscere di persona in Sicilia presso il Centro di spiritualità mariana “Piccola Nazaret” da lui fondato a Carini. In quell’occasione fummo invitati a cena e rimanemmo con loro per un po’ di giorni. Impossibile negare e rinnegare i sentimenti di stima e di simpatia che ci mossero nel conoscere questa realtà, infatti decidemmo sempre di più col passare del tempo di collaborare all’opera e alla “missione” di questo sacerdote. Anschließend, poiché si iniziava a cercare uno spazio disponibile per fondare un altro centro di spiritualità nel Nord Italia, precisamente nella zona di Verona, essendo noi della zona ci siamo messi a disposizione per aiutare nella ricerca di un luogo idoneo. Dopo varie ricerche proponemmo al Minutella un luogo in collina con casale di oltre 400mq e terreni adiacenti per oltre 35.000 qm, dov’era nato un nostro parente.

Di ritorno da un suo Tour in Spanien, il Minutella venne a visitare il posto e ne rimase entusiasta, tanto da voler subito chiamare “Polo Mariano” e fondare quel giorno stesso un’Associazione che decise di chiamare “San Michele Arcangelo”. Fu a quel punto che noi acquistammo il posto e lo donammo all’Associazione. Il Minutella chiese a noi di divenire i Presidenti, ma noi fidandoci ciecamente facemmo un passo indietro, essendo anche incompetenti in materia. Fu così decisa un’altra persona, lì presente, come Presidente di questa neonata Associazione. Dopo alcune problematiche legate a certi ostacoli frapposti da persone terze, noi e la Presidente in questione decidemmo di continuare a portare avanti l’Associazione, sul conto bancario della quale cominciarono ad arrivare anche offerte cospicue per i lavori di realizzazione del Polo Mariano. Tutto questo con il benestare del Minutella e delle persone a lui vicine.

Verso la fine dell’anno 2021 la Presidente ci comunica l’intenzione di voler lasciare la Presidenza dell’Associazione, salvo però rimanere in carica in accordo con lo Staff del Minutella. Si continuò così ad andare avanti, malgrado i momenti di prova, finché arrivò la comunicazione, giustificata a nostro avviso da sterili motivazioni, secondo cui le offerte dei fedeli destinate alla realizzazione del Polo Mariano non dovevano più arrivare sul conto IBAN dell’Associazione “San Michele Arcangelo”, come fino a quel momento era avvenuto, bensì sull’unico conto IBAN della “Piccola Nazaret” di Carini. A quel punto ci fu chiaro che qualche cosa non andava e ci domandammo il perché di quella decisione.

A questo e a altri interrogativi simili, incoraggiati dalle tante persone che ci invitavano a non mollare, im Interesse des Friedens, e per “non disobbedire al padre” ― classico Leitmotiv che purtroppo continua ancora oggi a condizionare le menti di tanti poveri fedeli ―, decidemmo di non dare risposte, ma di fidarci e di accettare questa decisione.

Questi furono gli esiti: vom 1. Januar 2022 Al 16 Dezember 2022 (giorno in cui la Presidente dette le sue dimissioni dall’Associazione “San Michele Arcangelo”), non sono più arrivate le offerte mensili dei fedeli per il Polo Mariano. I poveri fedeli offerenti che hanno creduto in quest’opera e per la quale versarono i propri contributi, iniziarono a chiedersi e informarsi su come mai il Polo non andasse avanti. Riferimmo tutto ciò al Minutella che ci rispose: «Dite per problemi tecnici oppure del Comune» (!?). Stufi di mentire iniziammo a dire alle persone di chiamare giù in Sicilia e di informarsi direttamente con le persone interessate.

Da lì in poi fu tutto un susseguirsi di registrazioni nascoste, che a quanto pare è per loro una cosa abbastanza usuale, di sospetti e umiliazioni davanti ad altre persone, senza alcuna possibilità di difendersi da accuse infondate, ma anche questo sembra essere molto usuale in quell’ambiente. Il tutto da parte dello staff del Minutella e del Minutella stesso.

Dato che è stato più volte fatto presente in privata sede senza alcun risultato, ci teniamo a sottolineare che sarebbe doveroso da parte del Presidente dell’Associazione “San Michele Arcangelo” di far sapere ai fedeli che generosamente hanno dato i propri contributi in danaro dove sono andate a finire le loro offerte, posto che furono raccolte per uno scopo preciso e dietro precisi progetti. Ci auguriamo che adesso, dopo questa testimonianza pubblica, i fedeli vengano informati su tutto ciò proprio in virtù di quella parresia evangelica, da loro tanto decantata.

Desideriamo soprattutto ringraziare Iddio per averci portati via da questa realtà settaria in cui eravamo finiti soprattutto per ignoranza e approssimazione in materia di dottrina e di fede, riaccolti oggi in seno alla Sua Santa e unica Chiesa Cattolica. Dopo esserci dissociati totalmente e definitivamente da questa pericolosa setta, desideriamo ringraziarVi per aver permesso alle nostre anime ― adesso consapevoli dell’errore commesso e di aver gravemente ferito Nostro Signore ―, di ritornare con più slancio, ardore e zelo tra le braccia di quella Madre, die Kirche, che malgrado ferita e umiliata dai Suoi nemici, è Madre e Madre rimane, continuando ad allattare i suoi figli col puro latte spirituale dei Santi Sacramenti.

In conclusione desideriamo far giungere al Sig. Minutella questo messaggio da parte di un esteso gruppo di veronesi, invitandolo a rispondere “sui contenuti” e non lanciando anatemi a destra e a manca, o creando le sue solite fanta-storie e presentandosi infine come vittima contro la quale tutti si accaniscono. Queste le domande nel merito:

 

  1. A Verona molte persone, dopo aver fatto scelte di vita in cui ci si è staccati dalle proprie case e in cui ci si è adoperati nel lavoro con le risorse possibili nella costruzione del Polo Mariano, si chiedono che fine abbia fatto questo progetto e il danaro offerto per la realizzazione dello stesso. Vuole fornire risposta?
  1. A fronte delle molte offerte devolute, ritiene serio liquidare il tutto in meno di un minuto durante una diretta sul Canale Domina Nostra Von Youtube?
  1. È possibile avere chiarimenti precisi riguardo il silenzio fin qui esteso sul Polo Mariano e che solo stamani abbiamo appreso non «essere strutturalmente legato a un luogo», ma un qualcosa che si «sposta» da una parte all’altra del Veneto secondo le sue personali e indiscutibili decisioni?
  1. Come può una persona seria e matura liquidare in 40 secondi un’opera in cui tanta gente ha investito, creduto e dato fiducia, lasciando chiaramente intendere che quando una cosa non gli va più bene o quando le sue indicazioni «non vengono più rispettate» è pronto a sostituirla senza avere nemmeno l’onestà intellettuale di dire cosa realmente è accaduto?
  1. A Verona, a suo dire almeno fino a qualche tempo fa unico posto che “la Madonna” aveva scelto prima di cambiare idea e di volersi traferire a Padova, iniziano a sorgere dubbi molto seri a riguardo di questo progetto in generale, intende chiarire il tutto sia sul piano spirituale che su quello materiale e finanziario?

Le nostre sono domande nello stretto merito, auf der Grundlage der Tatsachen und der angebotenen und auf bestimmte Girokonten überwiesenen Geldbeträge. Attendiamo risposta da parte del Sig. Minutella, non interpretazioni o manipolazioni della realtà come in altri numerosi casi ha fatto. Sappiamo che ciò gli riesce particolarmente difficile e faticoso, ma per una volta speriamo provi a dire le cose come realmente sono andate, oder: che per una volta provi a dire la verità.

Grazie ancora cari Padri de Die Insel Patmos, ci raccomandiamo alle Vostre preghiere con un augurio sincero per il Vostro apostolato.

Giannantonio e Barbara (Verona)

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Liturgische Farben sind keine Spiele mit ideologischen Regenbögen, sondern sichtbare Zeichen der heiligen Geheimnisse, die wir feiern

LITURGISCHE FARBEN SIND KEINE IDEOLOGISCHEN REGENBOGENSPIELE, MA SEGNI VISIBILI DEI SACRI MISTERI CHE CELEBRIAMO

La sciatteria, wie Eitelkeit, Beides sind Krankheiten, die das liturgische Zeichen zerstören, che per sua natura ― per essere veramente “bello” ― necessita di verità e di semplicità. Non è certo eliminando i segni che si arriva a una liturgia più “bella” e coinvolgente o a una non meglio precisata “liturgia delle origini”, ma spiegandone il loro profondo significato.

— Liturgischer Dienst —

Autor
Simone Pizzi

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Quando i presbiteri sono consacrati sacerdoti il Vescovo rivolge un monito che dovrebbe segnare la nostra intera esistenza: „Verstehen Sie, was Sie tun, imitieren, was Sie feiern, entsprechen Ihr Leben dem Geheimnis des Kreuzes Christi, des Herrn " [Sehen. Liturgia della sacra ordinazione dei presbiteri, n. 150].

Il sacerdozio è legato a una dimensione di eternità, perché sacerdoti lo saremo in eterno. Il carattere indelebile dell’Ordine Sacro conferisce una dignità che ci rende superiori persino agli Angeli di Dio, che dinanzi ai sacerdoti si pongono di lato. A illustrarlo in modo magistrale è il nostro confratello Marcello-Sam, considerato uno dei massimi esperti europei di Angeli e al cui articolo vi rimando [sehen WHO].

La sacra liturgia è fatta di segni e simboli che non sono certo fini a sé stessi, perché costituiscono quegli “accidenti esterni” o “segni esteriori” attraverso i quali si concreta e prende forma la sostanza. Ein Beispiel, anzi direi l’esempio più eclatante: die Allerheiligste Eucharistie, mistero del Corpo e Sangue di Cristo e sua presenza reale tra di noi, si realizza attraverso la materia e il segno esterno del pane e del vino che divengono realmente e sostanzialmente Cristo vivo e vero.

Nella sacra liturgia ogni segno e gesto, persino i silenzi hanno un loro significato teologico e mistagogico. Di “silenzi liturgici” ne sono previsti tre dal rito della Santa Messa: durante l’atto penitenziale, dopo che il celebrante ha detto: «Prima di celebrare degnamente questi santi misteri riconosciamo i nostri peccati». Poi dopo la proclamazione del Santo Vangelo, se non c’è l’omelia, oppure dopo l’omelia. Endlich, dopo la Santa Comunione. Momenti di silenzio che sarebbe bene rispettare e non omettere, cosa che per inciso i Vescovi farebbero bene a ricordare a quei loro preti che in 15 minuti scarsi celebrano la Santa Messa feriale, forse dimenticando di avere recitato sin dall’inizio la frase «…prima di celebrare degnamente…». Wort, quella di “dignità”, che dovrebbe avere un grande peso, specie nella celebrazione dei «sacri misteri».

Tra questi segni vi sono anche le vesti liturgiche che ― come ogni segno ― talvolta rischiano di oscurare anziché rivelare la realtà a cui sono riferite. Non possiamo infatti nascondere il rischio che nel nostro contesto culturale alcune vesti liturgiche, per la loro leziosità e ricercatezza, possano offuscare la gloria di Dio ed essere semplicemente considerate come l’esibizione di una umana vanità. Ma è deprecabile altresì quella inqualificabile sciatteria ― oggi considerata povertà e semplicità, ma che invece andrebbe chiamata col suo nome: sciatteria! ― che non solo stravolge il segno liturgico (pensiamo alle varie casule e stole arcobaleno) ma addirittura, manchmal, lo rimuove del tutto con un arbitrio che a nessun ministro di Dio è consentito.

La sciatteria, wie Eitelkeit, Beides sind Krankheiten, die das liturgische Zeichen zerstören, che per sua natura ― per essere veramente “bello” ― necessita di verità e di semplicità. Non è certo eliminando i segni che si arriva a una liturgia più “bella” e coinvolgente o a una non meglio precisata “liturgia delle origini”, ma spiegandone il loro profondo significato.

La veste liturgica, rispetto ad altri segni, ha un’importanza molto relativa. N’è prova che per almeno i primi quattro secoli della vita della Chiesa le fonti non riportano che i ministri ordinati indossassero vesti particolari durante le celebrazioni, convinti che era essenzialmente importante essere “rivestiti di Cristo” [vgl.. Gal 3, 26]. Die Papa Celestino I, nel V secolo, si lamentava con alcuni vescovi della Gallia del Sud perché alcuni preti avevano cominciato a usare vistosi abiti per la liturgia, e così concludeva:

«Dobbiamo distinguerci dagli altri per la dottrina, non per il vestito; per la condotta, non per l’abito; per la purezza della mente, non per l’ornamento esteriore» (vgl.. Celestino I, Brief, PL 50, 431).

Meriterebbe anche spiegare come e perché, durante i primi secoli, simboli e vesti dell’antica Heiden romana confluirono nella primitiva liturgia cristiana a partire dagli inizi del IV secolo. Si tratta di segni esteriori ai quali fu data una profonda valenza cristiana. La struttura di certi riti è più antica ancora, per esempio quelli d’offertorio della Santa Messa affondano le loro radici nelle antiche liturgie offertoriali fatte dai sacerdoti nel Tempio di Gerusalemme. Si tratta però di argomenti complessi legati alla storia della liturgia che tratteremo specificamente in altro articolo.

Pur nella consapevolezza ben espressa dall’antico detto popolare “l’abito non fa il monaco”, che la veste liturgica, come tutti i segni esteriori, abbia un’importanza secondaria nel culto cristiano, questo non può certo indurre a ignorare che essa appartiene a quel complesso di segni convenzionali di cui l’umanità fin dal principio ha fatto uso per esprimere il pensiero, lo stile di vita, le idee e il ruolo di una persona. L’abito, che lo si voglia o no, lancia sempre un messaggio ed esprime qualcosa del ruolo, dell’identità e della missione di una persona. E proprio partendo da quest’ultimo concetto possiamo individuare uno dei principali significati delle vesti liturgiche intese come segno di un mandato e di una missione non certo accaparrata, bensì ricevuta dal Signore. E se rimane profondamente vero per ogni battezzato che il Signore Gesù ci invita a un culto in spirito e verità [vgl.. GV 4, 24], lo è altrettanto il fatto che noi ― che viviamo nel regime dei segni e vediamo le realtà invisibili “come in uno specchio” [vgl.. ICor 13,12] ― abbiamo bisogno di questi segni per poter esprimere un culto che non sia teorico, disincantato, ma che sappia raccogliere tutto quanto è profondamente umano per esprimere al massimo ciò che intende comunicare.

La veste liturgica, come tutte le espressioni umane non esenti da quella corruzione che affonda le sue radici nel cuore dell’uomo, dovrà sempre “fare i conti” tra il significato “alto” che vuole esprimere e quelle deviazioni rappresentate dalla sciatteria, dalla vanità e dal potere. I paramenti dei ministri ordinati, come tutti gli abiti rituali dei ministeri istituiti e dei laici (e in questo ci metterei anche alcuni abiti per i matrimoni e per le prime Comunioni) hanno il compito simbolico di esprimere una realtà interiore e un servizio ecclesiale in modo semplice e chiaro, e non per questo in contrasto con la bellezza e il decoro, perché la bellezza e la dignità difficilmente non portano anche al vero. Il tutto sempre evitando che si trasformino in elementi che ostacolano la comprensione corretta del messaggio di cui la liturgia è portatrice, o che stravolgano addirittura l’essenza stessa della sacra liturgia.

Nel complesso dei segni e dei simboli di cui la liturgia vive e si nutre, le vesti liturgiche abbiamo detto hanno un valore secondario. A maggior ragione questo discorso vale per i colori che sono entrati nell’uso liturgico sia per le vesti che per gli altri addobbi. Tuttavia essi sono presenti nella liturgia e non di rado suscitano nei fedeli delle curiosità e degli interrogativi a cui occorre dare una risposta seria e precisa, ricordando che nel culto cristiano ― in modo particolare a partire dalla riforma del Concilio Vaticano II ― niente deve risultare semplicemente decorativo o superfluo o peggio ancora relegato a pura forma esteriore, andererseits: tutto deve avere un significato teologico e mistagogico.

Tralasciando i complessi dettagli storici, perlomeno in questo nostro contesto, voglio ricordare che nella liturgia i colori, in quanto simboli, sono entrati piuttosto tardivamente. Per ben sette secoli i colori non hanno avuto una particolare importanza nel culto cristiano. Sicuramente ― e sono le fonti sia scritte che iconografiche che ce lo confermano ― vi era un uso predominante del bianco, considerato sempre nella cultura mediterranea il colore della festa e delle grandi occasioni. Parlando della veste bianca battesimale il Santo dottore della Chiesa Ambrogio da Milano ricordava ai neo battezzati:

«Hai quindi ricevuto delle bianche vesti per dimostrare che tu hai abbandonato l’involucro del peccato e ti sei rivestito dei puri abiti dell’innocenza come ha detto il profeta: purificami con issopo e sarò mondato: lavami e sarò più bianco della neve» [Sant’Ambrogio, Sui misteri, VII, 34].

Im Laufe der Jahrhunderte si codifica pian piano ciò che riguarda la foggia e la preziosità delle vesti liturgiche, soprattutto nella liturgia bizantina. Ma per trovare un’accentuazione della sensibilità al linguaggio dei colori dobbiamo aspettare il Medioevo, in un contesto in cui, ciò che non viene più compreso dal popolo attraverso la lingua latina e il significato dei riti, è reso attraverso il linguaggio visivo. Nicht Zufall, das Mittelalter, ha rappresentato quel felice periodo in cui segni, Symbole, gesti o silenzi parlavano in modo eloquente, ma soprattutto erano carichi del tutto di profondi significati teologici e spirituali. Con Papa Innocenzo III [†1216] si hanno ― a proposito dei colori ― le prime direttive comuni che pian piano si impongono ovunque, venendo infine codificate con il Messale di San Pio V nel 1570, dove sono stabilite le vesti bianche, verdi, rot, viola e nere a seconda delle celebrazioni: appare anche l’uso del colore rosa nella III domenica d’Avvento e nella IV domenica di Quaresima, anche detta Dominica Laetare, quando si interrompeva il rigido digiuno.

La riforma attuata dal Concilio Vaticano II non ha soppresso la normativa riguardo ai colori liturgici, considerandola però nel più vasto contesto di quei segni che devono essere «chiari, adatti alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno di molte spiegazioni» [vgl.. Heiliges Konzil, 34]. In base a questo principio è data alle varie conferenze episcopali nazionali la libertà di determinare e usare liberamente i colori liturgici secondo la cultura dei singoli popoli [vgl.. Allgemeiner Orden des Römischen Messbuchs, 346].

Le norme attuali prevedono per il rito romano e la nostra area occidentale l’uso di questi colori:

BIANCO: è il colore della luce, della purezza e della gioia. Si usa in tutte le Solennità e feste del Signore (eccetto quelle della Passione), per le feste della Vergine Maria, degli Angeli, dei Santi non martiri. È usato anche per amministrare i Sacramenti del Battesimo e del Matrimonio.

ROSSO: colore del fuoco e del sangue, simbolo dell’Amore/ Carità, del dono, del sacrificio, del martirio. È usato la Settimana Santa per la Domenica delle Palme e per il Venerdì Santo, il giorno di Pentecoste, per le feste degli Apostoli, dei Santi Martiri, per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, così come nelle Messe votive al Preziosissimo Sangue di Gesù. Può essere usato anche per la Messa del Sacramento della Cresima.

VERDE: nella nostra cultura è un colore riposante che esprime la normalità, cammino tenace e permanente della speranza. È usato nelle celebrazioni feriali e domenicali del Tempo Ordinario.

VIOLA: Inizialmente usato come variante del nero, nel corso del tempo è diventato colore a sé stante. Colore solenne e grave, esprime contemporaneamente la fatica e la speranza. È usato nei tempi di Avvento e Quaresima ed esprime penitenza e preparazione alla venuta di Cristo. Viene usato anche nelle celebrazioni dei defunti al posto del colore nero, il cui uso rimane opzionale, poiché nella nostra cultura esprime meglio la speranza cristiana che pure è presente di fronte al mistero della morte.

ROSACEO: Concepito come una variazione del viola, segna due pause che la Chiesa fa durante i tempi di penitenza. È usato due volte l’anno, la terza domenica di Avvento, Das Dominica Gaudete e la quarta domenica di Quaresima detta Dominica Laetare.

Oltre a questi, nelle diverse “famiglie” liturgiche esistono e vengono usati nelle sacre celebrazioni anche altri colori:

ORO: Simboleggiando la luce divina l’oro o il giallo possono essere utilizzati per sostituire qualsiasi colore tranne il viola.

NERO: Generalmente considerato in rapporto alle celebrazioni dei defunti, nel Medioevo era usato per indicare i tempi penitenziali. Dal Concilio di Trento fu usato anche per il Venerdì Santo.

AZZURRO: è associato al dogma mariano e può quindi essere usato solo durante le celebrazioni legate alla Beata Vergine Maria, come l’Assunzione o l’Immacolata Concezione. Unico colore che rappresenta un vero privilegio liturgico, il suo uso fu autorizzato dal Concilio di Trento solo in Portogallo, in Spanien, negli ex territori di questi due Paesi, nell’ex regno di Baviera, in certe chiese di Napoli e infine nell’Ordine Francescano considerato storicamente e teologicamente meritevole di avere difeso il dogma mariano. Questo privilegio vale ancora oggi.

I colori liturgici, al di là del loro uso e significato, servono a comunicare il messaggio che, secondo le diverse celebrazioni, può essere di festa, der Hoffnung, Wandlung, di solidarietà nel dolore… Tutto questo certamente non è sufficiente come elemento fine a sé stesso, se non è accompagnato dallo scopo fondamentale di ogni cristiano ― specialmente se ministro ordinato ― e di ogni comunità di discepoli del Signore, oder: vivere il Vangelo!

Per non rendere paramenti, colori o altri simboli e segni liturgici niente più che espressioni di folclore, stranezza o semplice vanità, occorre che essi diventino “epifania” del mistero di salvezza che trova la sua radice unica e profonda nell’incontro vitale e vivificante con Gesù, Verbo incarnato, Eterno Sacerdote della Nuova Alleanza. Perché tutto, nella sacra liturgia, manifesta ed esprime il mistero del Verbo di Dio incarnato, ist gestorben, auferstanden und in den Himmel aufgefahren. Per questo l’assemblea liturgica acclama sul vivo corpo e sangue di Cristo: "Wir verkünden den Tod, Herr, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta». Questo è il cuore della sacra liturgia.

 

Florenz, 26 Januar 2023

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Bei der Beerdigung von Benedikt XVI. hätte das fehlen können “ideologischer Priester” der einem knienden Gläubigen die Kommunion verweigert und ihn ablehnt?

BEI DER BEERDIGUNG VON BENEDIKT XVI “Ideologischer Priester” WER VERWEIGERT DIE KOMMUNION EINES GLÄUBIGEN, DER IHN AUF DIE KNIE HAT UND IHN ABWEIST?

In einer Welt, die vor all den schlimmsten Idolen kniet, Niemand soll es wagen, vor dem Allerheiligsten Leib Christi niederzuknien, weil es ein echter Affront ist!

— Pastorale Liturgie —

 

 

Autor
Redaktion der Insel Patmos

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Nein, der “ideologischer Priester” kann nie fehlen, vor allem bei den besonderen und heiklen Anlässen. Was könnte besser sein, als eine treue heilige Kommunion zu verweigern, weil man es gewagt hat, vor der Allerheiligsten Eucharistie zu knien? Alles bei der Beerdigung von Benedikt XVI., der während seiner Pontifikate die heilige Kommunion von der Kniebank am Beichtaltar spendete und sie seinem Mund reichte. Dieser Presbyter, abgesehen davon, dass ich den abgrundtiefen Unterschied zwischen a nicht kenne “armer Priester” es ist ein “armer Priester”, gehört vielleicht zum Konsortium derer, die denken "Karneval ist vorbei"? Jemand wollte eine „arme Kirche“ und wir landeten bei der armen Kirche! Erinnert sich noch jemand an diesen überfüllten Platz, denn vielleicht wird es das letzte sein.

 

von der Insel Patmos, 5 Januar 2023

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Die Bildung “Sacramentum” und liturgische Missbräuche: Sag es den Bischöfen, sagen Sie es nicht Mark Zuckerberg und Elon Musk

L’ISTRUZIONE Das Sakrament der Erlösung E GLI ABUSI LITURGICI: Sagen Sie es den Bischöfen, NON DITELO A MARK ZUCKERBERG ED ELON MUSK

Am unteren Rand, Darüber nachdenken, Jede Gemeinschaft der Gläubigen hat am Ende immer den Priester, den sie verdient, genau wie wir Priester, che spesso finiamo “condannati” a giusta e meritata pena ad avere i vescovi che ci meritiamo.

— Pastorale Liturgie —

Autor
Simone Pizzi

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Suggerimento al suo Vescovo per risolvere il problema alla radice: chiuderlo dentro una stanza di due metri per due metri con i Padri de Die Insel Patmos (Klick auf das Bild, um das Video zu öffnen)

ichl nostro confratello Iwano Liguori si è occupato del problema degli abusi liturgici, anche se nel caso specifico l’abuso aveva i connotati del sacrilegio perpetrato durante la celebrazione della Santa Messa [vgl.. WHO, WHO, WHO, WHO].

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Nel linguaggio liturgico si è soliti parlare di Canone della Santa Messa. Das Wort cànon actiònis è la precisa norma da seguire per celebrare il culto divino. Il canone è per sua natura fisso e rigido. Unglücklicherweise, quando si usano certi termini, oggi non pochi tendono a storcere il naso perché non conoscono il vero significato delle parole e finiscono col confondere “fisso” con fissismo e “rigido” con rigidismo. Nulla di più errato. Della sacra liturgia il celebrante è fedele e scrupoloso strumento, non padrone o arbitrario padrone, schlimmer denn je: libero creatore. La sacra liturgia investe la vita dell’intera Chiesa universale, di cui è espressione e comune preghiera di lode a Dio. Abusare creativamente della sacra liturgia vuol dire renderla instabile e toglierle quella dimensione univoca, comune e universale di preghiera. Ecco perché l’abuso liturgico, piccolo o grande che sia, origina una duplice frattura: con la comunione della Chiesa e con la sua dimensione di universalità. Ricordiamo che l’etimo della parola “cattolica”, dal greco κατά όλον, significa universale e indica in tal modo la sua universalità.

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Die 25 Marsch 2004, Solennità dell’Annunciazione del Signore, “per disposizione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, redatta dalla Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede” era emanata l’Istruzione Sacramentum. Sottotitolo: «Su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia».

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La chiusa finale di questo Documento, con i soggetti chiamati in causa, subito ci fa capire che non siamo davanti a una serie di pie raccomandazioni ma a un testo che ha carattere vincolante sia per la coscienza che per la prassi, e chi non vi si attiene commette un vero e proprio abuso, la gravità del quale può giungere sino al vero e proprio sacrilegio, come purtroppo abbiamo visto anche di recente.

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Qualcuno obbietterà che a questo modo si tarpano le ali all’iniziativa e alla creatività. Generalmente questi tipi di obbiezioni escono dalla bocca di chi ha fatto del relativismo ― vera grande malattia corrosiva della Chiesa contemporanea ― una sorta di norma normans non normata, dimenticando che la Chiesa, di un tesoro che è sì assoluto, perché lasciato in dono dal Divino Redentore, è custode, keine Geliebte. Nella liturgia Eucaristica la Chiesa celebra la perenne attualizzazione dell’azione salvifica del Signore Gesù nella sua vita, nella sua passione, nella sua crocifissione, nella sua morte e resurrezione [vgl.. n. 40], per questo dopo la consacrazione delle sacre specie, il Popolo di Dio acclama sul vivo corpo e in sangue di Cristo presente in anima, spirito e divinità:

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"Wir verkünden den Tod, Herr, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta».

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C’è una domanda di fondo che percorre tutta l’Istruzione: è proprio necessario prestare attenzione agli abusi liturgici? Non è sufficiente riaffermare l’importanza e la necessità di seguire le norme liturgiche secondo lo spirito del Concilio Vaticano II che afferma:

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«il culto pubblico integrale viene esercitato dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra. Infolge, ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza» [Heiliges Konzil, n. 7].

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Sulle colonne di questa rivista più volte è stato spiegato nel corso degli anni che se decorsi ormai sei decenni dalla chiusura di un grande concilio ecumenico la Chiesa si è trovata costretta a pubblicare due documenti correttivi molto particolari ― tali sono la Herr Jesus Che ribadisce la unicità salvifica di Cristo e della sua Chiesa, folgen mit dem Sacramentum in cui si richiama ai fondamenti basilari della Ars celebrandi ― qualche cosa non ha funzionato. Detto ciò è bene chiarire che a funzionare male non è stato il Concilio, elemento di necessario rinnovamento pastorale di cui la Chiesa necessitava, esattamente come lo fu quattro secoli fa un altro grande Concilio, quello di Trento. A funzionare male, anzi a volte malissimo, è stato il post-concilio degli interpreti del cosiddetto spirito del Concilio che spesso hanno finito col generare una idea di Concilio tutta loro. è questo che non ha funzionato e generato i problemi con i quali oggi dobbiamo fare tristemente i conti. Chi approfitta di certi dati oggettivi, dallo smarrimento dottrinale agli abusi liturgici spesso quasi istituzionalizzati, per imputarne colpa all’ultimo Concilio della Chiesa, eine von zwei: o pecca di profonda ignoranza, oder, per pura ideologia, er lügt und weiß, dass er lügt.

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Nella Lettera Enciclica Kirche der Heiligen Eucharistie che precede di un anno la istruzione Sacramentum il Santo Pontefice Giovanni Paolo II ricorda che le norme liturgiche

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«sono un’espressione concreta dell’autentica ecclesialità dell’Eucaristia; das ist ihr tiefster Sinn. Die Liturgie ist niemals Privateigentum von irgendjemandem, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i Misteri. Il sacerdote che celebra fedelmente la Messa secondo le norme liturgiche e la comunità che a questa si conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma eloquente, il loro amore per la Chiesa» [vgl.. n. 52].

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Evidentemente non basta una sola partecipazione esterna, perché celebrare l’Eucaristia esige fede, Hoffnung und Nächstenliebe. A tal proposito afferma l’Istruzione Sacramentum:

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«Una osservanza puramente esteriore delle norme, come è evidente, contrasterebbe con l’essenza della sacra Liturgia, nella quale Cristo Signore vuole radunare la sua Chiesa, perché sia, mit ihm, “un solo corpo e un solo spirito”. L’atto esterno deve essere, deshalb, illuminato dalla fede e dalla carità che ci uniscono a Cristo e gli uni agli altri e generano l’amore per i poveri e gli afflitti».

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Gli abusi sono sempre esistiti, anche nella cosiddetta “Messa di sempre”, neologismo inventato dalla mente di chi, giocando con il latino, ignora non soltanto la storia della liturgia, ma la stessa storia della Chiesa. Tuttavia è bene ricordare che per quanto riguarda la celebrazione Eucaristica non tutti gli abusi hanno lo stesso peso. Se infatti può capitare di sbagliare inavvertitamente il colore di un paramento sacro, di usare per errore un prefazio ordinario quando la liturgia ne prevede uno proprio, oppure di usare canti poco adatti, in questo caso siamo nell’ambito dell’errore umano. Altri abusi minacciano invece: o di rendere invalido ciò che si celebra, o di manifestare una assoluta mancanza di fede eucaristica, producendo effetti devastanti sul Popolo di Dio, in uno scadimento sempre più alto e inquietante del culto eucaristico e della percezione di quella sua sacralità che regge l’impianto stesso della Chiesa, che è di per sé mistero eucaristico, perché fondata sul corpo e sangue del Verbo di Dio fatto uomo. Altri abusi rischiano invece di generare confusione nel popolo di Dio, o addirittura di dissacrare la celebrazione stessa. Ecco perché gli abusi non possono essere presi a cuor leggero, come se fossero degli … eccessi di creatività.

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Eine Sache ist sicher: tutti i membri della Chiesa hanno bisogno di una formazione liturgica, cosa che oggi purtroppo manca. Il Concilio Vaticano II precisa che è assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica del clero [vgl.. Heiliges Konzil, n. 14]. Ma è anche vero che ci sono nell’uno o nell’altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono a oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento [vgl.. Kirche der Heiligen Eucharistie, n. 10]. Die Sacramentum precisa che «Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà» [vgl.. n. 7]. «Atti arbitrari, in der Tat, non giovano a un effettivo rinnovamento» [vgl.. n. 11]. È bene chiarire ciò che in più atti e documenti del magistero è stato ribadito: «Tali abusi non hanno nulla a che vedere con l’autentico spirito del Concilio e vanno corretti dai Pastori con un atteggiamento di prudente fermezza» [vgl.. Johannes Paul II, 40 anniversario della Costituzione conciliare sulla Liturgia, Apostolisches Schreiben Spiritus et sponsa, n. 15]. Altrettanto chiarisce l’Istruzione Sacramentum:

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«A quelli che modificano i testi liturgici di propria autorità, è importante far notare che la sacra Liturgia è intimamente collegata con i principi della dottrina, e l’uso di testi e riti non approvati comporta di conseguenza che si affievolisca, o che si perda del tutto, il nesso necessario tra la das Gesetz des Gebets und das Lex credendi» [vgl.. n. 10], (nota espressione latina che nel linguaggio della sacra liturgia significa: la legge della preghiera è la legge del credere).

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Per i credenti cattolici leggere questa Istruzione sarebbe davvero molto istruttivo, non a caso si chiama Istruzione. Sicuramente sarà molto più istruttiva del cercare improbabili risposte sui soziale Medien, se non peggio improvvisarsi liturgisti e dare risposte che spesso non si è proprio in grado di dare, concorrendo a questo modo solo a generare confusioni e sterili polemiche, ma soprattutto a incrementare la mancanza di conoscenza dei molti che, in steigenden Zahlen, presumono però di sapere. Se infatti la Chiesa mette certi testi e documenti a disposizione dei fedeli, è proprio per istruirli anche su come è bene e doveroso reagire dinanzi agli abusi liturgici di certi celebranti. Pertanto a poco vale prendersela con il prete fucina di abusi liturgici su una pagina Facebook. La Chiesa indica con precisione quali sono gli errori e gli abusi che nessun celebrante deve commettere, dopodiché indica ai fedeli come agire e a chi rivolgersi. Non li esorta ad andare a cercare improbabili risposte dove è impossibile trovarle, o peggio a polemizzare dove la polemica finirà col risultare qualche cosa di unicamente fine a sé stessa.

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Viele Beispiele wären, prendiamone uno a caso: più volte è capitato a noi preti di raccogliere il disagio di fedeli che lamentavano l’impiego ingiustificato dei ministri straordinari della Comunione, semmai mentre il celebrante stava seduto alla sede e un paio di laici distribuivano la Santissima Eucaristia. Siamo indubbiamente dinanzi a un grave abuso, lo precisa l’Istruzione stessa chiarendo:

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«È riprovevole la prassi di quei Sacerdoti che, benché presenti alla celebrazione, si astengono comunque dal distribuire la Comunione, incaricando di tale compito i laici» [vgl.. n. 157].

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Questa norma è a sua volta preceduta vent’anni prima da un Antwort della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti [11 Juli 1984: AAS 76 (1984) P. 746]. Questo delicato compito affidato ai laici è di per sé un ministero del tutto straordinario, spetta infatti ai ministri ordinati, al presbitero e al diacono, distribuire la Santa Comunione ai fedeli. Solamente in casi nei quali i ministri ordinati non sono sufficienti per l’elevato numero di persone, può essere fatto ricorso ai ministri della Comunione, che esercitano un ministero del tutto straordinario.

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Dinanzi ad abusi di questo genere e ai numerosi altri descritti in questa Istruzione, sui quali non sarebbe possibile soffermarci, i fedeli cattolici sono tenuti a rivolgersi al loro vescovo, non certo a Facebook e Zwitschern, perché le nostre diocesi non sono governate né da Mark Zuckerberg né da Elon Musk, che tra l’altro non possono esercitare alcun potere sui preti né ammonirli ad alcun titolo.

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Dinanzi alle oggettive responsabilità del nostro clero, difettoso e peccatore, noi non ci tiriamo indietro, anzi siamo i primi ad ammettere gli evidenti errori dei pochi o dei tanti nostri confratelli che purtroppo sembrano celebrare a volte quasi con i piedi. Non meno gravi sono però le responsabilità di quei fedeli, o presunti tali, che anziché informare il vescovo, come sarebbe loro dovere fare, pensano di potersi lamentare con lo straccio delle loro vesti sui soziale Medien, meglio ancora se dietro a un nome di fantasia, perché in quel caso diverranno oltre modo aggressivi e severi, anziché agire come Dio comanda e assumersi tutte le loro responsabilità di credenti cattolici, semplicemente informando il vescovo.

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Am unteren Rand, Darüber nachdenken, Jede Gemeinschaft der Gläubigen hat am Ende immer den Priester, den sie verdient, genau wie wir Priester, che spesso finiamo “condannati” a giusta e meritata pena ad avere i vescovi che ci meritiamo.

Florenz, 10 Dezember 2022

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Die Väter der Insel Patmos

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Jene Liturgie, an der man oft teilnimmt, ohne den Sinn und die Bedeutung dessen zu kennen, was rezitiert und gefeiert wird. Beginnen wir mit einer kleinen Reise durch die Vorworte der Adventszeit …

DIESE LITURGIE, AN DER WIR OFT TEILNEHMEN, OHNE DIE BEDEUTUNG UND BEDEUTUNG dessen ZU KENNEN, WAS WIR REZITIEREN UND FEIERN. COMINCIAMO CON UN BREVE VIAGGIO NEI PREFAZI DEL TEMPO DI AVVENTO …

L’Avvento, versuche es zu leben und in Kirchen zu feiern, non sui soziale Medien. Und wenn Sie irgendwelche Zweifel haben, o cose da chiarire, rivolgetevi a noi Sacerdoti, che per quanto inadeguati, Sünder, inetti e deludenti ― come in molti scrivono nei loro sfogatoi su Internet ― qualche cosa in più rispetto ai teologi improvvisati su Facebook e Zwitschern, state pur certi che la sappiamo e siamo in grado di offrirvela, immer befreien den amor Dei.

— Pastorale Liturgie —

Autor
Simone Pizzi

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Artikel im PDF-Druckformat

 

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Nota di Redazione: ai Padri de Die Insel Patmos si è unito un nuovo redattore, il presbitero fiorentino Simone Pifizzi, pastoralista e liturgista [sehen WHO]

Molti sono i cattolici, anche quelli devoti e animati da sincera fede, ignari del significato delle parole pronunciate e dei gesti compiuti dal Sacerdote durante la Santa Messa. Il sacro rito che attraverso la Santa Messa rinnova il sacrificio incruento di Cristo è ricco di segni e simboli, ciascuno dei quali carico di un profondo significato teologico e mistagogico. Siccome è doveroso spiegare sempre ogni parola, ricordo che “mistagogia”, termine di derivazione greca, il cui significato è “iniziazione ai misteri”, nel lessico cristiano indica la scoperta della nuova vita di grazia che abbiamo ricevuto attraverso i Sacramenti. Il Catechismo insegna:

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«La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, zusammen, la fonte da cui promana tutta la sua virtù. La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l’azione liturgica e sacramentale, perché è nei Sacramenti, e soprattutto nell’Eucaristia, che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini» [vgl.. n. 1074]. La catechesi liturgica mira a introdurre nel mistero di Cristo (essa è infatti “Mistagogia”) in quanto procede dal visibile all’invisibile, dal significante a ciò che è significato, dai “sacramenti” ai “misteri” [vgl.. n. 1075].

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Dicevo che la sacra liturgia è ricca di segni e simboli, ciascuno dei quali ha un profondo significato. Persino i silenzi o i cenni di reverenza del Sacerdote hanno un loro significato teologico e mistagogico. Per comprenderlo basterebbe ascoltare i maestri, anziché inseguire improbabili teologi e liturgisti che sproloquiano sui soziale Medien. Proviamo a chiarire il tutto con un esempio tratto dalla Prima Preghiera Eucaristica, anche detta Römischer Kanon. Nella prece in cui è fatto riferimento alla Comunione dei Santi il Sacerdote recita:

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«[…] In comunione con tutta la Chiesa ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo».

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Menzionando la Beata Vergine Maria il Sacerdote accenna un leggero inchino con il capo, quando poco dopo nomina Gesù Cristo, accenna un inchino più profondo. Weil? La ragione è racchiusa nelle parole stesse: la «Vergine Maria Madre» è creatura, ossia una creatura creata, che come tale si venera (da qui il leggero inchino), mentre Cristo è «nostro Dio e Signore», che non è creatura, ma «generato non creato della stessa sostanza del Padre», ossia è Dio, quindi lo si adora. Sono passaggi molto importanti, anche se non sempre noti agli Zauberlehrlinge che da un giorno all’altro si sono messi a “giocare” con l’antico Messale di San Pio V e che non perdono occasione, nelle loro esasperazioni rasenti spesso la mariolatria, per dimostrare l’incapacità a distinguere il Dio incarnato, Seconda Persona della Santissima Trinità, dalla più pura delle creature, che per quanto immacolata rimane comunque una creatura creata, con serena pace di chi la rivendica corredentrice, malgrado il netto rifiuto dei Sommi Pontefici, ultimi in ordine di serie Benedetto XVI e Francesco. Questa sostanziale distinzione tra “creatura” e “Dio”, nella sacra liturgia non è espressa con delle parole e men che mai con lezioni di teologia dogmatica, di cristologia o di mariologia, ma con due semplici inchini: uno leggero a Maria creatura creata, uno profondo, a Cristo Dio generato non creato, che non necessita di corredentori e corredentrici, come espresso in modo delicato da Benedetto XVI, in modo un po’ più “ruspante”, ma altrettanto incisivo e chiaro, da Papa Francesco [vgl.. Catechesi sulla preghieraPregare in comunione con Maria].

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Detta in modo amabile: Väter de Die Insel Patmos, quando celebrano ed esercitano in tal modo il die Aufgabe der Heiligung, sanno bene quel che fanno. Quando insegnano ed esercitano in tal modo il die Aufgabe des Unterrichtens, sanno bene ciò che insegnano. Senza bisogno di rendersi ridicoli dinanzi agli ascoltatori come quei fenomeni circensi che colmano le proprie gravi lacune teologiche facendo la lista dei dottorati teologici conseguiti. Natürlich, ogni riferimento è del tutto involontario, per non dire casuale …

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Nella liturgia è chiamato Prefazio la solenne lode che introduce la Preghiera Eucaristica e che ne costituisce introduttivamente la prima parte. Una preghiera che sia nel vecchio messale di San Pio V sia nel messale di San Paolo VI comincia in entrambi con un dialogo tra celebrante e fedeli:

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Il Celebrante: «Il Signore sia con voi». Il Popolo risponde: «E con il tuo spirito». Il Celebrante riprende: «In alto i nostri cuori». Il Popolo: «Sono rivolti al Signore». Il Celebrante (accennando un inchino con il capo) «Rendiamo grazie al Signore nostro Dio». E il Popolo conclude: «È cosa buona e giusta».

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Segue la parte recitata dal solo Celebrante, la cui sezione centrale varia assecondo la celebrazione, perché i prefazi sono numerosi e per questo variano dal Tempo Ordinario a quello di Quaresima, dall’Avvento al Natale, da Pasqua a Pentecoste, per seguire con altri “prefazi propri” usati nelle celebrazioni in memoria della Beata Vergine, dei Santi, dei Martiri, dei Defunti. Per questo la seconda parte è sempre variabile, perché il suo scopo è di spiegare, come una breve catechesi, il motivo per il quale si deve a Dio gloria e ringraziamento da parte di tutta la Chiesa universale. Prendiamo come esempio il III Prefazio della Beata Vergine Maria per comprendere questo elemento catechetico racchiuso nella sacra liturgia. Recita il testo:

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All’annunzio dell’Angelo, accolse nel cuore immacolato il tuo Verbo e meritò di concepirlo nel grembo verginale; divenendo madre del suo Creatore, segnò gli inizi della Chiesa.

Ai piedi della croce, per il testamento d’amore del tuo Figlio, estese la sua maternità a tutti gli uomini, generati dalla morte di Cristo per una vita che non avrà mai fine.

Immagine e modello della Chiesa orante, si unì alla preghiera degli Apostoli nell’attesa dello Spirito Santo.

Assunta alla gloria del cielo, accompagna con materno amore la Chiesa e la protegge nel cammino verso la patria, fino al giorno glorioso del Signore.

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Endlich Der letzte Teil, strutturalmente sempre uguale, salvo la differenza di poche parole da un Prefazio all’altro, il cui scopo è di introdurre il canto e l’acclamazione del heilig di tutto il Popolo di Dio riunito in assemblea:

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E November, insieme agli Angeli e ai Santi,

cantiamo senza fine

l’inno della tua lode: Santo …

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Il tempo di Avvento nel quale stiamo per entrare ha una doppia caratteristica, come spiegano le normative liturgiche:

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«[...] è Tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si commemora la prima venuta del Figlio di Dio tra gli uomini e, contemporaneamente, è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi» [vgl.. Norme generali per l’ordinamento dell’Anno liturgico e del calendario, n. 39].

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Lungo il corso dei secoli, il breve ma intenso Tempo liturgico “forte” dell’Avvento ha sempre conservato questi due grandi aspetti di Vorbereitung alla celebrazione memoriale della nascita di Gesù Cristo nel tempo e di attesa del suo glorioso ritorno finale. Queste due dimensioni sono richiamate sia dai testi biblici che patristici utilizzati sia nella celebrazione eucaristica che nella Liturgia delle Ore. A questo periodo che segna il mistero della incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo, dal quale prenderà vita la nuova rivelazione e il mistero di salvezza, proprio per la sua fondamentale importanza hanno dedicato scritti e predicazioni grandi Santi Padri e dottori della Chiesa. Potremmo citarne solo alcuni, da Sant’Ireneo di Lione [vgl.. Inni, 1,88-95.99] a San Gregorio Magno [vgl.. Predigten 1, 8], da San Bernardo di Chiaravalle [vgl.. Discorso IV sull’Avvento 1. 3-4], per seguire in tempi più recenti con San Carlo Borromeo che spiega come il tempo di Avvento richieda di essere piamente santificato dagli uomini [vgl.. Lettere Pastorali].

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Tra i tanti testi che arricchiscono la liturgia di questo Tempo liturgico, meritano attenzione particolare i Prefazi propri dell’Avvento, che costituiscono in sé stessi un vero e proprio itinerario liturgico–spirituale adatto ad arricchire la vita cristiana.

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Per il Tempo di Avvento, il Messale Romano italiano prevede quattro testi: i primi due (I e I/A) sono utilizzati dalla Prima Domenica di Avvento fino al 16 Dezember, Sekunden (II e II/A) per i giorni rimanenti. I Prefazi I e I/A sottolineano in modo particolare la venuta finale di Cristo alla fine dei tempi, in quella che viene chiamata Russland. Gli altri due (II e II/A) sono un invito a preparare cuore e mente alla celebrazione della sua prima venuta, pur non perdendo di vista la sottolineatura fatta nei primi due.

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Veniamo ora ai testi, ovviamente prendendo in esame soltanto la “parte mobile” ovvero la seconda parte del Prefazio, quella che prima abbiamo indicata e definita come catechetica.

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Nel I Prefazio d’Avvento è annunciata la duplice venuta di Cristo con queste parole:

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«Al suo primo avvento nell’umiltà della condizione umana egli portò a compimento la promessa antica e ci aprì la via dell’eterna salvezza. Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria, ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa».

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Il titolo già esprime tutto il significato di questo Tempo Liturgico: memoria della prima venuta di Cristo nella carne e attesa del suo ritorno glorioso. Nella prima parte risaltano tre passaggi importanti: la sottolineatura dell’abbassamento del Figlio di Dio, che richiama subito alla memoria il celebre inno cristologico:

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«Cristo Gesù, während es der göttlichen Natur, er betrachtete seine Gleichheit mit Gott nicht als einen eifersüchtigen Schatz; ma spogliò sé stesso, die Form wie ein Sklave, den Menschen gleich geboren; in menschlicher Gestalt erschienen, umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» [Fil 2,5-8].

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Segue il “compimento della promessa antica”. Jesus, con la sua Incarnazione, dà compimento ultimo e definitivo a tutte le profezie e le promesse fatte ai Padri in tutto il Primo Testamento. O per dirla con il solenne esordio della lettera agli Ebrei:

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„Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai Padri per mezzo dei Profeti, in letzter Zeit, heutzutage, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» [EB 1, 1-2].

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Endlich, nella conclusione, l’apertura definitiva ― operata da Colui che si presenterà come Via, Wahrheit und Leben [vgl.. GV 14, 6] ― della eterna salvezza e della vita senza fine. La seconda parte ci sposta alla fine dei tempi, dove l’umiltà sarà sostituita dalla gloria. In questa gloria, eterna e definitiva il Verbo introdurrà tutti coloro che credono in lui e che con speranza, già in questa vita, guardano a questo momento.

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Vorrei sottolineare la presenza di questi due verbi che ci riguardano: uno al futuro ― «ci chiamerà a possedere» e uno al presente ― «osiamo» che dicono il “già e non ancora” in cui ogni credente è inserito con il Battesimo e che si rinnova in ogni celebrazione eucaristica e in ogni segno sacramentale.

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Nel Prefazio I/A si celebra Cristo, Signore e giudice della storia, attraverso queste parole di lode:

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«Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora in cui il Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo rivestito di potenza e splendore. In quel giorno tremendo e glorioso passerà il mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova. Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno».

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In diesem Text tutto è proiettato sulla venuta finale del Cristo glorioso. Il linguaggio è solenne ed enfatico: «Signore e giudice», «rivestito di potenza e splendore», «in quel giorno tremendo e glorioso». Questo «non ancora» è tuttavia messo a confronto con il presente, in cui ogni credente è chiamato a riconoscere la venuta di Cristo nel volto del fratello che incontra nella vita di ogni giorno nell’esperienza delle tre Virtù Teologali qui esplicitamente richiamata: Glaube, Hoffnung und Nächstenliebe. La Speranza, tipica Virtù dell’Avvento, si accoglie con Fede e si testimonia con una Carità autentica.

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Nel Prefazio II abbiamo le due attese di Cristo raffigurate e spiegate con queste parole:

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«Egli fu annunciato da tutti i profeti, la Vergine Madre l’attese e lo portò in grembo con ineffabile amore, Giovanni proclamò la sua venuta e lo indicò presente nel mondo. Lo stesso Signore, che ci invita a preparare con gioia il suo Natale, ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode».

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Testo didattico straordinario che sintetizza tutta la storia della salvezza in preparazione alla venuta del Figlio di Dio nella carne: l’annuncio profetico, la Santa gestazione della Vergine, la predicazione e la testimonianza del Battista e che non solo annuncia la venuta del Signore ma che ha anche la grazia di vederne la realizzazione. Il credente è invitato a rallegrarsi perché Gesù è già presente e questa presenza possiamo sperimentarla sia nella preghiera personale, come «viglianti nella preghiera» sia in quella liturgica, oder: «esultanti nella lode».

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Il Prefazio II/A si incentra su Maria nuova Eva, chiarendo quello che è il ruolo a ella affidato da Dio nel mistero della salvezza, o come suol dirsi nella economia [der griechischen οἰκονομία] der Erlösung:

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«Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo per il mistero della Vergine Madre. Dall’antico avversario venne la rovina, dal grembo verginale della figlia di Sion è germinato colui che ci nutre con il pane degli angeli e sono scaturite per tutto il genere umano la salvezza e la pace. La grazia che Eva ci tolse ci è ridonata in Maria. In lei, Madre di tutti gli uomini, la maternità, redenta dal peccato e dalla morte, si apre al dono della vita nuova. Dove abbondò la colpa, sovrabbonda la tua misericordia in Cristo nostro salvatore».

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Il testo di questo Prefazio d’impronta mariana ci porta direttamente alla contemplazione della Vergine Madre di Dio: Maria Santissima, protagonista per eccellenza degli ultimi giorni del Tempo di Avvento. Maria viene messa in parallelo con Eva, usando la categoria della “maternità”. Dal grembo di Eva ― tentata dell’Antico Avversario, il serpente ― è scaturita un’umanità segnata dall’esperienza del peccato, una vera e propria “rovina”. Maria è la nuova Eva, la Madre di un’umanità nuova, non tanto e non più in senso biologico ma spirituale. Se da una parte è pur vero che tutti siamo uomini nati in una carne segnata dall’esperienza del peccato, l’Incarnazione del Verbo Divino ― qui indicato squisitamente con due immagini dal forte sapore biblico: «pane degli angeli» e «germoglio» ― spalanca davanti a noi il dono della Redenzione e di una vita nuova, divina e spirituale. Nell’ultimo periodo risuonano quasi alla lettera le parole dell’Apostolo Paolo:

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«La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato il peccato, wimmelte Gnade, perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore». [RM 5, 20-21].

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Questo è ciò che dovremmo sempre ricordare anche noi, in ogni momento della nostra vita, soprattutto quando sentiamo il peso delle nostre mancanze, delle nostre colpe, quando la vita sembra una litania di fallimenti e anche quando la fede stessa rischia di vacillare per cause interne ed esterne a noi stessi. Perché su tutto, anche sul peccato, sovrabbonda la sua infinita misericordia, il suo amore.

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Meditiamo con attenzione questi testi che la Chiesa Madre ci dona per prepararci al Natale del Signore e molto più al nostro incontro personale con Lui, quando lo vedremo non più come in uno specchio, ma faccia a faccia, e lo conosceremo così come ora siamo da Lui riconosciuti [vgl.. 1 Kor 13, 12].

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Chiudo con una raccomandazione: l’Avvento, versuche es zu leben und in Kirchen zu feiern, non sui soziale Medien. Und wenn Sie irgendwelche Zweifel haben, o cose da chiarire, rivolgetevi a noi Sacerdoti, che per quanto inadeguati, Sünder, inetti e deludenti ― come in molti scrivono nei loro sfogatoi su Internet ― qualche cosa in più, rispetto ai teologi improvvisati su Facebook e Zwitschern, state pur certi che la sappiamo e siamo in grado di offrirvela, immer befreien den amor Dei.

Florenz, 17 November 2022

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Die Väter der Insel Patmos

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Wie kann man in einer Gesellschaft, die die Idee des Todes ablehnt, vom christlichen Tod sprechen??

WIE MAN ÜBER CHRISTLICHEN TOD IN EINER GESELLSCHAFT SPRICHT, DIE DIE GLEICHE IDEE VOM TOD ABWEIST?

La cultura contemporanea sembra non porsi l’interrogativo della morte, oder versuchen, es auszutreiben und es in Vergessenheit geraten zu lassen, keine Fragen stellen und keine Antworten geben, mentre la Divina Rivelazione ci assicura che Dio ha creato l’uomo per un fine di felicità che oltrepassa la vita terrena.

— Liturgischer Dienst —

Autor
Simone Pizzi

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Artikel im PDF-Druckformat

 

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William-Adolphe Bouguereau, 1859. Il giorno dei morti. Musée des Beaux-Arts, Lione

I Padri dell’ultimo Concilio della Chiesa scrissero che «In fronte alla morte l’enigma della condizione umana raggiunge il culmine» [vgl.. Die Freude und Hoffnung, 18]. La Solennità di Tutti i Santi e la Commemorazione dei Fedeli defunti ci viene offerta ogni anno come occasione per «contemplare la città del cielo, la santa Gerusalemme che è nostra madre» e ricordare a ogni battezzato che verso questa patria comune «noi pellegrini sulla terra affrettiamo nella speranza il nostro cammino, lieti per la sorte gloriosa dei membri eletti della Chiesa che il Signore ci ha dato come amici e modelli di vita» [vgl.. Prefazio del 1° novembre].

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In genere molte persone, anche quelle poco praticanti, non mancano in questi giorni di fare memoria dei propri cari defunti, partecipando all’Eucaristia nelle Parrocchie e visitando i cimiteri. Con struggente affetto ricordiamo chi ci ha voluto bene, grati per quello che abbiamo ricevuto, desiderosi magari di perdonare e di essere perdonati. Molti sono i figli ormai non più giovani, semmai con figli adulti o persino nonni, che dinanzi alle tombe dei propri genitori riflettono su tanti momenti della loro vita, dicendo a sé stessi, ora con tenerezza ora con amarezza, talora anche con profondi sensi di colpa, che se fosse possibile tornare indietro avrebbero avuto altri atteggiamenti e comportamenti verso di loro.

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La morte non può che indurre a interrogare noi stessi perché ― come spesso mi capita di dire nelle celebrazioni esequiali ― niente è più certo che come questa vita l’abbiamo ricevuta un giorno la dovremo rendere. In modo sapiente un vecchio apologo inglese esprime come un bambino che emette il primo vagito, già comincia a invecchiare, per cui l’età che passa ― fossero anche pochi minuti, o un mese o un anno ― ti rende inesorabilmente vecchio. Per questo un bambino nato da un minuto è one minut old (un minuto più vecchio).

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Quando l’uomo trova la forza di fermarsi e pensare a sé stesso, sente come la morte non gli appartiene. Wir fühlen, nel nostro profondo più intimo, che noi siamo fatti per la vita. Ma non semplicemente per una vita eterna su questa terra, dove dovrebbe essere eternamente soggetto alle contraddizioni e ai limiti di questo mondo, oppure in una sorta di moderno highlander, costretto penosamente a separarsi da persone e situazioni care. Portiamo dentro il cuore un germe di eternità che insorge tutte le volte che ci troviamo di fronte al mistero della morte e a ciò che da essa deriva: Krankheit, sofferenza, timore che tutto finisca per sempre. Die Toten, gut zu erinnern: è una “invenzione” e conseguenza dell’agire dell’uomo. Dio ci creò immortali, non mortali soggetti come tali a decadenza fisica, invecchiamento e dolore, tutti elementi che entrano nella scena del mondo e nell’esperienza umana attraverso il peccato originale [vgl.. Gen 3, 1-19], a causa del quale è stata consegnata all’intera umanità avvenire una natura corrotta. Il tutto frutto della libertà e del libero arbitrio che Dio donò all’uomo nel momento stesso della sua creazione [vgl.. vgl.. Gen 1, 26; Dt 7, 6].

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La cultura contemporanea sembra non porsi l’interrogativo della morte, oder versuchen, es auszutreiben und es in Vergessenheit geraten zu lassen, keine Fragen stellen und keine Antworten geben, mentre la Divina Rivelazione ci assicura che Dio ha creato l’uomo per un fine di felicità che oltrepassa la vita terrena. Dio ha chiamato e chiama l’uomo a stringersi a Lui con l’intera sua natura in una comunione perpetua con la sua vita divina. Jesus, Verbo incarnato, con la sua incarnazione, Hingabe, morte e resurrezione ha completamente abbracciato la nostra natura umana; morendo ha vinto la morte e risorgendo ha ridato all’uomo la vita.

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Die Auferstehung Jesu è il nucleo centrale della fede cristiana. Chi vive e muore in Gesù partecipa alla sua morte per partecipare alla sua resurrezione, come recitiamo nella III Preghiera Eucaristica quando facciamo Gedenken an Verstorbene: "Er (n.d.r Cristo) trasfigurerà il nostro corpo mortale a immagine del Suo corpo glorioso». Il Verbo Incarnato nella preghiera sacerdotale rivolta al Padre prima di subire la passione chiede che «tutti quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria» [GV 17,24]. Per questo l’Apostolo Paolo afferma: «Certa è questa parola: se moriamo con Cristo, vivremo anche con lui» [2TM 2, 11]. È in questo che consiste la novità e l’essenza della morte cristiana: con il Battesimo, il cristiano è “sacramentalmente” morto con Cristo, ed è già immesso in una vita nuova. Deswegen, la morte fisica, consuma il nostro morire con Cristo e compie definitivamente la nostra incorporazione a Lui. Der Christ, pur sapendo che la morte rappresenta un passaggio anche doloroso (“doglie”) affronta l’inesorabile accorciarsi dei suoi giorni nella speranza, sapendo che Gesù ha vinto la morte, che Egli è quella luce del mondo simboleggiato anche dal cero pasquale posto davanti al feretro durante le esequie, il primogenito dei risorti, il Capo del Corpo che è la Chiesa [vgl.. Kol 1, 18] attraverso il quale la certezza della vita eterna raggiunge tutte le membra.

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La visione cristiana della morte è espressa in modo insuperabile nei gesti e nelle parole del Rito delle esequie e, im Allgemeinen, nei formulari della Santa Messa dei defunti. Tralasciando per ovvi motivi i testi, vogliamo sottolineare i riti liturgici, nei quali la Chiesa esprime la sua fede, ben sintetizzata dalle parole del primo prefazio dei defunti: «Ai tuoi fedeli, O Herr, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo».

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Nel giorno delle esequie la Chiesa, dopo aver affidato a Dio i suoi figli, asperge i corpi con l’acqua benedetta. L’acqua è l’elemento primario e fondamentale perché ci sia la vita. Ci ricorda che noi siamo fatti per la vita. Ci ricorda il Battesimo nel quale siamo stati indissolubilmente uniti alla morte e risurrezione di Cristo e iscritto il nostro nome nel libro della vita. Dopo l’aspersione con l’acqua, il corpo del defunto viene incensato. L’incenso è usato nella liturgia per rendere onore a Dio e a ciò che lo significa. Oltre all’Eucaristia viene incensato anche l’altare, l’Evangelario, il celebrante, l’assemblea, le immagini sacre… Il corpo del defunto viene così onorato perché riconosciuto come “tempio dello Spirito Santo” e strumento di comunione con Dio e i fratelli.

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Il corpo dei fedeli defunti è infine affidato alla terra come seme di immortalità, sepolto in essa mentre attende la primavera senza fine alla fine dei tempi. A tal proposito trovo appropriate queste parole del Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, con la quali concludo:

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«Tutt’oggi i cimiteri sono un luogo in cui esercitare la fede pregando per i nostri cari. Un tempo stavano presso le chiese così che là, dove si faceva memoria di Gesù morto e risorto, si ricordavano anche i defunti e il loro ricordo rimandava a Gesù, Signore dei vivi e dei morti. Anche oggi la Chiesa consiglia la sepoltura come la forma più vicina alla nostra fede. Permette anche altre scelte, quali la cremazione, purché non sia fatta esplicitamente per negare la fede nella risurrezione finale. In tutti i casi chiede di conservare le ceneri nei cimiteri, non nelle proprie case e mai disperderle in natura negando un luogo preciso dove fare memoria insieme e dove la comunità cristiana può assicurare la preghiera costante. Possano queste festività darci quella luce e quel calore di cui abbiamo profondamente bisogno e rendere più leggero il passo per chi nella fede cammina verso il luogo della beatitudine e della pace, dove Dio sarà tutto in tutti».

Florenz, 2 November 2022

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1 È Presbitero dell’Arcidiocesi di Firenze e specialista in sacra liturgia e storia della liturgia

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LAUDE AI MORTI

Inno liturgico popolare

Kirche von Santa Maria della Misericordia, Lastra a Signa (Florenz)

Ottavario dei Morti, November 2013

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Dei nostri fratelli,
afflitti e piangenti,
Signor delle genti:
Begnadigung, Mitgefühl.

Sommersi nel fuoco
di un carcere orrendo
ti gridan piangendo:
Begnadigung, Mitgefühl.

Se all’opere nostre
riguardi severo,
allor più non spero:
Begnadigung, Mitgefühl.

Ma il guardo benigno
se volgi alla croce,
ripete ogni voce:
Begnadigung, Mitgefühl.

Ai nostri fratelli
dai dunque riposo,
o Padre amoroso:
Begnadigung, Mitgefühl.

Finché dal quel fuoco
saranno risorti,
Signor dei tuoi morti:
Begnadigung, Mitgefühl.

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