Domanda: “La Messa di Paolo VI è veramente valida”?

«LA MESSA DI PAOLO VI È VERAMENTE VALIDA»?

«Cari Padri dell’Isola di Patmos, talvolta sembra che nelle nostre chiese regni il caos liturgico: Messe dialogate, preghiere dei fedeli “spontanee” imbarazzanti, parole del messale variate a piacimento del celebrante, canti inopportuni, battimani e danze, donne che salgono all’altare durante le celebrazioni come se ne fossero padrone. Di recente ho letto un articolo che offre risposte attraverso un teologo domenicano, Padre Thomas Calmel. Ne sono rimasta colpita e vorrei sapere quanto questo scritto è vero, quindi chiedervi: “La Messa di Paolo VI, è veramente valida?”» [Chiara Caon, lettrice di Trento]

 

 

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Ariel S. Levi di Gualdo durante i vespri solenni

Caro Padre Giovanni.

Una lettrice di Trento ci ha inviato un articolo comparso sul sito Concilio Vaticano Secondo nel quale una pubblicista riporta per estratto alcune parti del pensiero del Padre Roger Thomas Calmel OP [1914-1975] che sostiene tesi fuorvianti sulla celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI [vedere QUI articolo integrale]. Dato che l’oggetto della domanda ruota attorno ad un tuo confratello domenicano, prego te di offrire risposta al quesito della nostra lettrice.

Il compito che con L’Isola di Patmos ci siamo prefissi è di fare teologia ecclesiale e pastorale in un momento di grande delicatezza che vede molti nostri fedeli sempre più disorientati, come prova il quesito sollevato da questa lettrice che di siffatto disorientamento è paradigma, perché molte sono le lettere più o meno analoghe che giungono alla posta della nostra redazione.

In alcuni miei articoli precedenti ho usato ironia e una certa irruenza verso alcuni opinionisti che non sono una semplice “minoranza” di “rumorosi insoddisfatti” ai quali non dar peso più di tanto, ma seminatori di errori velati dietro alla rassicurante difesa del depositum fidei, sino a funger spesso da punto di riferimento per molti smarriti, incapaci a cogliere in certi cattivi maestri il dramma delle «guide cieche» che «filtrano il moscerino e ingoiano il cammello» [cf. Mt 23, 24].

Nel contrastare certi errori si impone alle nostre coscienze sacerdotali un dovere di equilibrio e di prudenza riassumibile attraverso la celebre frase: «Non si può gettare via il bambino con l’acqua sporca», perché anche nelle posizioni errate, o in coloro che talvolta le portano avanti in buona fede, può esserci del buono. Il saggio apologo del bimbo e dell’acqua sporca mi porta però a temere il pericolo di caduta in un’altra insidia: anche in Ario e in Pelagio c’era del buono. Il primo era un uomo di fede, il secondo un pio asceta, entrambi teologi a tal punto raffinati che contro il primo si scomodò Sant’Atanasio, contro il secondo Sant’Agostino, i quali mai avrebbero perso il loro tempo prezioso col piccolo eretico del villaggio. E per giungere ai giorni nostri: non era forse, il Vescovo Marcel Lefebvre, un uomo di profonda pietà; un missionario straordinario che in Senegal formò buoni sacerdoti dando vita con ottimi risultati ai primi vescovi locali?

Per questo giudico cosa parecchio delicata cercare il buono nell’errante e gli elementi positivi di unione nell’eterodossia, perché se in questo agire la prudenza non è massima ed il rispetto del deposito della fede e del magistero della Chiesa non è ferreo, si può correre il rischio di trascinare in casa nostra le peggiori eresie dietro pretesti ecumenici o di dialogo interreligioso, come provano da alcuni decenni certe istituzione accademiche all’interno delle quali un numero elevato di teologi infarciti di modernismo insegnano dottrine di matrice protestante. Tutto questo è accaduto perché spesso si è cercato il buono ed i punti comuni di unione con gli erranti sino a trascinarci dentro casa anche i loro gravi errori, come tu stesso hai indicato tempo fa in una critica rivolta al pensiero del Cardinale Carlo Maria Martini, non certo alla sua degna persona [vedere QUI], alla quale fece eco poco dopo un’altra mia analisi [vedere QUI].

Come sacerdoti e teologi siamo chiamati a esercitare un sacro ministero che comporta un dovere al quale non possiamo sottrarci per imperativo di coscienza: dire all’occorrenza ai nostri fedeli cos’è giusto e cos’è sbagliato. Per questo usiamo a scopi puramente pastorali il prezioso strumento di questa rivista telematica, che io per primo non intendo usare né per azzuffarmi con “fazioni avverse” né per sterili polemiche con chi è chiuso alla grazia dell’ascolto, ma solo per servire nella verità e per la verità il Popolo che Dio ci ha affidato, salvando all’occorrenza i Christi fideles dalla caduta negli errori di certi cattivi maestri.

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Risponde il domenicano Giovanni Cavalcoli

 

Giovanni Cavalcoli in coro 2

Giovanni Cavalcoli OP nel coro del suo convento domenicano durante l’Ufficio Divino

Rispondo con piacere alla Lettrice di Trento dicendole anzitutto che nel campo della liturgia, il Romano Pontefice, esercita la sua autorità come sommo sacerdote e supremo moderatore del culto divino. Egli non è infallibile nel regolare il cerimoniale o nell’indire una riforma liturgica, cosa che appartiene al suo potere pastorale. Lo è però nell’interpretare, custodire conservare integra l’essenza o sostanza dei Sacramenti, in quanto dati di fede, perché ciò tocca l’infallibilità del suo magistero dottrinale.

L’essenza immutabile della Santa Messa è la seguente:

«Rito cultuale della Nuova Alleanza, col quale e per il quale, nella persona del sacerdote celebrante in comunione con la Chiesa e a nome della Chiesa, Cristo nello Spirito Santo offre incruentemente in sacrificio Se stesso al Padre per la salvezza del mondo».

Una riforma della Messa potrà essere pertanto più o meno felice, potrà avere bisogno successivamente di un’altra riforma o del recupero di quanto si aveva dismesso, ma non potrà mai alterare l’essenza della Messa. Supporre che il Papa possa indire una Messa eretica o modernista o filoprotestante, è a sua volta un’eresia, non in riferimento al suo potere pastorale, ma in quanto maestro della fede, dato che la Messa è un Mysterium fidei. Nella Messa bisogna quindi distinguere il cerimoniale dal rituale. Il primo può cambiare ed è di diritto ecclesiastico: il secondo è immutabile ed è di diritto divino.

Le norme della celebrazione della Santa Messa — il cosiddetto cerimoniale — possono quindi mutare nel corso dei secoli, come dimostra la storia stessa della liturgia. Ma l’essenza della Messa è immutabile, come pure è dimostrato dalla storia, fino alla Messa novus ordo, al di là di mutamenti che appaiono a volte profondi, ma che in realtà non intaccano la sostanza, come la ho definita sopra.

Il Sommo Pontefice non ha la facoltà di mutare la sostanza dei Sacramenti e quindi la struttura essenziale del rito della Santa Messa, sostanza o essenza che non è difficile enucleare al di là delle variazioni del cerimoniale avvenute nel corso della storia.

Ora però, la Messa novus ordo, è stata motivata dal Concilio Vaticano II con gravi ragioni note a tutti [Sacrosanctum Concilium, nn. 47-58]. Essa ha certamente un aspetto ecumenico, ma è stoltezza dire che è filo-protestante o infetta di modernismo o che essa cambia la Messa tradizionale.

La Chiesa può concedere a chi lo desidera il permesso di celebrare solo nel vetus ordo — come lo fece con San Pio da Pietrelcina —, che ovviamente resta valido; ma a patto che non lo si faccia come se la Messa valida fosse solo questa. La Chiesa consiglia ed ordina, ordinariamente, il novus ordo, perché pastoralmente è più adatto alla situazione odierna.

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