La cristologia della luce eucaristica ed il buio dei totalitarismi politici e religiosi

Theologica —

LA CRISTOLOGIA DELLA LUCE EUCARISTICA
ED IL BUIO DEI TOTALITARISMI POLITICI E RELIGIOSI

 

… può accadere che la cecità del marxismo e la cecità di certe espressioni di vita religiosa si incontrino, pur combattendosi duramente, accomunate da materialismo omocentrico ed eresia pelagiana

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

[…] talune correnti teologiche e religiose hanno modulato i propri movimenti di fede e di pensiero attingendomarx inconsapevolmente proprio dal nemico che si prefiggevano di combattere: quel Marxismo applicato nei regimi comunisti dove l’individuo era svuotato e mutato in un ingranaggio di quella personalità di massa chiamata Stato, una sorta di entità perfetta o per così dire pseudo-divina che assieme ai suoi leaders carismatici non poteva essere posta in discussione. Non bisogna infatti trascurare che il Marxismo è una “religione” atea e che il suo impianto strutturale “dogmatico” è costruito sugli schemi propri degli assolutismi religiosi.

Sul piano filosofico prima che teologico, essere ingranaggi spersonalizzati di un sistema marxista è cosa antitetica all’essere membra del Corpo Mistico. Così come l’essere ingranaggi spersonalizzati di correnti di pensiero teologico o di sistemi religiosi modulati non sull’assoluto teologico ma sull’assolutismo ideologico rappresenta un’antitesi all’essere membra del Corpo Mistico della Chiesa che è Cristo, anzi peggio, perché mentre il Marxismo attaccava la Chiesa da fuori queste correnti l’hanno colpita da dentro con l’aridità dei propri pensieri de-strutturanti e confondenti. E il caposcuola del Novecento di questa de-strutturazione confondente è Karl Rahner.

legionari di Cristo

Avere molte vocazioni, è veramente una prova della grazia dello Spirito Santo? Una delle nuove congregazioni religiose al cui interno sono confluite nel tempo molte vocazioni, inclusi ottimi e motivati giovani, assoggettati per mezzo secolo alla oscura figura del proprio fondatore in un regime di cieca obbedienza che non ammetteva senso critico alcuno. Ai membri di questa Congregazione era imposto anche il voto di “non critica” dei superiori, forse in cattolico ossequio ai migliori criteri di Fides et Ratio?

Sul piano strutturale le correnti religiose filo marxiste totalitarie fiorite in parallelo nella storia della Chiesa del Novecento che ritenevano giusto indirizzare e controllare la ragione dell’uomo al “cristiano” fine che questi non cadesse ragionando in peccati d’orgoglio, che limitavano la sua libertà di figlio di Dio per evitargli il potenziale rischio di cadere dalla libertà al libertinaggio, che giudicavano il senso critico una sorta di attentato di lesa maestà divina da curare prontamente con la panacea dell’obbedienza cieca … ebbene, questi totalitarismi religiosi d’impianto pseudo neoscolastico fondati sulla scolastica decadente del tardo Settecento anziché sul gran patrimonio scolastico il cui recupero fu auspicato dell’Enciclica Aeterni Patris, hanno mostrato la loro storica chiusura spirituale e teologica alla grazia, il loro modo di ristagnare non-pensando, di agire in spazi delimitati e circoscritti per impedire ogni autonomo agire al fine di evitare chissà quali insidie, la volontà di chiudere ogni quesito al dubbio perché per tutto avevano una risposta metafisica pronta. E tutto questo ha segnato varie esplosioni di pelagianesimo religioso moderno, semmai proprio mentre i propagatori di questi pensieri erano impegnati a insegnare il De Natura et Gratia di Sant’Agostino nel più profondo ossequio agli schemi formali della migliore ortodossia cattolica.

rigidità di pensiero

chiusura mentale

La loro impostazione di pensiero di prassi rigida, a tratti spietata nel suo formalismo concettuale esasperato ed esasperante ricalcava spesso ― inconsapevolmente ― la psicologia di Pelagio: la convinzione di poter giungere alla perfezione attraverso il rigore, l’auto-disciplina, la mancanza di qualunque cedimento a qualsiasi perplessità o dubbio; che espresso in termini più moderni equivale al Superuomo e alla Volontà di Potenza di Frederic Nietzsche modulate in versione religiosa. Alcune di queste correnti di pensiero del tardo Ottocento e del Novecento hanno inaugurato la stagione di quell’ateismo religioso tipico di chi chiude il cuore alla Grazia di Dio nella certezza di poter giungere alla santità col rigore della disciplina interiore ed esteriore, che troviamo appunto raffigurata negli schemi nietzschiani de La Volontà di Potenza.

Giovani Paolo II firma fides et ratio

S.S. Giovanni Paolo II firma la Enciclica Fides et Ratio, accanto a lui l’allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger

Oggi noi parliamo teologicamente con gran disinvoltura del tema Fides et Ratio; argomento non certo nuovo nella storia e nell’economia della salvezza se consideriamo che fu dibattuto dai grandi Padri della Chiesa: lo fu dai Padri Cappadoci, da Anselmo d’Aosta, da Tommaso d’Aquino, sino a giungere al Pontefice Pio IX che fece scrivere al Concilio Vaticano I queste parole:

[…] anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione. Lo stesso Dio, infatti, che rivela i misteri e infonde la fede, ha deposto anche il lume della ragione nell’animo umano […] non solo la fede e la ragione non possono mai essere in contrasto fra loro ma possono darsi un aiuto scambievole. La retta ragione, infatti, dimostra i fondamenti della fede, illuminata dalla sua luce può coltivare la scienza delle cose divine; la fede libera protegge la ragione dagli errori e l’arricchisce di molteplici cognizioni. Per ciò, la Chiesa, è ben lontana dall’opporsi allo studio delle arti e delle discipline umane, tutt’altro le favorisce e le promuove in ogni maniera.

[..] quale è il rapporto tra fede, ragione e libertà all’interno degli ordini religiosi e di certe nuove congregazioni religiose che nella stagione del Concilio Vaticano II riscriveranno tutte quante le loro costituzioni per uniformarle al pensiero teologico e pastorale conciliare, ad esempio cancellando ogni riferimento anche vago a vetuste forme di obbedienza cieca che non ammettevano umana ragione, anteriori per impostazione e tradizione allo stesso Concilio di Trento, oltre che in netta contraddizione col pensiero teologico dei più grandi Padri della Chiesa?

francescani immacolata

I Frati Francescani dell’Immacolata, caso doloroso di una congregazione commissariata dalla Santa Sede senza che molte altre, inclusi diversi ordini storici, abbiamo seguito le stesse sorti per motivazioni molto più gravi. A peggiorare la situazione ed a recare immane danno a questa Congregazione è subito accorso l’esercito di cosiddetti “tradizionalisti” che hanno usato questi religiosi per portare avanti il loro astio verso il Concilio Vaticano II e per legittimare l’uso puramente ideologico del vetus ordo missae

Questi quesiti, se li sono mai posti certi “tradizionalisti” ideologici solerti cacciatori di eresie — incluse presunte eresie papali — prima di partire all’attacco con patos liberal democratico e spirito referendario, quindi con tanto di “raccolta firme”, dopo che la legittima Autorità della Chiesa aveva deciso di intervenire su una giovane Congregazione in seno alla quale stavano emergendo anche problemi di teologia ecclesiale, di corretta disciplina e di adeguata formazione? E sotto vari aspetti l’Autorità ecclesiastica ha fatto bene, perché non è sano e nemmeno cattolico riportare indietro le lancette dell’orologio ed instaurare di nuovo criteri di formazione religiosa su modelli di fine Ottocento inizi Novecento. Ma siccome questa famiglia religiosa celebrava col vetus ordo Missae, dinanzi al latinorum ridotto da certi “tradizionalisti” ad un feticcio pelagiano, ecco che si sono subito mostrati talmente preoccupati della pagliuzza da non vedere la trave, vale a dire che proclamare “di fatto” il dogma di Maria Corredentrice e stabilirne relativa teologia e culto al proprio interno e massiccia campagna di diffusione esterna, è molto peggio della de-costruzione del dogma messa in atto dalle peggiori derive della Nouvelle Théologie; perché “proclamare” o “dare per esistente” un dogma mariano che sino ad oggi la Chiesa non ha mai inteso proclamare — cosa di cui personalmente sono felice — è molto peggio del de-costruire e distruggere i dogmi di fede proclamati dalla Chiesa. Il tutto per cantarla in modo onesto e veritiero a certi ideologi della “tradizione” ai quali per mesi ho inutilmente ripetuto nel corso di numerosi colloqui privati che il problema non era il Messale di San Pio V, che dunque la smettessero di usare quei poveri frati per ideologizzare un messale e per legittimare se stessi. A quante di queste persone ho spiegato in tono rasente la supplica che io stesso avevo cessato di fare riferimenti nei miei articoli alle vicende di questa Congregazione, dopo avere avuto prove e controprove che i problemi erano altri e non la Messa secondo il vecchio rito? Sui risultati ottenuti — o meglio: sui non risultati — sorvolo con amarezza, ritengo però che qualcuno dovrebbe interrogarsi seriamente per il modo strumentale in cui questi frati sono stati danneggiati dai “tradizionalisti” d’assalto, capaci a ricondurre tutto, persino l’arte pasticcera napolenata, ad una questione di vetus ordo missae … incapaci di capire, sebbene fosse stato a loro spiegato, che non sempre «Parigi val bene una Messa», com’ebbe a dire quel cinico ugonotto di Enrico IV di Borbone. E detto questo evito di entrare nel merito tutto quanto teologico della ostinata chiusura alla grazia di Dio tipica di coloro che sono certi di possedere la Verità ed esserne unici e fedeli propagatori, persino contro l’Autorità della Chiesa …

Giudico da sempre perniciosa la teologia di Karl Rahner, ma l’onesta intellettuale e la mia gherardinifede cattolica mi impongono di affermare che criticare giustamente e legittimamente questo teologo tedesco, per giungere attraverso di esso ad intaccare, se non peggio ad invalidare l’autorità del Concilio Vaticano II, è molto peggio del dare vita alla confusa, equivoca e ambigua teoria dei “cristiani anonimi”. Cosa questa che un nostro venerabile e saggio confratello della caratura di Brunero Gherardini dovrebbe insegnare a tutti quanti noi, anziché prestarsi nella vecchiaia a certi equivoci che ruotano attorno alla teoria di quel Concilio “solo pastorale” che da anni manda in sollucchero il meglio del peggio di un certo “tradizionalismo”, che sul concetto di “concilio pastorale”, ergo non dogmatico, ha finito col sentenziare: … “vale a dire che non conta niente”; abusando e spendendo a sostegno di siffatte tesi aberranti il nome di questo teologo illustre che mai sosterrebbe cose simili, semplicemente perché non le ha mai pensate, essendo un uomo di Dio devoto all’Autorità della Chiesa ed un autentico maestro di teologia.

Serafino Lanzetta

Padre Serafino Lanzetta, giovane uomo di profonda pietà cristiana, acuto teologo dotato di autentico talento, ha ricevuto la propria formazione all’interno della Congregazione dei Francescani dell’Immacolata. Neppure una punta di diamante può però costituire patente di merito per una intera istituzione religiosa, così come una rondine non può fare primavera. Padre Serafino è una patente di merito per la Chiesa e per il mondo teologico, che malgrado i duri tempi odierni riesce a partorire pensatori come lui.

Sorvolo sulla totale mancanza di coerenza da parte di questi ideologi della “tradizione” che da anni hanno preso a tirare Brunero Gherardini per i bordi della veste. Soggetti che da una parte sono capaci — e lo hanno fatto, scritto e più volte pubblicato — ad esaltare la enciclica Mirari Vos di Gregorio XVI, nella quale vengono espresse nel lontano 1832, ovvero in tutt’altro mondo, società e contesti politici, anche parole di dura condanna verso la libertà di pensiero e di stampa, o verso il concetto di separazione tra Stato e Chiesa … e chiedendo infine di essa l’applicazione salutifera nella Chiesa d’oggi. Fatto questo, esaltano e mettono però in pratica forme di liberal democrazia referendaria contro l’Autorità ecclesiastica all’interno della Chiesa (!?). Mi domando: mi sono perduto qualche cosa, sono io ad essere incoerente, o forse sono questi ideologi della “tradizione” ad avere problemi seri nei loro insani rapporti con la presunta traditio catholica, la ecclesiologia e soprattutto la legittima Autorità della Chiesa?

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Riguardo quanti si ostinano a fare un mestiere che non è il loro, rimando all’ articolo del Padre Giovanni Cavalcoli sulla fantateologia dei giornalisti, quindi degli ecclesiologi e dei canonisti variamente improvvisati … QUI

A questa Congregazione alla quale un esercito di praeficae “tradizionaliste” digiune di teologia e di ecclesiologia hanno finito purtroppo col peggiorare la situazione usandola per i propri scopi ideologici, forse dedicherò un apposito scritto, se avrò tempo; non è detto però che di tempo ne abbia e che lo faccia, desiderando occuparmi di cose più interessanti nel corso dei decenni di vita che mi separano dalla mia morte, fissata all’incirca attorno ai 120 anni d’età, avendomi affidato la Persona Santissima dello Spirito Santo l’apostolica missione di far rodere diversi fegati.

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LA CRISTOLOGIA DELLA LUCE EUCARISTICA ED IL BUIO DEI TOTALITARISMI POLITICI E RELIGIOSI

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

“2001 Odissea nello spazio”, ovverosia: la fantateologia di alcuni giornalisti

«2001 ODISSEA NELLO SPAZIO », OVVEROSIA: LA FANTATEOLOGIA DI ALCUNI GIORNALISTI

 

[…] alcuni, magari con titoli, sono costretti a fare mestieri inferiori per il fatto di non trovar lavoro, e questi sono scusabili, se non proprio da compassionare. Ma capita che facciano bene il loro dovere, anche perchè chi sa fare il più, sa fare anche il meno. Un laureato in medicina può fare il portalettere. Ma un portalettere non può curare una polmonite o una cirrosi epatica. Quelli che invece sono da riprovare e che fanno maggior danno, sono gli ambiziosi e i presuntuosi, i quali danno ad intendere di saper fare o pensare al di là di quelle che sono le loro reali capacità, spesso assai limitate.

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

alberto sordi vigile urbano

il compianto Alberto Sordi nel ruolo del vigile urbano

Nella vita è importante saper intraprendere la carriera giusta, conforme alle proprie capacità, sulla base di sani criteri di discernimento, senza ambizioni e senza remore. Capita invece che ci sia chi, per vari motivi, intraprende una strada che non è la sua, confondendo la sua autentica con un’altra, che è ciò che ha scelto, ma che avrebbe fatto meglio a non scegliere, perchè così, anche se può avere qualche successo, in realtà fa danno a sè e agli altri. Certo, alcuni — magari con titoli — sono costretti a fare mestieri inferiori per il fatto di non trovar lavoro, e questi sono scusabili, se non proprio da compassionare. Ma capita che facciano bene il loro dovere, anche perchè chi sa fare il più, sa fare anche il meno. Un laureato in medicina può fare il portalettere. Ma un portalettere non può curare una polmonite o una cirrosi epatica. Quelli che invece sono da riprovare e che fanno maggior danno, sono gli ambiziosi e i presuntuosi, i quali danno ad intendere di saper fare o pensare al di là di quelle che sono le loro reali capacità, spesso assai limitate. Ma capita disgraziatamente che coloro che aspirano a farsi giudici o guide degli altri, usano, come criterio per valutare se stessi e gli altri, non la saggezza, ma l’invidia e la presunzione.

Eugenio Scalfari

un esempio eccellente: Eugenio Scalfari, liberamente e legittimamente ateo dichiarato, con gloriosa carriera di militante anticlericale nonché fondatore di un quotidiano che spesso ha aggredito in modo anche molto duro il magistero pontificio degli ultimi quattro decenni, oggi divenuto a suo modo esperto ecclesiologo

Gli esempi che si potrebbero fare sono moltissimi e toccano ogni genere di scelta, di vocazione, di professione, di mestiere, di carriera. Voglio qui fermarmi su di un fenomeno oggi diffuso, del quale hanno parlato su questa nostra rivista telematica anche i miei amici e confratelli sacerdoti Ariel S. Levi di Gualdo e Antonio Livi: la pretesa di certi giornalisti di discutere o di sentenziare categoricamente, senza appello e senza la dovuta preparazione e competenza e quindi senza il dovuto criterio di giudizio, di teologia, di questioni di fede, di ministeri e compiti ecclesiali — per esempio quello del Papa — o di affari della Chiesa. Certo non è male che grandi organi di stampa facciano tanta attenzione al Papa, alla Chiesa, a temi di dottrina e di morale, alla questione dei progressisti e dei conservatori, a nomi di teologi o Cardinali famosi, alle sorti del cristianesimo in rapporto ad altre religioni, al rapporto del Concilio Vaticano II col Magistero precedente. Ma la questione è con quanta preparazione, obbiettività e competenza e con quanta esattezza di informazioni prese da quali fonti essi formano i loro giudizi, danno i loro pareri, conoscono, riferiscono ed interpretano i fatti. Quanto, per esempio, soprattutto quelli che si dicono o sono considerati cattolici, conoscono la vera natura della Chiesa così come la Chiesa cattolica la intende? Quanto sanno distinguere, nelle attività o nel pensiero del Papa il Maestro della fede dalla guida pastorale della Chiesa dal dottore privato, secondo quei princìpi e criteri che di recente noi tre abbiamo esposto più volte su questo sito attraverso i nostri scritti? Quanto sanno distinguere la dottrina della fede dalle varie e contraddittorie opinioni dei teologi? Quanto sanno distinguere ciò che è autenticamente cattolico da ciò che non lo è? Quanto sanno distinguere ciò che è teologia nel senso scientifico da ciò che è soltanto un discorso religioso più o meno letterario o mitologico?

Melloni presso il Grande Oriente

Lo storico cattolico della Scuola di Bologna, Alberto Melloni, ad una quanto meno inopportuna conferenza presso la loggia massonica del Grande Oriente d’Italia [vedere QUI]

Diffuso per esempio è il parlare delle vicende, delle iniziative, delle opere o delle imprese della Chiesa credendo di dire l’ultima parola col considerare la Chiesa da un punto di vista puramente terreno o solo sociologico, ed ignorando la sua essenza e le sue finalità soprannaturali, come si può parlare di una società multinazionale o come se si avesse a che fare con una semplice società filantropica o umanitaria, tipo Amnesty International o Green Peace, o un partito politico immerso negli affari di questo mondo.

giornalisti cattoliciÈ urgente chiarire una volta per tutte quale dev’essere il rapporto del giornalista cattolico col teologo nel trattare degli affari della fede e della Chiesa in modo conveniente al fine di comunicare col numero più grande possibile di persone. Innanzitutto occorre che il giornalista stesso sia teologo, data la materia che deve trattare, seppur non in termini scientifici, ma comprensibili dal grande pubblico. La prima cosa che il giornalista cattolico deve fare è quindi di capire esattamente di cosa si tratta, attingere con cura a fonti sicure e attendibili, operare un discernimento alla luce del Magistero della Chiesa, dare a questa luce e sotto questa guida una valutazione obbiettiva, intelligente, spassionata ed imparziale degli avvenimenti, esporre in termini semplici e popolari le dottrine, le novità, le discussioni, le linee di condotta, le attività pastorali, e i problemi ad esse annessi, senza escludere una critica costruttiva e prudente, distinguendo l’opinabile dal certo, in modo da svolgere un’opera informativa e formativa ad un tempo, un’azione educativa e uno stimolo culturale, che possano aiutare i lettori a viver meglio la loro fede e la loro appartenenza ecclesiale, in modo costruttivo, con spirito di collaborazione, sano ottimismo, ben difesi dall’insidia dell’errore, nell’esercizio delle virtù civili e cristiane, desiderosi di perfezione evangelica.

giornali

rassegna stampa

Se esistono giornalisti che improvvisandosi teologi vanno oltre la loro competenza e invadono a volte con arroganza e vana sicumera il campo del teologo, ciò può avvenire anche perchè purtroppo esistono teologi che non hanno sufficiente stima della elevatezza della loro disciplina, ma la riducono o risolvono al livello di semplice pastorale, per giunta con coloriture sociopolitiche, a volte estremamente parziali e soggettive, fino a privare il discorso teologico della sua indipendenza, libertà ed universalità e a trasformarlo, umiliarlo ed incastrarlo come in un letto di Procuste, quasi nei limiti di una tesi o programma di partito. Non che da una teologia non possa nascere un partito politico. Basti guardare l’opera di certi grandi uomini come Ozanam, Acquaderni, Don Sturzo, Mounier, De Gasperi o Aldo Moro. Tuttavia essi per primi, nella nobiltà delle loro idee, rifiutavano di ridurre il principio teologico trascendente ed immutabile alla contingenza di una semplice opinione politica, per quanto su di esso fondata. Non che inoltre naturalmente non sia lecito e normale per il teologo esprimere opinioni, preferenze o ipotesi personali o scegliere una corrente o tendenza o scuola teologica piuttosto che un’altra o un maestro piuttosto che un altro. E d’altra parte è evidente che la teologia morale, per aver efficacia pratica, deve tradursi in teologia pastorale e la stessa teologia dogmatica o speculativa può essere efficacemente insegnata solo se il docente tien conto della pastorale dell’insegnamento di quella disciplina. Solo la teologia speculativa è fine a se stessa e va cercata per se stessa come sommo godimento dello spirito. La teologia morale e quella pastorale sono ordinate alla teologia speculativa. Il bene pratico da fare è ordinato al Bene divino da amare e contemplare. Chi non ha interessi speculativi può fare il gradasso possedendo potere e ricchezze, godendo prestigio e affermandosi sugli altri; ma in realtà è un infelice. Può anche guadagnare il mondo, direbbe Cristo, ma perde la sua anima fatta per Dio e non per affermare se stessa.

EGO

monumento all’Ego

La felicità dell’uomo non sta nel cercare un Dio che salva l’io umano alla maniera di Lutero, un Dio funzionale e subordinato all’uomo. In questo Lutero fu vittima inconsapevole di quell’ antropocentrismo egocentrico rinascimentale, che egli pure allo stato cosciente rifiutava, ma piuttosto nel cercare Dio per Dio, come diceva Santa Caterina da Siena. Il ripiegamento luterano dell’uomo su se stesso sotto pretesto del bisogno di salvezza e di umiltà nel lasciar operare Dio, è un egocentrismo più sottile ma non meno reale di quello rifiutato da Lutero consistente nel vantarsi delle proprie opere davanti a Dio. Tuttavia è sbagliato, come fa Rahner, col pretesto che la ricerca teologica e l’insegnamento della teologia richiedono una prassi, ridurre tutta la teologia a teologia pastorale, sopprimendo la caratteristica propria, la trascendenza e l’autonomia della teologia speculativa, che la distinguono dalla teologia pastorale. Una simile visione sottende la concezione rahneriana della conoscenza, la quale è ad un tempo prassi, secondo il modulo idealista fichtiano, di origine cartesiana, per il quale lo spirito produce o pone (“setzt“) l’essere stesso che conosce, identificandosi l’essere con l’idea immanente al pensiero e prodotta dal pensiero. In realtà, se la teologia morale deve avere uno sbocco nella prassi, poichè è logico che occorre mettere in pratica il bene preconosciuto dalla teoria, occorre anche ricordare il primato della teoresi sulla prassi, ovvero della speculazione sull’azione in rapporto al fine ultimo dell’uomo, che è la contemplazione della somma Verità. Per cui, se è vero che occorre sapere che cosa si deve fare per metterlo in pratica e si deve, come si suol dire, “passare dalle parole ai fatti”, è altrettanto vero che l’azione umana è finalizzata in ultima analisi, alla divina contemplazione. In tal senso la teologia speculativa è irriducibile alla pastorale. Una vita umana faccendiera orientata solo al fare, manca al suo anelito fondamentale e supremo, che è l’interesse per il fine ultimo e la conquista del sommo Bene, che è appunto la visione di Dio.

Da una teologia politicizzata e secolarizzata come quella modernista o liberazionista non c’è da meravigliarsi seDagospia esce fuori un giornalismo che tratta la teologia come fosse un pettegolezzo di corridoio o una manovra di partito o una trama reazionaria o un movimento rivoluzionario o una coalizione di arrivisti o un’espressione del potere o una sfilata di moda o lo sfogo di un dente avvelenato o una sparata pubblicitaria del matto di turno: pare, in questi casi disgraziati, che la cosa importante non sia, come invece dev’essere, illuminare, far conoscere, porre quesiti e spunti di ricerca, informare sulle nuove conquiste, ribadir valori della tradizione, aiutare a capire il Magistero, approfondire, suscitare dibattiti, incoraggiare, consolare, confortare, educare il senso critico, aprire il cuore alla speranza, far amare la Chiesa e la verità di fede, alimentare la carità e la virtù, favorire il dialogo e la concordia, risolvere i contrasti.

papalepapaleIndubbiamente, qualcuno mi dirà: ma questo è compito del vescovo! Non ci stiamo aspettando troppo da un povero giornalista? Certo; ma io non sto dicendo che tutto ciò dovrebbe essere farina del suo sacco o scaturire dalla sua mente come Minerva dalla testa di Giove. Basterebbe che il giornalista si tenesse sistematicamente a contatto con ambienti buoni della gerarchia, dei teologi o della stessa Santa Sede, senza raccogliere maldicenze, basse insinuazioni, rivelazione di segreti, accuse non verificate, chiacchiere, malignità, mormorazioni, che purtroppo possono venire anche da prelati e Cardinali. Dovrebbe avere la prudenza e il fiuto da attingere a sorgenti d’acqua salutare, zampillante per la vita eterna, lasciando stare le paludi, gli acquitrini, le sabbie mobili, il fango, le sorgenti avvelenate, anche a costo di rinunciare eventualmente a qualche buon compenso o a qualche favore.

Un grave vizio frequente nel mondo giornalistico, effetto e ad un tempo stimolo di una diffusa sfiducia nella verità, è il fattoDestra sinistra di ricondurre questioni di dottrina e di morale non alle categorie del vero e del falso, nelle quali non si crede e che vengono relativizzate, per cui non si cerca di chiarire dov’è la verità e dov’è l’errore, alla luce della ragione o della scienza o della storia o della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero della Chiesa. Tutto invece sembra far capo a due categorie tratte dalla politica: “progressisti” e “conservatori”, dove il “progresso” è approvato, ammirato, glorificato, esaltato e magnificato con lode e stima, proposto come modello da imitare; mentre il “conservare” pare oggetto di disprezzo, di ripugnanza, di condanna, di disapprovazione, di derisione e di rifiuto. È evidente che tali appellativi sostituiscono rispettivamente le nozioni del vero e del falso, del bene e del male. Ma ciò vuol dire navigare continuamente nell’incerto, nel dubbio, nell’equivoco, nell’ambiguità, nella nebbia, nell’opinabile, nel soggettivo, nelle apparenze, nel “si dice”, nel relativo, nel discutibile, nell’arbitrario, nel torbido, nel precario, nell’effimero, nel mutevole, senza venire mai a capo di nulla. Non c’è dubbio che l’opinabile, il sembrare, il videtur, l’apparenza, il fenomeno, il relativo, il mutevole hanno una dignità. Ce lo ha già insegnato Platone. Ma il medesimo grande saggio ci ha anche insegnato la suprema dignità del vero, dell’eterno e dell’immutabile, valori che sono stati pienamente assunti dalla concezione cristiana della conoscenza, come appare all’evidenza per esempio nel realismo di un San Tommaso d’Aquino.

creazionismo evoluzionismoL’accanirsi modernista ed evoluzionista contro il conservare è una grande stoltezza. Probabilmente sono proprio quei medesimi modernisti che conservano con cura i loro capitali in banca, i ricchi mobili di casa o le foto dei nobili antenati. E allora? Perchè non dovrebbe esser lodevole e doveroso conservare il depositum fidei? Con quale stoltezza si accusa il Cardinale Raymond Leonard Burke di essere “conservatore” per il semplice fatto che vuol conservare le verità di fede? Sia questo uno dei tanti esempi di una certa teologia giornalistica da strapazzo. Gli appellativi di “progressista” e “conservatore” sono di per sè del tutto innocenti e normali, giacchè nella Chiesa chiunque, entro i limiti dell’ortodossia e della disciplina ecclesiastica, è libero di preferire una tendenza conservatrice o una progressista. Ma la slealtà, per non dire la perfidia dei modernisti consiste nel dare a “conservatore” un senso spregiativo, mentre riservano a se stessi tronfiamente il titolo onorifico di “progressista”.

Bisogna dunque che i giornalisti teologi si diano una regolata, proprio al fine di svolgere meglio la loro preziosissimamessa in latino professione, che è un vera missione. Sarebbe bene pertanto che il giornalista che tratta di teologia nella stampa cattolica e non cattolica, di cose della Chiesa, di dottrine di fede e di morale, del ministero del Papa, della Santa Sede e dei vescovi, delle opere dei teologi e scrittori ecclesiastici, dei rapporti della Chiesa con la politica e con le altre religioni, di sinodi e di Concili, di sacramenti o di liturgia, di agiografia e di storia della Chiesa e diritto canonico, fossero in possesso di qualche titolo accademico in teologia, magari diocesano, e pertanto soggetti all’autorizzazione ed al controllo dell’autorità ecclesiastica.  In tal modo i giornalisti teologi, non più battitori liberi, che per ora possono inventarne ogni giorno una nuova, ma profondamente consci della loro grave responsabilità, veramente liberi sotto l’impulso dello Spirito Santo, potranno svolgere meglio il loro utilissimo servizio per il popolo di Dio e per tutti gli uomini di buona volontà, come veri membri della Chiesa, in collaborazione con la gerarchia e il Santo Padre, con i buoni teologi e tutti i fedeli impegnati nella nuova opera di evangelizzazione indetta dal Sommo Pontefice. In questa battaglia per il Regno occorre smetterla con l’armata Brancaleone e decidersi finalmente ad essere uniti e concordi sotto la guida del Vicario di Cristo per l’espansione del Regno di Dio e il trionfo di Cristo sulle potenze del male.

Fontanellato, 2 gennaio 2015