Un libro infelice di Bruno Forte: “Trinità come storia”

Padre Giovanni

– Theologica –

UN LIBRO INFELICE DI BRUNO FORTE: «TRINITÀ COME STORIA»

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Bruno Forte, nella sua imprudente ammirazione per Hegel, non si accorge che Hegel, nell’interpretare il mistero trinitario, segue lo stesso metodo razionalistico di Proclo, per il quale gli dèi greci non esistevano come persone reali, ma erano solo raffigurazioni simboliche immaginarie […]

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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10.03.2016   Giovanni Cavalcoli, OP — UN LIBRO INFELICE DI BRUNO FORTE: «TRINITÀ COME STORIA»

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6 commenti
  1. Mattia dice:

    Bellissimo! Questa conoscenza della Sua essenza trinitaria è sicuramente uno dei doni più grandi che ci ha donato il Signore!
    Qualche tempo fa ragionando su questo mi era sorta una domanda che poi è rimasta senza risposta data la mia incapacità… Ossia: un dio creatore potrebbe essere uno e non trino?
    Chiedo questo perché mi pareva che ci fosse quasi un paradosso nel pensare ad un dio uni-personale e creatore, ad un Uno che concepisce altro. Lei saprebbe darmi qualche delucidazione a riguardo?
    Grazie e complimenti per la bella esposizione!

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Mattia,

      La fede cristiana ci dice che non possiamo immaginare un Dio che non sia Trino. Dio non può non essere Trino. Ma questo non lo sappiamo in base alla ragione, ma solo per fede. La ragione ci conduce ad ammettere l’esistenza di Dio, ma essa non sa che Egli sia Trino. Questo lo abbiamo saputo dalla rivelazione che ci ha offerto Gesù Cristo.
      Dio è effettivamente un “Uno che concepisce altro”, dove questo “altro” è il mondo, che Egli ha creato. Tuttavia, Dio non è necessitato a concepire questo “altro”, ma avrebbe potuto anche non concepirlo, perché Egli non è stato necessitato a creare il mondo, ma lo ha creato liberamente. Avrebbe potuto, se avesse voluto, anche non crearlo.

      La ragione, nel dimostrare l’esistenza di Dio, è portata a concepirlo come una Persona, ossa un Soggetto che intende e vuole, come abbiamo nell’ebraismo e nell’islamismo. Cristo invece, pur confermando quanto la sola ragione sa di Dio, ci spiega o ci fa sapere – come chiarirà ulteriormente il Concilio di Calcedonia del 451 – che Dio non è una sola Persona, come se Lo immagina la ragione, ma è una sola Sostanza o Natura in Tre Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo. Egli si presentato nella storia come Figlio, mandato dal Padre e Che invia per noi lo Spirito del Padre e del Figlio.

      Dio resta Uno, quindi, con un solo intelletto e una sola volontà, ma nel contempo è tre Persone, ma non in modo tale, che ognuna abbia il suo intelletto e la sua volontà. Ma queste due potenze restano le stesse per tutte e tre le Persone, perchè appartengono alla Natura, che è una sola.

      Quindi, chiaramente, non sono “persone”, nel senso nel quale intendiamo comunemente la “persona”, ma in un senso nuovo, diverso, specialissimo, ossia nel senso che ogni Persona è spirituale, sussistente e si relaziona alle altre, similmente a quanto avviene nelle persone umane comunemente da noi intese.

      Quindi, il Dio Trinitario, in quanto tale, non è “Uno che concepisce altro” da Sé, ma Dio Uno, Che è Padre e Che concepisce un Figlio nel suo seno, ossia nella sua Natura Una, Figlio che certo è altro dal Padre, ma non altro da Dio, perché è Dio come il Padre.

      • Mattia dice:

        Grazie padre Cavalcoli! Certo, quando parlavo, spiegandomi male, di un dio “Uno” che concepisce altro da sé, non parlavo di Dio, ma di un idea di Dio che ne rifiuta la realtà trinitaria che, come diceva lei, è propria del cristianesimo. Mi domandavo quindi se un dio che non sia tre persone e una sostanza ma, come appunto nell’ebraismo o nell’islam, semplicemente una persona, potesse essere pensato come creatore. Perché dico questo? Perché mi affascinò molto la spiegazione di San Tommaso, e mi sembrò assurdo fin da subito concepire un dio che non fosse (mi perdoni se mi spiego male) anche il concetto di sé, e dovesse, per avere questo concetto, avvalersi di strumenti esterni a lui, alla maniera di noi creature. Un dio del genere,eterno ma obbligato dentro questo limite, mi sembrerebbe un dio a-personale, più simile all’essere severiniano, e quindi per forza non creatore, perché anche una pietra è, ma non lo sa. Un dio che non potesse ammirare l’immagine di sé in sé non potrebbe creare nulla a propria immagine, tantomeno donarci quell’amore proprio della Sua natura e renderci partecipi della Sua gioia. Ecco, questo volevo dire. Se può mi dica giusto se sbaglio, grazie…

  2. Zamax dice:

    Cercando di sintetizzare acrobaticamente la questione io direi questo:
    1) Come scrivevo in un commento di qualche settimana fa all’articolo su Severino, le forme di immanentismo, di panteismo, di completo assorbimento di Dio nella Storia, dell’Eterno nel Temporale, dell’Essere nel Divenire ecc. ecc. possono essere infinite. Anche se poi si fanno la guerra tra loro, tutti quelli che si dedicano a questo gioco di prestigio hanno un fine comune: la negazione, esplicita o implicita, della Trascendenza; e di tutto ciò che le va dietro necessariamente da un punto di vista cristiano: dalla divinità di Cristo alla Resurrezione (anche se poi a parole dicono il contrario, e con grande seguito di punti esclamativi, come fa l’ineffabile Enzo Bianchi, senza però precisare cosa intenda esattamente per Resurrezione, anche se poi si capisce benissimo: una sospirosa “rinascita spirituale” dentro questa vita).

    2) Sulla Trinità.
    Non essendo ancora “rivestiti di eternità”, non avendo ancora un “corpo spirituale”, non avendo cioè un corpo divino, cioè dei sensi divini, noi non possiamo cogliere, per così dire, con un solo sguardo la ricchezza di Dio, non possiamo vedere “faccia a faccia” la perfetta unità della Trinità, non possiamo cioè partecipare di questa Vita Eterna. Essendo ancora schiavi dello spazio e del tempo, avendo ancora sensi umani, possiamo solo usare l’intelletto per cercare di esplorare discorsivamente la ricchezza di Dio. Il ragionamento di Forte, in sostanza, mi pare, cerca invece di cogliere questa ricchezza dispiegando la Trinità sulla storia, quel mondo caratterizzato dal passato, dal presente, dal futuro. Ma in tal caso la ricchezza di Dio diverrebbe complessità, mentre Dio è perfettamente “semplice”. Il discorso in sé non è completamento sbagliato, perché, come dice S. Agostino da qualche parte, la Trinità ha lasciato la sua impronta sulle cose. Ma mentre per noi questa impronta ci guida verso la perfezione di Dio e dell’Eterno, per Forte essa si riduce all’impronta di un’Immanenza Divina.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Riguardo al primo punto, sono perfettamente d’accordo.
      Riguardo al secondo, vorrei notare che è vero che Sant’Agostino cerca di trovare nello spirito umano degli atti o delle immagini che corrispondano alle tre Divine Persone, come l’essere (esse), il conoscere (nosse) e il volere (velle), oppure memoria, intelletto ed amore, oppure, riprendendo le immagini di Sant’Ilario, Eternità, il Padre; Forma, il Figlio; Gaudio, lo Spirito Santo (De Trin., l.VI, c.10). Ma ciò senza alcuna pretesa di dimostrare l’esistenza della Trinità partendo dalle creature, come invece si può e si deve farlo per l’esistenza di Dio.

      Agostino è lontanissimo dal contaminare l’eternità divina con la corruttibilità del mondo, la purezza divina con le miserie del mondo, la saldezza dell’essere divino con l’instabilità del mondo, l’assoluta affidabilità divina con l’inaffidabilità del mondo,l’immutabilità divina con la volubilità del mondo. Nel contempo, però sa come unire strettamente il mondo a Dio, nell’unità della Persona di Cristo.

      Trattando della Santa Trinità, basta notare la possibilità e la convenienza dell’Incarnazione. Non occorre trattare dell’Incarnazione, che è un trattato a parte. Per usare il linguaggio rahneriano, ma negando la sua tesi, la Trinità “economica” suppone quella “immanente”, ma non viceversa.

      La cosa essenziale e più importante è quella di evidenziare la trascendenza e indipendenza della Santissima Trinità nei confronti del mondo. Questo dipende da Dio, ma non viceversa. Non c’è reciprocità tra Dio e il mondo, come credeva Hegel. L’uomo non può stare senza Dio, ma Dio può esistere anche senza l’uomo.

      Forte ha avuto una buona idea a mettere la Santissima Trinità in rapporto con la storia della salvezza, quindi con l’Incarnazione, la Redenzione e la Chiesa. Da qui egli prende le mosse per un’interessante proposta, del resto in linea con la Scrittura e la Tradizione, di fondazione trinitaria dell’etica cristiana in rapporto alla storia della salvezza.
      Occorre però fare attenzione che l’opera della salvezza e quindi il rapporto col divenire e con la storia non entrano nell’essenza della Trinità, perché l’opera della salvezza è atto liberissimo della Santissima Trinità, così come la creazione è stato un atto libero, liberrimo consilio, dice il Concilio Vaticano I. Il che è come dire che la Trinità sarebbe completa e perfetta, anche senza il suo intervento nel mondo con l’Incarnazione del Verbo. Anzi, la Trinità potrebbe esistere anche senza il mondo.

      L’Immutabile e il mutevole non vanno confusi. È assurdo immaginare un Dio che simultaneamente sia immutabile e mutabile. Dio non può avere un modo d’essere storico. Dio è Eterno. L’immutabile Dio si unisce certo alla mutevole creatura; ma le due nature sono distinte. La storia concerne la creatura, concerne il mondo, concerne l’uomo.

      La Scrittura non parla mai di un “divenire” di Dio, se per divenire intendiamo il cambiare, il mutare, l’alterazione, l’aumento, la diminuzione, la corruzione. Anzi, essa nega espressamente il mutamento in Dio (Ml 3,6), ed afferma piuttosto le immagini della stabilità e della solidità (la “roccia”), della permanenza (“da sempre Tu Sei”), della potenza attiva (il “fuoco”). Semmai sono gli idoli che mutano come muta l’uomo che li fabbrica.

      Non si tratta della rigidità del cadavere, ma dell’effervescenza della vita. Solo chi è ben piantato, dispone di una grande forza motrice. Altrimenti è lui che si fa trascinare. Dio è immobile perché tutto muove e da nulla è mosso. È immutabile nel senso che, come riconosce lo stesso forte, è fedele, mantiene le promesse. Ma per essere fedeli, occorre non mutare ontologicamente. E’ questo che sfugge a Forte.

      Come potrebbe mutare, cosa potrebbe divenire Colui che è già Tutto? Come potrebbe aumentare, cosa si potrebbe aggiungere a Chi è l’Infinito e l’Altissimo? Cosa potrebbe perdere o lasciare Colui che ha tutto e a tutti dona? Cosa potrebbe mancare a Colui Che è Perfetto e Bontà infinita? Come potrebbe corrompersi Colui che è la Vita e dona la vita?

      Pertanto, le cristologie che spiegano l’Incarnazione con un “divenire” di Dio, sono eretiche. A nulla vale ad esse il pretesto del famoso O Logos sarx eghèneto di giovannea memoria, quando la Chiesa ha infallibilmente spiegato una volta per tutte che lì l’Apostolo intende riferirsi all’assunzione della natura umana da parte del Verbo.

      Dio, certo, con l’Incarnazione, ha assunto la storia; ma essa resta distinta da Dio; non si mescola con la natura divina. La storia non può far parte della natura divina, né questa ha bisogno della storia per essere se stessa, né il mondo ha bisogno di far parte di Dio per essere mondo. E’ la storia che ha bisogno di Dio e non viceversa.

      Il bisogno di unire l’uomo a Dio è giusto e lodevole. Il cristianesimo, in fondo, risponde a questo bisogno, ed anzi al di là di ogni aspettativa e di ogni immaginazione; ma, trattandosi di un’operazione delicatissima, occorre attenersi fedelissimamente alle istruzioni che ci vengono fornite dalla divina rivelazione e dal dogma.

      Qui i rischi di fallire o di creare illusioni sono molteplici. Va bene sottolineare la somiglianza tra l’uomo e Dio, ma occorre mantenere le distanze, perché l’uomo è finito, mentre Dio è infinito. Nell’avvicinare imprudentemente i due termini, c’è il rischio di esagerare la grandezza dell’uomo, come fa Rahner, o di rimpicciolire le dimensioni del mistero trinitario, come fa Forte. Oppure si cade in una falsa mistica, come quella di Meister Eckhart, nella quale il cristiano si confonde con Cristo o in una falsa filosofia, come quella di Hegel, nella quale i due termini si richiamano necessariamente l’un l’altro, alla pari, in modo dialettico.
      Chi vuol prendersi troppa confidenza con Dio, come ha fatto Lutero, finisce per disprezzarlo, perde il salutare timor di Dio, minimizza i peccati, diventa troppo sicuro della propria salvezza e non si sottomette più alla sua legge col pretesto della divina misericordia.

      E’ vero che tra le due persone umana e divina passa il flusso della grazia, che le pone in una comunione e comunicazione reciproche. Ma bisogna che questo rapporto che collega l’uomo a Dio sia concepito in modo tale, che il flusso della grazia, nel passare tra le due persone, sia regolato, come vuole Dio, dalla diversa modalità delle due nature, umana e divina, altrimenti, come avviene nei corti circùiti, il conduttore umano si brucia e si ottiene l’opposto di quanto si desiderava.
      In Cristo stesso le due nature rimangono distinte, e quindi non possiamo ottenere di più di quanto avviene in Lui. Se mi è concessa una battuta in un argomento così serio: “Troppa grazia, Sant’Antonio!”.

      • Zamax dice:

        Mi lasci dire, padre, che lei si spende generosissimamente nelle risposte! Non mi faccia sentire in colpa! A parte gli scherzi, credo che questa sua diligenza derivi da un bisogno intimo di chiarire tutto quello che c’è da chiarire quando si confronta con affermazioni che lasciano margini d’ambiguità. Ma avevo premesso che le mie erano “sintesi acrobatiche”. La ringrazio per la ben articolata risposta, che non trova in me alcuna opposizione, essendomi chiaro che i piani vanno ben distinti, e che anzi era proprio questo il motivo che mi aveva spinto a commentare.

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