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Il sito di questa Rivista e le Edizioni prendono nome dall’isola dell’Egeo nella quale il Beato Apostolo Giovanni scrisse il Libro dell’Apocalisse, isola anche nota come «il luogo dell’ultima rivelazione»
«ALTIUS CÆTERIS DEI PATEFECIT ARCANA»
(in modo più alto degli altri, Giovanni ha trasmesso alla Chiesa, gli arcani misteri di Dio)
La lunetta usata come copertina della nostra home-page è un affresco del Correggio del XVI sec. conservato nella Chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma
Creatrice e curatrice del sito di questa rivista:
MANUELA LUZZARDI
Resto interdetto dall’operosità dimostrata dagli ecclesiastici odierni nel rifare una serie di traduzioni di brani che sono andati bene così per secoli. Il Padre Nostro mi pare fuorviante. Ma devo dire che mi crea sempre un moto repulsivo la nuova Annunciazione: la mia prof. di lettere del ginnasio avrebbe fatto un segnaccio blu a chi avesse tradotto “chaire” tra due persone che si incontrano con “godi, rallegrati”. E trovo (sarà che mio nonno era veterinario) che l’uso del verbo “coprire” per spiegare il Concepimento sia un inconveniente da cittadino che si sarebbe dovuto evitare…..
Un’ultima osservazione (proprio l’ultima, poi chiudo, anche perché mi sono già quasi mezzo pentito dei miei commenti precedenti nel rileggerli, e mi verrebbe voglia di rifarli): se si portassero alle estreme conseguenze i ragionamenti che hanno portato al cambiamento di traduzione proposto, tutte le preghiere diventerebbero dei “modi di dubitare” di Dio e della sua bontà. Per esempio: “venga il tuo Regno”? Possiamo forse dubitare che non verrà? E allora perché preghiamo che venga?
Resto tuttavia nella convinzione che la traduzione …tradizionale non …inducesse affatto il semplice fedele a farsi immagini errate di Dio. Penso che ne afferrasse intuitivamente il significato e tutti i suoi corollari, come sempre è stato nel passato, indipendentemente dal fatto che fosse poi in grado di elaborarli in un discorso. Più che dalla sollecitudine caritatevole verso il prossimo (compreso l’Altro con la “a”maiuscola, per amor di Dio!!!) penso che tutta questa faccenda sia nata dall’ideologia, a prescindere da come l’abbia vissuta il Pontefice in prima persona.
Premesso che sono contrario al cambiamento, se si voleva evitare qualsiasi ambiguità nella comprensione del verbo “indurre” si poteva, a mio avviso, tradurre l’espressione in modo molto più semplice e chiaro. “Indurre” in italiano effettivamente ha ormai perso il significato originario derivante dal latino “in-ducere” cioè “intro-durre” o “portare dentro” o “far penetrare” per significare solo “spingere a”.
Tuttavia “indurre” nel significato odierno di “spingere a” regge il complemento di termine: si dice “indurre a + verbo”, o “indurre al o alla +sostantivo”. Quindi l’ambiguità in effetti non dovrebbe esistere.
Negli originali greco e latino c’è una specie di gioco espressivo tra il “e non ci indurre”, il “liberaci” e la congiunzione avversativa “ma”:
“e non PORTARCI DENTRO (le tentazioni, le prove) MA (piuttosto) TIRACI FUORI (quando vi siamo soggetti)”.
Perdendo l’eco di questa contrapposizione, mantenendone però sostanzialmente il senso, anche se forse non in tutta la sua ricchezza, si poteva perciò tradurre in modo semplice (e adatto al mitico popolo):
“e tienici lontani dalle tentazioni e liberaci dal male”.
P.S. – non so se…
…se qualcuno l’abbia già detto
Riguardo poi all’opportunità o meno di attuare nuove traduzioni della scrittura che modificano il significato di brani rispetto a come il Magistero li aveva da sempre interpretati, faccio sotto un copia incolla di alcune affermazioni del card. Müller tratte da questa recente intervista:https://www.lifesitenews.com/blogs/interview-cdl.-mueller-on-abuse-crisis-and-its-link-to-homosexuality-in-pri
“Il Magistero dei vescovi e del Papa stanno sotto la Parola di Dio nella Sacra Scrittura e nella Tradizione e lo servono. Non è affatto cattolico dire che il Papa come persona individuale riceve direttamente dallo Spirito Santo la Rivelazione e che ora può interpretarlo secondo i propri capricci mentre tutto il resto lo deve seguire ciecamente e in silenzio.”
Segnalo quanto scritto da Padre Giovanni Cavalcoli sullo stesso argomento:
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2018/11/la-tentazione-al-peccato-e-i-suoi-rimedi/
Condivido con don Ariel, con don Nicola Bux,con la sig.ra Dorotea di Cooperatores Veritatis,col teologo Barzaghi, e con altri.
Barzaghi per me fa centro, perché se parliamo dell’ultima petizione, allora siamo all’altezza del petto, del cuore di Gesù Cristo. Allora come Pietro possiamo azzardare a “tentare” Colui che,fino alla quinta petizione,ha permesso o voluto che fossimo tentati(quasi la stessa cosa, forse, per l’Onnipotente e infinitamente Buono che non tenta al male per il male).
Questo il senso profondo oggettivo,forse. Spieghiamo però,ciascuno, anche a partire dalla propria esperienza, perché di tutto possiamo essere inesperti, ma non di tentazioni. Eppure solo Barzaghi finora ho trovato che lo faccia, pur appoggiandosi a … Pietro, anche forse per pudore, o per delicato riserbo verso altri meno progrediti, non solo per l’autorità.Il resto è soggettivo, per esempio:perseveranza nei peccati=forza delle abitudini contratte=attenuante (debolezza,infermità) o aggravante (il caso indicato giustamente dall’Aquinate?), questo compete a Gesù Cristo.Ancora:che tipo di tentazione? Di seduzione o di scoraggiamento? Compete a Gesù Cristo.
Siamo nel soggettivo.
Padre Ariel, si è forse dimenticato che ora sarebbe necessario adeguare alla nuova traduzione anche i numeri 2846, 2847, 2848 e 2849 del Catechismo della Chiesa Cattolica?
salve p. Ariel,
ringrazio per l’articolo. Tuttavia non vedo alcuna menzione della parola italiana ‘tentazione’ che nel greco troviamo ‘peirasmon’. Dagli studi che ho fatto, è mio modesto parere che la chiave di lettura non sia il verbo ma il sostantivo ‘peirasmon’ ad essere l’incriminato, diciamo, e dunque fonte di maldestri tentativi di revisione come quello in atto.
Se s. Girolamo aveva tradotto bene usando ‘tentationem’ per il greco peirasmon, la traduzione italiana di tentationem è imprecisa (appunto perchè traduce il latino invece che il greco) in quanto peirasmos più che tentazione (o meglio: oltre tentazione) significa prova, intesa come test.
Stando così le cose, cioè considerando che tentazionem diventi prova, non avremo nessun problema a usate il verbo ‘condurre a’/’portare a’ perchè chiederemmo al Padre di non sottoporci alla prova perchè la nostra debolezza è tale che anche la minima ci farebbe cadere.
vorrei avere la sua opinione su quanto appena detto.
fraternamente porgo un saluto
Salve Padre Ariel,
Innanzitutto la ringrazio per le spiegazioni che lei e i suoi confratelli sempre ci fornite su questo sito.
Premesso che condivido in toto quanto sostiene sull’argomento, volevo però chiederle delle delucidazioni. Probabilmente non sono opportunamente informato io – e mi rimetto quindi alla sua competenza -, ma pensavo che tra le più antiche fonti dei Vangeli, quindi della preghiera del Padre Nostro, esistessero solo testi in lingua greca. Lei parla di un testo aramaico.. di quale documento si tratta? Ripeto, è mera curiosità, per così dire, didattica.
La ringrazio anticipatamente.
Inoltre, Padre, volevo chiederle cosa ne pensa delle modifiche apportate al Gloria?
Caro Petrus,
capisco cosa intende dire, per questo cercherò di spiegarmi per quanto meglio posso: il testo del Padre Nostro che noi conosciamo è disseminato per tutta la letteratura biblica e liturgica ebraica, è del tutto irrilevante che esista un papiro con questa preghiera risalente al I° secolo d.C, considerando che il senso del Padre Nostro fa parte della cultura ebraica già da prima della nascita del Cristianesimo.
Il testo è infatti raccolto nella bibbia e nelle varie ברכות berachot (benedizioni) nei קדיש kaddishim e nelle תְּפִלּוֹת tefillot.
Se noi prendiamo un סידור siddur (libro ebraico di preghiere), in vari inni di lode, invocazioni e benedizioni, troviamo tutte le espressioni della preghiera del Padre Nostro.
Per quanto riguarda la modifica del Gloria in excelsis Deo, la prego di darmi qualche giorno di tempo, perché provvederò a spiegare che differenza corre tra l’espressione lucana «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama», dall’espressione «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà», inno che entra in uso nella liturgia nel III secolo e che solo nel V secolo è reso obbligatorio cantare ogni domenica.
Una traduzione similare con velleità esplicative/pedagogiche ma sempre verbosa e riduzionista insieme, e quindi inopportuna, avrebbe dovuto essere “non abbandonarci NELLA tentazione” (lo dice anche Barzaghi) oppure “non farci soccombere nella tentazione”: difatti il seguito è “ma liberaci del male”. Il che è come dire: fa che la prova/tentazione – che è inevitabile ma anche necessaria alla nostra salvezza – non diventi una prigione dalla quale non possiamo uscire. Tuttavia le parole di Gesù, se non sono poesia, hanno però una loro pregnanza poetica. Lo stesso Gesù usa a volte espressioni sconcertanti per smuovere la polvere dagli animi: cambiarle significherebbe però svigorirle, impoverirle, e quindi tradirle. Per parafrasare la chiusa del Vangelo di S. Giovanni, sulle cose dette da Gesù il mondo stesso non basterebbe a contenere i commenti che si dovrebbero scrivere. Difatti ce ne sono di meravigliosi. Ma chi siamo noi per correggere gli evangelisti? Mica abbiamo le …registrazioni!
Tutta questa faccenda ha qualcosa di infantile e frivolo insieme.
Per capire la forma mentis che presiede a certe alzate d’ingegno forse ci vengono in soccorso alcune parole scritte da Tocqueville sul socialismo: “Il terzo [tratto caratteristico del socialismo] è una sfiducia profonda nella libertà, nella ragione umana; è un profondo disprezzo per l’individuo considerato in se stesso, allo stato di uomo; ciò che giustifica l’idea che lo Stato non deve essere soltanto il dirigente della società, ma, per così dire, il maestro, il precettore, il pedagogo di ogni uomo; deve sempre porsi a lato di lui, al di sopra di lui, attorno a lui, per guidarlo, mantenerlo, trattenerlo; in una parola, è una graduale confisca della libertà umana.”
Caro Padre Ariel
temo che questi cambiamenti portino inevitabilmente alla messa ecumenica , cioè al cambiamento delle parole della consacrazione e alla fine del sacrificio eucaristico.
Non lo crede anche lei?
Caro Fabio,
in tutta sincerità non so che cosa dirle, certe azioni e decisioni sono ormai del tutto imprevedibili.
Per quanto riguarda la sua questione, la faccenda è molto delicata, perché la Chiesa è custode dei Sacramenti di grazia, non padrona.
E nessuno può intaccare la sostanza dei Sacramenti. Si possono modificare gli elementi accidentali esterni, ossia la forma, per esempio l’impostazione del rito, la lingua usata e via dicendo, ma non la sostanza.
“E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male!
Amen!”
Grazie, Padre Ariel, per questo puntuale e scientifico chiarimento… è sempre bene andare in fondo alle cose, anche se si era già capito che si tratta di una cortina fumogena dei modernisti che si sono impossessati delle stanze del potere nella Chiesa cattolica, per attuare i loro piani perversi. “Non praevalebunt!…”