La Comunione di Giorgia Meloni e quell’ideologismo clericale sulla Comunione in mano anche nelle situazioni ad alto rischio che supera il valore stesso della tutela del Corpo di Cristo

LA COMUNIONE DI GIORGIA MELONI E QUELL’IDEOLOGISMO CLERICALE SULLA COMUNIONE IN MANO ANCHE NELLE SITUAZIONE AD ALTO RISCHIO CHE SUPERA IL VALORE STESSO DELLA TUTELA DEL CORPO DI CRISTO

È necessario che in certe grandi celebrazioni pontificie e non solo, sia amministrata la Santa Comunione a migliaia di persone, per di più sulle mani, là dove esercitare il controllo è impossibile e dove possono verificarsi veri e propri sacrilegi, che puntualmente si sono verificati e seguitano a verificarsi? 

— Attualità ecclesiale —

                   Autore
        Ivano Liguori, Ofm. Capp..

 

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Tra le tante, durante la celebrazione esequiale di Benedetto XVI, non è passata inosservata la foto del nostro Primo ministro Giorgia Meloni che riceve la Santa Comunione dalle mani di un sacerdote. Qualcuno ha maliziosamente fatto notale che le simpatie politiche rischiano di mettere in secondo piano il Catechismo della Chiesa Cattolica, ma noi, qui su L’Isola di Patmos non abbiamo simpatie politiche perché teniamo alle persone e alla loro anima e sappiamo che per Dio non esistono anime di serie “a” o di serie “b”, tanto meno anime di destra o di sinistra ma tutte sono chiamate alla salvezza in Gesù Cristo, perché è per questo che Dio ha chiamato la Chiesa e un sacerdote dovrebbe preoccuparsi quotidianamente e primariamente di salvezza e di salute delle anime che gli sono state affidate, non di “altro”, ed è meglio stendere un velo pietoso e non aggiungere altro sulla natura e la modalità di questo “altro”.

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i sacrileghi risultati visibili della Comunione data in mano senza controllo per compiacere la clericale ideologia

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Visto il caso pubblico della Comunione alla Meloni, ci sarebbe tanto da dire e da obiettare da un punto di vista della dottrina e dell’insegnamento della Chiesa Cattolica ma credo che il punto ora non sia questo, se non per accendere sterili polemiche del tutto inutili e da evitare. A mio personale parere sarebbe certo opportuno dare una bella tirata d’orecchie alla Giorgia nazionale ― cosa pastoralmente doverosa per il bene della sua anima e per la tutela di molti cristiani che alle ultime elezioni hanno votato per lei ― che non ha avuto il minimo tentennamento a ricevere l’Eucaristia pur non potendola fare perché a tutt’oggi legata attraverso una convivenza a Andrea Giambruno. Ricordiamo che la convivenza è un legame affettivo non riconosciuto dalla Chiesa per due battezzati, il cui solo vincolo valido di unione è quello sacramentale del matrimonio, in cui Cristo stesso unisce i coniugi in uno. Al caso specifico del nostro Primo ministro si aggiunge purtroppo un’aggravante di non poco conto: entrambi, lei e il suo compagno, sono totalmente liberi da pregressi vincoli. Nessuno di loro ha contratto in precedenza un matrimonio che costituirebbe impedimento alla loro unione. Pertanto c’è proprio la manifesta volontà a non sposarsi e a vivere in uno stato di convivenza. Una situazione che merita tutto il dovuto rispetto per le libere e insindacabili scelte altrui, ma che niente ha però da spartire con quelle delle tante persone animate da profondi sentimenti cristiani, divorziati e in seguito sposati civilmente, che pur volendo vivere una situazione regolare non sono in grado di farlo, a meno che non vi siamo elementi tali da consentire al tribunale ecclesiastico di dichiarare invalido, quindi nullo, il loro precedente matrimonio.

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Mi auguro che qualche confratello sacerdote, magari amico della Meloni, le abbia fatto capire la responsabilità del proprio gesto pubblico, non tanto come rappresentante civile e laico dello Stato Italiano lì presente a rendere omaggio a un Pontefice defunto, ma soprattutto come persona che si definisce cristiana cattolica e che in più di una occasione ha voluto proporsi come custode dei valori tradizionali della fede. Salvo dare ripetute garanzie in campagna elettorale che nessuno avrebbe toccato in alcun modo la Legge sull’aborto, cosa ulteriormente garantita dalla cattolica Elisabetta Gardini a vari programmi televisivi nel periodo pre-elettorale [cfr. Vedere QUI, QUI]

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Nel passato recente, abbiamo avuto altri politici che hanno brandito rosari e immagini sacre a fini propagandistici e siamo sempre giunti alla farsa, con gran detrimento per la fede dei semplici e degli sprovveduti. Questo non perché a un politico sia vietato di testimoniare la propria fede e appartenenza religiosa in pubblico, ma perché quando lo si fa si deve tenere ben distinto il proprio ruolo di funzionario di uno Stato laico che ha determinati obblighi così come quello di persona di fede che ne ha altri e forse più gravosi e vincolanti perché rivolti a Dio e alla Chiesa che non sono certamente elettori.

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Ecco dunque il punto focale della questione: ma è mai possibile che nell’organizzazione delle celebrazioni della Santa Sede non sia previsto di limitare questi abusi e questi slanci di sentimentale trasporto, soprattutto nella sezione riservata ai politici e alle pubbliche autorità di cui è facile risalire alla condizione di vita e conoscerne il pensiero pubblico così da valutare l’opportunità o meno di far accedere queste persone ai Sacramenti? Se questo è possibile farlo in contesti più piccoli e meno organizzati, dobbiamo forse pensare che il braccio organizzativo e diplomatico della Santa Sede si sia così accorciato da essere a tal punto miope e non vedere certe situazioni? Non vogliamo e non possiamo crederlo.

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La realtà che più colpisce è quella di una organizzazione del cerimoniale fallace e dissipata. Se una reprimenda è necessaria, bisogna farla al cerimoniere di Sua Santità e agli altri cerimonieri preposti all’ordine e al decoro della celebrazione, che non si sono organizzati per prevenire certi illeciti che, sebbene non devono essere usati per formulare un giudizio sprezzante e offensivo sulla persona, devono essere assolutamente e con tutti i mezzi evitati in virtù della loro sacralità che può portare facilmente allo scandalo — nel senso di inciampo per la fede — e alla mortificazione dei misteri celebrati.

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Ricordo molto bene che ai funerali di Giovanni Paolo II, al momento della Comunione, venne dato chiaro l’avviso ― doveroso visto l’affluire di persone di diverse derivazioni da tutte le parti del mondo ― che all’Eucaristia si accostava solo chi era nelle condizioni richieste dalla Chiesa per poterla ricevere, così da evitare l’equivalenza che il Corpo del Signore ha lo stesso valore e importanza di un abbraccio consolatorio, di un gesto di solidarietà nel momento del bisogno o peggio di un trasporto sentimental-passionale in cui io “mi sento di fare la Comunione” per un non meglio precisato motivo.

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Il problema da sempre discusso è anche un altro: è necessario che in certe grandi celebrazioni pontificie e non solo, sia amministrata la Santa Comunione a migliaia di persone, per di più sulle mani, là dove esercitare il controllo è impossibile e dove possono verificarsi veri e propri sacrilegi, che puntualmente si sono verificati e seguitano a verificarsi? A certe grandi e affollate celebrazioni, non sarebbe meglio selezionare un gruppetto di fedeli che ricevono la Santa Comunione, per esempio dal Sommo Pontefice o dal Vescovo, mentre altre migliaia di fedeli si uniscono a loro in comunione spirituale? O vogliamo dimenticare quando nel 2005, poco dopo la morte di Giovanni Paolo II, fu messa all’asta su EBay un’Ostia ricevuta da un partecipante non cattolico a una Santa Messa da lui celebrata nel 1988? Il problema fu risolto dalla Diocesi Statunitense di Sioux City che riuscì a ritirarla. Ma c’è di molto peggio: il cosiddetto “artista” spagnolo Abel Azcona sottrasse 242 Ostie presentandosi a ricevere la Santa Comunione, ovviamente data sulle mani, usandole poi per comporre a terra la parola «pederastia» che in lingua spagnola significa pedofilia. Eppure nemmeno casi di questo genere hanno mai dissuaso gli ideologi clericali della Comunione in mano a tutti i costi, in qualsiasi situazione anche ad alto rischio. Per intima conoscenza del soggetto in questione aggiungo: è ragionevole dare torto al nostro confratello Ariel S. Levi di Gualdo che da sempre si rifiuta di dare la comunione sulle mani a chicchessia, dopo essere incorso in un tentativo di sottrazione proprio durante la celebrazione della sua prima Santa Messa? C’è un filmato che lo documenta nel quale si vede Padre Ariel che con la pisside in mano rincorre una donna e le toglie l’Ostia dalla borsa nella quale l’aveva riposta. Qualcuno ha idea del trauma incancellabile che comporta per un sacerdote avere dato l’Eucaristia a una persona che ha tentato di sottrarla, per di più durante la celebrazione della sua prima Santa Messa? Vogliamo dare la Comunione sulle mani? Bene, ma che almeno si imponga di controllare con estrema attenzione. Non è possibile che molti sacerdoti mettano la Santissima Eucaristia sulle mani di persone sconosciute senza esercitare alcun controllo. Quante persone, anziché consumarla dinanzi al sacerdote come si dovrebbe, voltano le spalle o se ne vanno nella totale incuria del celebrante, o la consumano passeggiando per chiesa senza che alcuno le richiami? Sono scene all’ordine del giorno. Però è risaputo quanto l’ideologia clericale superi di gran lunga il valore stesso del Corpo di Cristo e la massima tutela che esso dovrebbe richiedere.

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Se queste cose non si bonificano alla fonte, difficilmente a valle ci sarà qualcuno che ne custodirà e apprezzerà il valore così da farle rispettare. E tra le febbri politiche che attendono di cogliere in fallo il piede dell’avversario che sbaglia e i tradizionalisti puritani d’assalto che gridano al peccato e minacciano l’inferno, in mezzo ci sarà sempre lo scappato di casa che seraficamente ci ricorderà: «chi sono io per giudicare?». Forse noi non siamo nessuno, ma da sacerdoti e custodi dei misteri di Dio che ci sono stati affidati con l’imposizione delle mani, vogliamo con tutto noi stessi evitare che le cose sante vengano date ai cani, così come le perle ai porci [Cfr. Mt 7,6]. Non si tratta di razzismo spirituale ma di carità pastorale che desidera tutelare primariamente coloro che ancora devono crescere nella conoscenza di Dio e nell’annuncio di salvezza dentro un cammino di fede ecclesiale graduale e maturo. Non possiamo permetterci di sprecare le grazie di Dio, e questo vale anche per coloro che ancora non sono in grado di apprezzarle per crescere nella giusta conoscenza di Lui e non già per aumentare il proprio narcisistico e patologico senso religioso. Forse sprechiamo tempo ma è utile richiamare la prima lettera ai Corinzi del Beato Apostolo Paolo [Cfr. 1Cor 11,17-34] in cui si sottolinea la modalità corretta con cui il fedele è chiamato ad accostarsi al Corpo del Signore, non solo inteso nella sua componente sacramentale ma ecclesiale, perché è l’Eucaristia che fa la Chiesa, Corpo del Signore. In poche righe «Paolo ci educa ad avere questo sguardo di responsabilità su ambedue questi “Corpi” comunicando al rito instaurato da Cristo, si dà forma e coesione anche alla comunione ecclesiale» [Cfr. B. Standaert, Lettere di San Paolo, introduzione, traduzione e commento, San Paolo, 2021].  

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Non pretendiamo che in Vaticano capiscano questo concetto teologico paolino ma almeno non sarebbe male avere un po’ di rispettosa decenza verso tutti quei fratelli che per la loro condizione irregolare non possono ancora accedere pienamente alla Santa Comunione e che osservano rispettosi il digiuno verso le sacre specie del Signore manifestando così una testimonianza eroica di amore alla Chiesa Corpo di Cristo.

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Queste Comunioni non fatte, più di tutte quelle fatte con l’inganno o con il sentimentale trasporto occasionale, oggi più che mai sono come un dito puntato verso noi sacerdoti che da tempo abbiamo abdicato al ruolo di padri nella fede per diventare amici che tutto permettono, scusano e concedono. Anche a noi sacerdoti, che ci comunichiamo a ogni Santa Messa, qualcuno dovrebbe farci riflettere, sapere se siamo veramente in grazia per poter ricevere quel Corpo sacramentale che consacriamo quotidianamente quando forse siamo ancora totalmente incapaci di custodire, far crescere e difendere quel Corpo ecclesiale che è ugualmente segno di Cristo nel mondo e comunione con Lui.

Laconi, 8 gennaio 2023

 

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