Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

IO VI MANDO COME PECORE IN MEZZO AI LUPI 

«Questa è la prima immagine di Gesù evangelizzatore che viene presentata: sconfitto, cacciato, non ascoltato, non gradito, ed è davvero una scena misteriosa se pensiamo che Gesù è l’evangelizzatore. Questa non è una scena solitaria, e se Luca l’ha messa qui, è perché sa di toccare qualche cosa che appartiene a una costante del Regno di Dio»

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Dopo l’inizio del pellegrinaggio di Gesù verso Gerusalemme San Luca narra l’invio dei dodici (Lc 9,1-6). Ora vengono mandati da Gesù «altri discepoli» avanti a lui.

Si tratta di un numero che la tradizione dei manoscritti antichi trasmette in modo difforme. Per alcuni di essi sono settantadue e allora rappresenterebbero tutti i popoli della terra, secondo l’elenco di Genesi 10, almeno seguendo la traduzione greca (LXX); perché nel testo ebraico (masoretico) i popoli risultano essere settanta. In altri manoscritti greci è riportato proprio il numero settanta, ovvero quanti gli anziani scelti da Mosè secondo il racconto di Numeri (cap. 11). Nell’uno o nell’altro caso, Luca dice che Gesù manda non solo i Dodici, ma anche altri discepoli, e li invia a tutti. Leggiamo il testo evangelico di questa XIV Domenica del tempo ordinario.

«In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città”. I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: “Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome”. Egli disse loro: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”» (Lc 10,1-12.17-20).

Rimanendo in argomento-numero è chiaro che dodici evochi la missione ad Israele, tale, infatti, era il numero delle sue tribù; quello di settanta o settantadue non può che richiamare, invece, la missione universale della Chiesa. Questa però non è iniziata, storicamente, al tempo di Gesù, ma solo dopo la sua morte e risurrezione; la presente narrazione appare dunque come un’interpretazione, un modo di dire che la missione verso i gentili fosse già presente nella volontà del Signore Gesù. Perché un invio ai pagani abbia luogo, infatti, devono verificarsi quelle condizioni narrate negli Atti degli Apostoli, che non si erano ancora realizzate al tempo in cui Gesù compie il suo viaggio a Gerusalemme. In particolare, la persecuzione della Chiesa dopo la morte di Stefano e la dispersione dei discepoli di Gesù; l’incontro di Paolo con Cristo; Pietro che entra nella casa del centurione Cornelio e rimane a tavola con i pagani. Infine, la prima assemblea di Gerusalemme, che dirime questioni che mai si erano prefigurate antecedentemente, riguardanti la circoncisione o meno dei convertiti.

L’odierna pagina evangelica è facilmente divisibile in due parti: nella prima vengono date le istruzioni sulla missione, nella seconda si descrive il ritorno degli inviati. I discepoli devono andare a due a due, un probabile rimando al valore della testimonianza che richiede sia confermata da diversi: «Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera» (Gv 8, 17; cfr. Dt 19,15). Gesù li avverte che saranno «come agnelli in mezzo a lupi»: dovranno, cioè, essere pacifici nonostante tutto e recare in ogni situazione un messaggio di pace; non porteranno con sé né vestiti né denaro o altre cose inutili, per vivere di ciò che la Provvidenza offrirà loro; si prenderanno cura dei malati, come segno della misericordia di Dio; dove saranno rifiutati, se ne andranno, limitandosi a mettere in guardia circa la responsabilità di respingere il Regno di Dio. L’annuncio della venuta di Gesù e del Regno, poi, prevede un’urgenza che fa sì che i discepoli non dovranno nemmeno fermarsi per salutare le persone. A seguire San Luca mette in risalto l’entusiasmo dei discepoli per i buoni frutti della missione e registra questa bella espressione di Gesù: «Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10, 20). Tutto questo brano del Vangelo è un invito a risvegliare nei battezzati la consapevolezza di essere missionari di Cristo, chiamati a preparargli la strada con le parole e con la testimonianza della vita.

Mi soffermo sulla frase di Gesù qui sopra riportata in risposta ai discepoli che si rallegrano per l’esito della missione, perché potrebbe apparire spiazzante, giocata sul paradosso, come spesso fa Gesù, che usa un linguaggio apocalittico per via della menzione dei demoni che si sottomettono, di Satana che precipita da quel cielo dove i nomi dei discepoli missionari invece vengono ascritti. Il detto evangelico vuole sottolineare che ogni missione cristiana pur richiedendo la disponibilità umana non dipende totalmente dagli inviati, ma dalla forza della Parola e da Dio. Per questo essa prevede anche il rifiuto; nel brano evangelico, infatti, emerge per tre volte l’idea che l’evangelizzazione possa fallire. Nell’espressione del v. 6: «altrimenti (la pace, n.d.r) ritornerà su di voi»; in quella del v. 10: «quando entrerete in una città e non vi accoglieranno»; ed anche nell’allusione del v. 3: essere «agnelli in mezzo ai lupi». Si potrebbe menzionare anche l’ammonizione del v. 16 non riportata oggi dal Lezionario, nei riguardi di Corazin, Betsàida e Cafarnao, dove si parla di Gesù disprezzato e dei discepoli che subiscono la stessa sorte: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato». Si comprende che il destino del discepolo è come quello del Maestro, possono esserci dei successi, ma anche incontrare muri che sbarrano la strada all’evangelizzazione. Gesù, fin dall’inizio del suo viaggio verso Gerusalemme, è presentato subito come un non accolto, poiché appressandosi a un villaggio di samaritani: «essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme» (Lc 9,53). Così quell’antica diatriba fra giudei e samaritani, nella quale si mischiano ragioni sociali, culturali e religiose, sembra una premonizione di ciò che oggi vediamo accadere ancora nella terra che fu anche di Gesù. Come avviene in tante simili situazioni, quando le ferite della memoria non guarite rendono più forte il rancore della riconciliazione. Così anche Gesù ricade nello stesso identico, quanto noioso, schema del nemico. Non importa chi sia, cosa dica o porti: Egli è un galileo da rifiutare. Anzi possiamo dire che Gesù fin da subito, nel Vangelo di Luca, appare come un rifiutato, quando gli stessi concittadini di Nazareth non vogliono credere al suo primo annuncio, anzi tentarono di metterlo a morte (Lc 4).

«Questa è la prima immagine di Gesù evangelizzatore che viene presentata: sconfitto, cacciato, non ascoltato, non gradito, ed è davvero una scena misteriosa se pensiamo che Gesù è l’evangelizzatore. Questa non è una scena solitaria, e se Luca l’ha messa qui, è perché sa di toccare qualche cosa che appartiene a una costante del Regno di Dio» (C. M. Martini, L’evangelizzatore in San Luca, Milano, 2000).

La storia si ripete, anche per i discepoli, ed è previsto il rifiuto colpevole all’annuncio. Ma questi devono in ogni caso dire a chi li rifiuta che: se la polvere «la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino» (Lc 10,11).

Dopo la Risurrezione di Gesù la Chiesa primitiva acquisterà piena consapevolezza di questa dinamica e saranno proprio le persecuzioni scatenate a Gerusalemme contro i cristiani di cultura greca a far si che il Vangelo arrivi, insieme al Battesimo e al dono dello Spirito, anche a quei samaritani che una volta non vollero accogliere Gesù, come racconta Luca negli Atti degli Apostoli (cap. 8). Gli ostacoli della divisione vengono così rimossi, perché il segno della Pentecoste, della nuova comunità che ormai parla in tutte le lingue e unisce i popoli in un unico popolo, in una famiglia di Dio, è divenuto realtà. Grazie ad Essa gli stranieri sono diventati amici e, al di là dei confini, si riconoscono fratelli.

Dall’Eremo, 06 luglio 2025

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Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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