De l'Abbesse mitrée de Conversano à la Sœur Préfète du Dicastère des Religieux

DALLA BADESSA MITRATA DI CONVERSANO ALLA SUORA PREFETTO DEL DICASTERO PER I RELIGIOSI

La tendenza a separare i poteri d’ordine e di giurisdizione si fonda su molte disposizioni pontificie del passato, qui ont approuvé les actes du gouvernement sans pouvoir de commande, per esempio il governo di alcune badesse dal Medioevo sino ai tempi moderni, o di alcuni vescovi che hanno governato diocesi senza essere ordinati.

– Teologia e diritto canonico –

Autore Teodoro Beccia

Auteur
Théodoro Beccia

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le 6 janvier dernier, solennità dell’Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo, Suor Simona Brambilla, finora segretario del Dicastero per gli istituti di Vita Consacrata e le società di Vita Apostolica, è stata nominata prefetto dello stesso dicastero dal Sommo Pontefice Francesco.

Suor Simona Brambilla era segretario del dicastero du 7 octobre 2023; seconda donna a ricoprire questo incarico dopo la nomina nel 2021 di Suor Alessandra Smerilli al Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Il Romano Pontefice ha scelto come Pro-prefetto del dicastero Ángel Fernández Artime, 65 années, creato cardinale nel Concistoro del 30 septembre 2023. Con questa nomina, rilanciata in un baleno dalle agenzie di stampa mondiali, il Pontefice ha inteso creare una struttura dirigenziale senza precedenti presso il Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, nominando una suora prefetto e un cardinale pro-prefetto.

In perfetta coerenza logica con le azioni del Romano Pontefice, tale scelta non fa che ricalcare il solco segnato dalla riforma della Curia romana già presente nella Costituzione Praedicate Evangelium, merita però di essere chiarita dal punto di vista giuridico e da quello teologico. Un esempio iniziale potrà aiutarci a introdurre il tema per poi chiarire il problema. Précédemment, già lo scorso 9 janvier 2023, il Pontefice aveva nominato un nuovo Abate territoriale dell 'Abbazia di Montecassino, posto a capo della comunità monastica più antica dell’Occidente. Sebbene non consacrato vescovo, l’abate cassinense ― o per essere precisi l’arciabate ― riceve ratione officii tutte le facoltà di governo di un vescovo. Nulla di nuovo se non per il fatto che il Pontefice ha scelto di promuovere alla carica di abate, di per sé elettiva da parte della sua comunità, un monaco laico non costituito nell’ordine sacro del presbiterato, ordinato poi sacerdote solo dopo la nomina abbaziale.

Senza voler entrare nel merito della discussione circa l’opportunità di una nomina pontificia per una carica che more solito prevede una elezione, resta necessario analizzare la complementarietà, o meno, tra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione. Rivalorizzando la tradizione teologica antica, orientale e occidentale, il Vaticano II ha messo l’accento sull’unità della «sacra potestas», pur senza voler prendere posizione sul valore ecclesiologico della distinzione tra il potere di ordine e quello di giurisdizione introdotta dalla canonistica prima del XII secolo. Sussistono, en fait, elementi teologici che orientano verso una concezione unitaria della potestas sacra, ou: il principio della sacramentalità dell’episcopato di cui al pouvez. 129 §1 C.J.C.

Vi sono nella Chiesa due poteri, lasciati da Nostro Signore Gesù Cristo, e due gerarchie che ne derivano, le quali si incrociano e si sovrappongono in parte, ma che restano ben distinte nelle loro attribuzioni e nelle loro fonti. Il primo tra i due è la potestas sanctificandi, che si riceve e si esercita tramite il Sacramento dell’Ordine nei suoi vari gradi (ministeri istituiti, sacerdozio ed episcopato: e er Vescovo si intende chi ha ricevuto la consacrazione episcopale), e che consiste principalmente nel potere di consacrare l’Eucaristia e, mediante questa e gli altri Sacramenti, dare la grazia alle anime. Poiché la fonte di questo potere è un Sacramento, l’autore diretto ne è Nostro Signore stesso, départ usine exploités: i ministri ne sono solo gli strumenti. Atto più alto di questo potere è la consacrazione del Corpo e del Sangue di Cristo. Dans ce, Vescovo e Sacerdote, sono uguali. La potestas regendi, o potere di giurisdizione, che comprende in sé il potere spirituale di governare e di insegnare (infatti si insegna legittimamente e con autorità solo ai propri sudditi). Se consideriamo la Chiesa come sociétés, secondo il diritto classico, essa deve avere un’autorità capace di legiferare e di guidare, oltre che di punire e correggere. Questo potere, che Nostro Signore ugualmente possiede al supremo grado, è da Lui trasmesso direttamente solo al Successore del Beato Apostolo Pietro al momento dell’accettazione dell’elezione, e da lui stesso trasmesso in vari modi al resto della Chiesa. Non ha di per sé alcun legame con il potere d’ordine, benché generalmente i due poteri convivano negli stessi soggetti, ou même, come per il Papa e i Vescovi diocesani, vi sia obbligo morale di riunire in sé i due poteri. In questo senso Vescovo è colui che ha ricevuto dal Papa il potere di governare una diocesi.

Questa dottrina sulla distinzione di origine dei due poteri è insegnata senza ambiguità possibile in una quantità impressionante di documenti magisteriali: ultima fra di essi l’enciclica Mystici Corporis Pie XII (1943), ripresa nelle successive Ad Sinarum gentes (1954) e Ad Apostolorum Principis (1958). I Vescovi governano la loro diocesi in nome del Cristo, «id tamen dum faciunt, non plane sui jurissunt, sed sub debita Romani Pontificis auctoritate positi, quamvis ordinaria jurisdictionis potestate fruantur, immediate sibi ab eodem Pontifice impertita» («tuttavia quando lo fanno, non lo fanno affatto per diritto proprio, ma posti sotto la debita autorità del Romano Pontefice, benché godano di un potere di giurisdizione ordinario, dato loro immediatamente dallo stesso Pontefice») (DS. 3804). L’unico al mondo a ricevere tale potere di giurisdizione direttamente da Dio è il Pontefice Romano, come affermava il Codice di Diritto Canonico del 1917 al can.109:

«Qui in ecclesiastica hierarchia cooptantur [...] in gradibus potestatis ordinis constituuntur sacra ordinatione; in supremo pontificatu, ipsometjure divino, adimpleta conditione legitimae electionis ejusdem que acceptationis; in reliquis gradibus jurisdictionis, canonica missione» («Coloro che sono annoverati nella gerarchia ecclasiastica [...] sono costituiti nei gradi del potere d’ordine con la sacra ordinazione; nel supremo Pontificato, per lo stesso diritto divino, compiute le condizioni della legittima elezione e dell’accettazione di questa; nei restanti gradi del potere di giurisdizione, con la missione canonica»).

nemmeno il Romano Pontefice riceve tale potere dalla consacrazione episcopale, ma indipendentemente da essa. Nel corso della storia c’è stata quindi un’ampia, complessa e talvolta controversa riflessione sul rapporto tra il potere degli ordini, che si riceve con l’ordinazione e che permette di amministrare alcuni Sacramenti ― come presiedere l’Eucaristia ― e il potere di governo, che dà autorità su una parte del Popolo di Dio, come una diocesi, un ordine religioso o anche una parrocchia. Per molto tempo si è creduto che i due poteri fossero distinti e che fosse possibile esercitarli separatamente; anche San Tommaso d’Aquino condivideva questa posizione.

Per quanto riguarda la Curia romana, si riteneva che tutti coloro che vi svolgevano il loro servizio ricevessero il loro potere direttamente dal Romano Pontefice, che conferiva loro l’autorità indipendentemente dal fatto che fossero ordinati o meno. Questo valeva anche per i cardinali, la cui autorità derivava dalla creazione papale e non per via sacramentale. Questo approccio ha caratterizzato la storia della Chiesa per lungo tempo, tanto che ci sono stati cardinali che non erano sacerdoti, ad esempio il Cardinale Giacomo Antonelli, segretario di Stato vaticano dal 1848 Al 1876, era stato ordinato diacono, ma non era un sacerdote. Più indietro nel tempo, ci sono stati cardinali nominati in giovane età che hanno ricevuto gli ordini solo dopo molto tempo, e persino papi che erano solo diaconi al momento della loro elezione al soglio pontificio.

Alcuni abati del passato non erano nemmeno stati ordinati sacerdoti e governavano una circoscrizione ecclesiastica, oppure c’erano figure che a noi risultano quanto meno anacronistiche ma che rispondevano a questa logica, come i vescovi eletti che governavano diocesi senza aver ricevuto la consacrazione episcopale ma solo in virtù della loro elezione, problema questo al quale porrà fine il Concilio di Trento attraverso l’obbligo della residenza. Altri esempi sono le cosiddette badesse mitrate, “donne con il bastone pastorale”, di cui accenneremo a seguire.

Nel tempo è emerso un altro approccio che risale alla Chiesa del primo millennio: Il potere di governo è strettamente legato al Sacramento dell’ordine sacro, per cui non è possibile esercitare l’uno senza l’altro se non entro certi limiti, che sono piuttosto ristretti.Per questo motivoil Santo Pontefice Giovanni XXIII, nel 1962,con il motu proprio Cum Gravissima decise che tutti i cardinali dovessero essere ordinati vescovi

Questo è l’approccio del Concilio Vaticano II, che si ritrova, par exemple, nella Costituzione Dogmatica La lumière al n. 21, dans Note explicative al n. 2, e nei due Codici di Diritto Canonico, quello latino del 1983 e quello orientale del 1990. Nel III capitolo (nn. 18-23) et en Nota praevia si sostiene che la consacrazione episcopale è fonte del potere di governo e non solo del potere d’ordine, facendo leva sulla sacramentalità dell’episcopato. Per il Concilio di Trento, en fait, il sacerdozio conferito dal Cristo agli Apostoli e ai loro successori è detto «potere [...] di consacrare, offrire e amministrare il suo Corpo e il suo Sangue, oltre che di rimettere e ritenere i peccati» (DS 1764); in particolare i Vescovi «che sono succeduti in luogo degli Apostoli [...] sono superiori ai preti, e possono amministrare il Sacramento della cresima, ordinare i ministri della Chiesa, e compiere molte altre cose» (DS 1768). Ecco dunque gli effetti dell’Ordinazione tali che ci sono descritti dal Concilio di Trento: un potere legato al Corpo fisico del Cristo e all’amministrazione dei Sacramenti, e assolutamente non al governo esterno della Chiesa. La lumière afferma che la consacrazione episcopale «conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare, qui cependant, par leur nature, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica con il Capo e colle membra del Collegio».

Chiunque sia validamente consacrato Vescovo possiede, seconde La lumière, entrambi i poteri; il Sommo Pontefice interviene solo per determinare l’esercizio del potere di governo, non per conferirlo. In mancanza di questo intervento del Papa, non sappiamo se l’esercizio della giurisdizione sarebbe invalido o soltanto illecito: la Nota praevia afferma di non voler entrare nella questione, anche se si può supporre che sarebbe solo illecito, come per il potere d’ordine. Aussi, secondo il n. 22 la consacrazione episcopale avrebbe come effetto anche l’ingresso nel Collegio episcopale, corpo che secondo La lumière avrebbe il potere supremo accanto a quello del Papa da solo: la Nota praevia precisa che tale soggetto del potere universale esiste sempre, ma che entra in azione solo quando il Papa lo convoca. Lo stesso numero 22 dice che per appartenere al Collegio occorre anche il legame gerarchico, tuttavia non è chiaro se questa sia una vera causa di appartenenza al Collegio o una semplice condizione. Il potere di governo, che esula dall’ordine sacramentale, sarebbe effetto del Sacramento ex opere operato, quindi del Cristo direttamente, come anche l’appartenenza al detto Collegio, che pur essendo soggetto del potere supremo Lorsque Pierre et sous Pierre, resterebbe un soggetto distinto da Pietro solo e riceverebbe il potere che esercita non ex Petro maman ex Christo, come appare chiaramente dalla stessa Nota praevia.

Il Vaticano II ha autorevolmente ribadito che l’episcopato è un sacramento e che con la consacrazione episcopale si entra a far parte del Collegio episcopale che insieme al Papa e sotto la sua autorità, è il soggetto della suprema potestà su tutta la Chiesa. Questa tesi è chiaramente difficile da conciliare con il dettato del Vaticano I, che condanna

«[…] quelli che affermano che tale primato non fu dato immediatamente e direttamente al Beato Pietro, ma alla Chiesa e tramite questa a lui come ministro della Chiesa stessa».

Tesi diversa da quella che poi ha prevalso in La lumière: qui il soggetto del potere supremo è uno, il Collegio, benché non si escluda che il Papa possa agire solo. L’eco di questa tesi si fa sentire anche nel numero 22 De La lumière, quando si afferma che il Papa esercita il potere a due titoli: in forza del suo ufficio e come Capo del Collegio. Si ammette dunque che almeno in alcuni casi il Papa sia solo il rappresentante del Collegio.

Questa riflessione si ritrova nelle due documenti di riforma della Curia romana che hanno seguito il Concilio Vaticano II: La costituzione Regimini Ecclesiae Universae de Paul VI (1967) et le Pastor Bonus de Jean Paul II (1988). Giovanni Paolo II delineò la Curia in congregazioni e pontifici consigli, che in termini laici potrebbero essere definiti comeministeri con portafoglio” e “ministeri senza portafoglio”.

Le congregazioni dovevano essere governate da cardinali perché partecipavano alle decisioni della Chiesa universale con il Papa, donc, i loro capi, dovevano avere il rango di primi consiglieri del Papa. I pontifici consigli, au lieu, potevano essere guidati anche da arcivescovi, ma in ogni caso da ministri ordinati perché dovevano comunque essere in rapporto di collegialità con il vescovo di Roma – cioè il Papa.

Il diritto canonico distingue la potestà di governo in tre categorie: la potestà legislativa in ragione della quale si pongono in essere leggi, decreti generali e privilegi; la potestà esecutiva che consente di porre in essere decreti generali esecutivi, istruzioni e atti ammnistrativi singolari e su concessione della competente autorità legislativa decreti generali e privilegi; la potestà giudiziale che consente di porre in essere le sentenze e i relativi atti preparatori.

Negli ordinamenti statali vige il principio della separazione delle potestà che permette di ripartire le funzioni di governo (parlamento, gouvernement, tribunali) pour que (Locke-Montesquieu) il loro esercizio sia libero da influenze reciproche. Nell’ordinamento canonico vige il principio della distinzione delle potestà e quindi della loro unità. Le tre funzioni sono annesse agli uffici capitali sia universali che particolari. Tuttavia accanto ad essi l’ordinamento canonico prevede ulteriori uffici in cui risultano titolati persone o collegi a cui è annessa una sola delle potestà citate. La distinzione tra le potestà non ha lo scopo di limitare l’esercizio di ciascuna nei confronti dell’altra ma consente di individuare atti di natura diversa affinché sia promosso il bene comune della Chiesa.

L’organizzazione della Chiesa si fonda sul principio della gerarchia degli uffici, molti dei quali non sono qualificabili come uffici di governo, in quanto non dotati di potestas gubernandi. Quando la potestà di governo è annessa a un ufficio, si qualifica come ordinaria, distinta da quella delegata perché data direttamente alla persona tramite mandato, senza attribuzione di un ufficio specifico.

La potestà ordinaria può essere propria o vicaria. Nel primo caso è esercitata innome propriodal titolare; è vicaria se è esercitata da un soggetto che agisce a nome del titolare dell’ufficio. A livello universale, gli uffici ai quali è annessa una potestà ordinaria propria o vicaria sono: Pontife romain, Collegio episcopale, le congregazioni della Curia, il Pontificio consiglio dei Laici, i tribunali apostolici. A livello particolare sono: i vescovi diocesani e i capi delle prelature abbaziali o territoriali, i vicari e prefetti apostolici, amministratori apostolici, Ordinari personali (tranne quelli per gli anglicani), ordinario della prelatura personale, vicari generali, episcopali e giudiziali, pasteurs; metropoliti, concili particolari, conferenze episcopali e loro consigli permanenti; i superiori e i capitoli degli istituti religiosi e società clericali di vita apostolica di diritto pontificio.

Il can. 134 §1 attribuisce la qualifica di Ordinario ai titolari di tre diversi uffici: l’ufficio che si caratterizza per l’intera potestà di governo (legislativa, esecutiva e giudiziale), Pontife romain, Vescovi diocesani ed equiparati; l’ufficio caratterizzato dalla potestà ordinaria vicaria ed esecutiva (vicari generali ed episcopali delle diocesi); uffici attribuiti ai superiori maggiori degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica. Lo stesso pouvez. 134 §2 attribuisce la qualifica giuridica di ordinario del luogo ai primi due tipi di ordinari. La qualifica di ordinario del luogo è legata al carattere territoriale delle circoscrizioni ecclesiastiche.

La potestà delegata è distinta dalla potestà ordinaria perché è affidata alla persona (pouvez 131), in quanto titolare di un ufficio ma non come parte integrante di esso. In questo caso la potestà è circoscritta alle facoltà assegnate alla persona mediante un mandato di delega. Sia il romano pontefice che i vescovi possono, mediante delega, ampliare le facoltà di un vescovo diocesano o di un vicario al di là di quelle acquisite mediante ufficio. Da qui la differenza tra le due potestà. Quella ordinaria è oggettiva, esiste in sé indipendentemente dal soggetto che deve solo possedere i requisiti definiti per ricevere l’ufficio; la seconda dipende dalla scelta di un soggetto titolare che decide di concederne una parte.

La costituzione apostolica Praedicate Evangelium, con cui il Sommo Pontefice Francesco ha riformato la Curia nel 2022, si è sostanzialmente discostata da questo approccio giuridico e teologico. Non si distingue più tra congregazioni e pontifici consigli, che vengono tutti definiti dicasteri; non c’è più differenza su chi può essere il capo del dicastero, una carica che può essere quindi conferita anche a un laico. Toutefois, nel presentare la riforma della Curia il 21 mars 2022, l’allora Padre Gianfranco Ghirlanda SJ. ― creato cardinale da Sommo Pontefice Francesco nel concistoro del 27 août 2022 ― spiegò che c’erano ancora alcuni dicasteri in cui era opportuno che fosse un cardinale a guidarli e fece notare che la «costituzione non abroga il Codice di Diritto Canonico, che stabilisce che nelle questioni che riguardano i chierici sono i chierici a giudicare». Questo è il centro della questione: ci sono uffici che possono essere esercitati solo per nomina pontificia o ci sono uffici che, nonostante la nomina pontificia, possono essere esercitati solo se si è ordinati?

La domanda emerge quando un Cardinale pro-prefetto supporta una Suora prefetto. Il Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha diverse competenze, che sono in genere atti di governo che possono essere esercitati senza l’ordinazione sacerdotale. Ma lo stesso dicastero, spesso è chiamato a gestire e dirimere problemi che riguardano chierici ordinati dans le sacré. Probabilmente si è pensato che queste decisioni possano essere gestite, in maniera residuale, da almeno un membro che abbia ricevuto la sacra ordinazione, da affiancare al Prefetto. Per questo è stata creata la figura del pro-prefetto, che sembra però essere usata in modo improprio. Le document Praedicate Evangelium descrive due pro-prefetti che sono a capo delle due sezioni del Dicastero per l’Evangelizzazione. Questo perché i due pro-prefetti guidano le sezioni del dicastero “al posto” (c'est-à-dire, pro-) pape, che è considerato il prefetto del dicastero.

In altri casi è stato nominato pro-prefetto un prelato che non aveva ancora il grado per ricoprire formalmente la carica. Par exemple, quando Angelo Sodano fu nominato Segretario di Stato vaticano il 1° dicembre 1990, era ancora un arcivescovo. Fu quindi nominato pro-segretario di Stato perché la Costituzione Apostolica Pastor Bonus prevedeva che il segretario di Stato fosse sempre un cardinale. Sodano mantenne il titolo di pro-segretario di Stato fino al concistoro del 28 juin 1991, quando fu creato cardinale e assunse formalmente il titolo di segretario di Stato a partire dal 1° luglio 1991.

Il pro-prefetto Ángel Fernández Artime è però già cardinale e non esercita la giurisdizione al posto del Papa. Semmai lavora a fianco della Suora prefetto. Il suo ruolo è più che altro quello di co-prefetto, quindi resta da vedere se il Santo Padre nominerà un segretario per il dicastero per capire l’organigramma definitivo. La scelta di affiancare un ecclesiastico al prefetto rispecchia il mode opératoire di alcuni ordini religiosi, che hanno alla loro guida dei “fratelli” (laici consacrati), ma che sono nominati accanto a figure con autorità sacramentale. Il Sommo Pontefice avrebbe quindi scelto di seguire una strada già percorsa dalle congregazioni religiose per il governo della Chiesa. Non è una novità. Anche il Santo Padre Francesco, par exemple, è intervenuto nella crisi di governo dell’Ordine di Malta proprio operando sull’Ordine come se fosse solo un’entità religiosa e monastica, imponendo autoritariamente le nuove costituzioni nel settembre 2022 e stabilendo che il Romano Pontefice deve confermare l’elezione del Gran Maestro.

Anche il Consiglio dei Cardinali, istituito da Papa Francesco all’inizio del suo pontificato nel 2013, assomiglia al consiglio generale che sostiene il governo del Generale dei Gesuiti. Molte di queste impostazioni sono date dal principale consigliere giuridico del Pontefice regnante, il Cardinale Gianfranco Ghirlanda, anch’egli gesuita, che ha seguito personalmente la riforma dell’Ordine di Malta e la riforma della Curia, oltre a varie altre riforme, come quella degli statuti dei Legionari di Cristo.

Il Santo Padre Francesco ha stabilito un’innovazione nella Curia romana abbandonando i criteri del governo della Curia a favore piuttosto di quelli delle congregazioni religiose. Ci troviamo di fronte a una piccola rivoluzione, o semplicemente a un uso improprio dei termini che potrebbe causare una grave confusione? Sappiamo che la carica di pro-prefetto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica non è prevista dalla costituzione Praedicate Evangelium. Non è stato precisato come sarà il rapporto di poteri e competenze tra il nuovo prefetto e il pro-prefetto. Toutefois, parlare di un rapporto di subordinazione con un cardinale che sarebbe ilsecondo in gradodel prefetto non sembra una lettura corretta.

La distinzione tra ordine e giurisdizione è il risultato di una riflessione, durata quasi un millennio, tesa a risolvere due problemi fondamentali: quello della validità degli atti sacramentali posti dai ministri, che avessero rotto con la comunione ecclesiale; quello della validità delle ordinazioni assolute, che prevalse nella prassi della Chiesa latina malgrado la proibizione del Concilio di Calcedonia. La questione non riguardò tanto la possibilità che un vescovo scomunicato potesse essere posto a capo di una diocesi, quanto piuttosto che potesse continuare ad amministrare i Sacramenti, fino a quando Graziano e i decretisti non riuscirono progressivamente a distinguere nell’attività dei ministri due poteri: un potere di ordine e un potere di giurisdizione, diversi sia per la modalità di trasmissione che per la loro stabilità e funzione. E tutto sommato la Costituzione Praedicate Evangelium procede proprio su questo binario della distinzione: assume implicitamente l’opzione di non considerare il sacramento dell’Ordine come l’origine del potere di giurisdizione, ma di attribuirlo esclusivamente alla mission canonique data dal Romano Pontefice, che conferirebbe così una delega dei suoi propri poteri a chiunque eserciti una funzione di governo nella Curia romana e nella Chiesa, sia esso ordinato o meno.

La questione maggiormente dibattuta pare essere l’esercizio della potestà di giurisdizione nell’ambito extra-sacramentale. Al di fuori dell’ambito sacramentale, il Codice del 1983 sembra considerare, almeno dal profilo terminologico, la potestas iurisdictionis come un potere che possiede un contenuto materiale proprio, distinto da quello della potestas ordinis. Il Codice utilizza due differenti termini: le terme «facultas» nell’ambito sacramentale, e quello di «Puissance» nell’ambito extra-sacramentale, quasi come a dare due significati diversi allo stesso potere di giurisdizione, uno formale ed uno contenutistico, secondo che esso operi nel primo o nel secondo ambito. Quanto alla riforma della Curia, essa pare presentare una rivoluzione radicale all’interno dell’Ordinamento, una sorta di sottolineatura della domanda circa l’origine della potestà di giurisdizione: comprendere se si tratta di volontà divina (immédiat) inscritta nel sacramento dell’Ordine che fonda i poteri di santificare, insegnare e governare o si tratta piuttosto d’una determinazione della Chiesa (mediata) conferita al Successore di Pietro in virtù del suo mandato di pastore universale con la speciale assistenza dello Spirito Santo.

La tendenza a separare i poteri d’ordine e di giurisdizione si fonda su molte disposizioni pontificie del passato, qui ont approuvé les actes du gouvernement sans pouvoir de commande, per esempio il governo di alcune badesse dal Medioevo sino ai tempi moderni, come nel noto e celebre caso della Badessa di Conversano, définie Monstrum Apuliae, o di alcuni vescovi che hanno governato diocesi senza essere ordinati, o ancora alcune licenze concesse dal Supremo Legislatore a semplici sacerdoti per ordinare altri preti senza essere vescovi. Si potrebbe allungare l’elenco dei fatti che mostrano come il potere di governo non dipenda intrinsecamente dal potere d’Ordine, quanto piuttosto da un’altra fonte, che si identifica poi con la mission canonique conferita dal Romano Pontefice. La nuova Costituzione andrebbe forse oltre il pouvez. 129 §2 C.J.C., ovvero interpreterebbe a pieno quella collaborazione del laicato nell’esercizio della medesima potestà di giurisdizione. Partendo da questa osservazione, il nocciolo della questione può ricondursi a ciò che regola i rapporti tra la natura della Chiesa come istituzione divino-umana e le strutture di governo che le consentono di adempiere la sua missione a servizio della salvezza del mondo. Si può dunque affermare che la comunione ecclesiale comporta una dimensione gerarchica che corrisponde al mistero trinitario così come ci viene rivelato. Tutto quanto fin ora detto, seppure in maniera estremamente sintetica, porterebbe a dire che la potestà di giurisdizione non dipende esclusivamente dalla potestà di ordine.

Una cosa possiamo affermare con malcelata sicurezza: la nomina di una Suora alla carica di Prefetto (ce, resterebbe come suora sottoposta alla sua diretta Superiora religiosa ma, en même temps, gerarchicamentesuperiora della sua Superiora”, con rischio concreto di cortocircuitare le competenze) e la contestuale nomina di un Cardinale alla carica di pro-prefetto, non fa altro che confermare la cifra stilistica alla quale questo pontificato ci ha ormai abituato da 12 anni in avanti: l’importante è provocare e generare processi. Cosa che potrebbe anche risultare affascinante, se non per il fatto che, come tutti i giuristi, non possiamo fare a meno di considerare che i processi, proprio per una questione di giustizia equità e di rispetto delle parti, non possono durare in eterno, pouquoi, tôt ou tard, deux heures:o giungono a sentenza o vengono archiviati.

Velletri de Rome, 19 janvier 2025

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Le Père Ariel a poursuivi le Saint-Siège et l'Ordre des Moniales Dominicaines devant la Cour européenne des droits de l'homme: «Je suis religieuse parce que je me sens comme telle»

LE PÈRE ARIEL A POURSUITE LE SAINT-SIÈGE ET L'ORDRE DES SONNERIES DOMINICAINES DEVANT LA COUR EUROPÉENNE DES DROITS DE L'HOMME: «SONO UNA MONACA PERCHÈ TALE MI SENTO»

L’oltraggio omofobico della Madre Priora: «Père révérant, ce storico manicomio di Santa Maria della Pietà, qui était ici, in questa nostra zona, a Monte Mario, è stato chiuso definitivamente nel gennaio del 2000. Bien que nous, come monache domenicane, non possiamo fare niente per lei».

– Leggerezze estive dei Padri de L’Isola di Patmos –

AutoreTeodoro Beccia

Auteur
Théodoro Beccia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Mentre Roma era avvolta da una cappa di calore e il termometro segnava 40°, notre Père Ariel S. Levi di Gualdo si è presentato al Monastero dei Santissimi Domenico e Sisto in Santa Maria del Rosario, che si trova a Roma nel quartiere di Monte Mario, per chiedere alla Madre Priora di iniziare il noviziato in vista della sua professione dei voti religiosi come monaca domenicana.

Padre Ariel si sente una monaca e come tale va accolta e rispettata

La Madre Priora è stata inizialmente molto delicata e ha cominciato col dire:

"Père révérant, in effetti fa molto caldo in questi giorni a Roma. Quindi non bisogna preoccuparsi più di tanto dinanzi a eventuali azioni, reazioni o peggio pretese del tutto sconsiderate, perché in alcuni soggetti il caldo può giocare veramente brutti scherzi, persino nei presbiteri».

Certainement pas. Determinato più che mai si è messo a spiegare che ciascuno di noi, aujourd'hui, non è tanto ciò che è o che appare di essere, ma ciò che sente o percepisce di essere. A tal proposito ha portato l’esempio delle Olimpiadi in Francia, dove uno, una o une pugile algerino definito iperandrogina (voir QUI, QUI) ha costretto una concorrente italiana a ritirarsi dalla competizione dopo pochi secondi, salvo essere letteralmente massacrata (voir QUI, QUI, QUI, etc…).

la pugile algerina Imane Khelif, indubbiamente e indiscutibilmente donna, come hanno spiegato molti giornalisti, dinanzi alla quale la concorrente italiana Angela Carini si è ritirata nel giro di pochi secondi dopo un solo cazzotto ricevuto da questa donna, indubbiamente e indiscutibilmente donna

Ormai spazientita la Madre Priora, sentendosi tra l’altro presa in giro da questo prete che pareva veramente fulminato nel cervello, ha sbottato:

"Père révérant, ce storico manicomio di Santa Maria della Pietà, qui était ici, in questa nostra zona, a Monte Mario, è stato chiuso definitivamente nel gennaio del 2000. Bien que nous, come monache domenicane, non possiamo fare niente per lei».

A quel punto Padre Ariel è corso scioccato e piangente al Convento domenicano di Santa Maria Sopra Minerva per parlare con un anziano teologo di sua fiducia, Padre Daniel Ols. Dopo averlo ascoltato senza batter ciglio, l’anziano teologo ha fatto finta di niente, perché come risaputo i pazzi non vanno mai contraddetti. Con una scusa si è assentato e ha provveduto a chiamare il 118. Poco dopo è giunta un’autoambulanza della Misericordia a sirene spiegate con due infermieri nerboruti, uno dei quali aveva in mano una camicia di forza. Fuggito ai due prima che lo incartassero dentro quello strumento di contenzione, poco dopo ha chiesto asilo politico presso l’ambasciata LGBT del Muccassassina di Roma, dove è accorsa una squadra di avvocati amical che in questo momento lo stanno aiutando per citare in giudizio, con accusa di discriminazione, la Santa Sede e le Monache Domenicane presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

en conclusion: tra noi Padri de L'île de Patmos, capaci all’occorrenza a prenderci in giro anche da noi stessi e le Olimpiadi di Francia trasformate in un grottesco Fierté gai all’insegna dell’irrisione del Cattolicesimo (voir QUI); evento nel quale si è tentato di far vincere a ogni costo il mondo dell’irreale, corre questa differenza sostanziale: noi scherziamo destituendo di serietà ciò che non può essere trattato come serio, parce que ce n'est pas. D'autre part, au lieu, gli organizzatori di certi eventi olimpico-gallici vogliono imporre come vero e serio a tutti i costi ciò che rimane e che sempre rimarrà surreale e grottesco alla prova dei fatti. Per non parlare del pericolo, perché quello è tutto quanto un capitolo da trattare a parte, en fait, obbligare la società civile ad accettare le persone non per ciò che in realtà sono, ma per ciò che in modo del tutto surreale o capriccioso sentono o dicono di essere, è pericoloso, molto pericoloso …

Auguriamo una lieta estate ai nostri Lettori.

Velletri de Rome, 2 août 2024

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«Donnez-nous aujourd'hui notre théâtre quotidien». Alessandro Minutella se souvient qu'il est "deux fois théologien" et "deux fois diplômé", puis il annonce qu'il a avoué. Demande: qui l'a valablement acquitté?

«DONNEZ-NOUS NOTRE THÉÂTRE QUOTIDIEN AUJOURD'HUI». ALESSANDRO MINUTELLA SE RAPPELLE QU'IL A ÉTÉ «DEUX FOIS THÉOLOGUE ET DEUX FOIS DIPLÔMÉ», PUIS IL ANNONCE QU'IL A CONFESSÉ. DEMANDE: QUI L'A VALABLEMENT ACQUITÉ?

Minutella non può essere assolto né ricevere alcuna valida assoluzione se non dopo aver ritrattato le sue eresie. E, considerato che i delitti nei quali è incorso sono riservati alla Sede Apostolica, chiunque lo assolva senza sua previa ritrattazione pubblica, o perlomeno dinanzi a due testimoni in caso di pericolo di vita, incorrerebbe a sua volta in scomunica.

– Teologia e diritto canonico –

AutoreTeodoro Beccia

Auteur
Théodoro Beccia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Nei giorni passati è finito sotto i fuochi di Alessandro Minutella ― prete palermitano excommunié ensuite résigné dallo stato clericale ― il discepolo del Servo di Dio Padre Divo Barsotti, le père Serafino Tognetti, “colpevole” di avere adempiuto al proprio dovere sacerdotale dissuadendo alcune persone che lo hanno interpellato dal seguire questo soggetto sulla via del grave errore. Come sempre accade in questi casi è tornato alla carica con un suo vecchio mantra:

«Ricordo al confratello Padre Tognetti che Don Minutella è due volte teologo, ho due lauree in teologia …».

È il caso di chiarire — ovviamente senza entrare nel merito del foro interno sacramentale ed extra-sacramentale — alcuni punti fondamentali a quelle persone semplici non addentro a certe dinamiche ecclesiastiche:

une) il Nostro, sebbene si proclami teologo dogmatico, tale non è, non avendo mai conseguito “graduations” in teologia alla facoltà di teologia ma in spiritualità presso l’Istituto di Spiritualità della Pontificia Università Gregoriana;

b) tra unalaurea” en théologie (Facoltà di Teologia) e una in spiritualità (Istituto di Spiritualità) c’è la differenza che corre tra una laurea in medicina e una in scienze infermieristiche.

Mais surtout, sempre ai non addetti ai lavori è opportuno e giusto chiarire che lune “laurea in teologianon esiste proprio come titolo nelle università ecclesiastiche e che i nostri titoli accademici sono i seguenti:

1) baccellierato canonico in teologia, rilasciato dopo 5 années, titolo di base equivalente per lo Stato a un diploma universitario di primo livello o cosiddettalaurea breve triennale”;

2) licenza specialistica, rilasciata dopo 2 O 3 années, titolo che sommato al baccellierato teologico equivale per lo Stato a un diploma di laurea magistrale;

3) dottorato di ricerca, rilasciato dopo un minimo di almeno due anni, con il quale si conferisce titolo di dottore, equivalente per lo Stato a un dottorato di ricerca, ma non sempre però, a volte è riconosciuto equipollente a un master post-laurea; al dottorato sono riconosciuti equipollenti il dottorato in teologia, in diritto canonico, in scienze bibliche, in filosofia, in storianon però tutti quegli altri nuovi rami considerati “propedeutici” o “marginali”, tra questi la spiritualità.

Après avoir clarifié tous è bene ricordare che alla prova dei fatti le due decantate lauree — peraltro inesistenti secondo i gradi e i titoli rilasciati dalle università e dagli atenei ecclesiastici — sono servite al Nostro per ottenere questi straordinari risultati:

une) incorrere in scomunica automatique per scisma (pouvez. 1364 – § 1);

b) incorrere automatique in scomunica per eresia (Cann. 1364-1365);

c) incorrere peines sententiae nella dimissione dallo stato clericale con decreto emesso personalmente dal Romano Pontefice, perché lui solo può infliggere questa pena estrema comminata solo in casi molto rari e molto gravi.

Nella rubrica “Santi e Caffè” del 4 juillet, Monsieur Sono-Due-Volte-Teologo (nom) Ho-Due-Lauree-In-Teologia (nom) ha annunciato à la ville et au monde di essersi confessato (!?).

Domanda del tutto legittima: chi lo avrebbe assolto, forse qualche suo compagno di sventura colpito anch’esso da provvedimenti canonici che vietano tassativamente al gruppetto di preti al suo seguito di celebrare la Santa Messa, predicare e amministrare confessioni? Ormai conosciamo bene la sua tecnica comunicativa: gettare una affermazione ad effetto in mezzo alle altre, facendo passare la cosa come assolutamente naturale agli occhi di quelli che lo seguono.

Senza — come scritto poc’anzi — entrare nel campo del foro interno sacramentale ed extra-sacramentale, così come nell’ambito del lavoro del sacerdote che abbia raccolto la sua confessione sacramentale, è necessario intervenire su alcune questioni delle quali lo stesso Minutella ne ha reso e ne rende ampia pubblicità.

Depuis quelques années Mister Sono-Due-Volte-Teologo (nom) Ho-Due-Lauree-In-Teologia (nom), cita in modo ossessivo compulsivo dei canoni del Codice di Diritto Canonico ai quali fa dire quello che in essi non è scritto, estrapolandoli e de-contestualizzandoli da tutto quanto l’impianto giuridico ecclesiastico, comme dans le cas de pouvez 332 § 2, al quale dedicherò prossimamente un articolo sul tema del cadeau il est né en ministère du Pontife romain.

Leggi canoniche ben chiare e precise, en particulier le pouvez. 1331 § 1 del C.I.C. du 1983 che proibisce allo excommunié:

1º di celebrare il Sacrificio dell’Eucaristia e gli altri sacramenti;

2º di ricevere i sacramenti;

3º di amministrare i sacramentali e di celebrare le altre cerimonie di culto liturgico;

4º di avere alcuna parte attiva nelle celebrazioni sopra enumerate;

5º di esercitare uffici o incarichi o ministeri o funzioni ecclesiastici;

6º di porre atti di governo.

§ 2. Se la scomunica peines sententiae fu inflitta o quella automatique fu dichiarata, il reo:

1º se vuole agire contro il disposto del § 1, nn. 1-4, deve essere allontanato o si deve interrompere l’azione liturgica, se non si opponga una causa grave;

2º pone invalidamente gli atti di governo, che a norma del § 1, n. 6, sono illeciti;

3º incorre nella proibizione di far uso dei privilegi a lui concessi in precedenza;

4º non acquisisce le retribuzioni possedute a titolo puramente ecclesiastico;

5º è inabile a conseguire uffici, incarichi, ministeri, fonctions, droits, privilegi e titoli onorifici.

A uno scomunicato che non abbia fatto ammenda dei suoi delitti contro la Chiesa e il deposito della fede è proibito ricevere i Sacramenti e se vescovo o presbitero è proibito amministrarli. Come infatti l’eretico scismatico ha dato pubblico scandalo, de même, nel caso auspicabile volesse ravvedersi e ricevere la remissione di un peccato la cui assoluzione è di per sé riservata alla Sede Apostolica (cf.. pouvez. 1354 §2; art. 52 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus), dovrà altrettanto pubblicamente abiurare i propri errori. Solo se, per reali motivi di vita e di morte non fosse possibile fare pubbliche dichiarazioni, in quel caso il confessore è autorizzato ad assolvere anche dai delitti riservati alla Sede Apostolica; dovrà però chiamare due testimoni e far ritrattare dinanzi a loro l’eretico, apostata e scismatico prima di concedergli l’assoluzione in articulo est mort.

Ai sensi delle leggi canoniche, Mister Sono-Due-Volte-Teologo (nom) Ho-Due-Lauree-In-Teologia (nom) non può quindi essere assolto né ricevere alcuna valida assoluzione se non dopo aver ritrattato le sue eresie. E, considerato che i delitti nei quali è incorso sono riservati alla Sede Apostolica, chiunque lo assolva senza sua previa ritrattazione pubblica, o perlomeno dinanzi a due testimoni in caso di reale pericolo di vita, incorrerebbe a sua volta in scomunica automatique (cf.. pouvez 969; pouvez. 1378 §2 n. 2).

Questo è ciò che stabiliscono le leggi canoniche, al contrario di quelle personali di Mister Sono-Due-Volte-Teologo (nom) Ho-Due-Lauree-In-Teologia (nom) e dei suoi compagni di sventura, inclusi gli inventori di codici anfibologici.

Velletri de Rome, 4 juillet 2024

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"Mais nous sommes légalement divorcés!». Le procès canonique de nullité matrimoniale: la phase précédant l'introduction de la brochure et le conseil technique

« MAIS NOUS SOMMES RÉGULIÈREMENT DIVORCES!». LE PROCESSUS CANONIQUE DE NULLITÉ DU MARIAGE: LA FASE PREVIA ALL’INTRODUZIONE DEL LIBELLO E LA CONSULENZA TECNICA

L'église, mère et enseignante, ainsi que dispensateur de grâce et de miséricorde, il ne m'a jamais fermé la porte au nez, hier comme aujourd'hui. Semmai sono certi cattolici, mi si passi l’espressione: tanto ottusi quanto ostinati, che si chiudono le porte in faccia da sé stessi mentre in tutti i modi gli vengono aperte dinanzi.

– Teologia e diritto canonico –

AutoreTeodoro Beccia

Auteur
Théodoro Beccia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Comme déjà expliqué plus haut ― ma vale la pena ripeterlo ― noi canonisti e pastori in cura d’anime ci ritroviamo a vivere anche situazioni così deludenti da apparire spesso disarmanti, oltre che difficili da correggere, specie per quanto riguarda i processi canonici di nullità matrimoniale. Cerchiamo di rendere l’idea: anche se il concetto è facile da comprendere, risulta difficile far capire a molte persone che i matrimoni “non si annullano”, possono solo essere “dichiarati nulli” quando ricorrono elementi e circostanze per dichiararli tali. Spiegazione dinanzi alla quale capita di sentirsi replicare: «…annullare … nulli … ma è la stessa cosa, sono solo giochi di parole dei preti!».

Affermare che matrimonio annullato e matrimonio dichiarato nullo sono la stessa cosa celata dietro giochi di parole, equivale ad affermare che andare in montagna a duemila metri di altezza sotto i ghiacciai o andare al mare sulla spiaggia a temperatura che sfiora i 40 gradi è uguale, perché sempre di una vacanza si tratta. Dinanzi a un’affermazione del genere chiunque coglierebbe immediatamente l’elemento assurdo e illogico, perché le spiagge marine sotto il sole cocente e le alture di montagna sotto i ghiacciai sono due cose sostanzialmente diverse. Nessuno ha la facoltà di “annullare” un matrimonio sacramentale, ciò che la Chiesa può fare, se ricorrono le previste circostanze, è dichiarare che il matrimonio, per quanto formalmente celebrato nel rispetto di tutte le forme esteriori richieste, era carente di uno o più elementi sostanziali che lo rendono invalido, quindi di fatto nullo. À ce moment-là, il competente Tribunale ecclesiastico, con sentenza motivata di nullità dichiara che quel matrimonio, pur se formalmente celebrato, sostanzialmente e di fatto non è proprio mai esistito.

"Mais nous sommes légalement divorcés!», ci siamo sentiti dire più volte da cattolici alquanto confusi ai quali non è facile far comprendere che un Tribunale può sciogliere i vincoli civili derivanti dal contratto matrimoniale secondo i dettami del Codice di Diritto Civile, ma con quell’atto di divorzio non si “scioglie” però il matrimonio sacramentale. Il Concordato tra l’allora Regno d’Italia e la Santa Sede (1929) e quello revisionato tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede (1984) consente che il matrimonio religioso produca i relativi effetti civili. Con un’unica cerimonia sono espletati i due distinti atti: quello religioso e quello civile, con la relativa trasmissione degli atti al Comune che provvede poi a trascrivere il matrimonio sui propri registri ai cosiddetti effetti civili.

Con la Legge del 1° dicembre 1970, n. 898 entra in vigore il divorzio in Italia. Quattro anni dopo, la 12 e 13 mai 1974 si svolse un referendum abrogativo, promosso dalla Democrazia Cristiana, in particolare dall’area facente capo ad Amintore Fanfani, con il quale si tentò di cancellare quella Legge, mais en vain, perché la maggioranza degli elettori votò contro la sua abrogazione.

In uno dei nostri vari colloqui redazionali privati, Père Ariel S.. Levi di Gualdo mi pose un quesito stimolante e provocatorio che reputo opportuno rendere pubblico:

«Come mai, dopo l’entrata in vigore di quella Legge nel 1970 e dopo la sua conferma data dagli italiani con un referendum popolare nel 1974, Paolo VI non chiese coerentemente la riforma del Concordato nella parte inerente il matrimonio? Non avevamo forse appena celebrato un grande Concilio pastorale, paragonato più volte dallo stesso Paolo VI ― forse con enfasi anche un po’ eccessiva ― al Primo Concilio di Nicea? Possibile che nessuno si sia accorto ― peraltro in anni nei quali si parlava solo di pastorale e dove tutto pareva essere unicamente e solo pastorale ― che proprio sul piano pastorale e pedagogico era ormai molto problematico far convivere assieme due atti, quello religioso e quello civile, consapevoli che la legislazione civile era in contrasto con quella religiosa in virtù della legge civile sul divorzio? Perché non abbiamo chiesto noi stessi, proprio a scanso di pastorali confusioni, di ritornare a due atti completamente separati: il matrimonio religioso in chiesa di pertinenza solo della Chiesa, il matrimonio civile in Comune di pertinenza solo dello Stato? Ou peut-être, plus simplement, non potevamo o non volevamo rinunciare a tenere a tutti i costi il piedino nel politico e nell’amministrativo?».

Un quesito apparentemente provocatorio giocato sulla iperbole, ma se inteso e letto bene, più che di provocatorio ha in sé molto di storico, giuridico e pastorale, quanto basterebbe per reclamare risposte. O non erano forse proprio i maestri della scolastica classica che pur di stimolare la speculazione e il ragionamento ricorrevano non solo a discorsi provocatori, ma persino a figure retoriche volutamente assurde? Oggi che invece si è pronti a sentirsi colpiti e offesi di tutto e per tutto, se non peggio spaventati di tutto e per tutto, questa antica sapienza rischia di finire completamente perduta, ed è la sapienza di Anselmo d’Aosta, Alberto Magno, Thomas d'Aquin … Dommage, perché questa sapienza, basata essenzialmente e imprescindibilmente sul senso critico, ha generato nei secoli Santi Padri e dottori della Chiesa, scuole teologiche e solidi criteri formativi alla vita sacerdotale e religiosa.

In questo articolo ci soffermeremo sulla fase del procedimento canonico di nullità matrimoniale che precede l’introduzione del libello, ossia il documento introduttivo necessario all’avvio del processo stesso. Titolare di questa prima fase, ai sensi del can. 1674 § 11, possono essere entrambi i coniugi, uno solo di essi, oppure il promotore di giustizia, ma solo «quando la nullità sia già stata divulgata» («cum nullitas iam divulgata est») e non si possa convalidare il matrimonio o non sia opportuno si matrimonium convalidari nequeat aut non expediat»). Per inciso ricordiamo che il promotore di giustizia è una figura processuale che nell’ordinamento canonico svolge quelle che sono le equivalenti funzioni di un pubblico ministero.

Poniamo quindi l’attenzione ai casi in cui l’iniziativa della fase previa sia assunta congiuntamente dai due coniugi o da uno due: d’intesa con l’altro coniuge o del tutto autonomamente, nell’impossibilità di contattare l’altro o nella sua indifferenza o ancora contro la sua volontà. La scelta di limitare l’attenzione a questa situazione si motiva non solo per il fatto che è certamente la fattispecie più comune ma perché il punto delicato della fase previa all’introduzione del libello è proprio quello che colui (o coloro) a cui compete, possa essere in grado di discernere quando sia opportuno introdurre una causa di nullità e giungere sino alla definizione di una simile volontà con un grado di precisione tale che possa poi essere tradotto nel libello. Mentre i requisiti per conseguire queste finalità sono facilmente accessibili al promotore di giustizia (per competenza propria, pouvez. 1435, e per la possibilità di disporre del sostegno della struttura del tribunale), sono normalmente carenti (salvo il caso del tutto eccezionale in cui i coniugi o uno di essi siano competenti in ambito canonico) nel coniuge. Il non affrontare questa difficoltà potrebbe comportare una negazione di fatto della possibilità stessa di dare avvio a una causa di nullità, a detrimento del diritto dei fedeli di ricorrere al foro ecclesiastico di cui tratta il can. 221 § 1 qui récite:

«Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto».

Le valutazioni e le scelte a cui il coniuge è chiamato, nella fase che precede il libello, sono del resto particolarmente rilevanti e complesse da attuare e possono essere così compendiate:

ripercorrere la propria vicenda sentimentale e coniugale, con verità (non basta la coerenza del giudizio logico, si pensi ad esempio ai casi implicanti la fattispecie di cui al pouvez. 1095, 2°-3°) e una certa terzietà, per farne emergere gli snodi problematici (che non sono solo quelli che hanno condotto al fallimento della vita coniugale, essendo i motivi di nullità talvolta afferenti a cause per sé estrinseche alla qualità della vita di coppia);

acquisire una consapevolezza adeguatamente motivata dell’impossibilità di superare i motivi di contrasto insorti nella vita coniugale e, nel caso in cui sia già stata assunta la scelta della separazione (o persino del divorzio), confrontarne la coerenza con i principi stabiliti dall’insegnamento morale della Chiesa e dal diritto canonico (cf.. Cann. 1151-1155);

verificare, nel confronto con un esperto, la propria attitudine ad agire come parte attrice in una causa di nullità (cf.. pouvez. 1476 e can. 1478);

verificare, sempre nel confronto con un esperto, se uno o più dei nodi problematici individuati possano rientrare in uno dei capi di nullità previsti dall’ordinamento canonico o se non vi siano altri nodi problematici sfuggiti alla prima disamina ma che emergano dalla migliore conoscenza della legge della Chiesa (ad esempio l’assistenza alle nozze da parte di un ministro sprovvisto di valida delega, pouvez. 1111 e can. 144) o ancora se non vi siano elementi che non comportino la nullità ma aprono alla possibilità di chiedere lo scioglimento del vincolo per inconsumazione o per favor fidei;

nel caso in cui vi siano elementi di possibile nullità, definirli con accuratezza e attribuirne la responsabilità;

definire una ricostruzione organica ed ordinata della vicenda in cui emergano gli elementi di possibile nullità e verificare la possibilità di provare adeguatamente quanto asserito, possibilmente acquisendo già gli elementi di prova accessibili e indicando quelli la cui acquisizione dovrà essere chiesta al tribunale;

se non è ancora stato fatto, coinvolgere l’altro coniuge o quantomeno individuare gli elementi per la sua reperibilità;

individuare il foro ecclesiastico competente cui rivolgersi;

individuare la forma processuale da scegliere: processo breve, processo ordinario o processo documentale;

in una qualsiasi delle fasi sinora considerate o, se non è stato fatto prima, a conclusione delle azioni precedenti, individuare un patrono che possa assistere il coniuge come attore (o i due coniugi, se agiscono congiuntamente) nel corso del procedimento canonico (salvo il caso in cui la parte voglia chiedere di essere autorizzata a stare in giudizio da sola, come prevede il can. 1481 §3).

Tutti questi articolati adempimenti devono essere ovviamente soddisfatti al momento della introduzione del libello. L’onerosità degli adempimenti cui un coniuge deve sottoporsi nel momento in cui intende chiedere alla Chiesa una verifica della nullità del proprio matrimonio è pertanto davvero notevole. Ci si può chiedere in questo senso se non ci sia una sproporzione esagerata tra il numero (purtroppo ancora molto elevato) di divorzi (almeno nel mondo occidentale) e il numero comunque molto esile delle cause canoniche di nullità introdotte (numero che resta decisamente ridotto anche se considerassimo pure gli scioglimenti). Ovviamente questo aspetto deve essere considerato con una certa cautela, senza cadere in conclusioni superficiali dedotte dalla semplice sproporzione numerica tra i due dati: si consideri a questo proposito che non tutti i matrimoni (già di per sé numericamente limitati, essendo ad esempio il tasso di nuzialità in Italia quello di 2,2-2,3 matrimoni annui per mille abitanti: la metà di quello europeo, a sua volta comunque modesto rispetto ad altre parti del mondo) sono canonici, non tutti i matrimoni canonici che finiscono nella separazione o nel divorzio sono per ciò stesso nulli e non tutti coloro che hanno contratto un matrimonio nullo hanno interesse a una causa di nullità, perché non hanno l’interesse o la forza per realizzare una nuova unione o perché per vari motivi non sono interessati a un giudizio oggettivo sull’esperienza passata.

Nonostante tali osservazioni, è un dato di fatto che i fedeli si trovano in grande difficoltà quando si trovano a valutare se sia il caso di chiedere un giudizio di nullità sul proprio matrimonio e di questo fanno fede le numerose risposte raccolte dalle conferenze episcopali ― ma anche da altri soggetti ecclesiali che sono stati coinvolti nella consultazione ― in occasione dei due Sinodi dei Vescovi sulla famiglia: quello straordinario del 2014 e quello ordinario del 2015. In particolare i dati raccolti nella consultazione hanno messo in luce, prima ancora della difficoltà ad espletare tutti gli adempimenti necessari, una marcata e diffusa diffidenza dei fedeli verso i Tribunali ecclesiastici, che porta alla scelta di rifiutarne previamente l’apporto. Diversi gli aspetti di questa diffidenza:

il costo eccessivo attribuito a tali procedimenti: sebbene perlopiù si tratta di oneri ben minori ad altri procedimenti giudiziali e alcuni paesi prevedono da tempo forme significative di sostegno economico, questa continua ad essere la convinzione comune;

il convincimento che si tratti di processi molto lunghi e faticosi (purtroppo in non pochi casi non si tratta solo di un’impressione, anche se questo non vale per tutti i processi e per tutte le sedi);

l’impressione che si tratti di strutture molto fredde e lontane dall’esperienza dei fedeli, rafforzata talvolta dal fatto che la stessa sede del tribunale è geograficamente distante (e non tutti i paesi hanno la stessa agibilità negli spostamenti);

la difficoltà psicologica nel pensare di affidare la rilettura della propria vita a persone terze e pensate come potenzialmente poco rispettose del singolo (in questo l’esperienza di alcuni tribunali civili appare talvolta pregiudizievole);

il convincimento (a volte eccessivo e fuori luogo) che i tribunali ecclesiastici siano arbitrari nel loro agire e ultimamente compromessi con interessi di natura economica.

I giudizi malevoli appena esposti e le difficoltà operative precedentemente ricordate si assommano alfine nell’allontanare i fedeli dai tribunali ecclesiastici e nel fare apparire a molti come difficilmente percorribile la via della richiesta di verifica di nullità del proprio matrimonio. L’opera di molti avvocati e patroni ― tra i quali in modo speciale i patroni stabili ― è stata ed è indubbiamente di supporto nel superare tali difficoltà, affiancandosi al fedele e sciogliendo i suoi dubbi e le sue precomprensioni ma questo non è sufficiente, sia perché anche queste figure ricadono in alcuni dei pregiudizi sopra rammentati ― gli avvocati ecclesiastici spesso non sono conosciuti o sono temuti per l’onorario che possono richiedere e che molti ritengono pregiudizialmente esagerato, anche se in alcuni paesi, comme en Italie, esistono criteri ben precisi di limitazione previa delle spese (cf.. Mitis Iudex Dominus Iesus, NOUS) ―, sia perché in ogni caso non rispondono all’obiettivo di rendere disponibile il fedele incerto e dubbioso a una lettura in sede giudiziaria della propria vicenda. Ne deriva pertanto il dovere di delineare qualche passo ulteriore in favore di un più libero e sereno approccio dei fedeli al giudizio ecclesiastico, come infatti già ricordava Benedetto XVI:

«[...] è un obbligo grave quello di rendere l’operato istituzionale della Chiesa nei tribunali sempre più vicino ai fedeli».

La consulenza previa si articola su tre possibili livelli:

  1. Informazione generica sullo svolgimento del processo, costi, tempistiche, tribunali competenti, centri o persone deputate a una consulenza pregiudiziale, patroni stabili e avvocati cui rivolgersi per una consulenza specifica;
  2. Ascolto più approfondito della vicenda, con un confronto su aspetti anche morali o spirituali, rinviando a centri o persone deputate la consulenza più specifica;
  3. Indagine previa in cui l’indagine pastorale raccoglie gli elementi utili per l’eventuale introduzione della causa da parte dei coniugi o del loro patrono davanti al tribunale competente. Si indaghi se le parti sono d’accordo nel chiedere la nullità. Raccolti tutti gli elementi, l’indagine si chiude con il libello, da presentare, se del caso, al competente tribunale.

Caratteristiche dell’indagine previa:

1) avere lo stile essenziale di ascolto e di accompagnamento;

2) aiutare il fedele a comprendere la sua concreta situazione;

3) aiutare il fedele a ripercorrere il vissuto proprio e quello dell’altro coniuge, cercando di superare i convincimenti personali che non agevolano una lettura il più possibile obiettiva della vicenda, aiutandolo così anche a percorrere la via caritatis indicata dalla esortazione apostolica post sinodale (cf.. La joie de l'amour n. 306);

4) far comprendere meglio il procedimento canonico e le difficoltà che la persona può incontrare nell’intenderne correttamente lo sviluppo;

5) giungere eventualmente alla preparazione del libello, introducendo la causa di nullità.

6) È possibile/opportuno che un giudice del Tribunale faccia un servizio di consulenza? Quanto si riferisce al giudice può essere riferito, con i dovuti adattamenti, al difensore del vincolo, all’uditore, al patrono stabile. Per quanto riguarda l’avvocato, la possibile problematica potrebbe riguardare la sua identificazione tra figura professionale e colui che sembra essere designato “ufficialmente” per seguire le cause di nullità del matrimonio.

Indagine pastorale propriamente detta.

Come segnala in un certo senso già l’art. 1 RP l’indagine pregiudiziale rientra evidentemente in quella sollecitudine pastorale verso i fedeli in difficoltà che il Vescovo diocesano è chiamato a esercitare in forza del can. 383 § 1 (espressamente richiamato dall’art. 1 RP, che però riferisce la norma al Vescovo in generale). Tale sollecitudine rientra anche tra i compiti che il diritto canonico specificatamente riferisce ai parroci nel richiamato can. 529 §1, laddove si ricordano le modalità di esercizio della cura d’anime[1]. In questa fase emergono maggiori aspetti problematici, che rendono difficile ipotizzare una indagine pastorale affidata a un giudice del tribunale (anche se questo pone la questione di riuscire a formare più persone per un servizio qualificato). A tale scopo, fin dall’entrata in vigore del Motu proprio Mitis Judex Dominus Jesus con il quale il Santo Padre Francesco introduceva, per le cause di nullità matrimoniale, la formula del “processo breve”, furono a suo tempo individuati, sulla base delle note attuative, le figure dei parroci come interlocutori principali dell’indagine previa all’introduzione del processo di nullità del matrimonio canonico. A tal proposito si è stabilito che il percorso per la procedura della dichiarazione di nullità del matrimonio alla luce del Motu proprio Mitis Iudex Dominus Jesus du 15 août 2015, riguardante la riforma dei processi di nullità matrimoniali preveda due fasi preliminari:

  1. Dopo che il/la richiedente ha contattato e ha avuto un primo colloquio con il parroco di residenza, quest’ultimo chieda appuntamento al consulente legale del Tribunale diocesano che, accertata la fondatezza della domanda ma soprattutto la volontà di iniziare un processo di nullità, preparerà il libello da presentare al Vicario Giudiziale. Allo stesso consulente, la/le parti potranno consegnare la griglia informativa precedentemente compilata dal Parroco.
  2. Il Vicario Giudiziale dopo aver esaminato la situazione potrà ammettere il libello attraverso la forma del Processus brevior (pouvez. 1683-1687) ou, attraverso la forma del Processo ordinario[2], indirizzare il procedimento giudiziale presso un tribunale collegiale di prima istanza.

A coloro che sostengono «…ma noi siamo regolarmente divorziati!», come sin qui spiegato la Chiesa, mère et enseignante, ainsi que dispensateur de grâce et de miséricorde, il ne m'a jamais fermé la porte au nez, hier comme aujourd'hui. Semmai sono certi cattolici, mi si passi l’espressione: tanto ottusi quanto ostinati, che si chiudono le porte in faccia da sé stessi mentre in tutti i modi gli vengono aperte dinanzi. Oggi poi, con i réseaux sociaux, ai quali numerosi attingono come a fonte di indiscussa verità, il nostro ministero si è ulteriormente complicato, très! E come più volte è stato spiegato sulle colonne di questa nostra Isola di Patmos, quando il cattolico-tipo al quale tu cerchi in ogni modo di spiegare, per tutta risposta ti replica, o meglio ti smentisce proprio affermando: «… non è così perché su internet ho letto che …», a quel punto rischia di risuonare nelle nostre orecchie il tremendo monito che Dante e Virgilio lessero sulla porta dell’Inferno:

«Lasciate ogni speranza o voi che entrate».

Velletri de Rome, 18 juin 2024

 

 

REMARQUE

[1] Voir. Costantino-M. Fabris: Indagine pregiudiziale o indagine pastorale nel motu proprio Mitis Judex Dominus Jesus. Novità normative e profili problematici, dans: Jus ecclesiae, XXVIII, 2016, pp. 479-504.

[2] Per approfondire la questione: Zambon, UNE, L’indagine previa e il processo di nullità del matrimonio, Turin, 24 février 2024, Inaugurazione dell’anno giudiziario.

 

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Ne jetons pas le bébé avec l'eau du bain: l'institution du parrain dans les sacrements du baptême et de la confirmation

NOUS NE JETONS PAS LE BÉBÉ AVEC L'EAU SALE: L’ISTITUTO DEL PADRINO NEI SACRAMENTI DEL BATTESIMO E DELLA CONFERMAZIONE

Vista la situazione attuale, Je crois que dans la pratique pastorale, il vaudrait la peine de redoubler d'efforts pour redonner dignité et valeur à la figure du parrain, tenuto conto della sua funzione pedagogica ma, ancor prima, della connotazione tipicamente ecclesiale della sua presenza.

– Teologia e diritto canonico –

AutoreTeodoro Beccia

Auteur
Théodoro Beccia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L’istituzione dei padrini risale alla Chiesa primitiva, quando venne imposto il dovere di battezzare i bambini, mais, probablement, all’inizio i bambini venivano presentati direttamente dai genitori. Tertulliano fa riferimento agli sponsores o garanti, ma i termini usati in epoca antica sono diversi e molto evocativi: susceptores, gestantes, Fideiussores, protestants che assistono al battesimo dei bambini (cf.. De Baptismo, 18, 11, dans PL je, 1221). L’esigenza dei padrini era forse correlata con il battesimo concepito come nuova nascita, che perciò esigeva nuovi padri.

In continuità con questa linea di riflessione, più tardi San Tommaso ricorderà che la rigenerazione spirituale operata dal battesimo assomiglia a quella carnale e, come in questa il bambino ha bisogno di una nutrice e di un pedagogo, così in quella spirituale c’è bisogno di qualcuno che lo istruisca nella fede e nella vita cristiana (Summa Th. III, q. 67, une. 7). L’istituto, o ministero del padrino, appare certamente in rapporto con il catecumenato degli adulti. Tenuto conto della situazione in cui si trovano i cristiani durante la persecuzione da parte dell’impero romano, onde evitare che nelle comunità penetrasse qualche intruso, si esigeva che il candidato al battesimo fosse presentato da qualche fedele conosciuto, il quale garantisse la serietà delle sue intenzioni e lo accompagnasse durante il catecumenato e il conferimento del Sacramento, come pure ne curasse in seguito la fedeltà all’impegno preso.

Venendo ai nostri giorni, spesso ormai i sacerdoti in cura d’anime si trovano in difficoltà quando debbono affrontare la questione della scelta dei padrini. La casistica è molto varia. Vi sono genitori che per non far torto a nessun parente vorrebbero fare a meno dei padrini in occasione del Battesimo o della Cresima dei figli. Talvolta ci si trova invece di fronte alla proposta di padrini che sono in una situazione “irregolare” e che quindi non possono essere ammessi. Aussi, con l’intenso fenomeno migratorio che caratterizza la nostra epoca, capita anche di vedersi formulata la richiesta di accettare come padrino o madrina fedeli appartenenti a Chiese o a Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa Cattolica, con l’eccezione delle Chiese ortodosse (cf.. pouvez. 685 § 3 del Codice orientale, Cceo et alia).

Tutto ciò conduce a porsi qualche domanda: sono proprio necessari i padrini e ha senso continuare a richiederne la presenza, visto che il loro ufficio sovente è divenuto una “menzogna liturgica” come l’ha chiamata qualcuno? Qual è la loro funzione? Quali sono i requisiti per essere ammessi a quest’incarico?

I padrini sono necessari? Cerchiamo di dare una risposta a questo interrogativo attraverso la normativa del Codice di diritto canonico, che tratta del padrino (o madrina) del battesimo ai cann. 872-874 e del padrino (o madrina) della cresima ai cann. 892-893. Sia il can. 872 che il can. 892, in riferimento all’obbligo di dare al battezzando o al cresimando un padrino, usano la stessa espressione: quantum fieri potest (autant que possible,): la norma non è tassativa o precettiva, come del resto non lo era nel Codice precedente del 1917, ma non deve essere neppure ritenuta meramente facoltativa.

Per quanto riguarda il Battesimo, le ragioni della presenza sono appropriatamente indicate in un breve ma denso passaggio dell’Introduzione generale del Rito del battesimo dei bambini (cf.. 8) e del Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti (cf.. 8):

«Il padrino amplia in senso spirituale la famiglia del battezzando e rappresenta la Chiesa nel suo compito di madre».

La sua funzione, donc, non è soltanto liturgica ― né tanto meno può ridursi a una presenza meramente coreografica ― ma anche pedagogica, come ricorda il can. 872 §1, ce, oltre al compito di assistere il battezzando adulto e presentare il battezzando infante, richiama alla cooperazione affinché il figlioccio conduca una vita cristiana conforme al Sacramento e adempia fedelmente gli obblighi ad esso inerenti.

Un’efficace descrizione del compito del padrino, nel caso del battesimo di un adulto, ma che ci suggerisce criteri di giudizio applicabili per analogia anche ai padrini dei neonati, è indicata al n. 43 du Présentation dans al Rito della Iniziazione Cristiana degli Adulti:

«Il padrino, scelto dal catecumeno per il suo esempio, per le sue doti e la sua amicizia, delegato dalla comunità cristiana locale ed approvato dal sacerdote, accompagna il candidato nel giorno dell’elezione, nella celebrazione dei sacramenti e nella mistagogia. È suo compito mostrare con amichevole familiarità al catecumeno la pratica del Vangelo nella vita individuale e sociale, soccorrerlo nei dubbi e nelle ansietà, rendergli testimonianza e prendersi cura dello sviluppo della sua vita battesimale. Scelto già prima della “elezione”, quando rende testimonianza del catecumeno davanti alla comunità; il suo ufficio conserva tutta la sua importanza anche quando il neofita, ricevuti i Sacramenti, ha ancora bisogno di aiuto e di sostegno per rimanere fedele alle promesse del Battesimo».

Même pour la confirmation, a esigere la presenza del padrino non è la celebrazione in quanto tale, ma la formazione cristiana del cresimando, come ricorda il can. 892, che si riferisce alla duplice funzione di provvedere che il confermato si comporti come vero testimone di Cristo e adempia fedelmente gli obblighi inerenti allo stesso Sacramento (pouvez. 892). Non quindi una mera comparsa ornamentale accanto al cresimando al momento della celebrazione, ma un ministero che si fonda nel Sacramento e che chiede anche al padrino continuità di presenza spirituale, come consigliere e guida chiamato alla responsabilità educativa nei confronti di un fratello, il quale deve esprimere nella fede e nelle opere la maturità ricevuta in dono e da acquisire esistenzialmente.

L’indicazione del Codice si orienta quindi non per scelte minimali, ma per una pastorale da rinnovare. Al di fuori dei casi straordinari il padrino della Cresima deve esserci (voir, à ce sujet, una risposta della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti (cf.. Notitiae 11 [1975], pp. 61-62).

I requisiti. Il can. 874 si incarica di presentare i requisiti necessari per essere ammesso all’ufficio di padrino/madrina sia di battesimo che di Cresima (cf.. pouvez. 893 § 1). Limitiamoci qui a focalizzare soltanto alcuni punti, a partire dalla legislazione pregressa:

1) per entrambi i Sacramenti, il padrino deve aver ricevuto tutti e tre i Sacramenti dell’iniziazione (a significare l’intima unione tra di essi), non soltanto quello per il quale funge da padrino;

2) il can. 893§ 2 ricorda l’opportunità (expedit) che il padrino della cresima sia il medesimo del battesimo (per sottolineare il profondo nesso tra i due Sacramenti), mentre in precedenza ciò era proibito;

3) non è più prescritto il padrino dello stesso sesso del battezzando/cresimando;

4) non esiste più la proibizione ai chierici e ai religiosi/e di fungere da padrini e madrine, senza espressa licenza dell’ordinario o del superiore almeno locale. Tuttavia gli istituti religiosi potrebbero stabilire norme proprie.

5) Per quanto concerne l’età (16 années), con legge particolare il vescovo ne può fissare una diversa, ma anche il parroco o il ministro, per giusta causa, possono introdurre l’eccezione, tenendo conto di un criterio piuttosto ampio ma che mai dovrebbe oscurare la ragione ecclesiologica motivante la presenza del padrino.

6) Il padrino sia un fedele cattolico. Il motivo di questa apparente “restrizione ecumenica” è da ricercare non solo nel pericolo dell’indifferentismo, da cui ha messo in guardia lo stesso Concilio (cf.. Ad Gentes 15 e Orientalium Ecclesiarum 26), ma ancor più nel valore ecclesiale del cadeau di padrino: ex natura rei non si può rappresentare una comunità ecclesiale con cui non si sia in piena comunione, né tanto meno esprimerne la fede. In questa prospettiva, la disposizione codiciale risulta coerente con la coscienza che la Chiesa ha della propria identità, e quindi è anche profondamente ecumenica. Cela étant le cas, sono esclusi dall’incarico di padrini gli appartenenti a comunità ecclesiali separate dalla Chiesa Cattolica, i quali possono fungere da testimoni insieme a un padrino cattolico.

Per quanto riguarda invece gli “ortodossi”, uniti a noi da strettissimi vincoli (UR 15) il can. 685 § 3 del Codice orientale (Cceo) ammette che un loro fedele possa assolvere l’incarico di padrino, ma sempre assieme a un padrino cattolico. Nel battesimo di un cattolico, in forza della stretta comunione esistente tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Orientali Ortodosse, è consentito quindi, per un valido motivo, ammettere un fedele orientale con il ruolo di padrino congiuntamente a un padrino cattolico (o una madrina), a condizione che sia riconosciuta l’idoneità del padrino. Tuttavia l’educazione cristiana competerà in primo luogo al padrino cattolico, in quanto rappresenta la comunità cristiana ed è garante della fede e del desiderio di comunione ecclesiale del battezzato e/o dei suoi genitori (cf.. Vademecum per la Pastorale delle Parrocchie Cattoliche Verso gli Orientali non Cattolici, Cei, n. 16).

Anche gli altri requisiti indicati dal can. 874 § 1, 3° sono assai qualificanti per definire il profilo del padrino. Doverosamente rispettati, incidono profondamente sia sulla designazione della persona, sia sul modo di intendere l’incarico.

Spetta alla legislazione particolare determinare che cosa significhi “condurre una vita conforme alla fede”: ambienti e situazioni diverse comportano determinazioni diverse. La casistica è quanto mai ampia: si va da tutto il ventaglio di possibilità relative a chi si trova in situazione matrimoniale irregolare, a chi fa professione di ateismo e agnosticismo; da chi è dedito ad arti magiche a chi è notoriamente membro di una setta, di un’associazione che trama contro la Chiesa Cattolica (cf.. pouvez. 1374: così ad esempio la Massoneria), o risulta appartenere a qualche gruppo criminale (come la Mafia, la N’drangheta, la Camorra o altri gruppi criminali di stampo mafioso).

Enfin, contro la prassi di sostituire i padrini con i genitori, priva di fondamento e giustificazione, si ricorda (pouvez 874, § 1,5) che né padre né madre possono fungere da padrini, poiché sarebbe assurdo pensare ai genitori come aiutanti di sé stessi in qualità di padrini dei loro figli. A proposito del numero, il can. 873 afferma che è sufficiente un solo padrino, mentre nel caso siano due, devono essere di sesso diverso. Il can. 892, che tratta del padrino della confermazione, prescrive invece un solo padrino o madrina.

Il ruolo del testimone: non si può dimenticare che tra i compiti del padrino vi è anche quello di provare l’avvenuta celebrazione del Battesimo o della Cresima. A tale funzione fa riferimento il can. 875: esso introduce la figura di témoin del battesimo che, a differenza di quella del padrino, non è sottoposta a nessuna condizione e svolge un ruolo simile a quello dei testimoni del matrimonio (cf.. pouvez. 1108 §2) sia pure senza essere, comme dans ce cas, un d validitatem. Al fine di ottenere un consenso matrimoniale valido, un d validitatem occorre la presenza concomitante di due testimoni, l’assistente come teste qualificato e il valido consenso dei nubendi. Nel caso del Battesimo o della Cresima il testimone ha il compito solo di attestare l’avvenuto conferimento, dunque non occorre per la validità del Sacramento (cf.. Cann. 875-877). Di conseguenza la figura del testimone non è sottoposta a nessuna condizione. L’unico requisito richiesto è che la persona scelta come testimone sia fornito di uso di ragione e che sia capace di testimoniare.

Viene così offerta la possibilità di far fronte ad alcune situazioni particolari in cui la persona scelta non potrebbe altrimenti ricoprire l’incarico di padrino: così ad esempio nel caso di un fedele appartenente a una Comunità ecclesiale protestante (cf.. pouvez. 874 §2), oppure sia convivente, divorziato risposato o in altra situazione matrimoniale irregolare, ovvero si dichiari agnostico o ateo, o abbia formalmente e pubblicamente abbandonato la fede cattolica tramite il cosiddetto “sbattezzo”. Trattandosi di una soluzione che potenzialmente può generare ambiguità, malintesi e interpretazioni fuorvianti, essa dovrà essere adottata con prudenza e cautela, pendant, d'autre part, sarà necessario spiegare con assoluta chiarezza che il testimone di battesimo non è in nessun modo “una specie di padrino”, ma una figura completamente diversa.

Il documento della CEI Incontriamo Gesù, du 29 juin 2014, Etats:

«Si demanda alle Conferenze episcopali regionali il discernimento in materia e la valutazione dell’opportunità pastorale di affiancare – solo come testimoni del rito sacramentale – quelle persone indicate dalla famiglia che, pur non avendo requisiti prescritti, esprimono pur sempre una positiva vicinanza parentale, affettiva ed educativa».

UNE tal proposito si possono reperire in rete diversi pronunciamenti in merito. Citiamo ad esempio quanto statuito della Conferenza Episcopale Sarda e della Diocesi di Aosta. Donc, le plus loin possible, occorre dare una formazione ai Padrini\Testimoni per accompagnare i Battezzati nella scelta di vita cristiana, fatta salva la libertà del Testimone il quale non può essere obbligato a condividere o abbracciare tale scelta di vita.

L’utilità della figura del Testimone è meramente giuridica ovvero risponde alla necessità di attestazione dell’avvenuto conferimento del Battesimo o della Cresima. Dal punto di vista pastorale il documento la presenta anche come una possibile soluzione per venire incontro a quelle situazioni di incompatibilità dei requisiti dovuti per il ruolo di padrino.

L’età del testimone del Battesimo o della Cresima non viene specificata come nel caso del Matrimonio, dove è richiesta la maggiore età, o nel caso dei padrini dove è richiesta l’età dei 16 années. A rigor di logica per l’età del Testimone potrebbe essere applicato come criterio la valutazione del Parroco o del Vescovo Diocesano, come nel caso dei Padrini can. 847 §1 n.2. Durante la celebrazione, differentemente dal Padrino e dalla Madrina, al Testimone non deve essere data alcuna attiva partecipazione poiché il loro ruolo è unicamente quello di garanti per l’attestazione dell’avvenuto conferimento del Sacramento. Ogni Vescovo diocesano potrà dare ulteriori disposizioni nel merito del contesto celebrativo

Per ciò che concerne la registrazione dell’atto di Battesimo nel registro parrocchiale occorre sottolineare che, nel caso del testimone di un Battesimo previsto dal can. 874 §2, dovranno essere annotati il nome e cognome del testimone e le generalità come prevede il can. 877 [5].

Il problema del certificato. Il Codice di Diritto Canonico, nei canoni dedicati al padrino del battesimo e della confermazione, non menziona mai la necessità di produrre, da parte del padrino, o del parroco, di un qualsiasi tipo di certificato / attestato / autocertificazione. Ci troviamo di fronte ad un caso nel quale la prassi ormai ha assunto un significato praeter legem, spesso legato al fatto che il sacerdote in cura d’anime non ha piena contezza per stabilire l’ammissibilità di una persona all’ufficio di padrino, perché non lo conosce, proviene da un’altra parrocchia spesso lontana ecc. etc…

“Canonizzando” l’ordinamento civile, possiamo osservare come già in diverse diocesi e parrocchie, il “certificato di idoneità” è stato sostituito con una “autocertificazione di idoneità”. Ma vediamo che cos’è la autocertificazione: la legge civile ha introdotto la possibilità di fornire alla Pubblica Amministrazione ed ai privati una dichiarazione resa e firmata da un cittadino che sostituisce in modo completo e definitivo alcune certificazioni amministrative. Ecco perché si chiama anche «dichiarazione sostitutiva». ET, donc, un modo per evitare burocrazia e inutili perdite di tempo, soprattutto quando si sceglie di fare l’autocertificazione en ligne. In base alla legge, gli uffici pubblici sono obbligati ad accettare l’autocertificazione per le pratiche previste. Sinon, incorrerebbero nella violazione dei doveri d’ufficio. Diverso il discorso per quanto riguarda i privati: l’accettare o meno questa dichiarazione resta per loro un fatto discrezionale. Donc, l’autocertificazione ha lo stesso valore legale e amministrativo del certificato o dell’atto che sostituisce. Purché si dica il vero: se i dati contenuti nell’autocertificazione si rivelano falsi, l’interessato perde ogni beneficio.

L’autocertificazione, essendo una dichiarazione resa personalmente dall’interessato potrebbe rivelarsi, qualora recepita nella legislazione locale della diocesi, una sostanziale semplificazione del lavoro per i sacerdoti in cura d’anime: l’interessato potrà dichiarare egli stesso l’esistenza dei requisiti previsti per l’accesso all’ufficio di padrino e impegnarsi in questo senso di fronte alla Chiesa direttamente davanti al parroco che dovrà amministrare il Sacramento, senza richiedere al parroco di residenza un certificato che spesso lo stesso parroco non potrebbe rilasciare proprio per i motivi suesposti, e cioè l’impossibilità per il sacerdote di poter certificare una situazione di cui potrebbe non essere a conoscenza per tutta una serie di motivi che ben conosciamo.

Vista la situazione attuale, Je crois que dans la pratique pastorale, il vaudrait la peine de redoubler d'efforts pour redonner dignité et valeur à la figure du parrain, tenuto conto della sua funzione pedagogica ma, ancor prima, della connotazione tipicamente ecclesiale della sua presenza. Non ci si può nascondere che le deviazioni del passato pesano sulla figura del padrino, ma ciò non può giustificare la reazione emotiva né di chi la ritiene ormai inutile, né di chi accede facilmente alla comoda soluzione di non urgere la presenza dei padrini, perché non ne trova di idonei. Se non ve ne sono, vanno formati, mediante appropriati percorsi che valorizzino questo ufficio, il quale ha le caratteristiche e la dignità di un vero e proprio ministero laicale (cf.. le lay 23).

Tra le varie proposte, vi è chi suggerisce di impegnare i padrini a vegliare, sia pure discretamente, sulla formazione dei figliocci, avvertendo il parroco su deficienze e deviazioni, in modo da provvedere, nell’ambito delle possibilità e dei limiti, per un ritorno al bene. Qualcun altro, puis, ritiene che essi potrebbero essere investiti del compito di prendersi cura del figlioccio in caso di orfanezza precoce. Forse un richiamo a quella parentela spirituale che, de facto, viene a instaurarsi tra padrino e figlioccio, e alla quale il Codice del 1917, riconoscendone l’elevato valore sacramentale e pastorale, connetteva un impedimento matrimoniale, oggi non più in vigore nel codice latino ma pienamente compreso e recepito come dirimente del matrimonio dal Codice dei canoni delle Chiese Orientali.

 

Velletri de Rome, 11 novembre 2023

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Mariage religieux annulé ou invalide? La réforme du processus matrimonial canonique

MARIAGE RELIGIEUX ANNULÉ OU NUL? LA RIFORMA DEL PROCESSO MATRIMONIALE CANONICO

Siamo proprio sicuri che «solo i ricchi possono permettersi di rivolgersi a Roma presso il Tribunale della Sacra Rota per farsi annuler i matrimoni e sposarsi nuovamente in chiesa»?

– Teologia e diritto canonico –

AutoreTeodoro Beccia

Auteur
Théodoro Beccia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Chi si dedica alla cura delle anime, spesso è costretto a leggere sui vari blog dei sapienti tuttologi, oppure a udire direttamente dalla viva voce di certi fedeli ingenui o male informati affermazioni di questo genere: «Solo i ricchi possono permettersi di rivolgersi a Roma presso il Tribunale della Sacra Rota per farsi annuler i matrimoni e sposarsi nuovamente in chiesa».

Un matrimonio, sia quello contratto tra due ricchi sia quello contratto tra due poveri, nessuno ha il potere di annullarlo, perché i Sacramenti non sono beni disponibili e meno che mai annullabili. Se i soldi fossero bastati per annullare il matrimonio di un ricco, la Chiesa si sarebbe risparmiata lo scisma inglese del 1533, originato da Enrico VIII che lasciò la consorte Caterina per unirsi in matrimonio ad Anna Bolena. In tal caso non avremo avuto nemmeno un celebre Santo martire, Thomas Plus, condannato a morte per avere dichiarato illecito l’atto di supremazia esercitato dal sovrano sulla Chiesa Cattolica d’Inghilterra, che produsse appunto uno scisma, proprio perché nessuno aveva la potestà per poter annullare un Sacramento.

Un matrimonio può essere dichiarato nullo, non annullato, dichiarare infatti la nullità è cosa totalmente diversa da annuler. A verificare se sussistono gli elementi di nullità matrimoniale non è la “costosa” Sacra Rota Romana indicata come “tribunale per i ricchi”, ma i tribunali ecclesiastici diocesani. Il Tribunale della Sacra Rota è uno dei tre organismi giudiziari della Santa Sede e ha sede presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, che nel sistema giuridico ecclesiastico equivale alla Suprema Corte di Cassazione del nostro sistema giuridico italiano:

«La Segnatura Apostolica, quale Tribunale amministrativo per la Curia Romana, giudica i ricorsi contro atti amministrativi singolari, sia posti dai Dicasteri e dalla Segreteria di Stato che da essi approvati, tutte le volte che si discuta se l’atto impugnato abbia violato una qualche legge, nel deliberare o nel procedere» [voir QUI].

Affermare che «i matrimoni vengono sciolti dalla Rota» equivarrebbe a dire che una causa, anziché presso il tribunale ordinario (première année) o il tribunale di appello (deuxième degré) sia discussa direttamente presso la Suprema Corte di Cassazione (!?).

Molti fedeli cattolici uniti in sacro vincolo matrimoniale, vuoi per superficialità vuoi per ignoranza, non si sono mai premurati di rivolgersi ai parroci o direttamente ai vescovi per rappresentare le situazioni dei loro matrimoni falliti e chiedendo se vi fossero gli elementi necessari per poter intervenire con una sentenza di nullità, che compete al Tribunale Diocesano. La gran parte divorziano e si sposano in seconde nozze, poi semmai vanno in giro dicendo, alcuni persino piangendo, che «solo i ricchi possono permettersi di pagare per farsi annullare i matrimoni dalla Chiesa» (sic!).

Le spese per una causa di nullità matrimoniale sono veramente risibili, se confrontate con i costi e le parcelle degli avvocati civilisti italiani che trattano le cause di divorzio. Per evitare qualsiasi genere di abuso la Santa Sede ha fissato un preciso tariffario per le spese vive di queste cause che possono ammontare da un minimo di 1.600 a un massimo di 3.000 euro. Inoltre è previsto e concesso il gratuito patrocinio per le persone non abbienti. Le cause in appello dinnanzi alla Rota Romana, a seguito del Rescritto del Sommo Pontefice Francesco del 7 décembre 2015 sono gratuite:

«La Rota Romana giudichi le cause secondo la gratuità evangelica, cioè con patrocinio ex officio, salvo l’obbligo morale per i fedeli abbienti di versare un’oblazione di giustizia a favore delle cause dei poveri» [voir QUI].

Le Lettere apostoliche in forma di Motu Proprio: Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus (rispettivamente per le chiese di rito latino e per le chiese di rito orientale), promulgate da Sua Santità Francesco il 15 août 2015, sono intervenute a riformare la materia processuale matrimoniale in risposta principalmente al ritardo con cui solitamente veniva definito il giudizio, a scapito dei fedeli che si vedevano costretti a una lunga attesa per la definizione del proprio stato di vita, nonché per soddisfare la necessità, sollevata in ambito ecclesiastico, di rendere più accessibili e agili le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità.

A tal proposito occorre ribadire che il processo matrimoniale non “annulla” il matrimonio (come erroneamente spesso viene indicato) ma interviene per accertare la nullità di un matrimonio, seppur celebrato con le dovute forme esterne. In tale ottica, Papa Francesco ha voluto condividere coi Vescovi diocesani il compito di tutelare l’unità e la disciplina del matrimonio. Altresì la riforma, puntando ad una maggiore celerità dei procedimenti, può assicurare pienamente l’esigenza di ottenere una risposta in tempi ragionevoli alle istanze di giustizia.

Nella riforma possiamo evidenziare alcuni principi tesi a mettere al centro del procedimento la cura e l’accompagnamento pastorale dei fedeli che hanno vissuto il fallimento del loro matrimonio. Con il Motu Proprio il Papa prevede la centralità della figura del Vescovo quale “giudice naturale” e chiede che ogni Vescovo diocesano abbia personalmente un Tribunale collegiale, o un Giudice Unico, e che giudichi personalmente nel processo breviore. Donc: il Vescovo stesso è giudice e ciò emerge specialmente nel processo breve. Il processo giudiziale richiede, si possible, il giudice collegiale ma è potestà del Vescovo nominare un Giudice Unico.

L’esigenza di semplificare e snellire le procedure ha condotto a rivedere, quando ricorrono le circostanze stabilite dal documento pontificio, il processo ordinario. En ce sens, le innovazioni più significative sono state:

1) l’abolizione della doppia sentenza conforme obbligatoria: se non si propone appello nei tempi previsti, la prima sentenza, che dichiara la nullità del matrimonio, diventa esecutiva;

2) l’istituzione di un nuovo processo, breviore, che opera nei casi più manifesti di nullità, con l’intervento personale del Vescovo al momento della decisione. Quest’ultima forma di processo trova applicazione nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta dalla domanda congiunta dei coniugi e da argomenti evidenti, essendo le prove della nullità matrimoniale di rapida dimostrazione. La decisione finale, di dichiarazione della nullità o di rinvio della causa al processo ordinario, appartiene al Vescovo stesso. Sia il processo ordinario che quello breviore sono comunque processi di natura prettamente giudiziale, il che significa che la nullità del matrimonio potrà essere pronunciata solo qualora il giudice consegua la “certezza morale” sulla base degli atti e delle prove raccolte.

I documenti pontifici dell’agosto 2015 hanno quindi condotto a una semplificazione delle procedure per la eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Il Santo Padre ha voluto che il Vescovo, nella cui chiesa particolare a lui affidata è pastore e capo, sia anche giudice tra i fedeli a lui affidati. Nell’ambito pastorale il Vescovo affiderà a persone idonee l’indagine pregiudiziale, che servirà a raccogliere gli elementi utili per l’introduzione del processo giudiziale, ordinario o breviore, sostenendo e aiutando i coniugi tramite soggetti giuridicamente preparati. L’indagine previa si concluderà con la stesura della domanda, o libello, da presentare al Vescovo o al tribunale competente. Normalmente sono i coniugi a impugnare il matrimonio, magari congiuntamente, ma può farlo anche il promotore di giustizia secondo il dettato del pouvez. 1674. Il giudice prima di accettare la causa dovrà avere certezza che il matrimonio sia irrimediabilmente fallito, in modo da risultare impossibile il ristabilimento della convivenza coniugale. Il tribunale competente sarà normalmente scelto secondo le previsioni del pouvez. 1672 (il tribunale del luogo in cui il matrimonio fu celebrato; il tribunale del luogo in cui una o entrambe le parti hanno il domicilio o il quasi-domicilio; il tribunale del luogo in cui di fatto si debba raccogliere la maggior parte delle prove).

Nel processo matrimoniale il Vicario giudiziale competente, una volta ricevuto il libello tramite decreto notificato alle parti e al difensore del vincolo, deve innanzitutto ammetterlo se vi ravvisa un qualche fondamento. ensuite, dovrà notificarlo al difensore del vincolo e alla parte che non ha firmato il libello, la quale ha un termine di quindici giorni per rispondere. Decorso tale termine, il Vicario giudiziale fissa la formula del dubbio, determinando il capo di nullità della causa; stabilisce se la causa si tratterà con rito ordinario o breviore; nel caso di processo ordinario, con lo stesso decreto costituisce il collegio dei giudici o, in mancanza, nomina il giudice unico.

In materia di valutazione delle prove, la Motu Proprio introduce alcune novità che di seguito si riportano. Innanzitutto si rafforza il principio del valore delle dichiarazioni delle parti, ce, se godono di testi di credibilità, considerati tutti gli indizi e gli argomenti che, in assenza di confutazione, possono assumere valore di prova piena. Anche la deposizione di un solo teste può fare piena fede. Nelle cause per impotenza o difetto del consenso par malattia mentale o anomalia psichica, si dovrà ricorrere all’opera di uno o più periti, salvo che dalle circostanze appaia inutile. Encore, se nell’istruttoria della causa sorge il dubbio sulla probabile non consumazione del matrimonio, sarà sufficiente sentire le parti per sospendere la causa di nullità, completare l’istruttoria in vista della dispensa super rato e trasmettere gli atti alla Sede Apostolica, unita alla domanda di dispensa di una o di entrambe le parti e completata dal voto del tribunale e del Vescovo. In riferimento al processo in forma breviore, occorre precisare, En résumé, che in presenza di situazioni di fatto indicative della nullità evidente del matrimonio, comprovate da testimoni o documenti, il Vescovo diocesano ha la competenza a giudicare la domanda.

Questo nuovo rito, autrement dit, permette al Vescovo diocesano di emettere una sentenza di nullità nelle cause in cui sussistono i seguenti presupposti:

une) la domanda è proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi col consenso dell’altro;

b) le circostanze di fatti e di persone rendono manifesta la nullità. Queste circostanze, normalmente riscontrate nell’indagine pregiudiziale o pastorale ed elencate in modo esemplificativo all’art. 14 delle Regole Procedurali, non sono nuovi capi di nullità. Ça parle de, simplement, di situazioni che la giurisprudenza ritiene elementi sintomatici di invalidità del consenso nuziale. Esse possono addirittura suggerire con evidenza la nullità del matrimonio. In particolare sono:

1) la mancanza di fede che genera la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà;

2) la brevità della convivenza coniugale;

3) l’aborto procurato per impedire la procreazione;

4) l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo;

5) l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione;

6) la causa del matrimonio estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna;

7) la violenza fisica inferta per estorcere il consenso;

8) la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici.

Saranno necessari per iniziare un processo breviore:

une) la domanda proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi col consenso dell’altro, al Vescovo o al Vicario giudiziale;

b) il libello con i fatti su cui si fonda la domanda, le prove che possono essere raccolte dal giudice, i documenti allegati alla domanda. Stante la presenza evidente di situazioni di fatto indicative di una nullità del matrimonio, comprovate da testimonianze o documenti, la competenza a giudicare in forma breviore spetta al Vescovo diocesano, in seguito alla presentazione del libello, che dovrà esporre i fatti, indicare le prove ed esibire in allegato i documenti su cui si fonda la domanda e che va presentato al Vicario giudiziale diocesano.

Come ha sottolineato a suo tempo il Decano della Rota Romana, questa riforma del processo matrimoniale incide in termini sostanziali e interviene dopo trecento anni nei quali la materia era rimasta sostanzialmente immutata. A seguito della riforma del 2015 sia i Vescovo diocesani che i Metropoliti dovranno procedere all’istituzione del tribunale diocesano. Se già esiste un tribunale, ma che non ha competenza per la nullità matrimoniale, il Vescovo potrà emettere un decreto con il quale conferisce la competenza al proprio tribunale. Aussi, qualora fosse impossibile avere un collegio di tre giudici il Vescovo dovrà decidere di affidare le cause a un giudice unico, o decidere di aderire a un tribunale interdiocesano competente nella materia matrimoniale a norma del pouvez. 1673 § 2 CIC, pur ritenendo questa una norma residuale alla quale il vescovo deve ricorrere solo quando, causa della scarsità di personale adeguatamente formato, sia impossibile costituire un tribunale competente in materia matrimoniale. Ricordiamo che con l’entrata in vigore del Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus a été, de facto, abrogato quanto disposto dal Motu Proprio Qua cura, promulgato a sua volta da Papa Pio XI l’8 dicembre 1938, che istituiva appunto i tribunali regionali con competenza in materia matrimoniale.

Se volete informazioni corrette e opportune, non andate su Internet a digitare su un motore di ricerca “annullamento del matrimonio religioso”, perché vi usciranno fuori pagine e pagine di commenti sbagliati e altrettanti sedicenti esperti che sui loro blog scrivono le cose a volte persino più insensate. Rivolgetevi ai vescovi e ai sacerdoti.

 

Velletri de Rome, 12 septembre 2023

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