È morto un Amicone che mi induce a riflettere sull’indifferenza dei mezzi di comunicazione verso la vita e la morte, quando non sono pruriginoso spettacolo

—  Attualità ecclesiale —

È MORTO UN AMICONE CHE MI INDUCE A RIFLETTERE SULL’INDIFFERENZA DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE VERSO LA VITA E LA MORTE, QUANDO NON SONO PRURIGINOSO SPETTACOLO

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«Siamo circondati da ignoranza, malafede, menzogna, e quel che è serio è che lo sanno e non vacillano. Proprio come doveva essere un funzionario nazista o comunista»

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Luigi Amicone (Milano, 4 ottobre 1956 – Monza, 19 ottobre 2021)

Giovedì 21 ottobre si sono svolti nella chiesa cattedrale di Monza i funerali di Luigi Amicone, morto ad appena 65 anni. Dinanzi a sé poteva avere altri vent’anni di vita da vivere, stando alle statistiche odierne sulla vita media dell’uomo italiano, che non sono pochi. La sua morte mi è stata annunciata di primo mattino, martedì 19, da un confratello della Diocesi di Milano, cresciuto nelle fila di Comunione e Liberazione, il Movimento fondato dal presbitero ambrosiano Luigi Giussani.

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Luigi non era un amico di vecchia data, ma un amico sincero col quale era un piacere dialogare. più volte ci siamo incontrati tra il 2019 e il 2021 a vari programmi televisivi sulle Reti Mediaset, una volta ci siamo anche accapigliati sul tema della Madonna di Medjugorje, nota come Gospa, sulla quale nutro da sempre profonde riserve. Poi, terminato il dibattito e chiuse le telecamere della diretta, lui mi disse:

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«Ariel, io ti stimo come un uomo di fede. E gli uomini di fede li riconosco, sono di necessità tosti come te, penso di poterlo dire perché sono stato allievo di Luigi Giussani, che non era affatto una mammoletta».

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Dopo avere ricevuto l’annuncio della sua morte, poco dopo mi sono rigirato tra le mani il telefono cellulare, ho aperto il whatsapp al contatto Luigi Amicone e per alcuni minuti ho ripercorso vari ricordi rimasti impressi nella memoria d’archivio:

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«Luigi, sei stato splendido al programma Titolo Quinto su Rai3, un caro saluto e un caro augurio» (23.03.2021)»

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«Grazie Ariel, mi viene quasi da chiedere a uno della tua intelligenza: fai giornalismo! Siamo circondati da ignoranza, malafede, menzogna, e quel che è serio è che lo sanno e non vacillano. Proprio come doveva essere un funzionario nazista o comunista» (23.03.2021)

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Ricordo poi, con affetto e divertimento, un colloquio avuto durante la scorsa estate, mentre Luigi si trovava nella sua casa di vacanza in Sardegna, nella zona di Sassari, io invece nell’altra isola, nella mia casa di vacanza nell’Ortigia di Siracusa. Commentando alcune pagine del mio libro E Satana si fece trino, nella parte in cui analizzo il problema della lobby gay ecclesiastica, mi disse:

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«Conoscendo l’ambiente, immagino che cosa ti hanno fatto in ritorsioni, dopo che hai scritto queste pagine».

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Proseguendo su quel delicato discorso proruppi dicendo che lo Stato della Città del Vaticano è il Paese con la più alta percentuale di popolazione gay del mondo. Lui rise e replicò:

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«Questa frase te la frego, alla prima occasione che mi si presenta me la rivendo subito».

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Presto detto, l’occasione si presentò pochi giorni dopo, quando in collegamento esterno dalla sua casa nei pressi di Sassari partecipò a un programma sulle Reti Mediaset, dove durante il suo intervento esordì dicendo:

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«Figuriamoci se noi cattolici possiamo stupirci del disegno di legge Zan, quando lo Stato della Città del Vaticano è il Paese con la più alta percentuale di popolazione gay del mondo».

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Lo chiamo divertito al telefono la mattina del giorno dopo, prima lo prendo in giro per com’era abbronzato, domandando se il sole della Sardegna se l’era preso tutto quanto lui, poi esordisco:

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«Ah, come sono felice di avere fatto l’eminenza grigia alle tue spalle!».

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Ribatte lui:

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«Ma non dire cazzate, “alle spalle”? Tu è una vita che le sputi in faccia a tutti, per questo non diventerai mai una Eminenza Reverendissima».

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Luigi mi ha indotto a riflettere, non tanto sulla morte, mistero sul quale sono abituato a meditare ogni giorno, consapevole che il mio cuore, come quello di chiunque, potrebbe cessare di battere da un momento all’altro, all’improvviso.  Sulla morte ci ho scritto anche un libro, trattando dei Novissimi in forma di narrativa, che a breve sarà dato alle stampe.

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Con la sua repentina scomparsa Luigi mi ha indotto a riflettere sul rapporto della società contemporanea verso la morte. È su questo che adesso intendo riflettere, incluso il rapporto, o meglio il non-rapporto o il rapporto-negato dei mezzi di comunicazione di massa con la morte, laddove la morte non è uno spettacolo attraverso il quale Gianluigi Nuzzi, efficiente becchino di Rete4, trasforma delitti e morti in spettacolo, in fiction che non stimola affatto a riflettere sull’uomo, o sulla violenza psicologica che porta certi soggetti sino ai più violenti delitti efferati, ma che stimola solo pruriti morbosi.

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Come professionista Luigi non è stato giornalista di un quotidiano locale che narra fatti e vicende di una cittadina di provincia, di quelli che alla morte sono solitamente ricordati nella loro località da colleghi e concittadini che hanno letto i loro articoli per anni. Luigi è stato un giornalista della stampa nazionale, fondatore di una delle principali riviste cattoliche italiane, il mensile Tempi. È stato, come ho narrato poco prima, un cosiddetto volto televisivo rappresentativo della cultura cattolica italiana, con posizioni accettabili o non accettabili all’interno dello stesso mondo cattolico, ma che ha dato grandi contributi in tanti anni di professione. Per questo è stato ospite per anni nei salotti di dibattito televisivo di tutti i principali programmi Mediaset e Rai, perché aveva opinioni da esprimere e le sapeva esprimere, condivisibili o meno che fossero dagli altri opinionisti presenti, perché è proprio su questo che si fonda il dibattito.

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Mi sarei aspettato, non dico in prima serata o in apertura, ma semmai alla fine dei vari programmi di approfondimento giornalistico o cosiddetti talk show, che uno solo di coloro che lo hanno chiamato e avuto spesso nei loro parterre come opinionista nel corso degli anni, prima della sigla finale dicesse: «Martedì è venuto a mancare il collega Luigi Amicone, la nostra Redazione si unisce in cordoglio ai suoi familiari». Un messaggio di questo genere avrebbe occupato uno spazio di circa 7 od 8 secondi a chiusura di un programma nel quale semmai, Giorgia Meloni o Matteo Salvini avevano fatto in prima serata un monologo di 30 minuti senza alcuna interruzione pubblicitaria, che vale solo ― in modo inderogabile ― quando parlano altri ospiti e opinionisti. Nessuno ha invece dedicato pochi secondi di ricordo a un collega tutt’altro che sconosciuto, in un mondo della comunicazione nel quale il cinismo e l’indifferenza regnano sovrani, dove ciò che viene presentato come sensibile interesse umano non è tale, ma qualche cosa di voluto e studiato sulla fredda base degli indici di ascolto. O qualcuno crede sul serio che a quello spumeggiante conduttore interessi davvero qualche cosa di povere e modeste persone che si ritrovano con le loro case occupate da lestofanti che nessuno riesce a cacciare e che non pagano affitti? E si noti: non è, questo mio, un processo alle intenzioni, che sarebbe peraltro una grave contraddizione in termini con la mia formazione teologica e con la mia pregressa e ormai lontana formazione giuridica. È semplicemente un fatto, basta solo conoscere le televisioni, le redazioni dei giornali e soprattutto chi al loro interno lavora.

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No, anime ingenue, certi temi non nascono dal desiderio di difesa dei diritti dei deboli, il tutto nasce solo da puri e freddi criteri dettati dagli indici di ascolto. Perché se quel blocco dedicato in quel talk show agli occupatori abusivi di case non alzasse gli ascolti della televisione commerciale, che si regge in modo tanto ovvio quanto legittimo su pubblicità e indici di ascolto, potete stare certi che questo premuroso paladino della giustizia e della difesa dei deboli non esiterebbe a mettersi a parlare della profondità del culo delle balene nella puntata successiva, qualora la colonoscopia baleniera facesse più ascolti.

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L’indifferente non può essere sensibile, non può amare la giustizia e la verità facendosi paladino dei deboli, perché a sostenere l’impianto mentale e sociale dell’indifferenza sono l’utilitarismo selvaggio o il narcisismo ipertrofico, che finiscono col rendere quello dell’informazione un mondo della deformazione e spesso della manipolazione, il tutto per fini politici, economici e di indirizzo subliminale sulle masse.

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Girando per i vari programmi televisivi ho conosciuto due persone che considero amici e che sono rispettivamente: uno, una trans, Vlady Guadagno, in arte Vladmir Luxuria, un altro è un omosessuale, equilibrato attivista LGBT e liberale a tutto tondo, si tratta del celebre e ottimo divulgatore scientifico Alessandro Cecchi Paone, che ha una visione della vita e dell’uomo diversa dalla mia, ad esempio per quanto riguarda l’aborto o l’eutanasia, ma che da subito ho stimato come uomo leale e sensibile che sa cos’è l’amicizia e il rispetto per gli amici, soprattutto per coloro che non la pensano come lui. Questo fa di Alessandro Cecchi Paone un autentico liberale, con il quale potrei parlare con serenità su tutto ciò che nel diverso sentire umano ci divide, ma al quale sono unito da qualche cosa che unisce anche gli uomini coi pensieri più diversi: il rispetto della libertà dell’altro, che per lui è il caposaldo del Liberalismo, per me è il suffisso stesso della creazione dell’uomo, creato da Dio libero e dotato di libero arbitrio.

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Solo adesso che le spoglie mortali di Luigi Amicone sono state restituite alla terra, comprendo quel suo messaggio che ho riportato all’inizio, non certo perché mi ha definito «intelligente», ma perché in quel messaggio definisce la situazione e lo stato in cui versa il mondo dell’informazione:

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«Grazie Ariel, mi viene quasi da chiedere a uno della tua intelligenza: fai giornalismo! Siamo circondati da ignoranza, malafede, menzogna, e quel che è serio è che lo sanno e non vacillano. Proprio come doveva essere un funzionario nazista o comunista» (23.03.2021)

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Riposa in pace nella grazia e nella misericordia di Dio, mi mancherai, mio caro Amicone.

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dall’Isola di Patmos,  21 ottobre 2021

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1 commento
  1. Marian
    Marian dice:

    Commuove il ricordo che ha del Suo “grande Amico” padre. Non sapevo nulla di lui, ad eccezione che fosse giornalista, ma la figura delineata dalle Sue parole mi ha spinta a cercare di più. Ho quindi raccolto ed ascoltato con grande interesse alcuni interventi televisivi di Amicone, interventi a volte forti, volutamente “urlati”per meglio trasmettere le sue certezze di fede, di verità. Sento di non sbagliare nel dire di aver colto alcune affinità che vi legano.

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