Il problema non sono le cazzate dei preti ma la mancata vigilanza dei vescovi che dell’episcopato sembrano volere gli onori ma non gli oneri

IL PROBLEMA NON SONO LE CAZZATE DEI PRETI MA LA MANCATA VIGILANZA DEI VESCOVI CHE DELL’EPISCOPATO SEMBRANO VOLERE GLI ONORI MA NON GLI ONERI

Non passa giorno senza che qualche prete salti alla ribalta per delle prodezze che variano dal sacrilegio eucaristico al grottesco. Tutti fatti dinanzi ai quali, prendersela con il prete o con i preti in generale, sarebbe la cosa più facile, dimenticando che noi presbiteri siamo solo la punta dell’iceberg e che la colpa è tutta dei nostri Vescovi.

— Attualità ecclesiale —

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il presbitero bresciano Giuseppe Fusari

Molti vescovi sono oberati di impegni pastorali: incontri coi maggiorenti della Città, con politici che con una mano offrono finanziamenti per le scuole cattoliche e le attività della Diocesi e con altre dieci mani chiudono la bocca alla Chiesa locale su tutti i temi più sensibili che sarebbe sua premura trattare e portare alla luce. Inderogabile la loro presenza come autorità religiose alle varie feste ufficiali, a tagli di nastri e inaugurazioni. Di recente abbiamo persino assistito al caso di un vescovo che ha partecipato al taglio del nastro in occasione dell’apertura della nuova sede di una Loggia Massonica [vedere articoli QUI, QUI]. Il tutto in un susseguirsi incessante di «Eccellenza … Eccellenza … Eccellenza!». Titolo pronunciato ossequiosamente da persone così radicate nella cultura cattolica da essere convinte che le acquasantiere delle chiese siano dei bidet messi anticamente a disposizione dalla carità della Chiesa alla povera gente che non aveva acqua corrente in casa, dopodiché sono rimaste lì solo perché fanno parte di beni storici artistici. E come ben capite, dinanzi a questo genere di mole d’impegni pastorali, che definire gravosi è poca cosa, il Beato Apostolo Paolo, con tutti i suoi viaggi tortuosi, incluso un naufragio con fortuito approdo a Malta, per poi ripartire alla volta di Siracusa per raggiungere Reggio e da lì riprendere il cammino per arrivare mesi e mesi dopo a Roma, a confronto sono ben poca cosa, anzi: sono proprio nulla [cronistoria in Atti degli Apostoli: 27,1-28,16]. O volete forse paragonare quel gaudente personaggio dell’Apostolo delle Genti ossessionato dalla linea fisica, quindi dalle diete, che per questo non mangiava neppure tutti i giorni, con i nostri poveri vescovi costretti a cibi gourmet preparati dai migliori chef in occasioni delle cene ufficiali assieme a prefetto, questore, politici della circoscrizione e via dicendo a seguire? Quelle sì, che sono penitenze. E non parliamo delle loro residenze, all’interno delle quali suorine devote li accudiscono, li servono, li lavano e li stirano … perché questo è il carisma e la vocazione di certe religiose: fare le cameriere. L’opera di certi nostri Vescovi in quella che è stata definita «Chiesa ospedale da campo» è sicuramente molto più gravosa di quanto lo sia stato per i medici di trincea della Prima Guerra Mondiale il curare soldati feriti e moribondi. Poi, per stare al passo coi tempi che corrono, tra un trionfo di croci pettorali di ferro e bastoni pastorali fatti ormai forgiare dai falegnami con pezzi di legno grezzo, ogni volta che salgono in cattedra elargiscono il loro predicozzo su poveri e migranti, senza che possa interessargli più di tanto che il mondo è sempre più povero di Cristo e sempre più numerosi sono i fedeli che emigrano al di fuori della Chiesa Cattolica.

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Anche per questi motivi molti nostri Vescovi ricevono i loro preti dopo lunga attesa. A volte dopo aver preteso che un prete settantenne rispondesse all’interrogatorio di un segretario laico stizzoso, semmai pure divorziato e convivente con la sua compagna, che in tono perentorio domanda perché il prete intendesse importunare la Sua Eccellenza Molto Reverendissima, affinché lui stesso potesse valutare se dirgli di rivolgersi al Vicario Generale o al Vicario Episcopale. Era forse questo che alcuni distruttori dell’impianto ecclesiale intendevano con il loro grido: «Largo ai laici nella Chiesa?». Se poi il Vescovo, udito il prezioso parere favorevole del segretario laico, concede la grazia di ricevere un prete che osa avere grossi problemi da risolvere e per i quali ritiene in coscienza di dover sentire il Pastore della Chiesa locale che gli ha conferito il mandato all’esercizio del sacro ministero e in comunione col quale esercita il sacerdozio, ecco che dopo averlo guardato in cagnesco spesso esordisce: «Senti, io non voglio problemi!». A uno di questi Vescovi, al quale andai a presentare una situazione ad alto rischio di esplosione scandalo pubblico, dinanzi a questa battuta risposi: «Pensi un po’, invece io sono diventato prete consapevole che avrei avuto una vita di grandi problemi, mentre lei, che ha ricevuto la pienezza del sacerdozio apostolico, vescovo lo è diventato proprio per non avere problemi, accettando gli onori ma respingendo tutti i grandi e gravosi oneri dell’episcopato. Ma guarda quanto strana è la vita!».

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Questo è infatti il punto: la gran parte dei Vescovi di nuova generazione, pronti a stracciarsi le vesti più velocemente di Kaifa dinanzi a un clandestino sconosciuto affogato in mare prima di giungere a Lampedusa, non vogliono rotture di coglioni, specie da parte dei loro preti. E poco dopo ti dichiarano in modo a dir poco teologicamente ameno che «i poveri sono la carne di Cristo». Infatti, come risaputo, durante l’ultima cena Cristo prese un povero e lo esibì agli Apostoli dicendo loro «questo è il mio corpo, questo è il mio sangue», il tutto dopo avere lavato i piedi ai carcerati e alle puttane di Gerusalemme.

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In molte delle nostre cattedrali la Missa in Coena Domini pare essere diventata la passerella delle mignotte. Si vocifera persino che una agenzia appositamente istituita dalla Mafia Nigeriana provveda a fornire a pagamento le puttane a noleggio ai Vescovi, quando il Giovedì Santo devono mettere in scena la loro rappresentazione: lavare e baciare i piedi alle zoccole. Il tutto con il plauso delle locali sezioni del PD e di tutto il gotha della Sinistra radical chic che magnifica la nuova «Chiesa in uscita», talmente brava ed efficiente nell’auto-distruggersi da sola, che non occorre più neppure contrastarla e colpirla, facciamo tutto quanto da noi stessi. E mentre avviene questo, nei reparti di geriatria giacciono abbandonati santi preti ultra ottantenni, con una vita interamente donata alla Chiesa e al Popolo di Dio, ai quali la Sua Eccellenza Molto Reverendissima si guarda bene dall’andare a porgere il pappagallo per pisciare o a lavare la merda di dosso, come per più volte ho fatto io e similmente altri miei confratelli, variamente additati da certi vescovi di nuova generazione come “preti problematici”, semplicemente perché fedeli al sacerdozio, alla dottrina e al perenne magistero della Chiesa. Per questo non temiamo di sporcarci le mani con il piscio e con la merda. Cosa che comprensibilmente non può fare il Vescovo, perché è troppo impegnato a sciacquare e baciare i piedi alle puttane nigeriane nel giorno in cui si fa solenne memoria della istituzione del Sacerdozio ministeriale e della Santissima Eucaristia, una solennità ormai ridotta da anni al teatrino delle mignotte e dei carcerati, meglio se musulmani. O non scelse forse Nostro Signore Gesù Cristo, come Apostoli consacrati sacerdoti della Nuova Alleanza, un gruppo di carcerati e di zoccole?

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Come potete vedere dalle cronache non passa giorno senza che qualche prete salti alla ribalta per delle prodezze che variano dal sacrilegio eucaristico al grottesco [rimando agli articoli di Padre Ivano Liguori: QUI]. Tutti fatti dinanzi ai quali, prendersela con il prete o con i preti in generale, sarebbe la cosa più facile, dimenticando che noi presbiteri siamo solo la punta dell’iceberg e che la colpa è tutta dei nostri Vescovi e di quella Chiesa visibile che in nome di un male inteso «spirito del Concilio» ― che ha stravolto e falsato totalmente l’ultimo Concilio celebrato dai Padri della Chiesa ― ha favorito e persino stimolato la laicizzazione e la mondanizzazione del clero. Lo vado ripetendo e scrivendo da anni: all’interno della Chiesa ha preso vita una crisi della dottrina che ha generato una grande crisi della fede che ha dato infine vita a una grave crisi morale diffusa nel clero.

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Dire che i preti dovrebbero portare sempre la talare per rigoroso obbligo e vivere con grande decoro e dignità la loro vita sacerdotale interiore ed esteriore, purtroppo è una battaglia persa, totalmente. Abbiamo assistito a delle scene che dire indecorose è poca cosa, si pensi al presbitero padovano Marco Pozza che ha intervistato più volte il Sommo Pontefice sedendo dinanzi a lui a gambe accavallate vestito in jeans, scarpe da ginnastica e camicia aperta sbarazzina, in un trionfo di sciatteria come mai si era vista prima [cfr. video QUI, QUI, QUI]. Ma c’è di peggio, perché il primo a irridere la veste talare abbinandola in modo improvvido al clericalismo, alla mondanità e al rigidismo, è stato proprio il Sommo Pontefice stesso [cfr. QUI, QUI, QUI], ignaro che i clericali della specie peggiore non sono affatto i pochi preti che seguitano a portare la tonaca come chiaro segno della loro vita interiore ed esteriore, ma certi suoi beniamini politically correct dai quali si fa intervistare in jeans, scarpe da ginnastica e gambette accavallate. Ovviamente non possono mai mancare i ruffiani di corte, per esempio l’Arcivescovo di Catania che in violazione a tutte le norme ecclesiastiche proibisce ai propri preti di indossare la veste talare fuori dalle chiese, relegandola ad abito liturgico [cfr. QUI], il tutto, va da sé, per evitare non meglio precisate forme di “rigidismo”.

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Presto detto: dal prete in abiti borghesi che intervista il Sommo Pontefice al prete col perizoma rosso, o al prete tatuato che fa culturismo e che posta foto del proprio fisico pompato da palestra e anabolizzanti sui social media, il passo è molto breve. Pertanto, prendersela con il presbitero bresciano Giuseppe Fusari, prete culturista che pubblica le proprie foto seminudo, più che cosa semplice sarebbe quasi cosa da vili, almeno per noi consapevoli che «il pesce puzza a partire dalla testa». Inutile quindi prendersela con la punta della coda del pesce, che alla resa dei conti, più che colpevole, è solo vittima di un sacerdozio mal formato e totalmente deformato, il tutto con la benedizione dei Vescovi di nuova generazione.

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Per poco possa valere, sappiate che a rendere particolarmente forte il mio disagio e dolore è la mia esperienza. Disagio e dolore che condivido con molti altri miei confratelli che come me hanno avuto la grazia da Dio di conoscere da bambini, adolescenti e giovani degli autentici santi preti, divenuti poi i nostri modelli di vita sacerdotale. Abbiamo conosciuto vescovi veramente santi, pronti in ogni momento della loro giornata a farsi in quattro per i propri preti, nessuno dei quali è morto dimenticato nel fondo di un ospedale senza ricevere più volte la visita del Vescovo, che provvedeva lui stesso a confortarli con i Sacramenti. Ricordo un Vescovo che annullò due appuntamenti molto importanti fissati da mesi per quella giornata: le sacre ordinazioni di quattro presbiteri che si sarebbero dovute tenere al mattino e la sua partecipazione a un importante evento pubblico di carattere storico-locale nel pomeriggio. Un suo prete stava morendo in ospedale, dove il Vescovo corse, annullando un’ora prima le sacre ordinazioni con questa frase lapidaria: «I quattro che devono diventare preti possono anche aspettare qualche giorno, hanno dinanzi a sé tutta una vita sacerdotale. Mio compito e dovere è assistere un mio prete morente, che ha donato tutta la sua esistenza alla Chiesa e al servizio del Popolo di Dio». E non siamo in pochi a essere giunti al sacerdozio attraverso questi modelli di Vescovi e Presbiteri che rimangono fissi nelle nostre memorie, ma non come figure di un tempo passato che fu, ma come santi modelli di come un vescovo e un presbitero dovrebbero essere, sempre e in tutti i tempi.

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Abbiamo conosciuto Vescovi che non parlavano affatto in modo ossessivo-compulsivo di poveri e migranti e che quando si presentavano in pubblico manifestavano nella loro forma esteriore tutta la dignità ineffabile dell’episcopato, soprattutto quando celebravano la Santa Messa. Solo quando sono morti abbiamo poi scoperto che non avevano lasciato neppure i soldi per le spese del loro funerale, dopo avere elargito tutto ciò di cui disponevano a famiglie indigenti che stentavano a vestire i propri figli. A nessuno di loro sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di trasformare le loro chiese cattedrali in osterie e di farsi riprendere da fotografi e cameraman mentre servivano i pasti ai poveri, come se la Chiesa ― in particolare quella italiana ― non avesse stabili in sovrabbondanza per allestire pranzi, evitando di dissacrare le chiese.

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La nostra decadenza è irreversibile perché la soglia del non-ritorno l’abbiamo superata ormai da anni [cfr. mio articolo QUI]. Dobbiamo quindi assistere alle penose immagini di un Sommo Pontefice che si fa intervistare da un pretino-trendy in tenuta indecorosa e in pose da perfetto maleducato, ci dobbiamo sorbire le sceneggiate dei nostri Vescovi che noleggiano le puttane per sciacquargli e baciargli i piedi alla Missa in Coena Domini ridotta a un penoso teatrino del grottesco, dobbiamo sentirci soli, estranei e persino sgraditi nella nostra Santa Casa sempre più simile alla sala del Gran Sinedrio e al Pretorio di Pilato, consapevoli che per la Chiesa è iniziata la passione del Getsemani. E dopo la crocifissione, la morte e la sepoltura, l’esperienza mistagogica si concluderà con la risurrezione. A quel punto cominceremo a ricostruire con enorme fatica sulle ceneri della grande distruzione. E a farlo saremo in quattro gatti, ma animati da vera fede, vera speranza e vera carità.

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dall’Isola di Patmos, 29 ottobre 2022

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Nella foto: il presbitero bresciano Giuseppe Fusari – Cosa aspettarsi in un vicino futuro, forse un prete che si presenti a celebrare la Santa Messa di Natale con un perizoma rosso?

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