Guarigione dell’albero genealogico? Tra karma e riti sciamanici. Alcune linee teologiche e pastorali per fare discernimento
GUARIGIONE DELL’ALBERO GENEALOGICO? TRA KARMA E RITI SCIAMANICI. ALCUNE LINEE TEOLOGICHE E PASTORALI PER FARE DISCERNIMENTO
Pregare per la guarigione delle colpe passate degli antenati in funzione della liberazione dei loro discendenti non solo è inutile ma è anche non cristiano in quanto contrario alla Rivelazione e all’insegnamento di Gesù. Detto questo poniamoci adesso una domanda: perché dovremmo chiedere con insistenza al Signore di liberarci dalle colpe dei nostri antenati, dalle loro scelte sbagliate, dai loro atti viziati nell’uso del libero arbitrio se così facendo affermiamo di fatto un rapporto moralistico malato di causa-effetto così apparentemente scontato, così impietoso da veicolare un distruttivo determinismo che Gesù rifiuta?
— Attualità ecclesiale —
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È un fatto triste e vero che quando l’uomo non crede più in niente finisce sempre col credere a tutto, quando cessa di credere in Dio finisce col credere agli dei e alla lettura dei tarocchi. Non mancano poi personaggi oscuri che stravolgono gli elementi del Cattolicesimo, tra i quali la Beata Vergine Maria, che finisce per essere falsata e deturpata nel peggiore dei modi, in parte per creare attrazione, in parte per mettere in piedi dei veri e propri mercati redditizi.
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Da diversi anni a questa parte assistiamo, all’interno di alcuni movimenti legati alla Chiesa Cattolica, specie a quelli più vicini all’area estremista dei carismatici, a una pratica spirituale conosciuta col nome di Preghiera di guarigione dell’albero genealogico o Preghiera di guarigione intergenerazionale. Che cos’è di preciso questa preghiera? È utile? Ma soprattutto, è cattolico e in linea con la Rivelazione pregare in questo modo?
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Con questo articolo desidero dare solo alcune linee di interpretazione teologica e pastorale per aiutare i fedeli a operare un giusto e sano discernimento, dato che spesso la confusione può prendere il sopravvento sulle persone che si trovano a dover affrontare situazioni di malattia e di sofferenza che impediscono di mantenere la giusta lucidità della fede nel tempo della prova. E quando si è colpiti da quel dolore che spesso rende fragili e vulnerabili, dietro l’angolo c’è sempre chi cerca di ricavarne un profitto personale, che può variare dalla raccolta di danaro alla perversa gioia di esercitare il potere di controllo sulle coscienze.
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Sono ben consapevole della delicatezza e della complessità dell’argomento che avrebbe bisogno di ben altri strumenti e spazi per essere trattato in modo del tutto esauriente. Bisognerebbe spendere molto tempo a dipanare le delicate questioni teologiche e psicologiche sottese al bisogno di guarigione e di cura, assieme alla responsabilità personale e comunitaria davanti al mistero del male e del peccato che affaticano il cammino quotidiano dell’uomo e della società. La cosa più opportuna da fare sarebbe quella di scrivere un libro sull’argomento per poter essere veramente certi di trattare ogni più piccolo aspetto e interrogativo che il tema della guarigione dell’albero genealogico pone in evidenza. In attesa che qualcuno porti a termine un lavoro del genere che attualmente non esiste ― tanto si è scritto su questo tipo di preghiera di guarigione ma sempre in modo molto parziale, di parte e frammentario ― è bene mettere subito in relazione questa preghiera con il Magistero della Chiesa, soprattutto in riferimento alla persona di Cristo come vincitore del peccato e della sofferenza in tutte le sue forme. Gesù è «colui che libera da ogni male» [Sap 16,8], e continua a essere il Salvatore potente che dona la salvezza e la salute al suo popolo, sempre pronto a intervenire per il bene di coloro che a Lui si rivolgono come Buon Samaritano.
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Anzitutto è necessario collocare questa preghiera all’interno di una definizione chiara che possa circoscriverne i confini. In sintesi, possiamo dire che la Preghiera di guarigione dell’albero genealogico è quella preghiera che chiede a Dio di eliminare le cause e le conseguenze di quei mali che hanno interessato una determinata persona nel passato le cui conseguenze persistono ancora al presente ricadendo sui suoi discendenti. Facciamo un esempio: se il mio bisnonno ha commesso un peccato, un male o era portatore di una determinata tendenza o tara che ha marchiato la sua esistenza in modo incisivo, questo peccato (male, tendenza, tara) può manifestarsi ancora nella vita futura dei nipoti anche dopo diverse generazioni portandosi dietro le immancabili conseguenze di sofferenza. Quindi mali oggettivi come la violenza, l’alcolismo, la pratica dell’occultismo, la tendenza al suicidio o all’aborto, alcune malattie psicologiche, alcune corruzioni morali, possono ripresentarsi nella vita di una persona che paga al presente e subisce in modo del tutto incolpevole quello che è stato vissuto da un suo antenato nel passato.
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Ho voluto prendere come esempio il caso di un lontano nonno in relazione a un pronipote, ma la stessa cosa potrebbe dirsi in modo più immediato tra un padre e un figlio o tra una madre e un figlio, quindi tra generazioni anche molto vicine tra di loro. Nell’ambito delle scienze cliniche oncologiche è noto e scientificamente accertato che certe forme di tumori possono essere ereditari, per questo gli specialisti consigliano a figli e nipoti di effettuare periodici controlli. Nell’ambito delle scienze cliniche psichiatriche è altrettanto noto che certe malattie o disturbi mentali sono ereditari, per esempio la schizofrenia.
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Proviamo a chiarire il tutto con un altro esempio: il Codice di Diritto Canonico del 1917 ai canoni 983-991 indicava tutta una serie di impedimenti a ricevere il sacro ordine sacerdotale. Le precedenti leggi canoniche successive al Concilio di Trento stabilivano che i figli dei macellai non potevano ricevere gli ordini sacri. Una norma che, se non spiegata, oggi potrebbe suscitare persino ilarità, eppure aveva una sua logica. In alcune epoche storiche quello dei macellai era un mestiere particolarmente cruento e quasi sempre la macellazione degli animali avveniva in modo molto violento. Il tutto finiva per incidere non solo sulla psicologia e l’aspetto comportamentale di chi esercitava questo mestiere, ma anche nei membri della sua famiglia, dei suoi figli e dei suoi nipoti nati e cresciuti in quel genere di contesto familiare, sociale e lavorativo.
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In molti particolari casi la povera persona che patisce tali mali non è nient’altro che un anello di una lunga catena di individui gravati da continui disturbi e malanni fisico-spirituali ripetuti che si protrarranno fino a quando non saranno interrotti i legami con quelle radici che rappresentano la causa oggettiva di questi disturbi. La guarigione avviene attraverso una serie di preghiere specifiche e puntigliose che passano in rassegna tutti i mali fisici e spirituali esistenti nel mondo.
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Per l’esemplificazione dei Lettori riporto qui di seguito alcuni stralci di una Preghiera di guarigione dell’albero genealogico composta da un personaggio sui generis e che è possibile ritrovare sul web. Testi più o meno simili è possibile trovarli anche altrove o leggerli in diversi libri che trattano dell’argomento:
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«Gesù, ci hai rivelato che dal peccato commesso dall’uomo all’origine del mondo è venuto ogni male e che anche il peccato di ciascuno ha influenza negativa sugli altri, specialmente il peccato dei genitori sui figli e i discendenti. Attraverso la generazione si trasmettono gli stessi caratteri fisici e psichici, i buoni frutti delle virtù e le tristi conseguenze dei vizi, la salute e le malattie, il bene e il male. Per il bene che i genitori e gli antenati ci hanno trasmesso, li ringraziamo e ringraziamo Te, perché con la tua grazia hanno agito bene. Per il male che ci hanno trasmesso, li perdoniamo e li affidiamo alla tua misericordia, chiedendo per loro il tuo perdono e facendo suffragi. Gesù, ora ti preghiamo per le nostre generazioni passate e presenti, sia di ramo paterno che di ramo materno. Ti preghiamo di guarire il nostro albero genealogico, di cui noi siamo un frutto. Per il loro bene e il nostro bene, tronca ogni influenza negativa che ci hanno trasmesso. Il tuo Sangue Prezioso scenda a purificare, risanare, liberare, perché oggi la nostra generazione sia sana e santa, unita e felice così che possa trasmettere solo cose positive, essere canale soltanto di salute e di santità. Gesù, guarisci il nostro albero di famiglia».
«Gesù, guariscici da tutte le malattie che sono giunte a noi attraverso le generazioni passate. Guariscici dalle malattie fisiche: del cuore, del sangue, del sistema circolatorio; della bocca, del naso, delle orecchie, della gola, dei bronchi, dei polmoni; dell’esofago, dello stomaco, del fegato, della cistifellea, del pancreas, dell’intestino; dei reni, delle vie urinarie; del cervello, del midollo spinale e del sistema nervoso; delle ossa e della colonna vertebrale; della pelle; dei nostri cinque sensi; guariscici dai tumori e da ogni malattia strana; dalla frigidità e dalla sterilità, dall’impotenza e dalle malattie veneree. Guariscici da tutti i casi di malattie mentali che ci sono stati nella nostra storia familiare: forme di paranoia, schizofrenia, psicosi, comportamenti depressivi e autodistruttivi. Guariscici da tutte le malattie psichiche: ansie, affanni, depressioni, insicurezze, paure, complessi, tristezze, pensieri di suicidio, tedio della vita, squilibri, attacchi di panico. Interrompi la trasmissione di tutte queste malattie. Togli queste tare ereditarie. Fa’ che nella nostra generazione ci siano sempre salute fisica, integrità mentale, equilibrio emozionale, sane relazioni, bontà, amore; per trasmettere questi tuoi doni alle generazioni successive. Gesù, guariscici da tutte le malattie ereditarie»
«Gesù, liberaci da tutti i mali causati in noi dagli antenati che partecipavano all’occultismo, allo spiritismo, alla stregoneria, alla magia, a sette sataniche, alla massoneria. Tronca il potere del maligno che, per colpa loro, ancora pesa sulle nostre generazioni. Spezza la catena di maledizioni, malefici (fatture, legature, segnature, riti voodoo), opere sataniche che gravano sulla nostra famiglia. Liberaci da patti satanici, consacrazioni a satana e legami mentali con i seguaci di satana. Tienici sempre lontano da riunioni spiritiche e da ogni attività con cui satana può continuare ad avere dominio su di noi. Prendi sotto il tuo potere qualsiasi area che sia stata consegnata a satana dai nostri antenati. Allontana per sempre lo spirito cattivo, ripara ogni suo danno, salvaci da ogni sua nuova insidia. Solo da Te possiamo avere tutti la vita, la libertà, la pace. Gesù, liberaci da tutti i mali causati dal maligno»
«Gesù, liberaci da tutte le abitudini cattive presenti nel nostro albero genealogico: dal gioco, dallo sperpero, dal bere, dalla droga, dalla grettezza, dal furto. Poni fine ad ogni nostra cattiva abitudine. Liberaci dai tutti i vizi capitali: dall’accidia, dall’avarizia, dalla gola, dall’ira, dall’invidia, dalla lussuria, dalla superbia. Liberaci dall’eredità cattiva che ci hanno lasciato i nostri antenati dediti a questi vizi. Liberaci da tutti gli idoli che hanno adorato le nostre generazioni precedenti: il denaro, il potere, il piacere, la casa, i terreni, i gioielli, i titoli. Taglia i vincoli che ci legano a questi casi di idolatria. Liberaci da tutta la corruzione e la violenza, dall’ira e dalla malignità dei nostri antenati che sono stati sfruttatori, ricattatori, criminali. Rompi in noi tutti i legami a questi comportamenti. Liberaci da tutto il male compiuto dai nostri antenati spinti dall’odio: odio verso gli altri, verso se stessi, verso Dio, odio razziale, fanatismo religioso».
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Come è evidente dal testo della preghiera sopra riportata, queste invocazioni sono molto lunghe e dettagliate nell’elencare tutti i mali e gli ambiti da cui si vuole essere risanati. La pecca di questa preghiera non è tanto quella di domandare la guarigione dal male o dal maligno ― cosa che peraltro Gesù ci insegna a fare come richiesta esplicita nel Padre Nostro ― ma nella teologia che è sottesa dentro a questa forma di preghiera che è quella che gli antichi ebrei conoscevano con il nome di teologia della retribuzione o teoria retributiva. Questo pensiero teologico lo possiamo ritrovare anche all’interno di alcune filosofie religiose orientali come riferimento alla Legge del Karma o alla credenza nella Reincarnazione.
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Procediamo con ordine: L’origine più immediata di questa Preghiera di guarigione dell’albero genealogico la dobbiamo all’opera e alla dottrina del medico psichiatra britannico Kenneth McAll (1910-2001). Egli è stato un fervente e appassionato missionario protestante, che ha saputo dare il via a questa pratica terapeutica, tanto da trasformarla in una vera e propria scuola spirituale. Per chi volesse approfondire la vita e l’opera di questo medico carismatico, consiglio di leggere i suoi due libri più famosi: Fino alle radici. Guarigione dell’albero genealogico, edizioni Ancora, Guida alla guarigione dell’albero genealogico, edizioni Segno. Tra le pagine di questi testi il lettore troverà l’intero manifesto e impalcatura di tutta quanta questa teoria psico-teologica-terapeutica.
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Quando trattiamo il tema della sofferenza fisica e spirituale dobbiamo prestare una particolare attenzione a non esasperare o illudere le persone che ne sono coinvolte. Davanti alla sofferenza umana, specie quella sofferenza di tipo incolpevole, non possiamo permetterci il lusso di fare errori o di essere faciloni giocando con la vita delle persone o con le loro fragilità, evitando soprattutto di nutrire e instillare false speranze. Né tantomeno possiamo pensare di confezionare soluzioni a basso costo e ad alto impatto emotivo che si prefiggono di accontentare il sofferente donandogli un senso di sollievo immediato ma che di fatto non risolvono il problema anzi possono portare addirittura a cocenti delusioni.
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La divina Rivelazione ci attesta che il problema della sofferenza è legato inscindibilmente al mistero dell’iniquità che Cristo ha distrutto con la sua passione, morte e risurrezione e che lui stesso ha pagato liberamente attraverso la sua augustissima persona. Da quel primo peccato di disobbedienza, descritto in Genesi 3, la ribellione a Dio ha generato una tragica conseguenza dentro il mondo creato che ha il volto della morte, della sofferenza, del disordine e della perdita della comunione. Dal giusto Abele all’innocente Isacco, dal saggio Giobbe fino a Cristo Signore, l’uomo si è sempre dibattuto e interrogato sul perché della sofferenza e del male nel mondo. Ma soprattutto egli si è sempre interrogato sul perché egli soffra ingiustamente. Eppure, a voler essere sinceri una risposta vera è propria non c’è, o meglio non c’è quella risposta che ci piacerebbe tanto sentire e che è in grado di spiegare tutto.
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Non esiste la carta vincente di un “peccato ancestrale” che diviene l’asso pigliatutto per giustificare ogni stortura dell’esistenza, per cui è possibile de-responsabilizzarsi e demandare tutto all’esterno dell’uomo, mentre invece sarebbe necessario partire dall’interno dell’uomo dal suo cuore. Quando ci riferiamo al peccato originale noi operiamo una sostanziale differenza con il peccato ancestrale. Il primo ammette una responsabilità personale in conseguenza di una libertà male utilizzata, il secondo è il risultato di un cieco determinismo per cui non si può far altro che prendere atto della situazione avversa e subirla. Per discernere su queste questioni ci viene in aiuto la divina Rivelazione che dona non una risposta ma orienta a un senso per spiegare la sofferenza. Esiste la compromissione di un Dio che si incarna e che assume su di sé la condizione e la fragilità dell’uomo, distruggendo ogni male nel sacrificio della croce. La vittoria di Cristo non è solo la vittoria sul male, ma su ogni male. È anzitutto la vittoria sull’origine e sulla causa ultima del male nella sua essenza che è Satana, così come si afferma solennemente nella liturgia battesimale: «Rinunciate a Satana, origine e causa di ogni peccato?», vale a dire di ogni male.
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Da cristiani, davanti alla sofferenza specie se ingiusta, noi sappiamo fare molto di più di quanto comandò di fare il filosofo Socrate ai suoi discepoli. Noi non offriamo un gallo al dio della medicina Esculapio, noi cristiani davanti alla sofferenza sappiamo offrire il venerabile corpo e sangue del Signore Gesù Cristo che continuamente si offre e si immola per ogni uomo di ogni tempo. La risposta cristiana al male e alla sofferenza non è quindi di natura filosofica ma teologica, è una risposta che supera l’uomo, essa viene elevata a mistero e si comprende solo a partire dalla fede in Colui che ha vinto la sofferenza.
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Per poter capire questo discorso sul mistero del male e della sofferenza voglio soffermarmi principalmente su quello che Gesù ci ha lasciato a questo riguardo. Voglio partire anzitutto dalla guarigione del cieco nato che troviamo descritta nel vangelo di Giovanni [9,1–41] per poi terminare con il brano dell’evangelista Luca [13,1–5]. Il Vangelo di Giovanni racconta che i discepoli di Gesù vedendo un cieco nato sulla strada posero questa domanda al Signore:
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«”Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”».
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I discepoli non fanno altro che riproporre un pensiero teologico, che era in sintonia con la teoria retributiva dell’epoca. Per dirla con brevità di parola, la teoria retributiva affermava che non vi è sofferenza senza colpevolezza, che se qualche cosa ti è capitato di male nella vita è perché te lo sei cercato e se non sei stato tu il diretto responsabile è stato qualcun altro che ti è vicino, come parenti prossimi o antenati.
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Sebbene già il Libro di Giobbe avesse messo in crisi questa teoria retributiva con la sua annessa teologia sponsorizzata dai tre amici inopportuni, nel pensiero religioso ebraico del tempo di Gesù questa concezione ancora si mantiene forte così come vedremo nel caso dei disordini sociali descritti dal brano dell’evangelista Luca [Lc 13,1–5]. Quello che per noi è sufficiente sapere, in riferimento al nostro discorso sulla Preghiera di guarigione dell’albero genealogico teorizzata dal dr. Kenneth McAll, è che non è possibile dire che i peccati dei padri inficino la vita presente dei figli, secondo quanto già il profeta Ezechiele affermava per conto di Dio:
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«Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Perché andate ripetendo questo proverbio sul paese d’Israele: I padri han mangiato l’uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?”» [Ez 18, 2].
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Quindi pregare per la guarigione delle colpe passate degli antenati in funzione della liberazione dei loro discendenti non solo è inutile ma è anche non cristiano in quanto contrario alla Rivelazione e all’insegnamento di Gesù. Detto questo poniamoci adesso una domanda: perché dovremmo chiedere con insistenza al Signore di liberarci dalle colpe dei nostri antenati, dalle loro scelte sbagliate, dai loro atti viziati nell’uso del libero arbitrio se così facendo affermiamo di fatto un rapporto moralistico malato di causa-effetto così apparentemente scontato, così impietoso da veicolare un distruttivo determinismo che Gesù rifiuta? Cristo dice no a questa concezione teologica, affermando con forza che la cecità di quell’uomo ha come unico scopo la gloria di Dio, cioè l’epifania del Regno del Figlio e l’annuncio del Vangelo nel mondo. Si tocca qui la prossimità di Dio che in Gesù si affianca all’uomo per liberarlo e guarirlo. Il primo beneficiario di questa gloria sarà il cieco che recupererà la vista, poi i suoi genitori che saranno sgravati da una responsabilità sociale e morale frustrante ed infine i dottori della Legge che avranno una buona occasione per poter accostarsi a quella presenza di quel Dio che tanto predicano ma che stentano ancora a riconoscere in mezzo a loro.
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È sintomatico notare nel Quarto Vangelo il gioco dei contrari che spesso si verifica proprio a partire dai segni epifanici che Gesù compie: colui che è cieco è l’unico a riconoscere e vedere il Salvatore, mentre coloro che dicono di vedere restano ciechi ed intrappolati in rigidi determinismi. A questo proposito la madre Chiesa attraverso un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede ribadisce il pensiero del suo Salvatore facendo ancora più chiarezza attraverso il magistero del Santo Pontefice Giovanni Paolo II:
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«La malattia però colpisce anche i giusti e l’uomo se ne domanda il perché. Nel libro di Giobbe questo interrogativo percorre molte delle sue pagine. «Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa e abbia carattere di punizione. La figura del giusto Giobbe ne è una prova speciale nell’Antico Testamento. (…) E se il Signore acconsente a provare Giobbe con la sofferenza, lo fa per dimostrarne la giustizia. La sofferenza ha carattere di prova» [Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Salvifici doloris, n. 11].
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Davanti alla sofferenza di qualsiasi natura e origine chiediamo a Dio di essere liberati, la guarigione avviene per opera di Gesù Cristo e il Libro del Siracide ci esorta a chiedere con insistenza il risanamento con atteggiamento filiale: «Figlio, non avvilirti nella malattia, ma prega il Signore ed egli ti guarirà» [Sir 38,9]. Elementi fondamentali di una buona preghiera di guarigione sono la sottomissione alla volontà di Dio Padre, l’abbandono fiducioso al Figlio Gesù Cristo e il ricorso alla virtù teologale della speranza che, illuminata dallo Spirito Santo, ci permette di vedere l’opera di Dio attraverso i mezzi ordinari di guarigione quali il personale medico, le terapie e i farmaci, gli interventi sanitari e una comunità sanante. Tutti gli altri mezzi straordinari di guarigione appartengono a Dio soltanto che sceglie tempi e modalità proprie per agire nel giusto momento.
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Per vivere la malattia con fede ed ottenere la sospirata guarigione dobbiamo porci dentro a un’azione di grazia che è sempre immeritata ma che non può mai prescindere dalla conversione del cuore. Questo discorso ci conduce ad esaminare il brano dell’Evangelista Luca [13,1–5] che prende spunto da un fatto di cronaca nera accaduto al tempo di Gesù. Questa volta il male ha un carattere sociale e corporativo e la teologia della retribuzione ci porta ad allargare il rapporto tra l’individuo e la società. L’uomo è in grado di entrare in relazione con altre persone, per cui le conseguenze di determinate azioni collettive sono causa di sofferenza e di male per l’intera collettività. Dice l’Evangelista Luca:
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«In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
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Anche questa volta Gesù scardina la teologia della retribuzione, non accetta il nesso meccanicistico tra sofferenza e colpevolezza. Con altre parole sembra dire:
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«Voi siete convinti che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei perché hanno fatto quella fine? Ebbene vi sbagliate, erano peccatori quanto e come voi. Il punto è che ancora non si erano convertiti, cioè non avevano capito che la felicità dell’uomo passa attraverso il totale affidamento della propria vita a Dio. Voi che siete ancora in tempo!».
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Non a caso, a questo discorso sulla conversione, si affianca la successiva parabola del fico infruttuoso. Dobbiamo essere sinceri, molto spesso nel nostro rapporto con Dio e con gli altri siamo più propensi a fare aria fritta che non frutti di conversione. Se ci guardiamo con autenticità siamo spesso alberi con le sole foglie ma niente frutti. Ecco la ragione della nostra non guarigione. La conversione è un suggerimento prezioso per poter aprire una strada pastorale verso la guarigione e il risanamento. Convertirsi al Signore significa partire da una vita che si radica in Lui e che abbandona il male attraverso le piccole scelte quotidiane. Anche J.R.R.Tolkien ne Lo Hobbit ribadisce con altre parole questo concetto evangelico nel dialogo tra Gandalf e Galadriel:
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«Ho scoperto che sono le piccole cose […] le azioni quotidiane della gente comune che tengono a bada l’oscurità. Semplici atti di gentilezza e amore».
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Conversione significa ricorrere nell’umiltà alla grazia dei Sacramenti per potersi mantenere in continua comunione con Dio, sapendo che senza ci è impossibile rimanere in piedi. Conversione significa mantenere un costante dialogo con il Signore e chiedere la misericordia verso coloro che ci hanno ferito così come vediamo fare in Abramo che chiese a Dio la guarigione degli empi a partire dalla funzione vicaria dei giusti:
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«Davvero sterminerai il giusto con l’empio? […] Per riguardo a loro, perdonerò tutto quel luogo» [Gn 18, 1-33].
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Per questo motivo è bene chiarire che non sono gli altri che sono i responsabili della mia felicità non realizzata, della mia infermità fisica e spirituale, tanto meno i miei antenati. Nemmeno il Demonio diventa il responsabile primo dei miei insuccessi. Tutte queste cose ci permettono solo di deresponsabilizzarci scaricando su altri quello che invece appartiene a noi e che non vogliamo fare. Per questo sarebbe più opportuno chiedere al Signore non tanto la guarigione del nostro albero genealogico ma la guarigione del nostro cuore e la liberazione da tutte quelle rigidità che ci impediscono una buona volta di convertirci a Lui.
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In conclusione desidero solo accennare alla presenza di quei condizionamenti sociali e familiari che possono essere l’occasione per commettere il male o per facilitare una certa corruzione morale dei costumi nella società. Tali condizionamenti vengono definiti dalla Dottrina Sociale della Chiesa come “strutture di peccato”. Dentro queste strutture ricadono tutte quelle situazioni sociali o istituzioni che sono contrarie alla legge divina ma che restano sempre l’espressione e l’effetto dei peccati personali. Quindi le strutture di peccato se non arginate e risanate possono diventare causa di corruzione e perdizione per l’uomo ma esse sono sempre il risultato di una libertà umana che fugge dalla conversione a Dio, di un cuore che non ascolta e che non obbedisce, di una responsabilità che accetta di andare contro Dio a prescindere dalle conseguenze. In tutto ciò non c’è determinismo, è possibile sempre una inversione di marcia e una salvezza e non dobbiamo scomodare la responsabilità degli antenati per trovare un alibi accettabile che ci possa sgravare dall’imbarazzo di dire: è stata mia la colpa.
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Preferisco sorvolare del tutto su quei soggetti auto-elettisi paladini di una non meglio precisata “autentica tradizione cattolica”, che pur lanciandosi in roboanti invettive contro l’eresia luterana del XVI secolo, nel giocare poi di fatto in un certo modo, inclusi certi impropri “riti di guarigione”, nella migliore delle ipotesi dimostrano di essere dei pentecostali radicali del tutto inconsapevoli di esserlo. E a tal proposito ricordo che il pentecostalismo radicale è l’eresia di una eresia di una eresia, ossia una eresia di terza generazione. Oppure, senza scomodare quella cosa molto seria che è l’eresia, quasi sempre appannaggio di menti molto colte e raffinate, più semplicemente l’agire di certi oscuri personaggi ricalca in tutto e per tutto quello dei fattucchieri di bassa lega.
Laconi, 15 giugno 2022
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