Gli scandali della potente lobby gay ecclesiastica e il dramma della formazione del clero

Padre Giovanni

attualità ecclesiale 

GLI SCANDALI DELLA POTENTE LOBBY GAY ECCLESIASTICA E IL DRAMMA DELLA FORMAZIONE DEL CLERO

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Sulla base delle analisi ed osservazioni che i Padri de L’Isola di Patmos stanno facendo ormai da alcuni anni sia della condotta che delle idee del clero e dei vescovi almeno italiani, davanti a tutti questi fatti sorge inevitabilmente un atroce sospetto, non privo di fondamento, anche se non sempre corredato da precise prove: in molti casi le ordinazioni di questi preti e di questi vescovi, fondate sulla falsa concezione del sacerdozio, potrebbero essere invalide.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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… caro Mario Bonfanti [cf. QUI] e sodali affini vari, nessuno vi impedisce di essere gay e di praticare la sodomia con tutte le relative tutele che la Legge civile stessa vi riconosce, però non potete fare i preti, perché diventare prete non è invece un diritto.

I fatti scandalosi in crescita di numero in vari Paesi del mondo, dei quali sempre più si ha notizia, concernenti i peccati di sodomia commessi da preti con ragazzi o giovani, o peggio l’abominio della pedofilia, ci spingono a interrogarci su quali possono essere le cause di un fenomeno tanto aberrante e contro natura. L’esistenza, infatti, del concubinato nel clero è un fenomeno che percorre tutta la storia della Chiesa. Essa ha conosciuto persino il caso di un Papa concubinario, Alessandro VI. Ma in fin dei conti, qui c’è in gioco quello che è il rapporto sessuale fisiologicamente normale, seppur peccaminoso. Quello di cui si stenta a capire come possa accadere è un peccato così grave contro quel celibato ecclesiastico o voto di castità, che si suppone esser stato desiderato, voluto, deciso e promesso solennemente e pubblicamente di osservare usque ad mortem, liberamente e consapevolmente, da persone psicologicamente normali, dopo aver ricevuto una normale e regolare formazione sacerdotale e religiosa, ed esser stati prudentemente vagliati e provati dai superiori responsabili della formazione. Ma quello che c’è da aggiungere a questo quadro sconfortante è la domanda che sorge spontanea, ancora più drammatica, sulla qualità dei formatori, docenti ed educatori di queste persone e in primis dei vescovi, supremi moderatori e vigilanti circa la buona formazione dei loro sacerdoti, nonché la competenza e virtù dei docenti e degli educatori preposti alla loro formazione.

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Le domande non sono ancora finite. Si deve infatti constatare, come Padre Ariel ha già più volte rilevato in sue precedenti pubblicazioni editoriali e su L’Isola di Patmos, che le radici profonde di questi peccati sessuali non possono non essere che l’aver ricevuto una cattiva per non dire pessima formazione, non basata sulle direttive del Magistero della Chiesa e sui veri maestri, ma su idee eretiche o condannate dalla Chiesa, le quali propongono tra l’altro un falso concetto di Dio, dell’uomo, della fede, della grazia, della legge, del peccato, della Redenzione, della Chiesa, dei sacramenti, del sacerdozio e dell’episcopato, come avviene per esempio nella teologia di Karl Rahner.

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Un altro fatto preoccupante in questa vicenda è l’atteggiamento inadeguato o imprudente dei vescovi, i quali: o sono reticenti o minimizzano o coprono i misfatti o prendono provvedimenti inefficaci. Al riguardo, paiono plateali e dettate da grave leggerezza le dimissioni collettive avvenute nel maggio del 2018 dei membri dell’intero episcopato cileno a seguito dell’ennesimo scandalo in Cile. Buona è stata la lettera con la quale i vescovi hanno espressero pentimento, volontà di rimediare e ringraziamento al Santo Padre per la paterna attenzione che egli ha riservato alla vicenda [cf. QUI]. Occorre osservare tuttavia che un vescovo può certo dimettersi perché conscio di colpe gravissime o perché avverte con certezza la propria indegnità o incapacità a continuare a svolgere convenientemente il suo ufficio, lo stesso Sommo Pontefice Benedetto XVI in quest’ottica ha fatto il proprio solenne atto di rinuncia. Ma che un intero episcopato di 34 vescovi, per quanto abbia avvertito il proprio coinvolgimento nello scandalo diffuso e protrattosi per molti anni, giunga all’inaudita gravissima decisione di dare le dimissioni in blocco, con una compattezza che sa di cosa forzata, come potrebbe avvenire nelle proteste sindacali o in un comitato di fabbrica, sembra testimoniare non di un atto di pentimento, ma di un atto lesivo della dignità episcopale, per attirare su di sé l’attenzione del mondo. Ben altro da simili gesti spettacolari ci vuole per risolvere il problema. I veri e più gravi responsabili avrebbero dovuto farsi avanti e non nascondersi nel mucchio.

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La vera soluzione educativa è che il vescovo si decida una buona volta a impartire sul serio una formazione seminaristica ed a svolgere una diligente vigilanza sul clero, affinché sia protetto e difeso dalle idee malsane e coltivi la sana dottrina, chiarisca bene il valore altissimo della vocazione sacerdotale ed episcopale e se ne innamori con tutto il cuore, con ardente desiderio di perfezione e di santità e di essere totalmente al servizio delle anime e della Chiesa. Il sacerdote veramente convinto e innamorato della propria vocazione e missione è tutto e soltanto preso dalle cose di lassù e non da quelle di questa terra. È mosso dallo Spirito e non ha tempo per soddisfare i desideri della carne. La vera soluzione pastorale comporta l’educazione della volontà e delle emozioni, nonché il rafforzamento dell’attaccamento al bene, la stimolazione dell’odio per il peccato, la volontà di emendarsi e di correggersi. Se San Paolo dice che la carità «tutto copre», egli intende riferirsi a quella delicatezza del padre che non vuol gettare il figlio in pasto al ludibrio, non lo vuole umiliare. Eppure lo vuol correggere. È un padre, quindi, che sa all’occorrenza richiamare, rimproverare, minacciare, castigare. Anche questa è carità. Ma essa è altresì pronta a coprire là dove è possibile, utile, lecito e doveroso, laddove c’è da scusare o pazientare; non certo nel senso di coprire o nascondere il peccato affinché non venga punito. Qui non deve coprire, ma svelare a chi di dovere e al peccatore stesso. Dio non copre i peccati lasciandoli tali, come credeva Lutero, ma li copre per misericordia in attesa di toglierli.

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La misericordia non suppone la riduzione della colpa a pena. Non c’è solo l’anima ferita, ma c’è anche quella feritrice. Si deve aver pietà per chi non ce la fa, non per chi non vuole impegnarsi. Questo va incitato. Altrimenti la misericordia diventa connivenza e complicità. E detto questo bisogna aggiungere nelle nostre considerazioni su questo tema scabroso che, sulla base delle analisi ed osservazioni che io e Padre Ariel stiamo facendo ormai da alcuni anni sia della condotta che delle idee del clero e dei vescovi almeno italiani, davanti a tutti questi fatti, è sorto inevitabilmente in noi un atroce sospetto, non privo di fondamento, anche se non sempre corredato da precise prove, per cui siamo giunti alla conclusione che in molti casi le ordinazioni di questi preti e di questi vescovi, fondate sulla falsa concezione del sacerdozio [1], siano invalide [vedere nostri articoli su Theologica, QUI e QUI].

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Occorre dire inoltre con franchezza che lo smarrimento morale, che è all’origine del fenomeno della omosessualità diffusa tra i sacerdoti, è a sua volta causato dal concetto rahneriano dell’agire umano, che non si basa sull’accettazione dei fini essenziali della natura umana, perché egli non accetta neppure l’idea di una natura umana fissa e oggettiva, la cui felicità dipende dall’obbedienza a una legge naturale immutabile ed inviolabile, stabilita dal Creatore; ma secondo lui l’uomo e ciascuno di noi è libero di determinare come gli pare e piace i contorni concreti e quindi l’agire della propria natura.  Da qui la conseguenza che in campo sessuale il soggetto singolo è libero di scegliere il proprio orientamento sessuale non in base a una finalità dell’attività sessuale insita nella natura, indipendentemente dal soggetto, ma in base alla ricerca del piacere sessuale, ottenuto con mezzi creati dal soggetto stesso, diversi da soggetto a soggetto e tutti leciti, purché piacciano al soggetto. In tal modo non esiste più una regola universale per distinguere la buona azione  dal peccato. Quindi non posso più dire che il tale commette un peccato di sodomia o di pedofilia, ma che il suo atto è semplicemente diverso dal mio, un atto che non devo condannare, ma rispettare. È chiaro che quando si dà spazio ad una morale del genere, le geremiadi  per la pedofilia dei preti  sono lacrime di coccodrillo e gli scandali sono ipocrisie.

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Quanto dunque ancora dovremo andare avanti nel raccogliere i frutti amari del rahnerismo? Che cosa deve accadere ancora perchè il Papa si decida ad una riforma della formazione sacerdotale secondo le direttive del Concilio? Esse non prevedono affatto il rahnerismo, ma bensì un saggio ritorno a San Tommaso, come dice lo stesso Decreto conciliare sulla formazione sacerdotale Optatam totius:

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«Per illustrare integralmente quanto più possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli per mezzo della speculazione, avendo San Tommaso per maestro» [n.16]. 

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E la Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis:

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«Indagando molto accuratamente le nuove questioni e ricerche poste dall’età che si evolve, si colga più chiaramente come fede e ragione s’incontrino nell’unica verità seguendo le orme dei dottori della Chiesa, specialmente San Tommaso d’Aquino» [n.10].

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Occorre che l’educatore metta abbondantemente a disposizione dell’educando i mezzi della grazia, proponga l’esempio dei Santi, dia egli stesso esempio di virtù,  lo educhi allo studio della Scrittura, alla preghiera, all’intima unione con Cristo sommo Sacerdote, alla comunione con la Chiesa e col Papa, alle opere della carità fraterna e della misericordia.

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Dobbiamo riconoscere onestamente che in questi cinquant’anni nei quali si sarebbero dovute mettere in atto queste sagge direttive, il Concilio è stato semplicemente beffato proprio da coloro — i rahneriani —, che se ne considerano i continuatori. Così è successo che invece della riforma conciliare, è risorto un Modernismo che è peggiore di quello dei tempi di San Pio X. Bisogna rifare tutto daccapo e tornare a queste direttive del Concilio, altrimenti le cose andranno di male in peggio, in una situazione nella quale si è partiti con gli scandali dei preti gay, ma in breve tempo si è giunti al coinvolgimento in questi scandali dei loro vescovi e cardinali protettori, ad alcuni dei quali si è giunti persino a togliere la dignità cardinalizia. Faccio dunque mia la domanda posta da Padre Ariel nel suo articolo: «Tutto questo, non poteva forse essere evitato?» [cf. QUI].

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Varazze, 21 agosto 2018

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[1] Cf. Il concetto di sacerdozio in Rahner, in Il sacerdozio ministeriale. «L’amore del Cuore di Gesù», a cura di S.M.Manelli e S.Lanzetta, Atti del Convegno Teologico organizzato dai Francescani dell’Immacolata nel dicembre 2009, Cantagalli, Siena 2010, pp. 183-230.

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