Arte e morte dinanzi a un virus invisibile e insidioso che nel corso di questa pandemia ha riportato l’uomo a riflette sulla vita e sulla morte

— gli specialisti ospiti de L’Isola di Patmos —

ARTE E MORTE DINANZI A UN VIRUS INVISIBILE E INSIDIOSO CHE NEL CORSO DI QUESTA PANDEMIA HA RIPORTATO L’UOMO A RIFLETTERE SULLA VITA E SULLA MORTE

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Di cultura in cultura la sepoltura e il rito funebre hanno contraddistinto il passaggio della morte dell’uomo, il tutto fino alla sopravvenuta diffusione del Cristianesimo nel quale, la deposizione dalla croce del Cristo morto diventa stereotipo fondamentale alla cura del corpo e dell’anima. Attraverso le iconografie cristiane artistiche di tutti i secoli abbiamo contezza di quanto l’uomo ne sia legato quasi endemicamente alla sua stessa esistenza.

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Autore
Licia Oddo *

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Raffaello Sanzio, Deposizione del Cristo, olio su tavola, Galleria Borghese, Roma

Tra gli effetti collaterali della pandemia da covid19, il momento della meditazione riacquista la sua fisionomia, in una società assuefatta per la mancanza di tempo alla frenesia del quotidiano. Così oggi il tempo torniamo a recuperarlo nei vari aspetti vitali, incluso quello artistico di un’arte intesa come nobile espressione dell’attività umana. Infatti, l’arte è di per sé un grande atto di resistenza alla morte [G. Vangi cfr. C. Casadei in Spettacoli, cultura e società].

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Se l’uomo è stato costretto a limitare e arrestare la sua esistenza, la morte, non si ferma davanti a niente e nessuno, anzi è la più tragica delle conseguenze, ma si tinge di toni più cupi a causa di questa forma pandemica, negando all’uomo la dignità del suo stesso culto. Così, se la natura rumoreggia nel silenzio dell’emergenza e si riprende il suo posto, la pandemia spodesta gli uomini nel culto dei morti, sino a impedire di poter procedere al loro estremo saluto, alla veglia del cadavere prima della sepoltura e alla sua pietosa tumulazione.

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In tutte le civiltà e da illo tempore, l’attenzione per il defunto è prioritaria nella tradizione di conferire la giusta sepoltura del corpo funzionale al benessere dell’anima. La tradizione letteraria e l’arte ci danno testimonianza per tutte le civiltà della storia del culto funebre a partire dal mondo greco, dai poemi omerici nella celebre rivendicazione di Priamo del corpo del figlio da parte degli achei, alle tragedie, in cui la disperazione di Antigone per la morte del fratello Polinice, infrange il divieto di sepoltura. Se quello del γέρας θανόντων era un obbligo dei superstiti verso il guerriero, allo stesso tempo era dovere proteggere il suo corpo dall’attacco della natura e dall’oltraggio del nemico provvedendone alla sua tumulazione. Sulla stregua della cultura greca l’occidente si fa erede e portatore di un sistema di valori, ideali in grado di resistere all’azione corrosiva del tempo, e di garantire l’immortalità all’uomo grazie al ricordo dei suoi congiunti.

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Catacombe di Santa Lucia, Siracusa: affresco funerario

Di cultura in cultura, sepoltura e rito funebre hanno contraddistinto il passaggio della morte dell’uomo, fino alla diffusione del Cristianesimo nel quale la deposizione dalla croce del Cristo morto diventa fondamentale simbolo della cura del corpo e dell’anima. Attraverso le iconografie cristiane artistiche di tutti i secoli abbiamo contezza di quanto l’uomo ne sia legato quasi endemicamente alla sua stessa esistenza.

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Da due mesi circa a questa parte, decine di migliaia di uomini, a causa del morbo covid19, sono stati costretti a rinunciare ai riti funebri, ma ancor prima all’ultimo saluto ai propri congiunti. Gli scenari che si aprono innanzi ai nostri occhi sono degni di un’ecatombe: cadaveri ammassati l’uno sull’altro nei corridoi dei nosocomi, privati della più semplice dignità sociale. Con stupore abbiamo assistito a una fila di camion militari carichi di bare portate da Bergamo verso vari crematori della Lombardia e dell’Emilia Romagna, perché i crematori della Città non potevano procedere a tutte quelle cremazioni. Immagini che hanno riportato alla mente le ben note pestilenze che hanno afflitto l’umanità attraverso i secoli. Corpi bruciati o gettati in fosse comuni ricoperte di calce viva a causa della mancanza di posti cimiteriali, tristemente obbligati a procedere con rapidità a sbarazzarsene per sanificare l’ambiente evitando l’ulteriore contagio.

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Statua genuflessa nel cuore di Times Square con le mani rivolte al cielo e titolata Covid Hero monument, opera dell’artista Sergio Furnari, divenuta simbolo della lotta alla pandemia.

Stessa procedura oggi riguarda alcuni dei Paesi della terra per non incorrere in altrettante pericolose infezioni che hanno sbalordito e inorridito le coscienze più comuni. Si assiste così all’umiliazione e mortificazione più dolorosa nella società post contemporanea che nulla ha potuto contro un evento di portata catastrofica, superiore a qualsiasi previsione. E se la storia sembra ripetersi anche a distanza di un secolo, quando negli anni Venti del Novecento si ebbe la grande epidemia nota come “febbre spagnola”, scandendo la nostra vita per fasi in attesa della normale ripresa quotidiana, a predominare su tutto è l’istinto di conservazione. Istinto primordiale che ne contraddistingue la natura umana, la cui reazione è oggi visibile nel lavoro dei medici e nelle rappresentazioni artistiche, che raccolgono le testimonianze materiali dell’operato umano a garanzia di una sopravvivenza totale sia fisica che identitaria della nostra specie, formata da uomini che spesso si sentono invincibili; uomini che forse, mai, avrebbero immaginato in che modo un virus invisibile e insidioso, li avrebbe portati di nuovo a dover riflettere sulla vita e sulla morte.

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Siracusa, 9 maggio 2020

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* Storico e critico d’arte. Già segnalatrice critica del Catalogo dell’arte moderna (C.A.M.) Editoriale Giorgio Mondadori – Cairo

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