“2001 Odissea nello spazio”, ovverosia: la fantateologia di alcuni giornalisti

Padre Giovanni

«2001 ODISSEA NELLO SPAZIO », OVVEROSIA: LA FANTATEOLOGIA DI ALCUNI GIORNALISTI

 

[…] alcuni, magari con titoli, sono costretti a fare mestieri inferiori per il fatto di non trovar lavoro, e questi sono scusabili, se non proprio da compassionare. Ma capita che facciano bene il loro dovere, anche perchè chi sa fare il più, sa fare anche il meno. Un laureato in medicina può fare il portalettere. Ma un portalettere non può curare una polmonite o una cirrosi epatica. Quelli che invece sono da riprovare e che fanno maggior danno, sono gli ambiziosi e i presuntuosi, i quali danno ad intendere di saper fare o pensare al di là di quelle che sono le loro reali capacità, spesso assai limitate.

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

alberto sordi vigile urbano

il compianto Alberto Sordi nel ruolo del vigile urbano

Nella vita è importante saper intraprendere la carriera giusta, conforme alle proprie capacità, sulla base di sani criteri di discernimento, senza ambizioni e senza remore. Capita invece che ci sia chi, per vari motivi, intraprende una strada che non è la sua, confondendo la sua autentica con un’altra, che è ciò che ha scelto, ma che avrebbe fatto meglio a non scegliere, perchè così, anche se può avere qualche successo, in realtà fa danno a sè e agli altri. Certo, alcuni — magari con titoli — sono costretti a fare mestieri inferiori per il fatto di non trovar lavoro, e questi sono scusabili, se non proprio da compassionare. Ma capita che facciano bene il loro dovere, anche perchè chi sa fare il più, sa fare anche il meno. Un laureato in medicina può fare il portalettere. Ma un portalettere non può curare una polmonite o una cirrosi epatica. Quelli che invece sono da riprovare e che fanno maggior danno, sono gli ambiziosi e i presuntuosi, i quali danno ad intendere di saper fare o pensare al di là di quelle che sono le loro reali capacità, spesso assai limitate. Ma capita disgraziatamente che coloro che aspirano a farsi giudici o guide degli altri, usano, come criterio per valutare se stessi e gli altri, non la saggezza, ma l’invidia e la presunzione.

Eugenio Scalfari

un esempio eccellente: Eugenio Scalfari, liberamente e legittimamente ateo dichiarato, con gloriosa carriera di militante anticlericale nonché fondatore di un quotidiano che spesso ha aggredito in modo anche molto duro il magistero pontificio degli ultimi quattro decenni, oggi divenuto a suo modo esperto ecclesiologo

Gli esempi che si potrebbero fare sono moltissimi e toccano ogni genere di scelta, di vocazione, di professione, di mestiere, di carriera. Voglio qui fermarmi su di un fenomeno oggi diffuso, del quale hanno parlato su questa nostra rivista telematica anche i miei amici e confratelli sacerdoti Ariel S. Levi di Gualdo e Antonio Livi: la pretesa di certi giornalisti di discutere o di sentenziare categoricamente, senza appello e senza la dovuta preparazione e competenza e quindi senza il dovuto criterio di giudizio, di teologia, di questioni di fede, di ministeri e compiti ecclesiali — per esempio quello del Papa — o di affari della Chiesa. Certo non è male che grandi organi di stampa facciano tanta attenzione al Papa, alla Chiesa, a temi di dottrina e di morale, alla questione dei progressisti e dei conservatori, a nomi di teologi o Cardinali famosi, alle sorti del cristianesimo in rapporto ad altre religioni, al rapporto del Concilio Vaticano II col Magistero precedente. Ma la questione è con quanta preparazione, obbiettività e competenza e con quanta esattezza di informazioni prese da quali fonti essi formano i loro giudizi, danno i loro pareri, conoscono, riferiscono ed interpretano i fatti. Quanto, per esempio, soprattutto quelli che si dicono o sono considerati cattolici, conoscono la vera natura della Chiesa così come la Chiesa cattolica la intende? Quanto sanno distinguere, nelle attività o nel pensiero del Papa il Maestro della fede dalla guida pastorale della Chiesa dal dottore privato, secondo quei princìpi e criteri che di recente noi tre abbiamo esposto più volte su questo sito attraverso i nostri scritti? Quanto sanno distinguere la dottrina della fede dalle varie e contraddittorie opinioni dei teologi? Quanto sanno distinguere ciò che è autenticamente cattolico da ciò che non lo è? Quanto sanno distinguere ciò che è teologia nel senso scientifico da ciò che è soltanto un discorso religioso più o meno letterario o mitologico?

Melloni presso il Grande Oriente

Lo storico cattolico della Scuola di Bologna, Alberto Melloni, ad una quanto meno inopportuna conferenza presso la loggia massonica del Grande Oriente d’Italia [vedere QUI]

Diffuso per esempio è il parlare delle vicende, delle iniziative, delle opere o delle imprese della Chiesa credendo di dire l’ultima parola col considerare la Chiesa da un punto di vista puramente terreno o solo sociologico, ed ignorando la sua essenza e le sue finalità soprannaturali, come si può parlare di una società multinazionale o come se si avesse a che fare con una semplice società filantropica o umanitaria, tipo Amnesty International o Green Peace, o un partito politico immerso negli affari di questo mondo.

giornalisti cattoliciÈ urgente chiarire una volta per tutte quale dev’essere il rapporto del giornalista cattolico col teologo nel trattare degli affari della fede e della Chiesa in modo conveniente al fine di comunicare col numero più grande possibile di persone. Innanzitutto occorre che il giornalista stesso sia teologo, data la materia che deve trattare, seppur non in termini scientifici, ma comprensibili dal grande pubblico. La prima cosa che il giornalista cattolico deve fare è quindi di capire esattamente di cosa si tratta, attingere con cura a fonti sicure e attendibili, operare un discernimento alla luce del Magistero della Chiesa, dare a questa luce e sotto questa guida una valutazione obbiettiva, intelligente, spassionata ed imparziale degli avvenimenti, esporre in termini semplici e popolari le dottrine, le novità, le discussioni, le linee di condotta, le attività pastorali, e i problemi ad esse annessi, senza escludere una critica costruttiva e prudente, distinguendo l’opinabile dal certo, in modo da svolgere un’opera informativa e formativa ad un tempo, un’azione educativa e uno stimolo culturale, che possano aiutare i lettori a viver meglio la loro fede e la loro appartenenza ecclesiale, in modo costruttivo, con spirito di collaborazione, sano ottimismo, ben difesi dall’insidia dell’errore, nell’esercizio delle virtù civili e cristiane, desiderosi di perfezione evangelica.

giornali

rassegna stampa

Se esistono giornalisti che improvvisandosi teologi vanno oltre la loro competenza e invadono a volte con arroganza e vana sicumera il campo del teologo, ciò può avvenire anche perchè purtroppo esistono teologi che non hanno sufficiente stima della elevatezza della loro disciplina, ma la riducono o risolvono al livello di semplice pastorale, per giunta con coloriture sociopolitiche, a volte estremamente parziali e soggettive, fino a privare il discorso teologico della sua indipendenza, libertà ed universalità e a trasformarlo, umiliarlo ed incastrarlo come in un letto di Procuste, quasi nei limiti di una tesi o programma di partito. Non che da una teologia non possa nascere un partito politico. Basti guardare l’opera di certi grandi uomini come Ozanam, Acquaderni, Don Sturzo, Mounier, De Gasperi o Aldo Moro. Tuttavia essi per primi, nella nobiltà delle loro idee, rifiutavano di ridurre il principio teologico trascendente ed immutabile alla contingenza di una semplice opinione politica, per quanto su di esso fondata. Non che inoltre naturalmente non sia lecito e normale per il teologo esprimere opinioni, preferenze o ipotesi personali o scegliere una corrente o tendenza o scuola teologica piuttosto che un’altra o un maestro piuttosto che un altro. E d’altra parte è evidente che la teologia morale, per aver efficacia pratica, deve tradursi in teologia pastorale e la stessa teologia dogmatica o speculativa può essere efficacemente insegnata solo se il docente tien conto della pastorale dell’insegnamento di quella disciplina. Solo la teologia speculativa è fine a se stessa e va cercata per se stessa come sommo godimento dello spirito. La teologia morale e quella pastorale sono ordinate alla teologia speculativa. Il bene pratico da fare è ordinato al Bene divino da amare e contemplare. Chi non ha interessi speculativi può fare il gradasso possedendo potere e ricchezze, godendo prestigio e affermandosi sugli altri; ma in realtà è un infelice. Può anche guadagnare il mondo, direbbe Cristo, ma perde la sua anima fatta per Dio e non per affermare se stessa.

EGO

monumento all’Ego

La felicità dell’uomo non sta nel cercare un Dio che salva l’io umano alla maniera di Lutero, un Dio funzionale e subordinato all’uomo. In questo Lutero fu vittima inconsapevole di quell’ antropocentrismo egocentrico rinascimentale, che egli pure allo stato cosciente rifiutava, ma piuttosto nel cercare Dio per Dio, come diceva Santa Caterina da Siena. Il ripiegamento luterano dell’uomo su se stesso sotto pretesto del bisogno di salvezza e di umiltà nel lasciar operare Dio, è un egocentrismo più sottile ma non meno reale di quello rifiutato da Lutero consistente nel vantarsi delle proprie opere davanti a Dio. Tuttavia è sbagliato, come fa Rahner, col pretesto che la ricerca teologica e l’insegnamento della teologia richiedono una prassi, ridurre tutta la teologia a teologia pastorale, sopprimendo la caratteristica propria, la trascendenza e l’autonomia della teologia speculativa, che la distinguono dalla teologia pastorale. Una simile visione sottende la concezione rahneriana della conoscenza, la quale è ad un tempo prassi, secondo il modulo idealista fichtiano, di origine cartesiana, per il quale lo spirito produce o pone (“setzt“) l’essere stesso che conosce, identificandosi l’essere con l’idea immanente al pensiero e prodotta dal pensiero. In realtà, se la teologia morale deve avere uno sbocco nella prassi, poichè è logico che occorre mettere in pratica il bene preconosciuto dalla teoria, occorre anche ricordare il primato della teoresi sulla prassi, ovvero della speculazione sull’azione in rapporto al fine ultimo dell’uomo, che è la contemplazione della somma Verità. Per cui, se è vero che occorre sapere che cosa si deve fare per metterlo in pratica e si deve, come si suol dire, “passare dalle parole ai fatti”, è altrettanto vero che l’azione umana è finalizzata in ultima analisi, alla divina contemplazione. In tal senso la teologia speculativa è irriducibile alla pastorale. Una vita umana faccendiera orientata solo al fare, manca al suo anelito fondamentale e supremo, che è l’interesse per il fine ultimo e la conquista del sommo Bene, che è appunto la visione di Dio.

Da una teologia politicizzata e secolarizzata come quella modernista o liberazionista non c’è da meravigliarsi seDagospia esce fuori un giornalismo che tratta la teologia come fosse un pettegolezzo di corridoio o una manovra di partito o una trama reazionaria o un movimento rivoluzionario o una coalizione di arrivisti o un’espressione del potere o una sfilata di moda o lo sfogo di un dente avvelenato o una sparata pubblicitaria del matto di turno: pare, in questi casi disgraziati, che la cosa importante non sia, come invece dev’essere, illuminare, far conoscere, porre quesiti e spunti di ricerca, informare sulle nuove conquiste, ribadir valori della tradizione, aiutare a capire il Magistero, approfondire, suscitare dibattiti, incoraggiare, consolare, confortare, educare il senso critico, aprire il cuore alla speranza, far amare la Chiesa e la verità di fede, alimentare la carità e la virtù, favorire il dialogo e la concordia, risolvere i contrasti.

papalepapaleIndubbiamente, qualcuno mi dirà: ma questo è compito del vescovo! Non ci stiamo aspettando troppo da un povero giornalista? Certo; ma io non sto dicendo che tutto ciò dovrebbe essere farina del suo sacco o scaturire dalla sua mente come Minerva dalla testa di Giove. Basterebbe che il giornalista si tenesse sistematicamente a contatto con ambienti buoni della gerarchia, dei teologi o della stessa Santa Sede, senza raccogliere maldicenze, basse insinuazioni, rivelazione di segreti, accuse non verificate, chiacchiere, malignità, mormorazioni, che purtroppo possono venire anche da prelati e Cardinali. Dovrebbe avere la prudenza e il fiuto da attingere a sorgenti d’acqua salutare, zampillante per la vita eterna, lasciando stare le paludi, gli acquitrini, le sabbie mobili, il fango, le sorgenti avvelenate, anche a costo di rinunciare eventualmente a qualche buon compenso o a qualche favore.

Un grave vizio frequente nel mondo giornalistico, effetto e ad un tempo stimolo di una diffusa sfiducia nella verità, è il fattoDestra sinistra di ricondurre questioni di dottrina e di morale non alle categorie del vero e del falso, nelle quali non si crede e che vengono relativizzate, per cui non si cerca di chiarire dov’è la verità e dov’è l’errore, alla luce della ragione o della scienza o della storia o della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero della Chiesa. Tutto invece sembra far capo a due categorie tratte dalla politica: “progressisti” e “conservatori”, dove il “progresso” è approvato, ammirato, glorificato, esaltato e magnificato con lode e stima, proposto come modello da imitare; mentre il “conservare” pare oggetto di disprezzo, di ripugnanza, di condanna, di disapprovazione, di derisione e di rifiuto. È evidente che tali appellativi sostituiscono rispettivamente le nozioni del vero e del falso, del bene e del male. Ma ciò vuol dire navigare continuamente nell’incerto, nel dubbio, nell’equivoco, nell’ambiguità, nella nebbia, nell’opinabile, nel soggettivo, nelle apparenze, nel “si dice”, nel relativo, nel discutibile, nell’arbitrario, nel torbido, nel precario, nell’effimero, nel mutevole, senza venire mai a capo di nulla. Non c’è dubbio che l’opinabile, il sembrare, il videtur, l’apparenza, il fenomeno, il relativo, il mutevole hanno una dignità. Ce lo ha già insegnato Platone. Ma il medesimo grande saggio ci ha anche insegnato la suprema dignità del vero, dell’eterno e dell’immutabile, valori che sono stati pienamente assunti dalla concezione cristiana della conoscenza, come appare all’evidenza per esempio nel realismo di un San Tommaso d’Aquino.

creazionismo evoluzionismoL’accanirsi modernista ed evoluzionista contro il conservare è una grande stoltezza. Probabilmente sono proprio quei medesimi modernisti che conservano con cura i loro capitali in banca, i ricchi mobili di casa o le foto dei nobili antenati. E allora? Perchè non dovrebbe esser lodevole e doveroso conservare il depositum fidei? Con quale stoltezza si accusa il Cardinale Raymond Leonard Burke di essere “conservatore” per il semplice fatto che vuol conservare le verità di fede? Sia questo uno dei tanti esempi di una certa teologia giornalistica da strapazzo. Gli appellativi di “progressista” e “conservatore” sono di per sè del tutto innocenti e normali, giacchè nella Chiesa chiunque, entro i limiti dell’ortodossia e della disciplina ecclesiastica, è libero di preferire una tendenza conservatrice o una progressista. Ma la slealtà, per non dire la perfidia dei modernisti consiste nel dare a “conservatore” un senso spregiativo, mentre riservano a se stessi tronfiamente il titolo onorifico di “progressista”.

Bisogna dunque che i giornalisti teologi si diano una regolata, proprio al fine di svolgere meglio la loro preziosissimamessa in latino professione, che è un vera missione. Sarebbe bene pertanto che il giornalista che tratta di teologia nella stampa cattolica e non cattolica, di cose della Chiesa, di dottrine di fede e di morale, del ministero del Papa, della Santa Sede e dei vescovi, delle opere dei teologi e scrittori ecclesiastici, dei rapporti della Chiesa con la politica e con le altre religioni, di sinodi e di Concili, di sacramenti o di liturgia, di agiografia e di storia della Chiesa e diritto canonico, fossero in possesso di qualche titolo accademico in teologia, magari diocesano, e pertanto soggetti all’autorizzazione ed al controllo dell’autorità ecclesiastica.  In tal modo i giornalisti teologi, non più battitori liberi, che per ora possono inventarne ogni giorno una nuova, ma profondamente consci della loro grave responsabilità, veramente liberi sotto l’impulso dello Spirito Santo, potranno svolgere meglio il loro utilissimo servizio per il popolo di Dio e per tutti gli uomini di buona volontà, come veri membri della Chiesa, in collaborazione con la gerarchia e il Santo Padre, con i buoni teologi e tutti i fedeli impegnati nella nuova opera di evangelizzazione indetta dal Sommo Pontefice. In questa battaglia per il Regno occorre smetterla con l’armata Brancaleone e decidersi finalmente ad essere uniti e concordi sotto la guida del Vicario di Cristo per l’espansione del Regno di Dio e il trionfo di Cristo sulle potenze del male.

Fontanellato, 2 gennaio 2015