Suor Cristina e quelle povere Orsoline che non conoscono Socrate: «Meglio morire con il corpo sano per evitare la decadenza»

SUOR CRISTINA E QUELLE POVERE ORSOLINE CHE NON CONOSCONO SOCRATE: «MEGLIO MORIRE CON IL CORPO SANO PER EVITARE LA DECADENZA»

Le improvvide suore e la loro improvvida Superiora Generale non possono pensare di catapultare una giovane suora nel mondo dello spettacolo e poterlo poi gestire. Sarà questo mondo a gestire loro e divorarle senza neppure sputare l’osso.

— Attualità ecclesiale —

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Cristina Scuccia, ex Suor Cristina della Congregazione delle Suore Orsoline della Sacra Famiglia (per aprire il video cliccare sull’immagine)

Vi narro io la storia di Suor Cristina con tutta la severità che solo un prete riesce ad avere verso le congregazioni di certe suore. Cristina Scuccia è una siciliana graziosa e solare, oggi trentatré anni, dotata di una straordinaria voce. Diviene suora nelle Orsoline della Sacra Famiglia, congregazione di recente nascita fondata nel 1908 a Monterosso Almo da Arcangela Salerno per l’educazione della gioventù. Da Monterosso trasferirono la casa a Siracusa dove ebbero il riconoscimento dall’Arcivescovo metropolita Luigi Bignami nel 1915. Nell’immediato dopoguerra, nel 1946 furono riconosciute dalla Santa Sede come Congregazione di diritto pontificio.

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Come spesso capita alle numerose congregazioni femminili che non hanno un carisma come quello dei grandi ordini storici maschili e femminili ― perché null’altro sono che il duplicato di quello dei grandi fondatori riadattato alle personalità spesso egocentriche e narcisistiche di certi nuovi ideatori di nuove realtà religiose ― la loro sopravvivenza non supera mai i 100 anni di vita. Di queste congregazioni quelle messe meno peggio giungono a festeggiare il loro secolo di vita in stato di semi-agonia, ridotte ad alcune decine di vecchie suore più o meno incarognite alle quali delle religiose di mezza età ― dette giovani ― che spesso non sanno neppure cosa sia la vita religiosa, hanno messo i piedi sulla testa, facendole pentire dei loro peccati con quel genere di crudeltà femminile che solo le suore riescono ad avere ed esercitare. O come dissi una volta a una di queste suore-tipo mettendola in riga: «Sorella, lei è talmente cattiva e acida che se mettesse la punta di un dito dentro un bicchiere di latte lo farebbe diventare yogurt all’istante».

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Nel lontano ottobre 2014, all’esplodere del caso Suor Cristina scrissi un articolo al quale vi rimando e dove “profetai” l’ovvio: che avrebbe lasciato inevitabilmente la vita religiosa.

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Quando un presbitero lascia il sacerdozio, un religioso il suo ordine, una religiosa di voti solenni la sua congregazione, il quesito da porsi non dovrebbe essere dove abbiano sbagliato coloro che lasciano, ma dove hanno sbagliato certi vescovi e superiori maggiori religiosi. Ma com’è noto nella Chiesa, specie dinanzi a certi fallimenti, coloro che hanno partorito certi mostri si domandano sempre e di rigore dove hanno sbagliato gli altri, spiegando come e perché è tutta colpa degli altri.

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… e che nessuna, all’interno della Congregazione delle Suore Orsoline della Sacra Famiglia, si azzardi a dire che è colpa di Suor Cristina …

Le improvvide suore e la loro improvvida Superiora Generale non possono pensare di catapultare una giovane suora nel mondo dello spettacolo e poterlo poi gestire. Sarà questo mondo a gestire loro e divorarle senza neppure sputare l’osso.

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Cristina Scuccia è una gran brava ragazza che presa da impulso emotivo è entrata nella vita religiosa senza rendersi conto nell’arco di 15 anni cosa realmente fosse la vita religiosa. Ne sono prova 26 minuti di intervista rilasciati al programma Verissimo su Canale5.

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Conoscendo la malizia di certe suore è evidente che le povere svaporate abbiamo pensato di lanciare nel mondo dello spettacolo una loro consorella dotata di straordinarie doti canore per promuovere la loro agonizzante Congregazione ridotta a poco più di 50 religiose perlopiù in età avanzata e tornare così ad avere, sulla scia pubblicitaria di Suor Cristina, qualche nuova postulante nel loro noviziato ormai vuoto da anni e anni. O detta in termini più coloriti ma efficaci: certe suore pensano davvero di fottere il prossimo, salvo finire fottute da un prossimo molto più smaliziato e soprattutto molto più diabolico di loro.

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Un prete e una religiosa possono essere presenze gradite e anche preziose ai vari programmi di approfondimento giornalistico, io stesso ho partecipato a numerosi programmi Mediaset, come la mia cara e stimata Suor Anna Monia Alfieri. Ma si tratta di programmi in cui si discutono e approfondiscono temi di attualità o problemi sociali, storici e politici, dove Suor Anna Monia e io abbiamo rappresentato, lei come religiosa io come presbitero la Chiesa Cattolica e il suo pensiero, la sua dottrina e la sua morale, in modo preciso e dignitoso, non ci siamo messi a fare spettacolo. Un prete e una suora non si lanciano nel mondo dello spettacolo, perché non è consono a noi consacrati che possiamo esserne distrutti nel peggiore dei modi, come nel caso doloroso e drammatico di Suor Sorriso, che partì da una canzone di successo negli anni Sessanta e finì in tragedia divenendo prima alcolizzata e morendo infine suicida assieme alla propria amica.

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Negli ultimi anni le meravigliose opere realizzate da questa Congregazione di Suore Orsoline della Sacra Famiglia sono state principalmente due: hanno mutato gli stabili di due loro istituti che si trovano nell’Ortigia di Siracusa in centri benessere a cinque stelle. Strutture alberghiere gestite dalle suore e dalle quali in estate potete veder uscire tranquillamente una coppia di due uomini nord-europei che ostentano il loro bimbo giocattolo comprato da un utero in affitto, oppure due escort di lusso in trasferta, oppure un settantenne in vacanza con la sua nipotina di 25 anni. D’altronde, dire che tutto questo è male e peccato grave è compito di noi preti, mica delle suore che a certi peccatori mettono a disposizione una beauty farm? A proposito, mi domandavo se a Siracusa, antica e nobile Chiesa di fondazione apostolica c’è sempre un Arcivescovo che controlla l’attività e la vita degli istituti delle religiose che si trovano sul suo territorio canonico, o vige forse l’antico motto pecunia non olet?

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… e che nessuna, all’interno della Congregazione delle Suore Orsoline della Sacra Famiglia, si azzardi a dire che è colpa di Suor Cristina …

Dopo gli hotel le Orsoline segnano il successo di Suor Cristina che non è colpevole di avere affrontato la vita religiosa in modo leggero, dovevano accorgersene le sue formatrici, se non fossero state prese a gestire i centri benessere a cinque stelle.

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Ribadisco che la colpa non è di Suor Cristina ma delle suore, perché se scorrete il filmato che segue potrete vedere con i vostri occhi le suore presenti allo spettacolo The Voice Italia che saltano e strillano come delle assatanate. Queste immagini sono la prova plastica di chi è veramente la colpa. Delle sue improvvide consorelle che fanno il tifo in diretta dimenandosi pubblicamente in modo a dir poco indegno per delle vergini consacrate.  

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Siamo dinanzi all’ordinaria storia di una Congregazione collassata che attende la morte in un reparto di terapia intensiva, grazie a delle religiose che non hanno mai fatto tesoro della sapienza di Socrate: «Meglio morire con il corpo sano per evitare la decadenza». In caso contrario si trasformano i propri istituti in beauty farm e si tenta di raccattare qualche vocazione lanciando una giovane suora nel mondo dello spettacolo in modo scellerato. Perché com’è noto, dopo la tragedia giunge sempre il ridicolo della farsa grottesca. 

dall’Isola di Patmos, 22 novembre 2022

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2 commenti
  1. brunoortenzi
    brunoortenzi dice:

    Preg.mo Padre Ariel,
    nel suo articolo del 2014 su questa donna, lei scrisse:
    «Mi auguro e le auguro che Suor Cristina non faccia la fine di Suor Sorriso [crf. qui] e che torni serenamente alla vita secolare, come in un futuro più o meno vicino sarà».
    Alla luce di quanto accaduto, non ritiene che, anziché augurarsi che l’allora suor Cristina tornasse alla vita secolare, sarebbe stato meglio invitare i lettori del blog ad una preghiera di intercessione per questa sorella, affinché il Signore la illuminasse su come debba essere una vita a Lui consacrata?
    Lei forse potrebbe rispondermi che quando non vi è alcuna divina “chiamata” alla vita consacrata, ma si è solo umanamente convinti che questa ci sia, è assolutamente giusto lasciare il velo o la tonaca, mentre una preghiera come quella sopra accennata, sarebbe come chiedere a Dio di chiamare a vita consacrata colei o colui che Egli non ha voluto a ciò destinare, e dunque andare contro la Sua volontà.
    D’accordo, ma non posso non chiedermi “chi siamo noi per giudicare” se davvero, nella suor Cristina del 2014, non fosse stato presente un seme, pur tenue e confuso, di autentica vocazione?
    Francamente io non ho una risposta sicura a questa domanda, ma credo che comunque sarebbe stato giusto pregare che, anche per questa sorella, come per tutti, fosse fatta la volontà del Signore.
    La ringrazio se vorrà rispondermi

    • Padre Ariel
      Padre Ariel dice:

      Caro Bruno,

      le parlo basandomi sulla mia esperienza pastorale, soprattutto di confessore e direttore spirituale di sacerdoti, ed anche di aspiranti al sacerdozio, a molti dei quali ho detto e chiesto, in tono a volte di vera e propria supplica, di non entrare in seminario, pur avvertendo che in loro c’era una vocazione al sacerdozio.

      Le vocazioni non vanno solo accolte, ma anche coltivate, protette e rafforzate. Una vocazione, specie nella fase iniziale, è qualche cosa di estremamente delicato, un vero e proprio cristallo soffiato di Murano. La formazione di un futuro presbitero è cosa di estrema delicatezza, anche perché ciò che non viene fatto prima, bene e in modo profondo, poi non può essere più fatto dopo.

      Non possiamo nasconderci dietro a un dito, perlomeno io non l’ho mai fatto. Oggi la Chiesa sta vivendo un momento di grande crisi e decadenza che da tempo ha generato una crisi della dottrina, dalla quale sono nate di conseguenza una crisi della fede e anche una crisi morale diffusa nel clero. Negare questo e illudere un giovane di poter entrare in una dimensione che spazia dall’ideale al semi-angelico sarebbe un vero e proprio delitto. Oggi più che mai, per diventare prete, occorre una maturità, una capacità di azione-reazione e una forza d’animo molto più profonda di quella che era richiesta ieri, quando il prete era in parte protetto dalle strutture ecclesiali e in parte dalla stessa società civile. Oggi, essere prete, in un certo senso vuol dire scendere in un’arena come carne da macello.

      Prima di preservare il germe di una vocazione bisogna preservare la fede e rafforzarla, altrimenti il cristallo soffiato della vocazione finisce in mille pezzi e assieme alla vocazione si perde anche la fede.

      In questo momento ci sono seminari nei quali mai, in coscienza, consiglierei ad alcun vocato al sacerdozio di entrare, perché correrebbero il rischio di perdere sia la vocazione sia la fede. Ho dovuto lavorare alcuni anni con diversi ex seminaristi che sono usciti dopo qualche anno dai seminari in profonda crisi non vocazionale, ma di fede, dopo avere visto e sofferto ciò che mai si dovrebbe vedere e soffrire all’interno di certe istituzioni.

      Ci sono seminari diretti da formatori che non hanno una solida preparazione cattolica e che sono stati a loro volta cresciuti infarciti di sociologismi, con una teologia perlopiù improntata sui teologi-bandiera del protestantesimo e che non contenti irridono pure tutto ciò che è autenticamente cattolico. Dei veri e propri deformatori.

      Una vocazione va coltivata per tutta la vita, forse più ancora nella vecchiaia che non nella giovinezza, quando assieme alla maturità e all’età che avanza subentra la disillusione, il disincanto e la delusione. A questo proposito il Santo Pontefice Giovanni Paolo II ci donò uno straordinario documento “Pastores dabo vobis” in cui si parla e si spiega l’importanza della formazione permanente al sacerdozio, che con la sacra ordinazione non finisce, al contrario: inizia e deve seguitare per tutta la vita.

      Per quanto riguarda il come riconoscere o no una vocazione, posso dirle che in certe situazioni sia il presbitero che segue il vocato, sia il vescovo che lo dovrà poi ammettere ai sacri ordini, devono fidarsi anche di un “istinto” che non è tale inteso come umanamente fine a sé stesso, ma dono dello Spirito Santo, luogo nel quale lo Spirito Santo ci parla.

      Sempre in base alla mia esperienza posso dirle che dinanzi a certi casi specifici, le uniche volte che ho sbagliato è stato quando mi sono rifiutato di seguire questo “istinto”, convincendomi che le cose non erano e non potevano essere come “istintivamente” le sentivo. E il tempo mi ha poi detto che l'”istinto” mi aveva suggerito il giusto.

      Una volta dissi a un vescovo in tono imperativo che quel soggetto non andava assolutamente ordinato. Quel vescovo poco lungimirante mi chiese quali prove contrarie avessi contro quel candidato, mi disse persino “hai qualche cosa di scritto e firmato da darmi?”. Risposi che di prove non ne avevo nessuna, ma che avevo sentito in modo molto chiaro che ordinandolo si sarebbe commesso un grave errore, perché istintivamente avvertivo che non aveva un sano equilibrio. Il vescovo mi rispose “l’istinto lascia il tempo che trova”, non mi prestò ascolto e lo ordinò. Dopo tre anni si vide portar via quel prete dalla parrocchia da quattro carabinieri che gli misero le manette ai polsi.

      Abbiamo poi il non lieve problema di certi soggetti con tendenze omosessuali che cercano di entrare nel clero, in cui vedono uno dei luoghi peggiori e meno indicati per la loro realizzazione spesso puramente estetico-emotiva. Ecco, in quei casi dovrebbe vigere un altro sano principio: dinanzi al dubbio, non dico alla certezza, ma solo al dubbio, è bene correre il rischio di bruciare persino una vera vocazione. Perché se poi il dubbio risultasse fondato e provato dopo la sacra ordinazione, i danni che certi soggetti possono produrre sono veramente terribili, specie quando creano vere e proprie consorterie istituendo delle lobby gay all’interno delle diocesi, devastandole letteralmente.

      In quell’articolo del 2014 espressi che questa brava giovane, dotata di grande talento a livello canoro e musicale, non sarebbe rimasta nella vita religiosa. A dirmelo fu il mio istinto, che a quanto pare non si è sbagliato.

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