La morte della sessualità e della fede nei sedicenti cattolici da social media che odiano in nome di un “amore cristiano” fatto di Cristi androgini e Madonnine languide, di vajasse aggressive e violente

—  Attualità ecclesiale — 

LA MORTE DELLA SESSUALITÀ E DELLA FEDE NEI SEDICENTI CATTOLICI DA SOCIAL MEDIA CHE ODIANO IN NOME DI UN  “AMORE CRISTIANO” FATTO DI CRISTI ANDROGINI E MADONNNINE LANGUIDE, DI VAJASSE AGGRESSIVE E VIOLENTE 

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… e detto questo informai la pinzochera che il Verbo di Dio, vero Dio e vero uomo, aveva un sesso e una sessualità psico-fisica, proprio perché era Dio incarnato in un vero uomo. Questa la risposta testuale: «Lei è un blasfemo, una vergogna di prete, un figlio del Demonio, si converta … bestemmiatore!». Replicai: «Io sarò anche un bestemmiatore, però non riesco proprio a immaginare Nostro Signore Gesù Cristo che piscia acquasanta dalle orecchie perché privo di un attributo sconveniente come il sesso maschile che serve all’occorrenza, a livello puramente e naturalmente fisiologico, anche per orinare».

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“La ghigliottina del tribunale dei social media“, copertina del libro dei Padri de L’Isola di Patmos sul tema della pandemia, realizzata dalla pittrice romana Anna Boschini (il libro è acquistabile QUI)

Questa nostra rivista è un luogo in cui si affrontano argomenti storici, filosofici e teologici che ci impegniamo a rendere accessibili anche al grande pubblico desideroso di approfondire i misteri della fede attraverso gli articoli di un gruppo di sacerdoti-teologi investiti dalla Santa Chiesa di Cristo del mandato a insegnare, santificare e guidare i Christi fideles. È il munus sacerdotale, o tria munera Ecclesiae: munus docendi, munus sanctificandi, munus gubernandi. Elementi affatto chiari in quella fogna tossica alla quale sono ridotti i social media, dove impazza un esercito di pinzochere che hanno confuso la fede con il terrorismo psicologico, il Verbo di Dio fatto uomo con un asessuato Gesù Cristo photoshoppato, la Vergine Maria con una Cassandra che annuncia catastrofi e fini imminenti del mondo. Ogni loro discorso è condito con salse rancide tirate fuori dal grande contenitore del neo-paganesimo di ritorno, se non peggio dal pelagianesimo più degenerato. Entrare in colloquio con queste persone, i cui profili social abbondano di Madonnine infilzate, è purtroppo tempo perso. Perché qualsiasi prete che osasse indicargli i loro errori in materia di dottrina e di fede, quindi la strada per un autentico cammino di vita cristiana, bene che vada si sentirà rispondere: «Si vergogni, lei non è degno di essere chiamato prete!». E benché l’abbia scritto e più volte spiegato, torno di nuovo a ripeterlo: oggi, noi preti e teologi, per assurdo che possa apparire siamo considerati guide religiose e studiosi di scienze sacre — e come tali anche rispettati — da ultra laicisti e non credenti, che ovviamente hanno tutt’altro sentire e stile di vita, mentre per ogni minimo nonnulla siamo aggrediti in malo modo e pubblicamente offesi da laici cattolici, o sedicenti tali, che ritengono di essere vessilli della vera, pura e autentica Cristianità. Questi i fatti che mi portano a dire quanta ragione avesse all’epoca il Professor Enrico Medi, affermando agli inizi degli anni Settanta di non essere tanto spaventato per l’inquinamento atmosferico, per la bomba atomica o il pericolo di nuove eventuali guerre, ma di esserlo invece per la follia collettiva verso la quale l’umanità stava precipitando. E di questa follia, oggi, i social media sono modello e paradigma.

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In questa giungla senza regole, dove con una identità di fantasia si può aggredire e insultare chicchessia nel peggiore dei modi, alcune anime ammantate di pudore mi hanno accusato di fare frequenti riferimenti indiretti, o a volte diretti, alla sessualità umana, dichiarandosi autentici cattolici scandalizzati da certe battute fatte da un prete. Ebbene vi dirò che da tempo mi sono convinto che questo genere di persone sono coloro che hanno dato spunti alla compianta Anna Marchesini, perché è probabile che si sia ispirata proprio a loro, quando faceva i suoi esilaranti sketch comici nel ruolo di Merope Generosa, medico specialista in sessuologia.

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Questi non meglio precisati cattolici da social media sono caratterizzati da tre elementi tutti in radicale contrasto con la fede: la sessuofobia, il catastrofismo pessimista, l’odio che si nutre di odio e che cerca dei feticci come valvola di sfogo.

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Partiamo dal primo elemento: sessuofobici, perché tendono anzitutto a identificare nella sessualità umana il centro del peccato, o per meglio dire il peccato dei peccati. Se osi correggerli e ricordar loro che il peccato originale non prende vita perché Adamo ed Eva commisero un peccato di lussuria ma di superbia — che tra i sette peccati capitali è il più grave in assoluto, tanto da essere posta al primo posto come regina e auriga trainante di tutti i peccati capitali —, la loro reazione sarà questa: «Eretico modernista schiavo delle perversioni del mondo!». Ma che cosa vuol dire per loro modernista? Soprattutto, che cosa ne sanno di questo movimento di pensiero condannato dal Santo Pontefice Pio X con l’Enciclica Pascendi Dominici Gregis? Niente ne sanno, si tratta solo di una parola con la quale cercano di aggredire e tacitare gli interlocutori ignorando in che modo e perché questa corrente di pensiero nacque e si sviluppò all’interno della Chiesa, non ultimo anche a causa di una chiusura e di un rigore che aveva a tratti dell’ossessivo. Proprio come quelli che non avendo argomenti cercano di tacitare l’interlocutore urlandogli “fascista!” o “comunista!”, salvo però non essere in grado di spiegare come prendono vita e si sviluppano queste due diverse correnti socio-politiche. Oppure come quando una tale che voleva darsi un certo tono pubblicò la fotografia della collezione di uno stilista affermando: «È una collezione di abiti di ispirazione metafisica». Le domandai: «Scusi, mi spiega che cos’è la metafisica?». Pochi secondi dopo giunse in risposta una carrettata di insulti, semplicemente perché ponendole quella domanda “innocente”, implicitamente le avevo dato dell’ignorante che usava delle parole a sproposito senza conoscerne il significato. E ribadisco sessuofobici perché questi non meglio precisati cattolici, ma soprattutto cattoliche, hanno una vita affettiva, sentimentale e sessuale talmente disastrata, sino a mutare il sesso e la sessualità umana nel male assoluto. E proprio negativizzando in tal modo la sessualità dimenticano alcuni elementi fondamentali della fede: il Verbo di Dio si fece uomo, ed era un uomo, Gesù Cristo, con tutti gli attributi sessuali e virili del caso. Così ricordai una volta a una pinzochera facendole presente che Giuseppe e Maria presentarono Gesù al Tempio per farlo circoncidere all’ottavo giorno di vita in ottemperanza alla Legge Mosaica [cfr. Lc 2, 22-39]. Le spiegai che questo antico rito si chiama בְּרִית מִילָה (Brit Milah, alla lettera: Patto dell’Alleanza) ed è eseguito da un pio religioso ebreo che svolge la funzione di circoncisore. Poi precisai che con la circoncisione si asporta il prepuzio dal membro virile maschile lasciando il glande completamente scoperto. In questo consisteva la circoncisione del piccolo infante Gesù, casomai qualcuno pensasse che sia stato presentato al Tempio da una svedese bionda con gli occhi azzurri, tale viene raffigurata Maria, accompagnata da un ottantenne zoppicante fuoriuscito da un reparto di geriatria, tale viene raffigurato Giuseppe. Per questo l’infante Gesù fu presentato al Tempio, per togliergli il prepuzio dal divin pisellino, non certo per mettere in piega i riccioloni biondi con i quali è raffigurato nei santini iconografici, come se anziché in Medio Oriente fosse nato a Stoccolma. E detto questo informai la pinzochera che il Verbo di Dio, vero Dio e vero uomo, aveva un sesso e una sessualità psico-fisica, proprio perché era Dio incarnato in un vero uomo. Questa fu la risposta testuale: «Lei è un blasfemo, una vergogna di prete, un figlio del Demonio, si converta … bestemmiatore!». Replicai: «Io sarò anche un bestemmiatore, però non riesco proprio a immaginare Nostro Signore Gesù Cristo che piscia acquasanta dalle orecchie perché privo di un attributo sconveniente come il sesso maschile che serve all’occorrenza, a livello puramente e naturalmente fisiologico, anche per orinare».

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Il secondo elemento è il catastrofismo pessimista, tipico delle persone incapaci di cogliere l’amore di Dio e le sue azioni di grazia su di noi persino nelle situazioni più tragiche e dolorose. Basti citare tra i tanti San Massimiliano Maria Kolbe a tal punto affamato di Cristo che accettò di morire di fame nel lager di Auschwitz per salvare la vita a un padre di famiglia suo compagno di prigionia. In questi sedicenti cattolici, ma soprattutto cattoliche, catastrofismo e pessimismo assumono tratti e connotati morbosi, sino a divenire incapaci di vedere quel sommo bene riassunto nelle virtù teologali di fede, speranza e carità. E proprio la virtù della speranza, che sta nel mezzo e che lega assieme la fede e la carità — indicata quest’ultima come la più importante dal Beato Apostolo Paolo [cfr. I Cor 13] — non sanno proprio dove abiti. Così, per dare sfogo al loro pessimismo cupo e distruttivo mediante immagini di un futuro catastrofico, di prassi usano la Beata Vergine Maria, facendo scempio di apparizioni e messaggi che di prassi e rigore non sono riconosciuti autentici dalla Chiesa. Quando poi prendono come elementi di pretesto a suffragio delle loro idee peregrine le apparizioni e i messaggi che sono stati invece riconosciuti come autentici, anzitutto li manipolano, poi accusano la Chiesa, per esempio nel caso della Madonna di Fatima, di avere occultato e censurato i testi, che ovviamente, manco a dirsi, sarebbero terrificanti. Presto detto: in nome della “purezza” della loro fede e della loro “verità” tutta quanta nevrotico-soggettiva, non esitano a mutare la Chiesa, che è madre e maestra, in madre menzognera. In più occasioni ho cercato di spiegare alle pinzochere fanatiche della mariologia catastrofica da loro mutata in mariolatria pagana, che i messaggi della Madonna di Fatima, come quelli della Madonna della Salette, di Amsterdam e via dicendo a seguire, non costituiscono elementi del deposito della fede e che nel Credo della Chiesa Cattolica, detto anche Simbolo di Fede Niceno-Costantinopolitano, noi non professiamo di credere ai segreti della Madonna di Fatima e alle rivelazioni date dalla stessa a quello o quell’altro veggente, compresi quelli riconosciuti autentici dalla Chiesa. Detto questo seguitai a spiegare che un cattolico potrebbe anche essere del tutto indifferente a certe apparizioni mariane, perché non è obbligato a essere devoto né alla Madonna di Lourdes né a quella di Fatima né ad altre, dalle quali non può dipendere la sua fede e neppure la salute della sua anima. Ciò che un cattolico non può fare è di negare la autenticità di ciò che la Chiesa ha riconosciuto come autentico, o peggio ancora di dichiarare invece autentico per propria emotività e puntiglio personale, ciò che la Chiesa non ha mai riconosciuto tale, per esempio La Gospa dei bugiardi. Insomma, come spiegazione, quella data, doveva essere chiara. Invece no, stando perlomeno alla risposta inferocita della pinzochera che sui social media mi ha urlato: «Eretico! Lei è peggio di Lutero. Vergogna, un prete che odia la Madonna e che ragiona peggio di un protestante … si converta, perché il giudizio della Madonna su di lei sarà terribile». Replico alla pinzochera invasata evitando di domandare a quale titolo si permettesse di additare un presbitero al pubblico sprezzo come odiatore della Beata Vergine, quindi vado al dunque e chiarisco: «Vede, quando noi professiamo nel Credo “un giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti” ci riferiamo a Cristo Dio divino giudice, non alla Madonna, che non giudicherà proprio nessuno, né i vivi né i morti, perché non è compito suo. E se c’è una creatura straordinaria che da sempre sa stare al proprio posto e nel ruolo che le è stato affidato da Dio nel mistero della economia della salvezza, questa è proprio la Beata Vergine Maria».

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Terzo elemento è l’odio, tipico delle persone che non si sentono amate, o che non sono state amate, rese per loro vari motivi e problemi esistenziali del tutto incapaci ad amare, sino a giungere a un processo di inversione spirituale che di per sé è più grave di tutte le peggiori perversioni sessuali messe assieme: usare l’amore e il concetto di amore cristiano per sfogare il loro odio. I social media sono pieni di sedicenti cattolici e di pinzochere impazzite che in nome di un “amore di Dio” e di un “amore per la fede” del tutto svuotato della sua più profonda essenza, odiano ferocemente. Poi, se un prete osa richiamarli in tal senso, le loro reazioni tendono sempre a essere violente e aggressive, soprattutto distruttive nei confronti del sacerdote, che finirà aggredito da persone che metteranno anzitutto in discussione le sue virtù umane e spirituali, la sua ortodossia dottrinale, la sua preparazione teologica e la sua esperienza pastorale. Il concetto di “amore” di queste persone è equiparabile alle turbe assetate di sangue durante il periodo del terrore della Rivoluzione Francese, che in nome di una non meglio precisata libertà mozzavano le teste sulle ghigliottine, poi, dopo averle issate sopra a dei pali, le portavano trionfalmente in giro per le strade di Parigi come orridi trofei. Il tutto, ripeto, in nome di una non meglio precisata libertà, che equivale al concetto di “amore” di certi sedicenti cattolici che impazzano sui social media. Per questo noi Padri de L’Isola di Patmos, quando abbiamo dato alle stampe il nostro libro La Chiesa e il coronavirus, dove affrontiamo anche il tema dei grandi esperti che pullulano sui social media, abbiamo fatto realizzare dalla nostra amica, il Maestro Anna Boschini, pittrice romana, una copertina nella quale siamo raffigurati noi tre che saliamo le scale verso la ghigliottina, mentre sotto al palco sono radunati i giudici dei social media.

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Torniamo di nuovo alla sessualità, elemento chiave per analizzare e comprendere le perversioni mentali di certi sedicenti cattolici da social media. Le pudibonde anime candide, pronte a urlare allo scandalo dall’alto della loro non meglio precisata cattolicità, di prassi ignorano un elemento fondamentale: la prima cosa in assoluto con la quale un qualsiasi giovane o meno giovane deve fare i conti, se ritiene di essere chiamato al sacerdozio, è proprio la sua sessualità. E quando sulla parola sesso e sessualità nei seminari si sorvola, oppure ci si tinge di rossore come la mitica Merope Generosa impersonata da Anna Marchesini, poi accade che nella migliore delle ipotesi si tirano fuori dei mostri, per non parlare di peggio: soggetti dalla sessualità squilibrata e moralmente disordinati. Il prete non deve affatto reprimere la propria sessualità, la propria libido e la propria dimensione erotica, deve trasformare il tutto in altro, ossia in un diverso modo di amare e di vivere la propria virilità sessuale.

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Come prete io ho un sesso e una sessualità umana, a meno che qualcuno non voglia negare — anche in questo caso con l’aura del comico pudore della mitica Merope Generosa — che il primo e imprescindibile requisito richiesto, in assenza del quale non potrebbero proprio sussistere gli altri, è che il candidato al sacro ordine sacerdotale deve essere un maschio. Volendo possiamo anche aggiungere che la Chiesa non ha mai consentito l’accesso al sacerdozio a uomini affetti da malformazioni tali da impedire lo svolgimento di una regolare attività sessuale, proibendo sempre la consacrazione sacerdotale, a pena di nullità, di soggetti che per incidente o per criminale volontà altrui erano stati evirati. Essere maschi, come risaputo, vuol dire avere, a livello anatomico, un ben preciso organo genitale in mezzo alle gambe che ha una sua non lieve incidenza anche sulla psiche, allo stesso modo in cui l’utero incide sulla psicologia della donna. 

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Posso serenamente e tristemente affermare, per esperienza sacerdotale e pastorale, che i preti problematici sono quelli che a monte non hanno fatto i conti con la loro sessualità, o che per diventare ministri in sacris hanno scelto la strada da sempre e in assoluto più sbagliata: quella di reprimere la propria sessualità, prezioso e imprescindibile dono di Dio che ci porta a un tale slancio di amore sino a farci eunuchi per il Regno dei Cieli:

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«”Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca”» [Mt 19, 12].

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Un prete che ha maturata e trasformata la propria sessualità in altro, facendosi per amore eunuco per il Regno dei Cieli, per naturale conseguenza avrà un atteggiamento e un approccio umano e spirituale molto virile e maschio. Se ciò manca, sarebbe bene porsi dei quesiti molto seri. Perché virile non è certo il libertino che salta da un letto a un altro, imprigionato ultra cinquantenne in una desolante dimensione adolescenziale. Virile sul serio, lo è semmai l’anziano prete che, pur non avendo mai conosciuto donna in vita sua, perché entrato in seminario a 14 anni e vissuto in perfetta continenza per tutta la vita, quando ti affronta e ti guarda in faccia sprizza però tutto quel testosterone maschile e spirituale che il libertino impenitente non sa neppure in quale luogo alberghi. Per inciso una nota di carattere personale, ma forse necessaria per far comprendere meglio certi concetti: sino a oggi ho avuto due vescovi, uno morto di recente, l’altro in cattedra nel pieno esercizio delle sue funzioni. Due personalità totalmente diverse, sotto molti aspetti persino opposte. Una cosa, però, nella loro diversità li accomunava: due uomini veramente e profondamente virili nella fede e nella pratica della fede, quindi nella loro psicologia maschile. Ma così erano tutti i formatori al sacerdozio che Dio mi ha dato la grazia di avere, incluso il vescovo anziano che da anni cura la mia formazione permanente al sacerdozio, che sarebbe stato capace a far tremare con un solo sguardo persino un potente Capo di Stato.

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La Chiesa Cattolica è invasa negli ultimi tempi da non meglio precisati fedeli che trasformano la straordinaria comicità di Merope Generosa in una tragedia che poi, all’atto pratico, finisce per ricadere su noi preti, spesso con risvolti penosi e anche dolorosi. E, sempre pastoralmente parlando, posso dire che i social media sono un esteso e complesso campo di studio che sul piano scientifico e pastorale ha veramente dello straordinario. Ovviamente mi limiterò ai cattolici, o meglio a coloro che si sentono tali, in particolare alle donne.

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Le non meglio precisate cattoliche, sui social media arrivano a dei livelli di offesa nei confronti di quei preti che a volte interloquiscono con loro, come mai vi giungerebbe un uomo. Non è un’ipotesi, ma un dato statistico. Pronte a soppesare ogni sillaba, a gridare allo scandalo, peggio: all’eresia. Donne che dall’alto della loro cattedra di dogmatica e di ecclesiologia eretta sui social media tacciano di apostasia dalla fede il Sommo Pontefice in testa, i Vescovi e tutti noi Presbiteri a seguire. Donne che ignorano i fondamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica, che confondono la Vergine Maria con la Fata Morgana o che pensano che l’agire dello Spirito Santo sia quello di Mago Merlino … ma che sono pronte a subissarti d’insulti, se in modo paterno e pacato osi richiamarle e correggerle.

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A questo punto uno potrebbe domandare: si, esistono tanti disturbi della personalità, poi c’è il grande pianeta della isteria, che non a caso deriva dalla radice greca di ὕστερον (hysteron), che significa utero, disturbo prettamente femminile. Infatti, quando nel linguaggio parlato qualcuno mi ha indicato un uomo come “isterico”, gli ho risposto che in ambito colloquiale questo termine in sé non corretto può anche passare, ma che sul piano scientifico un uomo non può essere affetto da tale disturbo, almeno per come la scienza lo ha definito. L’uomo è infatti privo della materia prima: l’utero. Quindi un uomo può essere affetto da isteria, intesa in modo clinico classico, allo stesso modo in cui una donna può essere soggetta all’infiammazione alla prostata. Nel mondo delle scienze neurologiche e psichiatriche vi sono stati nel corso del tempo studiosi che hanno cercato di localizzare forme di “isteria maschile”, a partire dal neurologo viennese Sigmund Freud, ma senza ottenere particolari successi e crediti nella comunità scientifica internazionale.

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Perché tutta questa mia attenzione alla sessualità? Sono forse un sessuomane, come qualcuno mi ha accusato di essere? Presto detto: da anni ho scoperto, appurato e ripetutamente toccato con mano che dietro a questo esercito di pinzochere che giocano alle cattoliche intransigenti sui social media, nascondendosi dietro l’immagine di una Madonnina infilzata e dietro a un nome di pura fantasia, si celano donne che vivono situazioni talora al limite della frustrazione sul piano umano, sessuale e sentimentale. Per esempio, una tale — seguita a ruota da diverse altre — mi dette dell’eretico e, ovviamente, della vergogna di prete, semplicemente per avere scritto e spiegato che sul piano morale, un aborto praticato da una donna può essere del tutto diverso da quello praticato da un’altra. In certi particolari casi un aborto, pur essendo in sé e di per sé un abominio, può persino ridursi a un peccato veniale. Per inciso: l’analfabeta digitale è colui che non è proprio in grado di comprendere ciò che legge, quindi taglia tre parole, si fossilizza su di esse e poi parte con il lancio di insulti a raffica. E questa pinzochera, da tutta la mia spiegazione comprensibile e non passibile di essere fraintesa, data la delicatezza estrema del tema trattato, tagliò a sproposito due parole accusandomi di avere affermato che oggi l’aborto è solo un peccato veniale. Eppure in quel mio discorso articolato e preciso — o come si suol dire a prova d’imbecille —, avevo spiegato e chiarito bene il tutto facendo anche ricorso al caso di una giovane immatura di 18 anni, molto semplice, priva di cultura e conoscenza elementare, che rimasta incinta fu portata ad abortire nella assoluta certezza che in tal modo avrebbe fatto la cosa più giusta, per il bene suo e della stessa creatura che non era opportuno far nascere. D’altronde, il consiglio le era stato dato dall’anziano medico di famiglia, venerato come sede della sapienza da tutto il suo parentado. Non solo, anche un altro, un dottorone dell’ospedale di città dove era stata portata dal suo paesello, le aveva detto altrettanto. E se due grandi sapienti spiegano a una ragazza immatura, semplice e fragile, che cosa deve fare e in qual modo deve farlo, lei mette in pratica il consiglio, semmai anche ringraziando coloro che gliel’hanno dato preoccupandosi a questo modo del suo bene. E qui va ricordato che per commettere delitti e peccati occorrono coscienza, volontà e deliberato consenso. In un simile caso, come si può parlare di un turpe peccato mortale? Certo, quando cresciuta, maturata e uscita dal suo ambito contadino familiare di provincia, giunse ormai venticinquenne in lacrime da me a spiegarmi che cosa aveva fatto anni prima, anzitutto la consolai, poi in parole semplici le spiegai ciò ho spiegato sin qui, assolvendola e soprattutto pregandola di non consumarsi in inutili sensi di colpa. Il senso di colpa per il peccato rimesso, non è cosa buona, tutt’altro: è una sfida al mistero d’amore della grazia e del perdono di Dio.

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A questo punto entra in scena la pinzochera di turno, sedicente cattolica auto-proclamata dottore in teologia morale sui social media, celata di rigore dietro un nome di fantasia e con una Madonnina infilzata nel suo profilo al posto della sua foto, che scatenò su di me l’Inferno. Le due accuse più lievi — che è tutto dire — furono quelle di «eretico, apostata e prete anticristico». Poi scrisse un lungo sproloquio per smentirmi e affermare che «il senso di colpa, dopo avere commesso certi peccati, non ci deve mai abbandonare, anche se uno è stato assolto». Cosa dire: il grande maestro della morale cattolica Alfonso Maria de’ Liguori, Vescovo e Santo Dottore della Chiesa, dinanzi a cotanta scienza teologica sarebbe sicuramente impallidito e sprofondato nei complessi di inferiorità. Poco dopo fui contattato da un confratello sacerdote che colpito da quella valanga di insulti mi spiegò chi era in realtà questa donna, cacciata via più volte dai parroci di diverse parrocchie, a uno dei quali interruppe persino l’omelia domenicale mettendosi a invenire contro di lui: «Tu non conosci il Vangelo, convertiti: modernista!». Tanto che il parroco, ai sensi dell’articolo 405 del Codice Penale la denunciò per avere turbato l’esercizio di una pubblica funzione religiosa all’interno di un luogo di culto. Ma ecco chi era questa donna: una povera infelice incattivita lasciata dal marito, un commerciante che fatti soldi e giunto vicino ai sessant’anni d’età la mollò in preda alla sua menopausa per andare a vivere con una ragazza slava di trent’anni ― dopo averla cornificata per una vita intera ―, nonché madre di una figlia nota in tutto il circondario, perché a partire dall’età di 13 anni saltava senza sosta da un maschietto all’altro, al punto che non solo le madri delle ragazzine, ma persino quelle dei maschietti non volevano che i loro figli la frequentassero. All’età di appena 16, una domenica mattina, forse mentre la madre era in chissà quale chiesa parrocchiale a far girare le palle a qualche povero prete, giunse presso il pronto soccorso cittadino con l’amica di scorribande per chiedere la “pillola del giorno dopo”, onde evitare problemi dopo le bravate del sabato sera.

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Dietro certi profili di fantasia, sui quali spiccano Cristi androgini photoshoppati e Madonnine languide, ho scoperto veramente di tutto e di più, perché con i buoni uffici di certi cari amici sono giunto alla vera identità di svariate pinzochere, quindi oggi sono in grado di fare non solo analisi ma persino statistiche. Per esempio, quella che mi urlò e mi scrisse tutto in maiuscolo: «Si vergogni, si vergogni, si vergogni!», per avere postato su una pagina social la foto mia assieme alla trans Vlady Guadagno, mia amica, nota al grande pubblico con il nome d’arte di Luxuria, mentre eravamo assieme sorridenti negli studi Mediaset di Cologno Monzese, era madre di un maschietto che non solo era gay dichiarato, ma che conviveva con il suo compagno assieme al quale era andato a sposarsi alle Canarie. Poi, il maritino amoroso lo mollò per un altro ragazzo. A quel punto, il povero consorte tradito e abbandonato, tentò il suicidio. Eppure fu proprio la madre di questo maritino tradito che nascosta dietro a un nome fasullo e a una foto di San Pio da Pietrelcina messa al posto della propria faccia, mi ricoprì di contumelie dandomi del «pessimo prete» e del «prete senza morale». E sapete in che cosa consisteva il mio essere prete senza morale? Consisteva nell’avere spiegato e poi ridotto a piccolo peccatuccio la masturbazione degli adolescenti, attenendomi con scrupolo in quel mio discorso a quanto scritto e spiegato nel Catechismo della Chiesa Cattolica che recita:

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«Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l’azione pastorale, si terrà conto dell’immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d’angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare, se non addirittura ridurre al minimo, la colpevolezza morale» [vedere n. 2352].

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Ogni tanto tratto a livello teologico ed ecclesiologico i temi della sessualità umana non certo privo di compiaciuto divertimento, sapendo come certi soggetti saltino subito allo scoperto in modo aggressivo e violento sui social media. Così reagiscono e vengono allo scoperto le persone che non essendosi sentite amate o non avendo loro stesse la capacità di amare, sprofondano nell’odio reattivo, trovando in certi social media una portentosa valvola di sfogo, che rischia però di peggiorare le loro condizioni umane e psicologiche, trascinando nel meccanismo dell’odio tante altre persone che poi contribuiscono a creare un ambiente odioso-rissoso.

 

Per comprendere i livelli di odio e violenza alla quale possono giungere soggetti psicolabili, specie coloro che sono affetti — indistintamente uomini, ma ahimè soprattutto donne — da narcisismo aggressivo delirante, vi narrerò un episodio nel quale mi trovai coinvolto un paio d’anni fa. Ve lo narro solo perché è uno spaccato, anzi un paradigma del mondo dei social nel quale chicchessia può affermare e scrivere senza alcun filtro e controllo ciò che vuole, soprattutto cascate di idiozie più forti di quelle del Niagara.

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Ecco la storia: un giorno mi giunse l’aggiornamento di una pagina social di una sedicente napoletana. E qui apro un lungo inciso: dico “sedicente” perché essere napoletani fa comprensibilmente molto chic. Vorrei vedere il contrario: Napoli è stata una delle più grandi Capitali d’Europa. Molte delle Capitali oggi tanto celebrate, per esempio Vienna, Parigi, Berlino, ma pure la nostra stessa Milano, a confronto della Napoli del XVI-XIX secolo erano poco più che delle cittadine. Per non parlare dei beni storici, artistici e monumentali. Napoli, ed assieme a essa l’altra Capitale del Regno Borbonico, Palermo, erano non solo due grandi Capitali europee, ma soprattutto luoghi d’arte e cultura senza eguali nel nostro antico Continente.

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Wolfgang Amadeus Mozart — per prenderne uno soltanto tra i tanti a puro titolo di esempio — recandosi in Italia non rimase colpito da Milano e dal suo Teatro Ducale, ma andò letteralmente in estasi quando giunse nella grande Napoli nel maggio del 1770, dove rimase ammaliato da quella Città e dal suo grande teatro, soprattutto dall’arte, dalla cultura e dalla scuola musicale delle genti partonepee.

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Questo per chiarire che dire «sono napoletano» conferisce indubbiamente un certo tono alla persona. Come quando io vanto le mie radici familiari romane, anche se per onestà devo precisare che sono nato nella bassa Maremma toscana, a pochi chilometri dal confine col Lazio, da una famiglia paterna di vecchia origine romana e da una famiglia materna toscana. Pertanto, a chi mi chiede lumi sui miei natali, devo rispondere che sono tosco-romano. Poi, se il figlio di due immigrati della bassa Calabria che è nato a Roma, in tono scanzonato mi dice … «Ah, romano tu?», a quel punto spetterà a me ribadire che i natali romani dei miei avi si perdono molto indietro nel tempo, contrariamente ai suoi. E qui mi torna alla mente una giovane di vecchia famiglia romana che più vecchia non si può, per l’esattezza appartenente a un ramo cadetto dei Torlonia, nata negli Stati Uniti da padre romano e madre americana. Quando un allegro pischello, tentando d’abbordarla — era una bellissima ragazza — le domandò di dove fosse originaria, per tutta risposta ribatté: «Sono di famiglia romana». Rise l’abbordatore divertito: «Già, romana con cotesto accento americano?». Impassibile lei domanda: «Posso sapere come ti chiami tu di cognome?». Risponde lui: «Mancuso, perché me lo chiedi?». Sorride sorniona la bella ragazza: «Vedi, io di cognome mi chiamo Torlonia. Avrò anche l’accento americano, dato che negli Stati Uniti d’America sono nata, ma di certo sono romana di famiglia romana molto più di un Mancuso». Cognome, per chiarire a chi legge, molto diffuso nella zona calabrese di Catanzaro, vetusta e nobile Città dell’antica Magna Grecia.

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Prima di questo doveroso inciso stavo narrando che un giorno mi giunse l’aggiornamento di una pagina social di una sedicente napoletana. E dico sedicente perché la “nobildonna” in questione viveva in un sobborgo di Caserta, che come sappiamo non è propriamente il Vomero, Capodimonte o i Quartieri Spagnoli. La povera meschina, mettendo assieme una accozzaglia di leggende nere oggi smentite persino dagli studiosi liberali e dagli storici protestanti, con un maldestro copia e incolla aveva scritto un post celebrativo sulla figura del “grande” ed “eroico” Giordano Bruno da Nola, bruciato al rogo in Campo dei Fiori nel 1600 dalla Chiesa cattiva dell’epoca. Avendo un telefonino nuovo che non sapevo ancora usare bene, leggendo quel post mi parte senza volere e accorgermene la emoticon di una faccia sorridente. Me ne accorsi quando mi giunse un altro avviso con questo delicato messaggio: «Che cazzo hai da ridere?». Dopo qualche perplessità dissi tra di me: «No, non è possibile che sia Donna Fiammetta Caracciolo Carafa, che conobbi a suo tempo con il suo nobile consorte Don Oderisio de’ Sangro di Fondi. Non solo perché, ormai, sono morti tutti e due, ma perché una nobile partenopea di così antico lignaggio e casato principesco non si rivolgerebbe mai a questo modo nei riguardi di un prete su una pubblica pagina social».

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… quando delle gentildonne si rivolsero a me in quanto prete con questo tono, dopodiché protestarono persino presso il mio Vescovo

A quel punto con amabilità pastorale, nonché adempiendo al mio dovere di studioso, risposi che la emoticon con la faccina ridente mi era partita senza che neppure me ne fossi accorto e che pertanto era da considerarsi cosa involontaria. Chiarito il tutto le scrissi un post di una ventina di righe precisandole che non era serio lanciarsi pubblicamente in argomenti così complessi sul piano storico e giuridico, posto tra l’altro che i giudici del Tribunale dell’Inquisizione fecero il possibile e persino l’impossibile per salvare Giordano Bruno. Il suo processo durò 15 lunghi anni, fu annullato due volte per risibili difetti di forma e nel mentre fu fatto di tutto per indurlo a ravvedersi dalle sue gravissime eresie. Perché, che Giordano Bruno fosse un eretico, su questo c’è ben poco da discutere. E conclusi invitando questa gentildonna — sempre con grande amabilità — a non lanciarsi in mestieri sul piano storico, giuridico e teologico che non erano propriamente mestieri suoi. Poco dopo la nobildonna “napoletanissima”, residente però nei sobborghi di Caserta, mi lancia una sequela di insulti da far impallidire una prostituta appoggiata al lampione che impreca in una notte di pioggia per la mancanza di clienti. A quel punto, sempre senza mai uscire dalle righe, dopo essere stato sommerso di insulti volgari a sfondo sessuale, dopo essere stato aggredito dalle sue comari di lavatoio basso-casertano che mi epitetarono «mezzo pretuncolo» con indosso una «tonaca di merda», in tono scherzoso e, ripeto, mai e poi mai offensivo, ribatto dicendo: «Dinanzi a una donna come lei, ringrazio e benedico Dio per il grande dono del celibato e della castità». E poco dopo, in un dialetto da bassifondi casertani giunge una pubblica replica che vi offro tradotta direttamente in italiano. La nobildonna, interloquendo pubblicamente con un’altra sua comare dei bassifondi, scrive testualmente a mio riguardo: «Se non avesse fatto il voto (di castità) si sarebbe fatto solo le seghe, col cazzo che una donna come noi la dava a uno stronzo come Ariel S. Levi di Gualdo». Un brevissimo inciso: guardando le fotografie di questa Signora e delle sue Comari pubblicate sulla loro pagina social, chicchessia avrebbe compreso all’istante in che modo dinanzi a siffatte beltade sarebbe impallidita tutta quanta la Famiglia Addams, incluso lo zio Fester.

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delicatezze da parte di gentildonne rissose scatenate sui social media

Spero che il politically correct non mi accusi di incitare alla violenza sulle donne, se dinanzi a simili volgarità affermo in tono ilare: se donne simili non hanno padri o mariti che dopo avere letto certi pubblici messaggi non mollano loro due pedagogiche sberle, o se non hanno figli che a madri simili non dicono di provare vergogna per loro, è evidente che se mariti e figli non sono peggiori, perlomeno sono tal quali alle madri. A quel punto, sempre in modo ironico e mai offensivo, ribatto: «Si comporti da donna civile, lei e le sue amiche autrici di questi commenti, perché state dimostrando di essere peggio delle vajasse al lavatoio». Vi confesso che la parola vajassa la imparai dal mio confratello sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini Ivano Liguori, che per metà è campano per ramo paterno e per metà sardo per ramo materno. Chiariamo: questo termine del dialetto napoletano significa, in senso etimologico, “serva” o “domestica”. In seguito divenne sinonimo di donna di bassa estrazione sociale caratterizzata da atteggiamenti sguaiati, volgari e rissosi. E fu così che le nobildonne, dopo avermi insultato dalla testa ai piedi, dopo avermi ricoperto di insulti volgari, sentendosi definire infine vajasse, presero a urlare all’attentato di lesa maestà. Poi, stravolgendo totalmente la realtà, mutarono me in offensore presentandosi come povere vittime vilipese.

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Mi fermo a questo punto della narrazione, perché credo possa bastare. Adesso proseguo narrando le assurde conseguenze delle social-schizofrenie, sempre per chiarire a quali livelli possano giungere le squilibrate che impazzano su certe piattaforme ... e così queste donne, in testa la feroce amministratrice di quella pagina, tutt’oggi, a distanza di più di due anni, seguitano a riversare su di me cattiverie e volgarità della peggiore risma, attribuendomi quel che mai ho scritto e affermato. Di tanto in tanto prendono due e tre righe da qualche mio articolo, le tagliano, fanno uno screen-shot e mi attribuiscono ciò che mai ho neppure pensato. Come peraltro dimostra l’articolo stesso dal quale è stato operato quel taglio di due o tre righe, nel quale affermo proprio il contrario di ciò che mi viene imputato.

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Prima di procedere oltre è importante chiarire con un esempio concreto quest’ultimo passaggio delicato e soprattutto fondamentale, illustrando nei dettagli la tecnica con la quale gli odiatori confezionano bombe di fango da far esplodere sui social media per danneggiare l’immagine, la reputazione o la credibilità scientifica, intellettuale, ecclesiastica o teologica della persona che hanno deciso di colpire. Ecco dunque servito l’esempio concreto: in un precedente passaggio di questa mia narrazione, all’interno di un discorso molto serio nel quale parlo dell’incarnazione del Verbo di Dio e di Cristo vero Dio e vero uomo, facendo uso di una iperbole retorica affermo: «[…] non riesco proprio a immaginare Nostro Signore Gesù Cristo che piscia acquasanta dalle orecchie perché privo di un attributo sconveniente come il sesso maschile». Presto detto: tagliare queste due righe da un contesto molto serio tutto quanto legato al fondamentale mistero di fede della incarnazione del Verbo di Dio, sarebbe a tal punto disonesto da valicare ogni limite della umana decenza. Ma proprio questa è la disonestà su cui giocano da sempre le vajasse usate non certo come singole e povere persone bensì unicamente come paradigma, capaci a tagliare da uno scritto una frase di questo genere, farne uno screen-shot e poi diffonderlo sui social media indicandomi al pubblico disprezzo come un prete infame che osa fare persino della satira su Gesù Cristo (!?). «Un prete al quale non si capisce proprio» — tuonano le vajasse-paradigma nei loro commenti — «come possano lasciare la tonaca addosso». Ovviamente, sempre e di prassi, allo screen-shot non è mai allegato il link dove chiunque potrebbe aprire l’articolo, leggerlo per intero, quindi appurare che l’Autore indicato al pubblico disprezzo ha scritto l’esatto contrario, il tutto in un discorso articolato e preciso. A quel punto, sotto il post nel quale è stato riportato quello screen-shot di due righe, cominciano a moltiplicarsi i commenti feroci e offensivi di varie altre comari, che lungi dall’andare a cercare l’articolo in questione e appurare che cosa realmente questo «prete indegno» ha scritto, cominciano a emanare sentenze feroci su quelle due righe, senza conoscere né l’Autore e meno che mai il suo scritto. Ovviamente è tutto vero, non se ne discute, c’è la prova: ecco lo screen-shot! Capite bene che siamo parecchio oltre il problema dell’analfabetismo digitale di coloro che — lungi dal leggere un articolo da cima a fondo —, letto titolo e sottotitolo e spulciato in pochi secondi un testo che tratta semmai argomenti storici, filosofici, teologici e socio-pastorali molto complessi, alla fine decidono di capire quel che vogliono capire. Nel caso appena illustrato siamo invece di fronte alla malafede con connotati di autentica malvagità. Esattamente quella malafede che nasce dalla cattiveria tutta tipica delle persone che mentono sapendo di mentire, proprio come queste vajasse-paradigma animate dal bisogno insopprimibile di scaricare odio su una persona che per motivi o disagi psicologici loro personali decidono di usare come tiro al bersaglio, facendo gruppo e condizionandosi le une con le altre attraverso odio che genera odio, narrandosi menzogne le une con le altre, poi convincendosi le une con le altre che quelle falsità sono verità al di fuori di ogni possibile dubbio. Oggetto d’odio potrei essere io allo stesso modo in cui potrebbe esserlo il Primo Ministro della Repubblica Italiana oggi in carica, o quello che lo fu prima di lui, oppure i virologi tacciati di incompetenza e ignoranza da persone che se interrogate a tal proposito non saprebbero spiegare neppure in modo elementare che cos’è un virus, per seguire con noi preti colpevoli a vario titolo di tradire il messaggio autentico di Gesù Cristo, il tutto affermato con severità e violenza da persone di imprecisato spirito cristiano che nei loro commenti precedenti si sono appena dichiarate favorevoli all’aborto, all’eutanasia, al matrimonio tra coppie dello stesso sesso e via dicendo, il tutto giustificato dal fatto che a loro dire «… ma Gesù è amore!». Non importa quale sia l’oggetto, perché può essere il più disparato, dal giocatore di pallacanestro sino al chirurgo oncologico, l’importante, per queste persone, è focalizzare un soggetto, prenderlo di mira e trasformarlo in un oggetto feticista sul quale scaricare odio nel peggiore dei modi.

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Chiarito il tutto ritengo inutile, perlomeno adesso, di aprire un altro complesso discorso sui grandi padroni dei social media, che su questo giro di odio che genera odio ci fanno soldi, salvo far scattare la censura se uno osa postare l’immagine della Venere di Botticelli, letta dai loro algoritmi assurdi come immagine pornografica. Insomma, certi social media non sono il regno della scienza, dell’arte e della cultura, ma l’universo ideale dove abitano e impazzano le vajasse-paradigma bugiarde, violente e rissose.

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Leggendo invettive di questo genere rivolte a Padre Ariel sui social media , un suo confratello cinese residente da molti anni a Roma commentò così: «Durante la rivoluzione di Mao i preti furono catturati e nella migliore delle ipotesi incarcerati in prigioni orrende, ma nessun comunista maoista si è mai rivolto a loro rovesciandogli addosso una simile e volgare violenza verbale». Che è tutto dire …

Dopo avere insultato un prete in modo violento, le vajasse-paradigma contattano il mio Vescovo, commettendo così un reato dietro l’altro. Una, presentandosi come avvocato in procinto di querelarmi e chiedere per me, all’incirca, la stessa condanna a 25 anni di reclusione irrogata ad Ali Ağca per avere attentato alla vita del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II. Un’altra chiese un colloquio telefonico col mio Vescovo per intimargli — udite, udite! — che se lui mi avesse irrogato le “dovute” e severe pene canoniche loro avrebbero desistito concedendomi … clemenza. E qui si cade in varie fattispecie di reato legate all’abuso di una qualifica professionale — quella di avvocato che prevede l’iscrizione a un albo professionale e una abilitazione all’esercizio della professione — posta in essere, peraltro, con il rappresentante di un ente di diritto pubblico, tale è per la Legge il Vescovo di una diocesi, dalla vajassa-paradigma di turno affatto abilitata all’esercizio della professione forense. Fatto questo inviarono al mio Vescovo solo gli screen-shot nei quali in tono divertito e ironico rispondevo — senza insultare alcuna di loro — a delle aggressioni di una volgarità inqualificabile e di una violenza davvero inaudita. Ovviamente provvidi subito a inviare al Vescovo quanto mi avevano scritto e lanciato addosso queste gentildonne. Inutile a dirsi, rimase malissimo sia per la violenza che per i toni volgari con i quali delle popolane al lavatoio dei bassifondi di paese si erano permesse di rivolgersi a un suo prete nella maniera in cui mai avrebbe osato fare una prostituta professionista. E io, che a Roma ho dedicato parte del mio apostolato alle prostitute che lavoravano sul tratto della Via Aurelia che va dalla Capitale fino a Castel di Guido, conosco bene il garbo che queste donne avevano verso il sacerdote, usando sempre nei suoi riguardi rispetto e affetto.

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il trofeo esibito sui social media dalle vajasse: la ricevuta di ritorno della raccomandata inviata al Sommo Pontefice con richiesta – o meglio con l’ordine da loro impartito – di procedere quanto prima a “spretizzare” Ariel S. Levi di Gualdo

Dato che il Vescovo non dette loro credito, inviarono una lettera al Sommo Pontefice, pubblicando poi nei loro profili la ricevuta di ritorno della raccomandata, come fosse una via di mezzo tra un trofeo e una bolla di scomunica. In quella lettera chiesero all’incirca di “spretizzarmi”. Poi se la presero col mio Vescovo, a loro dire colpevole di non avere eseguito direttive e comandi da loro dati. Perché come risaputo un Vescovo sarebbe tenuto, anzi obbligato a prendere direttive da lavandaie volgari e rissose che passano gran parte del loro tempo sui social media a insolentire nel peggiore dei modi chi decidono di prendere di mira, eseguendo gli ordini che dalle stesse sono stati impartiti dopo avere insolentito nel peggiore di modi un suo prete. Altrimenti, se non fa questo, che razza di Vescovo è?

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Con una battuta ironica proviamo adesso a riassumere il tutto, per fissare con una immagine pertinente a quali livelli di delirio e di dissociazione dal reale possano vivere nei concreti fatti certe persone. Poniamo che io, mentre mi trovavo negli studi di Mediaset a Milano per i vari programmi ai quali ho partecipato, avessi detto a Paolo Del Debbio: «Senti, amico mio, ho bisogno di parlare urgentemente con Silvio Berlusconi». Ovviamente si sarebbe messo a ridere pensando a una mia battuta di spirito, ben sapendo che io sono una mente intelligente e razionale, non un idiota. Detto questo, io insisto. A quel punto lui mi chiede il motivo di quel mio bisogno urgente. Al che rispondo: «Perché a casa mia ogni tanto Rete4 non si vede bene, per ciò esigo che Silvio Berlusconi mi sistemi la recezione della mia antenna televisiva nel modo in cui io gli indicherò di fare». Una cosa del genere detta da me a Paolo Del Debbio, lo avrebbe fatto morire dal ridere, poi, poco dopo, avrebbe fatto il giro di tutta la redazione facendo ridere tutti quanti i redattori, che sapendo anch’essi quanto io sia una mente intelligente e razionale, avrebbero detto che il Padre Ariel ha un senso dell’umorismo esilarante. Nel caso delle vajasse-paradigma aspiranti napoletane veraci, emblema della violenza, della manipolazione, dei barbari taglia e cuci fatti da certe persone sui social media e della necessità psicofisica di odiare, bisogna invece ridere per altro verso. Infatti, queste nobildonne, dopo essersi dichiarate rammaricate per il mio Vescovo che non mi aveva tolto la veste talare di dosso e condannato pubblicamente, si sono amareggiate ulteriormente perché il Santo Padre al quale avevano scritto per ben due volte — come da loro dichiarato e con tanto di ricevuta della raccomandata esibita —, non aveva mai preso alcun provvedimento su di me, dando in tal modo esecuzioni agli ordini impartiti dalle lavandaie violente e rissose non solo al mio Vescovo, ma persino al Romano Pontefice, che come minimo avrebbe dovuto richiedere in comodato d’uso al Comune di Roma Castel Sant’Angelo per rinchiudermi nelle sue carceri interne e gettando poi la chiave della cella nelle acque del Tevere. Quindi non riuscivano a farsene proprio una ragione, al punto tale da seguitare a scrivere: «Come possono non punire severamente un prete del genere, dopo tutto quello che noi abbiamo scritto a Papa Francesco?». Insomma, hanno preteso che Silvio Berlusconi, dietro sottile minaccia a fare come loro volevano e nel modo in cui volevano, provvedesse a sistemargli l’antenna della televisione, perché in caso contrario lo avrebbero denunciato alla Comunità Europea, ma che dico, direttamente alla Società delle Nazioni Unite, chiedendo in caso contrario l’immediato intervento dei caschi blu dell’O.N.U. per assediare la cittadella di Mediaset a Cologno Monzese.

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Un mio ex compagno di studi, oggi Procuratore della Repubblica in un capoluogo di regione, in tono affatto divertito, bensì molto irritato, mi narrò tempo fa che i Pubblici Ministeri, giorno dietro giorno archiviano querele assurde presentate per i motivi più folli e irrazionali da persone che, sempre più numerose, credono veramente che la Legge possa essere applicata — e di rigore anche con assoluta severità — per rendere la massima giustizia alla incontenibile iper-suscettibilità e al narcisismo ipertrofico di certi soggetti che vivono nel pianeta surreale dei social media anziché nel mondo del reale. Mi confidò che uno dei suoi Pubblici Ministeri gli fece leggere un giorno una querela nella quale una tale aveva querelato un uomo perché sotto la foto da lei postata sulla sua pubblica pagina social, con lei ritratta in costume da bagno, aveva postato una emoticon con una faccetta ridente che faceva una linguaccia.

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Con questo esempio l’amico magistrato riassunse il dramma delle vajasse-paradigma testé narrate e affini vari. Tutte queste persone hanno in comune anche un’altra caratteristica, o meglio il vezzo di usare i termini medioevo e medievale come parole insultanti con le quali bollare coloro che hanno mutato in feticci sui quali scaricare odio, all’incirca come uno stregone voodoo pratica la macumba piantando spilloni su una bambolina di pezza. E provate a spiegarlo a questo esercito di analfabeti digitali e di rissosi violenti che il Medioevo è quel monachesimo benedettino che ha dato vita al concetto e alla parola stessa di Europa e che ci ha trasmesso secoli e secoli di sapere, che senza il circuito dei monasteri benedettini sarebbe andato perduto per sempre. O che il medioevo sono Anselmo d’Aosta e Tommaso d’Aquino, per seguire con Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. E provate poi a spiegare che il Medioevo, diviso in tre distinte epoche nel lasso di quasi dieci secoli, è stato un fiorire di arti e scienze in ogni dove. Quel che loro intendono come medioevo — ma che nel vero Medioevo non è invece esistito mai — è ciò che oggi esiste invece nel mondo dei social media, attraverso i quali l’uomo, dietro falsi pretesti di progresso e di libertà, ha perduto ogni genere di continenza, pudore e misura, sino a regredire ai sassi e alla fionda della preistoria, sino a dare il peggio di sé stesso come mai aveva fatto prima. Aveva per ciò ragione in tal senso Umberto Eco affermando:

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«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».

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Magari l’uomo di oggi avesse la mente speculativa, l’estro creativo e il senso critico che aveva l’uomo del basso, medio e tardo Medioevo, magari! E purtroppo, da questa grande e incontrollabile fogna, affiorano in superficie anche molti sedicenti cattolici e donne variamente frustrate e infelici celate dietro Cristi fluidi e Madonnine languide, che costituiscono la negazione peggiore della Christianitas.

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Dentro i social media io entro, scrivo e dibatto con lo spirito del buon pastore che non esita a entrare all’occorrenza anche dentro un bordello dei peggiori bassifondi, nella consapevolezza che non riuscirà mai a togliere dal giro tutte le prostitute che vi lavorano, però, una o due, può anche essere che riesca a indurle a un cambio di vita. Il buon pastore non esita ad andare in un circolo di drogati, o di malavitosi, consapevole che ben pochi saranno quelli che riuscirà a strappare alla tossicodipendenza o ai giri della criminalità organizzata, ma sappiamo quanto per Dio anche una sola anima è molto preziosa.

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Padre, perché ogni tanto sui social media dici parolacce? È vero, ogni tanto uso un linguaggio colorito. Però vi chiedo: qualcuno pensa veramente che lo faccia per caso, o peggio per incontinenza verbale? Ebbene ve lo confesso: nell’ambito dei social media ho indotto alla ragione più persone con una parolaccia che con una Ave Maria. Ogni impresa richiede delle precise tecniche di azione, ogni ambito richiede il proprio linguaggio espressivo: non si parla di metafisica a un analfabeta e al tempo stesso non si dovrebbe trattare un metafisico come se fosse un perfetto analfabeta. A una cena di gala presso un’ambasciata si sgusciano i gamberetti con coltello e forchetta, altrettanto si toglie la buccia alla frutta, mentre in un’osteria di pescatori si sgusciano i gamberetti con le mani e si sbuccia la frutta con il coltello tenendola stretta tra le mani. Non si usano le mani in certi contesti e in altri sarebbe offensivo per tutti i presenti usare invece coltello e forchetta. Tutto questo si chiama semplicemente e null’altro che buonsenso.

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Sono queste oggi, nel mondo affatto felice in cui viviamo, le grandi e difficili sfide pastorali che noi preti dobbiamo affrontare, all’occorrenza con coltello e forchetta, in altri contesti ungendosi le dita con i gusci dei gamberetti. E credetemi se per esperienza di prete, pastore in cura d’anime e teologo vi dico con estrema chiarezza: come impresa non è affatto poca cosa, nel moderno mondo dell’uomo della pietra e della fionda che oggi imperversa sui social media, salvo ironizzare con tutta la sua crassa ignoranza sulla mente aperta, creativa e speculativa che aveva invece l’uomo del medioevo.

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dall’Isola di Patmos, 14 gennaio 2022

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I social media funzionano così: ritenere di avere il diritto di offendere chiunque senza limiti e senza filtri, però, se la persona offesa risponde per le rime, a quel punto, chi ti ha offeso, dichiara immediatamente di essere stato offeso da te (!?). Poi, se l’offensore è una donna, in quel caso, chi è stato offeso e ha osato ribattere, è gravemente colpevole di avere “offeso una donna”. Questa è la “logica” dei social media.

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Alcune perle di saggezza delle vajasse-paradigma che passano le loro giornate sui social media a dare lezioni di storia, filosofia, medicina, politica, fisica quantistica, teologia, arte e chi più ne ha ne metta … e che aggrediscono e insultano senza filtri e limiti chiunque osi contraddire le espressioni della loro “alta sapienza”, in quei social media ormai ridotti a un pianeta «invaso da legioni di imbecilli che hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel», com’ebbe a lamentare Umberto Eco già svariati anni fa.

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8 commenti
  1. Fabio G
    Fabio G dice:

    Non cambia il senso dell’articolo, ma forse:
    la circoncisione veniva fatto all’ottavo giorno… ma non al tempio. (Luca 1,57-59 per Giovanni Battista e Luca 2,21 per Gesù).
    Al Tempio La madre si presentava non prima di 40 giorni dal parto di un maschio o 80 giorni per una femmina per compiere il rito della sua purificazione e, nel caso del primogenito, per consacrarlo a Dio e riscattarlo (Levitico 12,1-8) (Esodo 13,11-16) (Luca 2, 22-39).

    • Padre Ariel
      Padre Ariel dice:

      La Santa Famiglia, che non abitava a Gerusalemme, si recò nella Santa Città in occasione della circoncisione di Gesù, ossia per la presentazione al Tempio.
      Bisogna tenere conto che presso l’antico Tempio c’era un sacerdote che svolgeva la funzione di מוהל (mohel, circoncisore). Ovviamente la circoncisione rituale non era certo praticata nel קֹדֶשׁ הַקֳּדָשִׁים (Qodesh ha-Qodashim, equivalente latino di sanctum sanctorum). In un angolo esterno del tempio c’era anche un lembo di terreno nel quale i prepuzi dei neonati venivano poi sepolti. Alcuni antichi autori ipotizzano persino che nel periodo antecedente la distruzione del primo Tempio il prepuzio fosse bruciato assieme a un animale offerto in sacrificio.
      La circoncisione rituale, all’epoca, poteva avvenire ovunque, spesso era praticata all’interno delle case o anche all’aperto durante raduni di festa.
      Che Giuseppe e Maria si siano recati a Gerusalemme presso il tempio in occasione della circoncisione del Divino Infante, è attestato dalla narrazione lucana dove sono indicati due precisi personaggi, Simeone l’anziano saggio e giusto, quasi certamente un membro della casta sacerdotale, oltre alla presenza della profetessa Anna, figlia di Fanuèle, che «Non si allontanava mai dal Tempio».
      Il tutto narrato nel Vangelo del Beato Evangelista Luca da lei citato (Lc 2, 21)
      Quindi Gesù può essere stato circonciso e poi presentato al Tempio, oppure, come avveniva, essere stato circonciso a Gerusalemme dal מוהל del Tempio.

      Le sono molto grato per le sue preziose precisazioni.

      • orenzo
        orenzo dice:

        Carissimo padre Ariel,
        come avrebbe potuto Maria recarsi al Tempio l’ottavo giorno se era legalmente impura per 40 giorni?

        • Padre Ariel
          Padre Ariel dice:

          Caro Orenzo,

          Non mi sembra di avere detto che Maria è entrata nel Tempio con Gesù 8 giorni dopo il parto, ho parlato della presentazione «in occasione della circoncisione di Gesù». Forse, anziché dire “in occasione” avrei dovuto dire “dopo” la circoncisione di Gesù, ma dicendo “in occasione” sottintendevo e intendevo “dopo”.
          Rispondendo a Fabio G. che ha fatto un commento molto pertinente, ho approfittato per fare un po’ di cronistoria sulla circoncisione e i luoghi nei quali veniva praticata.
          Nessuno sa dove Gesù sia stato circonciso (luogo e località, per intendersi) i Santi Vangeli attestano che fu circonciso e narrano la sua presentazione al Tempio, presso il quale – come dicevo all’altro gentile commentatore -, si trovava anche uno spazio idoneo nel quale erano praticate le circoncisioni.

          Dopodiché, come i Santi Vangeli narrano e come lei precisa a giusta ragione, Maria fece la purificazione rituale, la cosiddetta מקווה (mikvah), che consisteva nella totale immersione all’interno di una vasca, per tre volte, che doveva essere alimentata da acqua corrente e mai da acqua rafferma, perché il rito non sarebbe stato in tal caso svolto secondo le prescrizioni della הלכה (Halakah, la Legge normativa). Così avviene tutt’oggi nell’ortodossia ebraica, dove presso ogni sinagoga c’è un locale idoneo per il bagno rituale di purificazione.

          Da anni lei è un nostro gradito Lettore e colgo l’occasione per salutarla e augurarle un felice inizio di anno

          • orenzo
            orenzo dice:

            Allora la frase “in occasione della circoncisione di Gesù, ossia per la presentazione al Tempio” è alquanto infelice, perché Luca parla di tre cerimonie distinte e di una offerta:
            – “Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione” (Genesi 17.12)
            – “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè” (Levitico 12.1,4)
            – “portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore;” (Esodo 13.12-13)
            – “e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.” (Levitico 17.8)
            Riguardo infine alla purificazione di Maria, il sacerdote la rendeva monda tramite il sacrificio espiatorio di una delle due tortore o colombi, mentre l’altro serviva per l’olocausto (Levitico 17.7-8)
            OT: questo assiduo lettore mai si sogna di mettere in dubbio che l’Incarnazione sia avvenuta per opera dello Spirito Santo esclusivamente nel “seno” della Semprevergine Maria e senza alcun apporto esterno.

  2. Simona Serafini
    Simona Serafini dice:

    Buongiorno Reverendo Padre e Santa Domenica

    Ho ascoltato e letto quanto Lei ha scritto molto attentamente e fino a tarda notte. Ha tutta la mia solidarietà e comprensione, sono una miserabile peccatrice pia donna (e ci credo veramente!) ma ringrazio ogni giorno il Signore Gesù che tramite la Santa Eucarestia mi guarisce dalle mie profonde infermità! Ormai su questi Social ci sto il meno possibile (o almeno ci provo), ho tolto gran parte delle applicazioni sul mio dispositivo e ho solo Telegram, per questo ho insistito nel mio precedente commento affinché questi articoli venissero pubblicati qui.

    Ad Maiora e al prossimo appuntamento con i suoi articoli.

  3. Simona Serafini
    Simona Serafini dice:

    Reverendo Padre buonasera,

    amo accompagnare l’ascolto con la lettura dei suoi articoli. La invito ancora una volta ad aprire un canale Telegram dove magari può anche interagire con noi suoi assidui lettori non solo della rivista ma anche dei suoi libri e inoltre tenere anche Lezioni di dottrina, così importanti in tempi di profonda ignoranza quali quelli che stiamo vivendo. Io ho il pc ma tanti fra noi utilizzano i dispositivi mobili e questo Social si sta rivelando un tesoro davvero prezioso per poter interagire, tramite creazioni di canali pubblici e privati, con molti utenti provvisti per la loro identificazione comunque di un numero di telefono. Grazie per questo articolo che, confesso, devo ancora finire di ascoltare-leggere.

    • Padre Ariel
      Padre Ariel dice:

      Cara Simona,

      il suo consiglio è molto prezioso e noi intendiamo usare questo canale prima possibile. Non sempre riusciamo, purtroppo, a fare tutto e subito come vorremmo, specie quando abbiamo libri da preparare per la stampa, che richiedono molto lavoro, oltre agli articoli e alla nostra primaria attività pastorale.
      Le garantisco però, a nome dei miei Confratelli e a nome mio, che quanto prima apriremo questo canale.

      Con un sincero augurio di ogni bene e grazia dal Signore.

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