Il Bel Pastore non è una iconografia devozionale, ma il modello possibile e realizzabile da perseguire che Cristo Divino Maestro ci offre

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

IL BEL PASTORE NON È UNA ICONOGRAFIA DEVOZIONALE, MA IL MODELLO POSSIBILE E REALIZZABILE DA PERSEGUIRE CHE CRISTO DIVINO MAESTRO CI OFFRE 

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Sia che siamo pastori o pecore è necessario passare attraverso Cristo Risorto perché è la sola regola per trovare la vita. Ripudiamo tutte le altre porte inutili, tutti gli altri pastori ingannevoli, non lasciamoci confondere per poi finire i nostri giorni delusi, ammalati e affamati. Chi non passa attraverso Gesù o è un ladro che vuole usare la fede per arricchirsi illecitamente oppure è un brigante che vuole usare la fede con violenza e aggressività. 

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Foto di repertorio: il Sommo Pontefice Francesco

In questa IV domenica di Pasqua la nostra riflessione sul Vangelo di Giovanni si incentra sulla figura di Cristo risorto presentato come il buon Pastore, titolo che nell’originale greco è reso come il bel pastore cioè il modello esemplare per tutti coloro che sono chiamati ad essere pastori. Questa constatazione ci conduce oggi a portare nel cuore tutti i nostri pastori: dal Vescovo di Roma all’ultimo sacerdote ordinato. Tutti costoro sono pastori vicari nella misura in cui la loro vita ricalca quella dell’unico e autentico Pastore che è Cristo Risorto.

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Sarò sincero, non mi è mai piaciuto che il giudizio su un sacerdote venga confezionato a partire da quello che sa fare o da quello che può dare. Peggio ancora quando il sacerdote – o vescovo – viene individuato attraverso i propri titolo accademici, quali novelli blasoni da esporre nella pletora degli arrampicatori clericali verso la scalata carrieristica. L’unico titolo essenziale per un sacerdote è dato dal suo essere di Cristo, dentro quel mistero immeritato e gravoso di cui mai capiremo abbastanza il valore è racchiuso tutto il necessario per spalancare le porte del paradiso. Per questo – dicevo – soffro parecchio quando un sacerdote viene reputato meritevole o meno in base alle sue doti fisiche, intellettuali, accademiche, sociali, organizzative, ecclesiastiche. A me basta che sia sacerdote: convinto di esserlo, felice di esserlo, responsabile di esserlo.

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Lo sappiamo bene noi parroci quando ci sentiamo portare a metro di paragone dai fedeli: «Quel prete organizza molte gite e pellegrinaggi per i parrocchiani, ha messo numerose attività di aggregazione nella parrocchia, ha attrezzato l’oratorio in maniera magnifica, sa parlare ai giovani, ha dotato la Chiesa di tutti confort etc..».  Scusate, ma non posso che pensare come davanti a tutte queste meraviglie – sicuramente utili e giuste – molte comunità super accessoriate restano ancora vuote, i ragazzi abbandonano la fede dopo la cresima, la fame dell’Eucaristia e della Parola non viene colmata, la difficoltà a permanere nella fedeltà al Vangelo rappresenta la norma a cui abituarsi per non farsi etichettare come rigidi.

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Ecco allora perché il Vangelo di questa domenica è estremamente importante non solo per i fedeli laici ma soprattutto per noi ministri, costituiti pastori del gregge di Dio a noi affidato. Cristo nella sua incarnazione si carica della nostra natura umana e negli eventi della Pasqua la sopraeleva alla gloria di Dio. La nostra condizione finale, da un punto di vista teologico, è decisamente più superiore e sublime di quella che sperimentarono i nostri progenitori nel Paradiso Terrestre.

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Cari amici cristiani, questa è l’opera compiuta dal Risorto, da colui che è il Signore, e quest’opera di sopraelevazione dei fedeli alla gloria del Padre attraverso la loro quotidiana santificazione è compito eminente dei sacerdoti, questo è, e dovrebbe essere l’unico assillo che ci ha fatto lasciare tutto per seguire Cristo.

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Non mi posso accontentare di un gregge di fedeli soddisfatto se questo non è anche santo, la soddisfazione attiene all’immanenza, la santità abbraccia l’oggi eterno di Dio in un continuo movimento di conversione:

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«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (cf. Lc 9,23-24).

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Per questo motivo l’evangelista Giovanni ci dice oggi che Gesù è l’unica porta attraverso la quale le pecore possono passare per essere sante e piene di Dio. Parole che vogliono indicare la mediazione di Colui che ci permette l’accesso al Padre, dentro una vita totalmente ripiena di Dio e che parli di Lui in tutte le sfaccettature più minute.

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Non deve meravigliarci questa prospettiva di perfezione, perché in questo mese di maggio abbiamo davanti l’esempio realizzato di Maria Santissima, colei che è chiamata santa e piena di grazia, proprio perché – attraverso il Figlio e in vista di Lui – ha ottenuto da Dio quella compiutezza di vita che è mèta di ogni battezzato. Maria è la prima cristiana che ha goduto in pienezza dei frutti della risurrezione del Figlio.

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Pertanto, sia che siamo pastori o pecore è necessario passare attraverso Cristo Risorto perché è la sola regola per trovare la vita. Ripudiamo tutte le altre porte inutili, tutti gli altri pastori ingannevoli, non lasciamoci confondere per poi finire i nostri giorni delusi, ammalati e affamati. Chi non passa attraverso Gesù o è un ladro che vuole usare la fede per arricchirsi illecitamente oppure è un brigante che vuole usare la fede con violenza e aggressività.

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Preghiamo ogni giorno affinché i nostri pastori non si tramutino in ladri o briganti, questo è compito di tutta la Chiesa, comunità che intercede affinché coloro che sono chiamati a santificare siano i primi santi di cui dover rendere grazie a Dio.

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Gesù è la porta della nostra vita, una vita risorta che – se accettata liberamente e con gioia – è capace di salvare dagli abissi della morte e costituire testimoni autentici di vita. Questo è il solo messaggio che desidero oggi incontrare negli occhi dei sacerdoti, questo solo è sufficiente, questo solo basta.

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Laconi, 3 maggio 2020

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4 commenti
  1. Padre Ariel
    Paolo Sassoli dice:

    Padre Ariel,

    forse la mia è una domanda banale, mi perdoni, ma vorrei approfittare per chiederle una spiegazione, perché veda, io, come lei spesso dice a certi tuttologi da tastiera, applico il criterio … quando non sai taci, o domanda a chi sa, non ti lanciare in possibili brutte figure da ignorante.
    Giorni fa, uno che dice di intendersi di liturgia (non è un prete è un laico), disse che furono abolite le antiche pianete per sostituirle con orrende casule al fine di essere più vicini ai protestanti anche nell’abbigliamento liturgico.
    Sono stato zitto, perchè non sapevo cosa rispondere.
    Potrebbe spiegarmi lei?

    • Ariel S. Levi di Gualdo
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Caro Paolo,

      le spiego molto volentieri, perché questo strumento telematico, che in sé e di per sé sarebbe utilissimo, cerco da sempre di usarlo proprio a certi scopi e finalità legate alla pastorale e alla dottrina della fede.

      Lo pseudo esperto in questione le ha detta una cosa del tutto inesatta e falsa. Infatti, il paramento antico non è la attuale pianeta, bensì proprio la casula.

      Come molti dei nostri accessori liturgici, anche la casula deriva dalla antica tradizione romana, alla lettera significa “piccola casa”. Non dobbiamo infatti avere timore a spiegare che molti dei nostri accessori liturgici, a partire dalla stola, sono stati assunti nel III secolo da elementi della paganitas romana e cristianizzati, dando ad essi tutt’altri significati.

      Notizie precise sulla “casula liturgica” si hanno a partire dal VI secolo.

      Lungi quindi dall’essere il paramento antico, la pianeta, quella attuale, non risale neppure alla riforma liturgica del Santo Pontefice Pio V, ma più avanti ancora nel tempo, ossia ai primi decenni del XVIII secolo, ed è un paramento che risente fortemente, in tutto e per tutto, di quello che era lo stile dell’arte barocca.

      Pertanto, quello che “l’esperto” in questione definisce paramento antico, ossia la attuale pianeta, è un paramento modernissimo che risale ai primi decenni del Settecento, mentre, quello che erroneamente definisce come paramento moderno, è invece l’accessorio liturgico, assieme alla stola, più antico.

      La prova? Negli affreschi risalenti al VI / VII secolo e via a seguire, lei potrà notare che vescovi e sacerdoti sono raffigurati con la casula, non certo con la pianeta barocca.

  2. enzo
    enzo dice:

    Buona sera Padre Ivano,

    anche se rischio di essere fuori moda considerando il modo di pensare all interno della Chiesa da tanti che si sentono i veri Cattolici cristiani, io sono sicuro che al di là della immagine iconografica, il Santo Padre Francesco è stato finora ed è vera immagine vivente del buon Pastore così come descrive il passo evangelico menzionato.
    Se il Poverello d Assisi vivesse questo momento della storia con questa Chiesa di adesso non predicherebbe la riforma della Chiesa allontanando i fedeli da chi oggi è il Papa (nonostante tutto) come molti vogliono fare.
    Le auguro un buon proseguimento del tempo pasquale.

    Enzo1

    • Michele
      Michele dice:

      Sig.Enzo,

      Papa francesco è il vicario di Cristo,quindi va rispettato come tale, però quando fa dichiarazioni che deragliano completamente dalla dottrina cattolica,è giusto criticare tali affermazioni!
      Ovviamente dai Cattolici sedevacantisti o preti scomunicati,è meglio stare alla larga …

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